Le requisizioni militari

Alessandro Ferranti (*)

1. Premessa: le origini storiche dell’istituto

L’istituto della requisizione è andato configurandosi nel contesto del fenomeno della guerra e nel campo d’azione degli eserciti. Per lungo tempo è stato considerato alla stregua delle manifestazioni tipiche dell’abuso, anche se un primigenio sistema normativo e procedurale ad esso riferibile era già contenuto in diversi statuti risalenti al tempo medievale. Nel corso del periodo storico dominato dal feudalesimo il principio quisquis in terra mea est, meus subditus est, trasposizione dell’assoluto diritto sovrano del signore sulle terre, comportò altresì, come estensione analogica, l’incombere sul sovrano medesimo dell’obbligo di provvedere ai suoi uomini affinché disponessero di quanto necessario per vivere, muovere e combattere, in ciò rinnovando il diritto d’hébergement - tradizionalmente riservato proprio alle figure del re e del signore - nella veste di diritto riconosciuto a favore delle milizie di alloggiare presso le dimore degli abitanti autoctoni. Con la costituzione degli eserciti permanenti, la necessità di provvedere all’alloggiamento dei soldati presso le classi meno abbienti della popolazione condusse a prevedere la corresponsione di un’apposita indennità e ad attribuire a funzionari ad hoc le competenze in ordine alla cura dei vari aspetti relativi all’approvvigionamento(1).

L’uso del termine “requisizione”, inteso nella sua più pregnante accezione - cioè a dire quale trasferimento coatto di beni e servizi su richiesta (dal termine inglese “requisition”) dell’autorità militare - risale però nel tempo solo alla guerra d’indipendenza americana, allorché il Presidente Washington stabilì che le requisizioni avrebbero dovuto essere effettuate tutelando, comunque, i diritti dei soggetti passivi, onde evitare il rischio di dare luogo a vere e proprie depredazioni delle popolazioni(2). In seguito, all’iniziale unica funzione di sopperire ad esigenze di ordine militare in tempo di guerra, si è aggiunta la funzione ulteriore di fare fronte anche in tempo di pace alle esigenze connesse con la preparazione in funzione della guerra. In questo senso, l’evoluzione funzionale dell’istituto accompagna un’eguale modificazione nella struttura giuridica dello stesso: in effetti, alle requisizioni di beni in proprietà sono andate affiancandosi, per un verso, le requisizioni in uso e, per altro verso, le requisizioni di servizi (con riferimento alle prestazioni personali obbligatorie).

Ciò ha portato ad una configurazione dell’istituto quale strumento funzionalmente idoneo a soddisfare esigenze di carattere sia civile sia militare in relazione a situazioni di grave necessità accertata. Nel contempo, con l’avvento dello Stato di diritto, emerge l’esigenza di disciplinare la materia con specifiche norme informate a criteri di maggiore garanzia nei riguardi dei soggetti requisiti. Nel solco tracciato da questa impostazione si inserisce anche la giurisprudenza più recente, la quale, fatto salvo il riconoscimento di una piena discrezionalità da parte dell’amministrazione agente in ordine alla definizione ed alla configurabilità dello stato di necessità, assume, come presupposto essenziale, che tale necessità risulti imprevedibile, reale e dimostrata. In alternativa, laddove tali condizioni dovessero mancare, ci si troverebbe nella necessità di fronteggiare esigenze di tipo ordinario, per la cui soddisfazione si dovrebbe fare ricorso piuttosto a mezzi parimenti ordinari(3).

2. Natura giuridica

La fattispecie della requisizione costituisce un atto d’imperio dello Stato volto a soddisfare una necessità pubblica. Sotto questo profilo esso può essere definito come un atto tipico e si conforma concettualmente come il “prendere, esigere di un’autorità per un bisogno pubblico”(4). Tale locuzione evidenzia, da un lato, quanto essa vada ad incidere nella sfera del privato e fissa, dall’altro, l’oggetto dell’apprensione per il soddisfacimento di un interesse pubblico(5). La sua caratteristica essenziale risiede nel sostanziarsi quale precipua deroga, tassativamente stabilita, al principio generale del rispetto della proprietà privata. La dottrina(6) ha però inteso distinguere le requisizioni come specie a sé stante rispetto al più ampio genere della ablazioni da un lato e delle ordinanze di urgente necessità dall’altro, evidenziandone i caratteri fondamentali e peculiari, unificanti la varietà delle discipline attinenti l’istituto delle requisizioni. Tali caratteri sono: la temporaneità, l’urgenza e l’indennità. Essi, peraltro, determinano la fattispecie unicamente ove siano consecutivamente presenti, giacché, ove vengano singolarmente considerati, possono essere rinvenuti anche in altri istituti, com’è il caso dell’espropriazione e della confisca.

