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  • N.4 - Ottobre-Dicembre
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Giustizia Amministrativa

Disciplina militare - Accertamento deifatti in sede penale a seguito di giudizio abbreviato - Autonoma loro valutazione disciplinare - Sussiste.

Consiglio di Stato, Se. IV, sent. 5 ottobre 2005, n. 5355 (c.c. 31 maggio 2005): Pres. Venturini, Est. Rulli, G. R. c. Ministero Difesa.

L’Amministrazione non può procedere a nuovi e separati accertamenti dei fatti già compiutamente accertati in sede penale in seguito ad un processo, ma può procedere soltanto ad una autonoma e discrezionale valutazione della loro rilevanza sotto il profilo disciplinare. In tale ambito, il giudizio abbreviato assume connotati ben diversi da un procedimento concluso con un c.d. patteggiamento, il quale prescinde da specifici accertamenti. In effetti, il giudizio abbreviato non può essere definito in termini di incompletezza, in quanto le parti concordemente affidano la decisione al giudice sulla base di tutti gli atti acquisiti nel corso delle indagini preliminari, compresa la possibilità per il giudice di svolgere alcuni ulteriori accertamenti. (1)

(1) Si legge quanto appresso in sentenza:

“Diritto

1. Viene sostanzialmente portato all’esame del Collegio il procedimento disciplinare ed il conseguente provvedimento di perdita del grado per rimozione, seguito dalla cessazione dal servizio permanente, posti in essere dall’Amministrazione della Difesa nei confronti del sig. G.R. a seguito della sentenza di condanna del 2 dicembre 1977, pronunciata dalla Corte di appello di Salerno con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di dieci mesi di reclusione per i reati aggravati e continuati di “falsità in scrittura privata”, “violenza privata” e “truffa”, sentenza divenuta irrevocabile a seguito del rigetto da parte della Corte di Cassazione dell’ulteriore ricorso da lui proposto. La Commissione di disciplina, dopo una opportuna istruttoria, finalizzata all’accertamento della responsabilità dell’inquisito in ordine agli addebiti a lui contestati, vista la gravità degli stessi, che avevano evidenziato gravissime carenze di qualità morali e di carattere incompatibili con la sua ulteriore permanenza nell’Arma dei Carabinieri, ha provveduto nel senso del provvedimento espulsivo. Il giudice di primo grado ha ritenuto il procedimento disciplinare ed il provvedimento sanzionatorio appena ricordati immuni dai vizi denunciati in quella sede.
2. Il Collegio ritiene che l’impianto motivazionale e le conclusioni della sentenza impugnata siano pienamente condivisibili non essendo sufficienti, per giungere ad una soluzione di segno contrario i motivi prospettati con l’atto di appello. In via generale, va premesso che, in sede di giudizio di legittimità, sia la valutazione dei fatti ai fini della determinazione della sanzione, sia la proporzione tra la stessa sanzione irrogata e la gravità dei fatti contestati non è suscettibile di sindacato da parte del giudice della legittimità, se non per travisamento dei fatti o manifesta illogicità (cfr. tra le altre, Cons. Stato, VI Sez., 21 marzo 2000 n. 1554 e Ad. plen. 26 giugno 2000 n. 15, in Cons. Stato 2000). Nel caso di specie, escluso in radice un travisamento dei fatti, stante l’accertamento delle circostanze rilevanti nelle diverse sedi competenti compreso il giudicato penale, vanno del pari disattese le, peraltro limitate, censure di logicità, stante l’approfondita valutazione svolta dall’Amministrazione, la gravità dei fatti, la delicatezza delle funzioni degli appartenenti all’Arma di Carabinieri ed in conclusione l’assorbente rilievo che: “l’interessato ha palesato carenze di ordine morale e militare, con conseguente lesione del prestigio dell’Istituzione, violando i doveri attinenti al grado ed suo proprio status; in generale, quindi, il comportamento dell’Amministrazione, nei confronti dell’originario ricorrente, appare correttamente adeguato al rispetto del principio di non colpevolezza sino alla pronuncia definitiva.
