Materiale per una storia dell'Arma

Ten. Col. CC Alfredo Pizzitola

NOTIZIARIO DELL’ARMA DEI CARABINIERI
Anno III - n. 5 - settembre-ottobre 1955

Il carattere del Comandante



È questo un argomento vasto e difficile,perchè multiformi ed infiniti sono gli aspetti dell’anima. Il campo della personalità umana, nonostante la somma delle nostre conoscenze, appartiene ancora alla scienza dell’avvenire. Le scoperte della biologia, della fisiologia e soprattutto dell’endocrinologia, hanno molto contribuito allo studio della personalità, ma siamo ancora lontani da risultati soddisfacenti. Tratteggiare la figura tipica del Comandante non è facile, per la stessa complessità dell’essere umano. Sin dagli antichi tempi, Ippocrate distingueva i caratteri in sanguigno, flemmatico, collerico e melanconico, prevenendo così le moderne teorie costituzionalistiche. Tale ripartizione è ancora valida e - ad ogni tipo - corrisponde una particolare personalità. Non potendo prendere in esame svariati tipi di personalità, cerchiamo di ridurre al minimo denominatore comune quelle qualità intrinseche che particolarmente si addicono al carattere del Comandante. Normalmente si sente ripetere che la personalità è il risultato di due forze convergenti: l’eredità e l’ambiente. Ma ciò non sempre è vero. Molte volte, nonostante il felice concorso di queste due forze, il risultato è diverso dall’aspettativa. Bisogna allora concludere che numerosi fattori endogeni ed esogeni, non tutti noti, concorrono alla formazione di questa misteriosa forza, che va sotto il nome di personalità.

Ad aumentare la confusione non pochi sono gli psicologi che usano promiscuamente le espressioni personalità, individualità, temperamento e carattere. Quando si parla di personalità, tutti sappiamo di che cosa si tratta, ma fino ad oggi nessuno ha saputo dare una precisa definizione. In un volume pubblicato negli Stati Uniti sulla personalità, sono enumerate ben cinquanta definizioni ed usi diversi. Della personalità si può dire quello che S. Agostino dice del tempo: “Finché nessuno mi domanda che cosa sia il tempo, io lo so benissimo, ma non lo so più quando me lo domandano”. Nonostante le suaccennate difficoltà, lo studio della personalità affascina, perchè non c’è nulla di più importante dello studio della natura umana. C’è chi afferma che Capo si nasce e non si diventa. Aristotele dice che “dalla nascita alcuni recano il marchio della sottomissione, altri del comando”. Pur non potendo assumere incondizionatamente tale assunto, in quanto il carattere si forma e si trasforma, col tempo e con la volontà, non v’è dubbio che molti portano sin dalla nascita qualità decisamente positive. Alcuni addirittura hanno incisi, nei tratti del volto, segni dai quali traspare l’energia volitiva di chi è nato per comandare. Ma a prescindere da tali segni esteriori, che non vanno tenuti in considerazione perchè possono talvolta ingannare, sta di fatto che le qualità di comando si manifestano sempre precocemente, prima ancora del completo sviluppo della personalità. Talvolta anche nei ragazzi si nota una tendenza al comando, che per non essere contenuta dalla moderazione, degenera spesso in prepotenza.

Un biografo di Napoleone racconta che una volta l’imperatore volle saggiare il temperamento del “piccolo Re di Roma”. Fattolo accompagnare in un cortile, fu lasciato solo fra altri suoi coetanei che giocavano. Il padre, che lo osservava da una veranda, sperava che il piccolo, messe in evidenza le ataviche qualità, avesse assunto il comando della piccola ciurma. Invece il ragazzo, spaurito ed avvilito, si mise a piangere, mortificato di sentirsi ignorato e trascurato. Quel giorno, commenta il biografo, fu forse uno dei più tristi della vita dell’imperatore. La personalità del Comandante scaturisce dal cumulo delle sue qualità. A noi non interessa la ricerca scientifica sulla genesi di tali qualità, interessa il dato positivo, ossia la condotta, che è la risultante di tutti quei fattori che la scienza si affanna a cercare. Primo requisito del Comandante, è quello del fascino morale che crea l’ascendente, fascino inteso, ben s’intende, nel senso di conquistatore e condottiero di anime. Carattere ed intelligenza, coraggio e determinatezza, energia e fiducia in se stesso, costituiscono il substrato di quell’ascendente personale che seduce ed attrae come forza magnetica. Fra tutte le qualità di comando possiamo dire che quella del fascino, unita alle altre qualità che diremo, gioca un ruolo davvero importante ai fini della buona riuscita delle operazioni e quindi del successo. Un Comandante arrogante, perentorio, ostinato, oppure scialbo, indeciso, fiacco, non saprà mai dove sta di casa l’ascendente; il primo sarà odiato ed il secondo sarà ignorato o trascurato. Entrambi saranno un sicuro fallimento. L’età, la cultura, lo spirito di sacrificio, la Forza del carattere e la fermezza dei propositi devono creare al superiore un fascino morale, col quale conquidere l’animo dei dipendenti ed indurli a devota ubbidienza.