Il carattere dell’urgente necessità è ritenuto qualificante per esprimere il concetto di requisizione, e tale da distinguere la categoria “procedimentale” rispetto a quella dell’espropriazione. L’urgenza caratterizza l’istituto sin dalle sue origini, dal momento che - come si è detto - la funzione originaria della requisizione consisteva nel sopperire alle necessità di ordine militare in tempo di guerra, e si sostanziava nella circostanza in base alla quale le autorità responsabili delle operazioni belliche si procuravano i beni (generalmente mobili, i.e.: generi alimentari, bestiame, mezzi di trasporto) dei quali gli eserciti impegnati nelle campagne avevano - appunto - urgente bisogno e che erano, per ciò stesso, difficilmente rinvenibili in altro modo. Per altro verso, la giurisprudenza, considerando che le requisizioni nascono proprio come procedimenti volti a soddisfare esigenze di carattere militare dettate dalla necessità di soddisfare bisogni urgenti per un periodo di tempo in ogni caso  limitato, ritiene che la temporaneità sia un elemento essenziale e determinante per la definizione della fattispecie in esame e della procedura per la sua applicazione. Il procedimento amministrativo che individua l’interesse pubblico urgente da curare, evidenziando un nesso di causalità tra evento ed attività amministrativa, produce, infatti, come effetto quello di estinguere temporaneamente nella sfera del proprietario l’usufrutto della cosa o - meglio - il diritto di proprietà della cosa, oppure di imporre un obbligo di facere(7). Sotto questo profilo, le requisizioni possono essere intese come provvedimenti ad effetto reversibile, destinate in altri termini a durare: “...sinché dura la situazione di necessità che le ha originate”(8).

Dunque, la requisizione può essere considerata come l’imposizione di un sacrificio di diritti soggettivi privati cui orrisponde il sorgere, nei soggetti titolari del bene requisito, di un diritto a beneficiare di un’indennità. Il carattere dell’indennità configura, da un lato, il diritto all’indennizzo da parte del soggetto passivo della requisizione (o soggetto requisito) quale corrispettivo del sacrificio patito e, dall’altro, il dovere di indennizzare, incombente sul soggetto beneficiario della requisizione medesima (sia esso un terzo ovvero la stessa amministrazione)(9). Il corrispettivo al sacrificio patito dal privato costituisce un ulteriore elemento sempre presente nella procedura di requisizione, che non solo serve a distinguere e a differenziare la procedura di requisizione rispetto a quella d’urgenza, ma consente anche alla dottrina di classificare tali procedimenti nel genere “ablazioni”. L’urgente necessità e la temporaneità sono elementi propri dei procedimenti d’urgenza; l’indennità è un requisito qualificante i procedimenti di espropriazione. I suddetti elementi - che caratterizzano la stessa fattispecie - si ritrovano però congiuntamente solo nei procedimenti di requisizione. Per quanto attiene alla natura di un atto amministrativo, la requisizione si struttura in due procedimenti amministrativi: quello che conforma il nuovo bene giuridico in relazione alle urgenti necessità - e, nel contempo, estingue temporaneamente un diritto di proprietà - e quello che determina l’indennità da corrispondere al destinatario della requisizione. Entrambi i procedimenti producono effetti distinti ed autonomi, sostanziali e procedimentali.

Il primo procedimento può produrre nell’ordinamento giuridico gli effetti più diversi: ciò dipende dagli eventi a seguito dei quali è posto in essere. Il procedimento di requisizione, messo in atto in casi di urgente necessità, sintetizza in un’unica procedura gli effetti che il procedimento di espropriazione sostanzia in tre procedure: dichiarazione di pubblico interesse o procedimento avente valore di dichiarazione di pubblico interesse, occupazione di urgenza e procedimento di espropriazione(10). Il secondo procedimento, mediante il quale viene determinata l’indennità, sebbene sia funzionalmente collegato con il procedimento di requisizione, in quanto il diritto all’indennità del privato sorge, appunto, in relazione agli effetti estintivi prodotti nella sua sfera giuridica del procedimento di requisizione, ha per oggetto solo ed unicamente il quantum dell’indennità, cioè a dire la misura dell’indennità da corrispondere al destinatario della requisizione. Dal momento che il soggetto privato ha un diritto all’indennità, il procedimento, nel determinarne la misura, non ha alcun carattere discrezionale ma è volto ad esplicare un accertamento sulla base di parametri predeterminati dalla legge.