3. Alla luce di tali premesse va ritenuto infondato il dedotto difetto di istruttoria, proposto in primo grado e ribadito in questa sede, sul rilevo che l’Amministrazione avrebbe fondato il proprio giudizio su di un accertamento incompleto, quale sarebbe quello derivante da un giudizio abbreviato. Invero, il procedimento penale si è concluso regolarmente sulla base delle norme dettate dal relativo codice di rito, come accertato in sede di appello e di Cassazione; in particolare, il giudizio abbreviato non può essere definito in termini di incompletezza, in quanto le parti concordemente affidano la decisione al giudice sulla base di tutti gli atti acquisiti nel corso delle indagini preliminari, compresa la possibilità per il giudice di svolgere alcuni ulteriori accertamenti. Conseguentemente, la scelta di consentire lo svolgersi del giudizio nei termini previsti ai sensi degli artt. 438 ss. cod. proc. pen., se da un lato non sconta alcuna insufficienza di elementi di giudizio, eventualmente integrabili, dall’altro lato, nel caso di specie, ha superato il vaglio di tutti i gradi di giudizio possibili previsti dall’ordinamento, sino a giungere alla pronuncia di definitività. Peraltro, nell’ipotesi in esame, l’Amministrazione ha rispettato il dovere di procedere in sede disciplinare ad un’autonoma valutazione dei fatti i quali, nella loro materialità, non possono che essere ormai ritenuti come accertati in via definitiva. In particolare, dagli atti della commissione di disciplina competente emerge lo svolgimento di un’istruttoria, attraverso ad esempio l’acquisizione di memorie difensive, della compiuta relazione istruttoria svolta da organi della medesima Amministrazione, nonché l’audizione dell’interessato e del suo difensore. Ed ancora in via generale va ricordato che, secondo la prevalente opinione giurisprudenziale condivisa dal Collegio, l’Amministrazione non può procedere a nuovi e separati accertamenti dei fatti già compiutamente accertati in sede penale in seguito ad un processo, ed in tale ambito il giudizio abbreviato assume connotati ben diversi da un procedimento concluso con un c.d. patteggiamento, il quale prescinde da specifici accertamenti, ma può procedere soltanto ad una autonoma e discrezionale valutazione delle loro rilevanze sotto il profilo disciplinare (cfr. ad es. Cons. Stato, IV Sez., 2 giugno 2000 n. 3156).
4. Analogamente privo di pregio deve ritenersi il terzo profilo d’illegittimità denunciato relativo alla mancata verbalizzazione, in sede di Commissione di disciplina, della discussione e della valutazione delle risultanze istruttorie e delle giustificazioni dell’incolpato. Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, è sufficiente la lettura dell’art. 42 della Legge 18 ottobre 1961 n. 1681 per escludere un obbligo di verbalizzazione nel senso prospettato da parte appellante. Ed infatti la disposizione citata, al secondo comma, dispone che “la Commissione di disciplina si pronuncia, a maggioranza, sul quesito se il militare sia o meno meritevole di conservare il grado”, senza prevedere alcun ulteriore onere a suo carico. Nel caso in esame, sulla base della documentazione versata in atti, il procedimento seguito davanti all’organo di disciplina appare pienamente aderente al dettato normativo appena ricordato. 5. Per le considerazioni fin qui svolte, l’appello proposto dal sig. G.R. non può trovare accoglimento e la decisione impugnata merita di essere confermata.”



Personale militare - Trasferimenti d’autorità - Natura giuridica - Ordine gerarchico - Non necessita di motivazione - Legittimità.

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sent. 27 ottobre 2005, n. 6048 (c.c. 14 giugno 2005), Pres. Riccio, Est. Salvatore, Ministero Difesa c. E. E. M.