Uno degli obiettivi più importanti di chi ha funzioni di comando, dovrebbe essere quello di assicurarsi l’affetto e la devozione dei subordinati, attraverso la comprensione delle anime e la cura costante del loro benessere. Solo così il Comandante diviene condottiero di uomini e di anime. Naturalmente tutto ciò esige costante sforzo, potere di discernimento, perspicacia, buon senso e soprattutto autocontrollo, virtù questa che si conquista con l’educazione e l’abitudine. Tali qualità concorrono all’affermazione morale, che quasi sempre precede il successo. Nel campo della perfezione, come in qualsiasi attività, bisogna sempre progredire, perchè la vita non può arrestarsi. Si possono, è vero, avere delle crisi, ma sono pause nel movimento, mai inerzia. Laboriosità quindi preceduta da meticolosa preparazione. Altro requisito essenziale che concorre alla formazione della personalità è quello della “capacità”. Un Comandante incapace, privo cioè di forza intellettuale, di talento e di abilità, costituisce un assurdo puramente immaginario. Non è possibile indirizzare e convogliare le volontà dei singoli verso una comune meta, ottenere cioè unità di fini e di intenti, coesione di coscienze e di volontà, quando l’autorità del Comandante non è sorretta dalla capacità, virtù questa alla quale si perviene attraverso un continuo sforzo.

La facoltà di pensare con chiarezza e di risolvere i problemi in modo umanamente logico, dev’essere la prima capacità del Comandante. Solo a mezzo della costanza e dello sforzo è possibile ottenere il massimo rendimento, sia nel campo della materia che in quello dello spirito. Nessuna importante finalità è possibile raggiungere nella vita militare se difetta o vien meno il carattere. Volontà e carattere sono indissolubili e progrediscono di pari passo, quando addirittura non si reciprocano: il carattere si traduce in volontà e la volontà rimeditata ridiventa più forte carattere. Il carattere si suol dire, è figlio della volontà, perchè è soprattutto continuità di propositi e di attitudini. Gli uomini di carattere affascinano sempre le persone che avvicinano, perchè sanno trasfondere sicurezza e tranquillità, elementi questi di sicura attrazione. Avere carattere significa possedere fede ed energia, qualità queste necessarie per superare difficoltà che possono talvolta sembrare disperate. I grandi condottieri dello spirito furono sempre uomini di carattere, che non vacillarono mai dinnanzi ai cimenti della ragione. Si pensi al carattere di Cesare, di Napoleone, di Colombo, per tacere di mille altri. Si suol dire che la più spiccata qualità di Washington fu la sua forza morale di fronte alle continue disfatte. Ciò che importa nella funzione di comando è vincere, riuscire, arrivare, anche attraverso momentanei rovesci.

I veri uomini di carattere hanno la virtù di trasformare in luce e fiamma, ciò che costituisce oggetto dei loro propositi; per essi la vita è sempre una prova di carattere. Il Comandante, quale elemento più idoneo, deve possedere in modo elevato la virtù del carattere, che lo eleva al di sopra delle masse. Egli deve sapere infondere spirito e morale nei propri uomini, deve guadagnarsi la fedele collaborazione degli altri ed impadronirsi della difficile arte di governare gli uomini. L’ideale del Comandante sarebbe quello di possedere un carattere solido accompagnato da una personalità attraente. Si pensi un po’ ai riflessi mediati ed immediati del carattere. È legge ormai nota che le truppe sono né più né meno che un riflesso della personalità del loro Comandante. Il carattere non deve mai essere disgiunto dalla modestia. Mentre sono da deprecare l’orgoglio e l’arroganza che allontanano il prossimo, bisogna esaltare la vera modestia, che bene si accompagna con il carattere. Essa si manifesta in mille modi, ma unisce sempre la volontà dei gregari a quella dei Capi, in rapporto di affettuosa subordinazione. E non potrebbe essere diversamente, perchè la modestia porta a comprendere la umana pochezza ed a moderare la brama di superiorità. Altamente funesta è altresì, per la funzione del comando, la cupidigia di lode, la debolezza di fronte all’adulazione ed il concetto esagerato della propria importanza. Gli spiriti si conquistano con la generosità dell’animo, coll’erigersi al di sopra delle parzialità e col dominare se stessi. Occorre quindi che il Comandante non sia egoista, ma si preoccupi, in modo particolare dei diritti e del benessere dei propri sottoposti.
 