3. Le tipologie della requisizione

Si è detto che l’istituto della requisizione si configura come un atto amministrativo di organi militari e civili, in presenza di particolari ed eccezionali circostanze, per imporre ai privati il conferimento alla pubblica amministrazione di beni mobili, immobili o servizi di loro proprietà, contro la corresponsione di un’equa indennità. In questo quadro, la dottrina definisce, in particolare, la requisizione come: “L’ordine impartito, in caso di mobilitazione o in caso di urgente necessità, dalle autorità competenti, col quale viene vietata la vendita, cessione o permuta di determinate cose necessarie ai bisogni delle Forze Armate. La legge determina la formalità da osservarsi e le indennità da corrispondersi”(11). La dottrina enuclea, però, all’interno dell’istituto delle requisizioni (sia civili sia militari), una serie di distinzioni: una prima distinzione tra la quisizione di cose e la requisizione di servizi, che secondo alcuni meglio sarebbe definire come requisizione di attività(12), cui si aggiunge l’ulteriore distinzione tra la requisizione di aziende e la requisizione mista (di aziende e di attività).

Le distinzioni tra requisizione di cose e requisizione di servizi da un lato e tra requisizione di aziende e requisizione mista dall’altro, evidenziano la diversità del rapporto giuridico complesso che viene posto in essere nella varie fattispecie: la prima è finalizzata a curare dei pubblici interessi, privando il proprietario del godimento della cosa; la seconda sostanzia degli obblighi di fare; la terza ha ad oggetto il complesso di beni organizzati; le requisizioni miste (sia di cose sia di attività), infine, sono finalizzate a reperire un complesso organizzato, di beni e di persone, ritenuto necessario al fine di assolvere ad una urgente necessità(13). Per quanto attiene, in particolare, alle requisizioni di cose, vale il principio generale in base al quale la requisizione di immobili comporta l’uso dei beni requisiti esclusivamente fino al momento in cui l’autorità procedente lo ritenga necessario. Per converso, quella avente per oggetto beni mobili importa il trasferimento della proprietà ove si tratti di cose consumabili (materie prime, materiali da costruzione, derrate, generi alimentari, foraggi, ecc.). Nel caso in cui la requisizione riguardi cose mobili non consumabili (macchinari, strumenti, utensili, ecc.), essa è limitata all’uso quando l’autorità procedente ritenga di poterle rilasciare entro sei mesi, mentre si estende alla proprietà quando la suddetta previsione non sia possibile(14). Preceduta di solito dalla precettazione (cioè dalla formale individuazione delle cose, con l’obbligo, a partire da quel momento, per i proprietari di mantenerle a disposizione dell’autorità procedente), la requisizione è disposta dal Ministro della Difesa e può riguardare tutto o parte del territorio nazionale.

4. Le requisizioni militari ed i reati ad esse concernenti  

La disciplina italiana delle requisizioni militari è contenuta prevalentemente nel R.D. 8 luglio 1938, n. 1415, meglio noto come “Legge di guerra”, che dedica all’argomento una serie di articoli. In particolare, all’art. 62, intitolato “Requisizioni”, tale Legge stabilisce che: “Agli enti locali e agli abitanti possono essere imposte requisizioni di cose e di servizi soltanto per i bisogni delle forze di occupazione. Le requisizioni devono essere commisurate alle risorse locali e tali che non importino per le popolazioni l’obbligo di partecipare a operazioni di guerra contro il loro paese. L’indennità di requisizione è corrisposta in contanti; quando ciò non sia possibile, la prestazione è constatata mediante rilascio di buoni, e il pagamento del relativo importo deve essere eseguito il più presto possibile. Non può procedersi a requisizione, senza l’autorizzazione del comandante locale delle forze di occupazione”(15).
 