I provvedimenti di trasferimento d’autorità disposti dall’Amministrazione militare rientrono nel genus degli ordini. Gli stessi attengono ad una semplice modalità di svolgimento del servizio sul territorio connessa con ineludibili esigenze di organizzazione, coesione interna e massima operatività delle Forze Armate. Dalla natura giuridica di ordine del provvedimento di trasferimento, discendono importanti conseguenze sul piano della individuazione della disciplina sostanziale applicabile. In primo luogo deve rilevarsi che tali ordini sono sottratti alla disciplina generale dettata dalla legge n. 241 del 1990. L’ordine adottato dai responsabili militari è un precetto imperativo tipico della disciplina militare e, diversamente da altri atti appartenenti concettualmente alla medesima categoria, non richiede alcuna motivazione. (1)

(1) Si legge quanto appresso in sentenza:

“Diritto

L’appello è fondato. Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso sul rilievo che i provvedimenti di trasferimento del personale militare non si sottraggono al generale obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione militare è tenuta ad esporre compiutamente le ragioni della scelta operata, non potendo esserle riconosciuta una discrezionalità assoluta e insindacabile, tale da escludere il dovere di una sia pur succinta motivazione. Nel caso di specie, il solo impiego della locuzione “d’autorità”, non consentendo di evincere l’iter logico seguito dall’Amministrazione per l’adozione dell’atto impugnato, sarebbe inidoneo a soddisfare l’esigenza sottesa all’obbligo di motivazione, mentre il riferimento - contenuto nella comunicazione di avvio del procedimento - a sopraggiunte esigenze funzionali di ripianamento delle carenze organiche degli Ufficiali del Genio in ambito Brigata Genio lascerebbe, comunque, indeterminate le ragioni per le quali la scelta relativa alla sede di Udine sia caduta sul ricorrente. La tesi del TAR non può essere condivisa. Come ripetutamente affermato dalla Sezione, a differenza che per gli impiegati civili, non è configurabile per i militari una situazione giuridica soggettiva tutelabile in ordine alla sede di servizio, poiché la permanenza in una determinata sede costituisce semplice modalità dello svolgimento del servizio, cui il militare è adibito in forza di un provvedimento rientrante nella categoria degli ordini, i quali non sono soggetti ad un obbligo di specifica motivazione. Che i provvedimenti di trasferimento d’autorità disposti dall’Amministrazione militare rientrino nel genus degli ordini si ricava dall’esegesi storica, letterale e sistematica delle norme sancite dalla legge 11 luglio 1978, n. 382 - norme di principio sulla disciplina militare - ed in particolare da quelle enucleabili dagli artt. 4, 4° comma, e 12, 1° comma; nonché dal d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545 - approvazione del regolamento di disciplina militare ai sensi dell’art. 5, primo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 - ed in particolare quelle di cui agli artt. 1, 2° comma, 2, 1° comma, 23 e 25. Dall’esame di tali disposizioni emerge, con chiarezza, che ineludibili esigenze di organizzazione, coesione interna e massima operatività delle Forze Armate, impongono di assumere nella categoria dell’ordine del superiore gerarchico questi provvedimenti che attengono, in buona sostanza, ad una semplice modalità di svolgimento del servizio sul territorio (cfr. in termini sez. IV, n. 1677 del 2001 cit.; sez. IV, n. 2641 del 2000 cit.; n. 85 del 1996 cit.; Corte cost. 17 dicembre 1999, n. 449, con riferimento alla speciale considerazione delle esigenze operative delle Forze Armate).Tant’è che anche i provvedimenti di trasferimento per incompatibilità ambientale sono stati esattamente ricondotti nell’ambito del trasferimento per esigenze di servizio, non denotando una fattispecie autonoma di trasferimento, (cfr. sez. IV, 22 ottobre 2001, n. 5538; sez. IV, 26 novembre 2001, n. 5950; sez. IV, n. 1677 del 2001 cit.; sez. IV, n. 2541 del 2000 cit.; 28 marzo 2000, n. 1544, ord.; sez. IV, n. 85 del 1996 cit.; sez. IV, 7 ottobre 1992, n. 849). Sotto tale angolazione si è affermato, coerentemente, che le esigenze di servizio indicate in un provvedimento di trasferimento di sede di un militare non possono essere ricondotte esclusivamente a