La modestia induce ad essere buoni, generosi, altruisti, crea la fiducia negli altri e contribuisce alla formazione di Capi generosi e di soldati fedeli. Le grandi tempeste, si suol dire, sono fatte di piccole cose; orbene, se nella personalità del Comandante, per quanto spiccata, difetta il senso di modestia, viene a mancare, nel mosaico delle sue qualità, quella pietruzza che può mandare in rovina tutta l’opera. Norma soggettiva del Comandante dev’essere sempre la coscienza che, illuminata dalla fede, gli servirà di guida nel cammino della speranza. Prima di essere un conquistatore di uomini, egli, se vuole veramente riuscire, dev’essere un vincitore di se stesso. Prima quindi la volontà e finalmente la vittoria. Napoleone diceva: “Sono riuscito perchè ho voluto riuscire”. È questa la vera saggezza che, unita al concreto fervore della vita, induce il Comandante ad agire con chiarezza ed onestà. L’adempimento del dovere, l’operosità e lo zelo, per essere veramente efficaci e dare buoni frutti, debbono essere sorretti dalla fede, che serve da ponte tra l’ideale e la realtà. La fede che, secondo il motto proverbiale, muove le montagne, vuol dire confidenza, fiducia in se stesso e nei valori della vita. Chi ha molta fede è sempre anche molto fedele. Essa è la chiave di volta degli ideali e la più efficace azione di comando. L’adempimento del dovere richiede nel Comandante prontezza di decisione, serenità nella responsabilità, iniziativa e coraggio. Egli non deve avere conflitti di opportunità o di convenienza, non dubbi amletici o perplessità paralizzanti, ma una volta maturato serenamente il proprio pensiero, deve senz’altro passare dalla potenza all’atto.

Il Comandante deve perseguire con inflessibile costanza il fine propostosi e andare diritto alla meta, senza paura di ostacoli. Una volta presa una decisione l’uomo d’azione non pensa che al successo e, se esistono ostacoli, vi si tuffa dentro con voluttà psichica, perchè il superarli è sempre una gioiosa vittoria dello spirito. L’azione è l’espressione più alta dei Capi che sanno e che vogliono, essa ha una lirica che tocca le vette, una poesia che si libra verso le più elevate cime dello spirito. Nulla resiste ad una volontà che vuole e ad una intelligenza che sa. Il protagonista dell’azione respira veramente l’aria delle altezze, perché sa che agire significa quasi sempre vincere. Appare ovvio che tutto ciò richiede nel Comandante spiccate qualità dinamiche. La sua stessa funzione esige che egli, pur nella calma che rafforza il temperamento, dev’essere di una assoluta mobilità. Ciò è consentaneo alle esigenze della natura, sempre in continuo movimento, ed è soprattutto conforme all’esigenze delle sue finalità, intese a realizzare, nella contingenza del tempo e dello spazio, i suoi doveri di Capo. La staticità e l’immobilismo se, bene si addicono al burocrate, sono un non senso per l’uomo d’azione, costretto a svolgere ed attuare il suo programma nel mondo della materia e dello spirito, entrambi in continuo movimento, perchè in continuo divenire. Ma tutte queste qualità avrebbero poco valore se il Comandante agisse a sbalzi, senza quella continuità di intenti e di propositi, indispensabili alla logica successione degli eventi. La costanza è la più esaltata delle virtù e gli uomini che hanno consegnato il nome alla storia, hanno dimostrato che in nessun campo si perviene al successo, se non si è sorretti dalla costanza. È appena superfluo aggiungere che bisogna però essere perseveranti nella verità e non nell’errore e quindi bisogna essere sicuri della propria professione e dei compiti d’assolvere. Guai a chi attuasse la costanza nell’errore.