Il ricorso all’istituto della requisizione militare, al di là delle forme specificamente disciplinate dalla normativa in vigore, configura delle violazioni previste quali fattispecie di reato sia da norme del codice penale militare di pace sia da norme del codice penale militare di guerra. Tali norme contengono una disciplina penalistica più ampia ed articolata di quella che era già contenuta negli abrogati codici penali militari per l’esercito e per la marina(16). Peraltro, trattando dei reati concernenti le requisizioni si dovrebbero richiamare anche le leggi amministrative riguardanti le requisizioni: fra esse, in particolare, è appena il caso di citare il R.D. 18 agosto 1940, n. 1741, contenente una disciplina organica relativa alle requisizioni. Il codice penale militare di pace colloca i reati relativi a questa materia nella categoria dei reati contro il servizio militare e nella sottocategoria delle violazioni dei doveri inerenti a speciali servizi. Due sono le figure che attengono direttamente alle requisizioni e che disciplinano specifiche violazioni: il reato di requisizione arbitraria ed il reato di abuso nelle requisizioni(17). Il codice penale militare di guerra contiene, per parte sua, una regolamentazione più ricca e dettagliata e dedica a questa materia un intero capo: il sesto del titolo IV del libro III (artt. da 220 a 226)(18).

5. La disciplina delle requisizioni militari nel diritto bellico

Il diritto bellico disciplina le requisizioni discendenti da esigenze di origine bellica e colloca tale fattispecie entro il quadro dell’esercizio dei poteri da parte dello Stato belligerante nei confronti dello Stato nemico, dello Stato neutrale e dei rispettivi cittadini. La disciplina delle requisizioni riguarda, in particolare, l’occupatio bellica connessa con la guerra terrestre. La materia, a lungo regolata da norme consuetudinarie, è stata codificata per la prima volta nel corso della I Conferenza per la pace che ebbe luogo all’Aia nel 1899, ed in seguito ridefinita nel corso della II Conferenza per la pace svoltasi sempre all’Aia nel 1907(19). Successivamente, la medesima materia è stata integrata dalla IV Convenzione di Ginevra sulla protezione dei civili in tempo di guerra(20) e dal I Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977(21). La ratio di tale disciplina risiede nella esigenza di consentire al belligerante di proseguire lo sforzo bellico facendo salva la necessità di garantire il soddisfacimento delle necessità fondamentali delle comunità stanziate nei territori occupati. Essa pone dunque dei limiti, più o meno estesi, all’appropriabilità dei beni appartenenti allo Stato nemico(22).

Al riguardo, i poteri più vasti ineriscono ai beni dello Stato nemico: il belligerante, infatti, a seguito dell’occupazione diviene “amministratore ed usufruttuario” degli immobili e delle aziende siti nel territorio oggetto dell’occupazione e soggiace al solo obbligo, correlato al carattere temporaneo di tale occupazione, di mantenere inalterata la substantia rerum(23). Per contro, già il “Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre”, annesso alla IV Convenzione dell’Aia del 1907, sancisce il principio del rispetto della proprietà privata proibendo espressamente il saccheggio(24) e la confisca(25) e contemplando una possibilità di deroga da parte dell’occupante solo in ricorrenza di determinati presupposti, fermo restando, in ogni caso, l’obbligo di indennizzare il privato spossessato e/o di restituirgli il bene oggetto della misura. Il Regolamento poi, all’art. 52, 1° comma, autorizza l’occupante a disporre requisizioni in natura o di servizi per il soddisfacimento dei bisogni dell’esercito occupante, da cui discende a contrario il divieto di ricorrervi per altri fini, ivi compresa la motivazione di una più efficace amministrazione del territorio occupato. Le requisizioni in natura hanno per oggetto beni di qualsiasi natura e dunque, interpretando restrittivamente la disposizione, comportano un sacrificio irreparabile del diritto di proprietà solo qualora siano relative a cose consumabili, mentre in ogni altra ipotesi viene trasferita all’occupante solo la facoltà di utilizzare il bene(26).