necessità organiche o ad impegni tecnico - operativi, bensì a tutti quei motivi di opportunità che possono oggettivamente compromettere, in modo grave, l’immagine delle Forze Armate e l’ordinato svolgimento dei compiti istituzionali affidati ai militari (cfr. ex plurimis sez. IV, n. 2641 del 2000 cit.; n. 33 del 1997 cit.; 16 novembre 1993, n. 1017). Neppure possono profilarsi obiezioni inerenti alla mancanza di tutela dei diritti fondamentali della persona. Come già sottolineato, si tratta di provvedimenti che incidono, molto modestamente, sulle modalità di prestazione del servizio militare. Il nucleo essenziale di tali diritti, in un’ottica di necessario bilanciamento con valori costituzionali parimenti importanti (cfr. in termini sez. IV, n. 2641 del 2000 cit.; Corte Cost. 17 dicembre 1999, n. 449) è stato salvaguardato dall’ordinamento militare, che ha previsto l’illiceità del trasferimento discriminatorio (art. 17, l. 382 del 1978 cit.) fondato su ragioni ideologiche e politiche, o comunque vessatorie (cfr. sez. IV, 30 novembre 1999, n. 2268, ord., per una fattispecie di trasferimento ad una sede di servizio particolarmente lontana da quella originaria). In tali casi il sindacato di legittimità del giudice amministrativo si estenderà all’individuazione delle ragioni della scelta espressa dall’amministrazione nell’atto impugnato, onde valutarne la proporzionalità in comparazione con la cura concreta dell’interesse pubblico perseguito ed il sacrificio imposto alla sfera giuridica del privato. In conclusione, il dispaccio che rechi l’ordine di trasferimento “per ragioni di servizio” non costituisce un terzo genere rispetto al trasferimento a domanda ed a quello d’autorità, rientrando nell’ampio spettro del secondo, anche allo scopo di rendere possibile l’erogazione della speciale indennità di trasferimento divisata dall’art. 1, legge n. 100 del 1987. Dall’assodata natura giuridica di ordine del provvedimento di trasferimento, discendono importanti conseguenze sul piano della individuazione della disciplina sostanziale applicabile. In primo luogo deve rilevarsi che tali ordini sono sottratti alla disciplina generale dettata dalla legge n. 241 del 1990 (cfr. in termini, sez. IV, n. 2641 del 2000 cit.; 9 novembre 1999, n. 2106, ord.; 15 luglio 1999, n. 1235; 26 gennaio 1999, n. 128, ord., 21 gennaio 1997, n. 33; 29 gennaio 1996, n. 85). L’ordine è un precetto imperativo tipico della disciplina militare e del relativo ordinamento gerarchico; diversamente da altri atti appartenenti concettualmente alla medesima categoria, l’ordine adottato dai responsabili militari (e tale deve ritenersi anche il Ministro della difesa per la responsabilità delle Forze Armate che su di lui incombe, secondo sez. IV, 15 luglio 1999, n. 1235 cit.), non richiede alcuna motivazione, perché intrinseco a materia in cui l’interesse pubblico specifico del rispetto della disciplina e dello svolgimento del servizio prevalgono in modo immediato e diretto su qualsiasi altro. Le differenze concettuali e di disciplina positiva fra impiego civile e servizio militare sono tanto profonde ed estese, da rendere problematico ogni tentativo di assimilazione analogica o di individuazione di principi generali comuni. L’ordinamento militare, come ha ricordato recentemente la Corte costituzionale (cfr. n. 449 del 1999 cit.), riceve una speciale menzione dalla Carta fondamentale (art. 52, terzo comma), nel senso che, ferma restando la sua collocazione all’interno dell’ordinamento giuridico generale, deve esserne apprezzata la sua assoluta peculiarità, composto com’è da un corpus omogeneo e completo di regole, non di rado più dettagliate e garantistiche di quelle relative all’impiego civile (cfr. in termini sez. IV, n. 85 del 1996). Ne consegue che in materia di incarichi militari non possono fondarsi aspettative di ius in officio non essendo configurabile una posizione soggettiva giuridicamente tutelata del militare alla sede di servizio, a fronte della quale sussista un onere di motivazione delle esigenze giustificative del provvedimento (cfr. sez. IV, n. 2641 del 2000 cit.). Facendo applicazione di tali principi, l’appello è fondato e va accolto. Per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va respinto.”

Sentenze tratte dal sito www.giustizia-amministrativa.it
(massime a cura della Redazione)