Fra le qualità della mente, particolare attenzione merita l’equilibrio, che poi si riduce ad una questione di buon senso. Vi sono uomini che pur emergendo per molte positive qualità, difettano di equilibrio, per cui non danno completo affidamento. Se il Comandante è avventato e difetta di equilibrio, anche se raggiunga, in determinati settori, punte elevate, rimane incompleto, perchè non sempre capace di decisioni chiare e nette. Questo grave inconveniente, che può essere anche nefasto, lo si può eliminare con una scrupolosa auto-analisi, da effettuarsi prima di iniziare qualsiasi operazione degna di rilievo. Il Capo che vuole riuscire ha il dovere di individuare o correggere costantemente i propri difetti o conformarsi ai suggerimenti della coscienza, che gli indicherà la via migliore per la realizzazione delle sue giuste aspirazioni. Introspezione quindi ed auto-controllo, per eliminare scompensi e disfunzioni, soprattutto quando deve essere presa qualche iniziativa. Iniziativa, magica virtù dei Capi, la prerogativa dei volitivi, la virtù cosciente che tende allo sforzo, la passione ragionata che dimostra quanto l’uomo sia vicino a Dio. Un esempio meraviglioso d’iniziative, che condusse ad uno strepitoso successo, ci è dato dalla guerra franco-prussiana del 1870. Intraprendere azioni talvolta rischiose, senza ordini superiori, impegnarsi a fondo con energia e capacità in un fatto imprevisto, che la fluidità del tempo e le circostanze del luogo consigliano di cogliere lì per lì, senz’altro suggerimento che la voce della coscienza, è qualcosa che dà un incredibile lirismo all’azione ed un ineffabile canto alla speranza. Anche qui torna la fiducia, suprema potenza motrice della decisione, che vince. Fra tanti requisiti che deve avere il Comandante l’esempio è quello che riveste un’importanza veramente considerevole. Intorno all’esempio dei Capi v’è, si può dire, una letteratura che non finisce mai, perchè essendo l’uomo una “creatura d’imitazione”, l’esempio, in tutti i tempi e sotto tutti i cieli, è stato la forza che maggiormente ha trascinato gli uomini. L’esempio conferisce prestigio ed unisce miracolosamente la volontà dei gregari a quella dei Capi. Si educa essenzialmente con la parola e con l’esempio, ma l’esempio è più potente del precetto ed è la più efficace parola del Comandante.

All’esempio gli uomini si accostano con devozione raccolta; esso - si dice - “è davvero venerabile e divino, perchè talvolta trasforma umili esseri in meteore luminose di eroismo”. L’esempio, considerato come causa efficiente ed esemplare, è l’unica forza veramente nota, capace di incredibili realizzazioni. Il suo campo d’azione è quanto mai vasto perchè abbraccia l’atteggiamento, il comportamento e la condotta, ossia tutto l’essere psichico. Il Comandante deve sempre tendere a sviluppare le proprie migliori qualità ed a ripudiare le cattive, badando sempre che egli è, in ciascun momento della sua vita, notato ed osservato, oltre che nel suo atteggiamento esteriore, nelle sue opinioni e convinzioni. I fatti e le azioni della sua persona vengono sempre palesemente o in silenzio sottoposti ad un rigoroso esame, che non consente indulgenze. È necessario quindi che il Comandante si sottoponga sempre ad un rigoroso auto-controllo e si presenti sempre ai suoi sottoposti in atteggiamento di calma e di moderazione. Una massima militare dice: “La capacità di restare calmi nei momenti di crisi determina spesso la vittoria”. La tranquillità mantiene l’equilibrio psichico e concorre alla saldezza della personalità. Essa è condizione indispensabile per tutti, ma in modo particolare per chi ha funzioni di responsabilità. Negli stati di preoccupazione e di ansia si è quasi sempre esagitati e la tensione interna finisce con l’influire sull’autocontrollo e sull’auto-comando. Non solo, ma lo stato di ansietà, quasi per contagio psichico, si riflette nell’ambiente esterno, particolarmente sui propri dipendenti. È quindi assolutamente necessario evitare queste turbe psichiche, che sono vere e proprie malattie dell’anima. Solo l’uomo che è padrone di se stesso, è adatto a comandare gli altri.