Per altro verso, le requisizioni di servizi, dirette agli abitanti del territorio occupato, incidono sulla libertà di scegliere quale tipo di rapporto di lavoro porre in atto e su talune modalità di svolgimento del rapporto medesimo. La IV Convenzione di Ginevra del 1949 contiene alcune norme di dettaglio relative alla requisizione di determinate categorie di beni, nonché un complesso di disposizioni disciplinanti, in un quadro organico, le requisizioni di servizi, interessando, in varia misura, anche i contratti di lavoro conclusi tra amministrazione occupante e civili in regime di libera contrattazione. In particolare, tali norme sono finalizzate alla tutela dei prestatori d’opera a favore dell’amministrazione occupante e limita pertanto, in vario modo, la discrezionalità dell’occupante in tale materia. Anche il I Protocollo aggiuntivo di Berna del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949 contiene alcune norme relative alla disciplina delle requisizioni, fra le quali occorre menzionare, in particolare, l’art. 63, 4° e 5° comma, il quale autorizza l’occupante a requisire immobili e materiali di proprietà di organizzazioni di difesa civile, o da queste utilizzati, esclusivamente nell’ipotesi di assicurare la soddisfazione dei bisogni della popolazione civile - e, dunque, non dell’autorità occupante - e solo per il tempo in cui perdurano tali necessità. La fattispecie della requisizione si incontra anche in ipotesi diverse dall’occupazione bellica.

È il caso dell’art. 19 della IV Convenzione dell’Aia del 1907, il quale stabilisce che lo Stato belligerante in presenza di una necessità imperiosa ha il potere di requisire il materiale ferroviario - da esso ordinato - proveniente dal territorio di uno Stato neutrale ed appartenente a questo stesso Stato o a cittadini privati, purché tale materiale venga a trovarsi sul suo territorio(27). Ancora, nella guerra marittima il belligerante ha il potere di appropriarsi a titolo di bottino di guerra delle navi di proprietà dello Stato nemico senza alcuna formalità, o tutt’al più attraverso un provvedimento amministrativo semplificato, e può inoltre confiscare iure predae, previo giudizio di un proprio tribunale, le navi e le merci trasportate nemiche e, in alcuni casi, anche neutrali(28).


(*) - Funzionario diplomatico, Tenente di complemento in congedo nell’Arma dei Carabinieri.
(1) - STIPO, 1990, pag. 1.
(2) - BAROCELLI, 1895, pag. 303.
(3) - STIPO, op. cit., pag. 1.
(4) - Cfr.: ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, Bologna, 1984, ad vocem. (5) - Cfr.: VERBARI, 1988, pag. 909.
(6) - Cfr.: LANDI, 1968, e DI RENZO, 1970.
(7) - Cfr.: VERBARI, op. cit., pag. 910.
(8) - GIANNINI, 1967, pag. 140. In effetti, pur se possono sostanziarsi ipotesi di requisizione per le quali non viene prefissato un termine finale, il decorso di un termine sufficientemente lungo può essere talvolta preliminare al venir meno dell’interesse pubblico alla requisizione. Altra cosa se la requisizione ha per oggetto cose fungibili, nel qual caso l’eventuale restituzione della cosa al privato proprietario dipende dalla natura del bene e non dagli effetti prodotti dal procedimento amministrativo.
(9) - Come sostiene Verbari, op. cit., pagg. 908 ss., non è tuttavia da considerarsi carattere essenziale della requisizione la temporaneità, che è tipica solo delle requisizioni in uso, per le quali il privato spossessato ha facoltà di chiedere la de-requisizione dopo che sia trascorso un periodo di tempo adeguato a ritenere che sia venuto meno l’interesse pubblico perseguito con la requisizione.
(10) - L’estrema sinteticità del procedimento non può che offrire minori garanzie per la tutela degli interessi privati; ed è per queste ragioni che la giurisprudenza ha ritenuto necessaria almeno una fase istruttoria sommaria. Cfr. ibidem.
(11) - Cfr.: voce Requisizione, in ENCICLOPEDIA TUMMINELLI, Roma, 1953.
(12) - VERBARI, op. cit., pag. 910.
(13) - Ibidem, pag. 912.
(14) - L’istituto è regolato da alcune leggi particolari fra cui: quella riguardante la requisizione dei quadrupedi, dei veicoli e dei natanti per uso delle Forze Armate (1926) e quella sul naviglio mercantile (1939), entrambe applicabili dall’autorità militare sia per necessità di guerra sia, di concerto con quella civile, in occasione di gravi calamità naturali (terremoti, epidemie, alluvioni, ecc.).
(15) - Gli altri articoli dedicati al tema delle requisizioni contenuti nella “Legge di guerra” sono i seguenti:
Art. 22. Sequestro, requisizione o confisca di mezzi di trasporto nemici: “… I mezzi di trasporto, appartenenti a persone di nazionalità nemica, possono essere requisiti, contro equo compenso …”.
Art. 23. Requisizione o utilizzazione di materiali ferroviari neutrali: “I materiali ferroviari provenienti da territorio neutrale, appartenenti allo Stato stesso o a privati, e riconoscibili come tali, possono essere, contro compenso, requisiti o utilizzati nel caso di imperiose esigenze e nella misura da queste richiesta. Essi sono rinviati, appena possibile, nel paese di origine”.
Art. 24. Requisizione di mezzi di trasporto neutrali non preveduti dall’articolo precedente: “Le navi e gli aeromobili neutrali che si trovano nei porti e negli aerodromi nazionali, possono essere, contro compenso, requisiti solo per imperiose esigenze e nella misura da queste richiesta. La stessa disposizione si applica per ogni altro mezzo non ferroviario di trasporto, appartenente a uno Stato neutrale o ad altra persona neutrale, che si trovi nel territorio dello Stato”.
Art. 66. Materiale ferroviario: “Le disposizioni dell’articolo 23, concernenti il materiale ferroviario, si applicano anche nel territorio occupato”.
Art. 294. Requisizione di beni nemici: “I beni appartenenti a persone di nazionalità nemica possono essere requisiti contro compenso, nei modi stabiliti dalle disposizioni vigenti in materia”.
(16) - I quali prevedevano soltanto il reato di Imposizione o prestazione arbitraria (artt. 277 c.p.m. per l’Esercito e 301 c.p.m. per la Marina) ed il reato di Atti di violenza commessi in occasione di alloggi militari (artt. 169 c.p.m. per l’Esercito e 191 c.p.m. per la Marina).
(17) - Art. 133. Requisizione arbitraria: “Il militare, che procede a requisizione senza averne la facoltà, è punito con la reclusione militare fino a tre anni. Ove sia stata usata violenza, si applica la reclusione militare da uno a cinque anni (224 c.p.m.g.)”. Art. 134. Abuso nelle requisizioni: “Il militare incaricato di requisizioni di cose o di opere, che rifiuta di rilasciare ricevuta della prestazione eseguita, ovvero in qualunque modo abusa delle facoltà conferite dalle leggi o dai regolamenti, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a tre anni. Ove l’abuso sia commesso con violenza, si applica la reclusione militare fino a dieci anni. Se trattasi di alloggio militare, il militare, che costringe colui che è tenuto all’alloggio a dargli più di ciò che è dovuto, ovvero a tollerare che egli se ne impossessi o, comunque, ne usufruisca, è punito, per ciò solo, con la reclusione militare fino a tre anni (224 e 226 c.p.m.g.)”.
(18) - Capo VI. Dei reati concernenti le requisizioni, contribuzioni e prestazioni militari.
Art. 220. Distrazione, occultamento o distruzione di cose requisibili: “Chiunque, in previsione di un ordine di requisizione, o dopo che l’ordine legale gli è stato intimato, distrae od occulta una o più cose requisibili, è punito con la reclusione militare fino a tre anni; e se la distrugge o sopprime con la reclusione militare da tre a dieci anni”.