La più grande di tutte le vittorie - dice Schopenhauer - non è quella del conquistatore del mondo, bensì quella del vincitore di se stesso. Il Comandante è caratterizzato dal suo comportamento, che deve costantemente curare, se vuole avere successo nel governo degli uomini. È necessario soprattutto che egli reprima i sentimenti violenti, l’istinto della collera ed abbia invece la massima cura per il decoro, la dignità e la moralità. Scopo di ogni Comandante è quello di ottenere, dai suoi reparti disciplina, obbedienza volenterosa ed alacre, fiducia razionale e scrupolosa esecuzione degli ordini. Secondo gli studiosi di psicologia la “qualità di Capo”, si fonda sulla stabilità e sull’equilibrio di tre fattori: mentale, morale, e fisico. Per rendere icastica l’immagine, di suole usare un triangolo equilatero, i cui lati rappresentano, in istato d’assoluto equilibrio, le tre suddette qualità. Gli errori di giudizio sono - sempre secondo gli psicologi - l’origine della maggior parte degli insuccessi del Capo. È irrilevante che il giudizio erroneo provenga da ignoranza o da intenzione, da pregiudizio o da incapacità; è importante invece conoscere tale origine per poter correggere il difetto. È necessario che il Comandante, se vuole avere successo, affini la sua natura umana e si sforzi di mantenere, in assoluto equilibrio le sue qualità di Capo. Tracciarsi una linea d’azione, coltivare il proprio prestigio e l’ascendente personale, significa cattivarsi la simpatia di quelli che sono al di sopra ed al di sotto. Il che facilita il compito e sviluppa la collaborazione. Un elemento di natura psicologica di cui molti non si curano è l’apparenza.
 
Trascurarla è grave errore, perchè dai segni esteriori, possono, talvolta, dipendere tante cose, che unite alle altre qualità, contribuiscono al raggiungimento del successo, meta finale di ogni Comandante. Gli uomini, purtroppo, vivono di impressione e quindi bisogna, senza ostentazione, fare in modo che essa sia buona. Al riguardo si sul dire che “l’apparenza è il segno esteriore e visibile del successo e dell’insuccesso”. Ed è perciò che molti amano circondarsi di gente simpatica ed attraente. Stile e distinzione sono due elementi indispensabili richiesti dalle esigenze del decoro militare. Una persona scialba, trascurata, inelegante, spira sempre poca fiducia. Può sembrare che tutto ciò abbia poca importanza ai fini militari ed invece non è così. È stato dimostrato che, a parità di ogni altra condizione, le truppe dall’abbigliamento più curato sono quelle che forniscono i migliori battaglioni di urto. Ed ora due parole sul prestigio, che tanto ornamento conferisce al Comandante. Tutte le qualità sopra menzionate, unite ad una solida cultura ed alla padronanza di sé, creano nell’ufficiale, un grande prestigio. Esso conferisce forza e potenza alla personalità, e si manifesta “come una specie di azione magnetica che fa gravitare le anime dei dipendenti intorno a quelle del Capo, in uno stato di ammirazione e dedizione continua e spontanea”.

E, per finire, a me sembra che il Comandante dovrebbe possedere, oltre alle sue qualità squisitamente militari, quelle che Aristotele vuole nel suo “uomo ideale”, che qui trascrivo: “Egli non espone se stesso inutilmente al pericolo, ma nelle grandi crisi dà volentieri persino la vita, sapendo come, a certe condizioni, la vita non vale la pena d’essere vissuta. È disposto a render servigi ai suoi simili, sebbene abbia vergogna di farsi egli stesso servire. Fare atto di generosità è segno di superiorità, riceverne uno è segno di subordinazione... Parla ed agisce con prontezza e non è mai ardente di ammirazione, perchè non esiste nulla di grande ai suoi occhi. Non può essere cerimonioso con altri, se non con un amico, poiché la cerimoniosità è la caratteristica dello schiavo... Non si sente mai malizioso, dimentica sempre le ingiurie ... Non gli piace molto discorrere... Non parla male degli altri, neppure dei suoi nemici, se non affrontandoli direttamente. Il suo comportamento è composto, la voce profonda, il discorso misurato; non ha fretta, non si affanna e non è proclive alla violenza. Voce stridente e passi affrettati non gli appartengono. Egli sopporta gli accidenti della vita con dignità e compostezza, ricavando il meglio dalle circostanze, come un abile generale che schiera le sue forze limitate con tutte le regole della strategia. È il migliore amico di se stesso ed ha piacere di star solo, mentre la persona priva di virtù o di capacità è il peggior nemico di se stesso e teme la solitudine”. Ecco il superuomo aristotelico.