Art. 221. Inadempienza dell’ordine militare di requisizione di cose: “Chiunque, ancorché in paese nemico, omette o rifiuta, senza giustificato motivo, di adempiere gli obblighi legalmente impostigli dall’Autorità militare per la requisizione di cose mobili ovvero di immobili, occorrenti alle Forze Armate dello Stato, è punito con la reclusione militare fino a tre anni”.
Art. 222. Inottemperanza alla richiesta militare di prestazioni personali: “Chiunque, ancorché in paese nemico, omette o rifiuta, senza giustificato motivo, di prestare la propria attività professionale, o, comunque, la propria opera personale, legalmente richiesta dall’Autorità militare per servizi occorrenti alle Forze Armate dello Stato, è punito con la reclusione militare fino a tre anni”.
Art. 223. Omissione o rifiuto di atti di ufficio: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, nel territorio dello Stato o in paese nemico, legalmente richiesto, omette o rifiuta atti del proprio ufficio o servizio, o, comunque, di coadiuvare l’Autorità militare in ciò che ha attinenza con la requisizione, la prestazione o la contribuzione di guerra, è punito con la reclusione militare fino a cinque anni (56, l. 1415/1938; 328, 357, 358 c.p.)”.
Art. 224. Requisizioni, prestazioni o contribuzioni arbitrarie o eccessive: “Il militare che, nel territorio dello Stato o in paese nemico, senza autorizzazione o senza necessità, o violando le norme stabilite dalla legge o dalle convenzioni internazionali, impone requisizioni o prestazioni, o leva contribuzioni di guerra, ovvero eccede nella esecuzione dell’incarico ricevuto, è punito con la reclusione militare fino a cinque anni. Se il fatto è commesso a fine di lucro, ovvero con violenza o minaccia, la pena è della reclusione non inferiore a cinque anni. Se con la violenza o la minaccia concorre il fine di lucro, la pena è della morte con degradazione (pena sostituita con la pena massima prevista dal codice penale dall’art. 1, l. 13 ottobre 1994, n. 589) (225; 43, 133, 134 c.p.m.p.)”.
Art. 225. Contribuzioni posteriori alla conclusione della pace: “Le pene stabilite dall’articolo precedente si applicano anche al comandante, che, dopo avere ricevuto comunicazione ufficiale della conclusione della pace, leva una contribuzione di guerra nel territorio dello Stato con il quale la pace è conchiusa, ovvero impone il pagamento di contribuzioni non ancora soddisfatte”.
Art. 226. Abuso nelle requisizioni di alloggi per militari: “Il militare che, in occasione di alloggio militare, usa violenza o minaccia per costringere colui che è tenuto all’alloggio a dargli più di ciò che è dovuto, ovvero a tollerare che egli se ne impossessi o, comunque, ne usufruisca, è punito, per ciò solo, con la reclusione militare da uno a cinque anni (134 c.p.m.p.)”.
(19) - Tale Conferenza ha condotto all’adozione di 14 Convenzioni, tutte inserite nell’Atto finale approvato il 18 novembre 1907.
(20) - Conclusa a Ginevra il 12 agosto 1949.
(21) - Primo dei due Protocolli aggiuntivi di Berna, conclusi il 12 dicembre 1977. (22) - Lo Stato occupante può requisire beni e servizi appartenenti a cittadini dello Stato nemico occupato solo se le requisizioni siano proporzionate alle effettive risorse del paese, siano autorizzate dal Comandante in capo del territorio occupato e sia corrisposta un’indennità. Per impellenti necessità belliche la requisizione può riguardare anche beni appartenenti a cittadini di uno Stato neutrale che si trovino nello Stato occupato o che in esso siano giunti (aerei, materiale ferroviario, ecc.).
(23) - Cfr.: art. 55 del Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre annesso alla IV Convenzione dell’Aia del 1907. Addirittura non vi è alcun limite per quanto riguarda la disponibilità di beni mobili che l’occupante è autorizzato a requisire, tra cui il “… numerario, i titoli ed i valori esigibili … i depositi di armi, mezzi di trasporto, magazzini ed approvvigionamenti” ed ogni altro bene mobile che sia “… suscettibile di essere impiegato in operazioni di guerra” (art. 52, 1° comma, del Regolamento concernente le leggi e gli usi di guerra terrestre annesso alla IV Convenzione dell’Aia del 1907).
(24) - Vedi art. 47.
(25) - Vedi art 46, 2° comma.
(26) - Cfr.: SICO, 1990. Una simile soluzione sembra fondarsi sul carattere transitorio dell’occupazione, da cui discende il dovere dell’occupante di mantenere la legislazione in vigore all’atto dell’occupazione (vedi artt. 43, 48 e 51 del Regolamento) e modificare tale legislazione solo ove dovesse risultare assolutamente necessario l’assetto sociale ed economico della comunità che subisce tale stato di cose. In ogni caso, non deve prescindersi dalla limitatezza degli scopi per il cui conseguimento le requisizioni sono ammesse.
(27) - Anche in questa ipotesi, come per tutte le requisizioni in uso, il soggetto spossessato ha diritto a ricevere un’indennità proporzionata al sacrificio sopportato una volta che venga meno la necessità imperiosa che fonda la misura. (28) - La fattispecie più caratteristica e ricorrente, soprattutto nel corso delle due guerre mondiali, consiste nel cosiddetto “diritto d’angaria”.