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  • N.3 - Luglio-Settembre
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  • Legislazione e Giurisprudenza
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Giustizia Amministrativa

Sentenze tratte dal sito www.giustizia-amministrativa.it
Comitato di verifica per la cause diservizio - Giudizio espresso -Costituisce manifestazione di discrezionalitàtecnica.Consulenza tecnica d’ufficio - Èammissibile solo per carente accertamentodei presupposti - Non puòsovrapporsi alla valutazione giàespressa dall’organo tecnico.

T.A.R. Emilia-Romagna, sez. I, sent. 5 maggio2005, n. 712 (c.c. 7 aprile 2005), Pres.Perticone, Est. Testori, P. M. c. ComandoGenerale Arma Carabinieri.

La valutazione espressa dal Comitato di verificaper la cause di servizio (e poi fatta propriadall’Amministrazione) costituisce manifestazionedi discrezionalità tecnica che può esseresindacata dal giudice amministrativo soloquando è affetta da vizi di illogicità immediatamenteapprezzabili; per il riscontro di dettivizi non è sufficiente la circostanza che ilparere del Comitato abbia disatteso quelloprecedente della Commissione medica ospedaliera,peraltro formulato in termini alquantoapodittici.Il mezzo istruttorio della consulenza tecnicad’ufficio è da ritenersi ammissibile allorché,pur non risultando il provvedimento viziato inradice per violazione dei principi di logicità,costituenti i limiti esterni dell’esercizio delpotere, sia - tuttavia - carente l’accertamentodei presupposti che sono a base del giudizio,per insufficienza delle operazioni tecnicheposte in essere o per incompleta rappresentazionedei fatti; in queste circostanze la suaammissibilità avrebbe soltanto l’effetto disovrapporre la consulenza d’ufficio alla valutazionegià espressa dall’organo tecnico a ciòistituzionalmente deputato con l’indebita invasionedell’ambito riservato all’esercizio deipoteri attribuiti alla P.A. (Consiglio di Stato,Sesta Sezione, sentenza 10 marzo 2004, n.1204, che richiama la precedente dell’11 aprile2003, n. 1927; si veda anche Consiglio diStato, Quarta Sezione, 18 febbraio 2003, n.877). (1)

(1) Si legge quanto appresso in sentenza:

“DIRITTO

1) Il provvedimento impugnato si fonda sul giudizionegativo espresso in data 11 giugno 2003 dalComitato di verifica per le cause di servizio in ordinealla dipendenza da causa di servizio dell’infermità“disturbo schizoide di personalità” da cui è affettoil ricorrente. Tale valutazione, che contraddice leconclusioni di segno opposto raggiunte nella sedutadel 14 maggio 2002 dalla Commissione medicoospedaliera del Centro militare di medicina legale diBologna, risulta così formulata: “… trattasi di psicosiendogena, probabilmente legata a fattori ereditaricon trasmissione poligenica in concomitanza confenomeni biochimici che intervengono nel metabolismodelle catecolamine. L’affezione, che si manifestain giovane età, è presumibilmente preesistenteal servizio anche se non evidente, e quindi indipendentedai fattori esterni ad esso connessi, i qualipossono tutt’al più agire come fattori slatentizzanti,soltanto se tra essi e l’inizio della sintomatologia èdimostrabile, oltre ad un rapporto modale, qualitativoe quantitativo, una stretta ed immediata connessionecronologica, assolutamente mancante nelcaso in questione”.
2) Il parere del Comitato viene contestato nel ricorsoperché incoerente e contraddittorio, oltre checarente di un’adeguata istruttoria; in particolare sideduce che la valutazione del predetto organo nonha compiutamente esaminato la condizione sanitariadel ricorrente, quale risultava dal parere espressodalla Commissione medico ospedaliera e dallerelazioni peritali agli atti. Con specifico riferimento aquanto emerge dalla documentazione citata sisostiene, in sintesi:che l’affermazione circa la probabile ereditarietàdella malattia non trova supporto negli elementiacquisiti al procedimento valutativo, che al contrarionon evidenziano alcun disturbo mentale nei familiaridell’interessato;che la perentoria esclusione di “una stretta e immediataconnessione cronologica” tra fattori esterniconnessi al servizio e l’inizio della sintomatologia èsmentita dalle risultanze delle relazioni peritali, chefanno risalire la prima sintomatologia dell’affezioneall’anno 1993;che in tale quadro si configurano i presupposti perfare applicazione dell’orientamento giurisprudenzialesecondo cui fattori esterni stressogeni possonoagire come concause efficienti anche sul carattereendogeno di un’affezione.
3) Più nel dettaglio il ricorrente afferma che quantomenoconcause efficienti della malattia sono le condizioniestremamente stressanti in cui egli ha svoltoil servizio a Palermo; condizioni determinate dallasua partecipazione personale ed emotiva a ripetuti,gravissimi episodi di criminalità organizzata e che,a partire dal 1993, hanno dato origine al manifestarsidei primi sintomi dell’affezione. A tali episodi si fariferimento tanto negli scritti difensivi dell’interessatoquanto nelle relazioni peritali depositate in giudizio;in proposito sia nell’atto introduttivo del giudizio,sia - più puntualmente - nella memoria depositata il25/3/2005, la difesa del sig. P. ha chiesto l’acquisizionein via istruttoria, da parte del Tribunale, dellerelazioni di servizio relative al predetto ed agli interventia cui lo stesso ha partecipato durante il servizioprestato in Sicilia, nonché di ogni ulteriore documentoritenuto utile al fine di illustrare le effettivemodalità del servizio stesso; e ciò ha fatto non ritenendosufficiente la documentazione prodotta inargomento dall’Amministrazione, consistente neirapporti appositamente redatti nell’ambito del procedimentoper il riconoscimento della causa di serviziodai Reparti dell’Arma presso i quali il ricorrenteha operato. Al riguardo si osserva:- i rapporti in questione, pur non risultando particolarmentesignificativi, evidenziano comunque lanatura effettivamente gravosa del servizio prestatoin Sicilia dal sig. P.; e d’altra parte, alla luce dellecomuni conoscenze, non è affatto difficile immaginarequanto dovesse riuscire pericoloso e stressantesvolgere il proprio servizio per un Carabiniereassegnato ad un reparto operativo dell’Arma aPalermo e provincia negli anni considerati;- in ogni caso l’Amministrazione non ha minimamentecontestato le affermazioni del ricorrente circale condizioni in cui ha prestato il servizio in questione,anche con riferimento agli specifici episodi menzionatie da ciò si può trarre conferma dell’esattezzadi tali affermazioni;- in questo quadro non appare necessario acquisirela documentazione richiesta dalla difesa dell’interessato,dovendosi piuttosto rivolgere l’indagine allacontestata sussistenza del collegamento tra le circostanzedi cui sopra e la malattia da cui è affetto ilsig. P.
4) Nel ricorso l’asserita illegittimità del provvedimentoimpugnato viene denunciata contrapponendoal parere del Comitato di verifica per le cause diservizio (che costituisce presupposto e motivazionedell’atto conclusivo del procedimento) le considerazionisvolte in alcune relazioni peritali, di cui sonoriportati ampi stralci; ciò vale, in particolare, perquanto riguarda la relazione in tema di causa di serviziopredisposta dal Prof. Ivan Galliani (depositatain giudizio da entrambe le parti), che a sua voltariprende la perizia psichiatrica del Dott. GianfrancoRivellini.Nella sua sinteticità, il parere del Comitato si articolain due affermazioni, la prima delle quali si riferiscealla natura endogena della psicosi, rappresentatacome “probabilmente legata a fattori ereditari…”. Ditale affermazione nel ricorso si sostiene la mancanzadi riscontri nell’anamnesi familiare e, anzi, la contraddittorietàrispetto agli elementi valutativi a disposizione;al riguardo il Collegio osserva innanzituttoche gli elementi in questione sono unicamente rappresentatidalla dichiarazione riportata nella periziaRivellini secondo cui rispetto ai componenti dellafamiglia di origine del ricorrente “non sono riferitidisturbi mentali”: si tratta di una dichiarazione dellostesso interessato che non appare decisiva, anchese è indubbio che l’avviso espresso sul punto dalComitato e qui contestato risulta privo di adeguatosupporto; in ogni caso è significativo notare chenello stesso ricorso si ammette che “da un punto divista clinico, il tipo di disturbo mentale del ricorrentepropone normalmente una componente di ereditarietà…”.In realtà, però, quanto affermato in propositodal predetto organo collegiale non presentacomunque rilievo determinante, posto che la valutazionenegativa circa la dipendenza da causa di serviziodella malattia in questione è fondata, piuttosto,sul profilo a cui fa riferimento la seconda affermazionecontenuta nel parere, secondo cui: “L’affezione,che si manifesta in giovane età, è presumibilmentepreesistente al servizio anche se non evidente, equindi indipendente dai fattori esterni ad esso connessi,i quali possono tutt’al più agire come fattorislatentizzanti, soltanto se tra essi e l’inizio della sintomatologiaè dimostrabile, oltre ad un rapportomodale, qualitativo e quantitativo, una stretta edimmediata connessione cronologica, assolutamentemancante nel caso in questione”. Dunque ilComitato:- ritiene l’affezione presumibilmente preesistente alservizio, anche se in modo non evidente;- esclude in ogni caso la dipendenza della stessada fattori esterni connessi al servizio medesimo;- ammette tutt’al più la possibilità di riconoscere atali fattori un ruolo “slatentizzante”, a condizioneche sia dimostrabile, tra essi e l’inizio della sintomatologia,sia un rapporto modale (qualitativo e quantitativo),sia una stretta ed immediata connessionecronologica;- esclude in modo assoluto che ricorra, nel caso dispecie, tale ultimo elemento.Per contestare questa conclusione parte ricorrentesi affida ad ampi richiami alle relazioni peritali, persostenere la tesi secondo cui in realtà la comparsadei primi sintomi dell’affezione risalgono al 1993,epoca in cui il sig. P. prestava ancora servizio inSicilia (nelle condizioni stressogene precedentementedescritte). In effetti nella documentazioneprodotta si legge:A) perizia Rivellini:“Le informazioni raccolte nel colloquio psichiatricodepongono per la comparsa di alcuni sintomi di rilievopsicopatologico già a partire dal 1993”, dopo ilverificarsi di “alcune situazioni attinenti al suo incaricolavorativo di carabiniere scelto del nucleo radiomobiledi Palermo” che l’interessato aveva “vissutocon particolare coinvolgimento emotivo”; si fa riferimentoin particolare a “stato di tensione emotiva,ansia libera, insonnia ed impotenza sessuale” a cuisi accompagnava un “impulso… di andare in giro“travisato”…”;“… se il 1998 vede una escalation di comportamentied eventi che hanno finito per modificare profondamentee danneggiare irreversibilmente quellache era stata fino ad allora la irreprensibile vita di ungiovane uomo a pieno titolo inserito nella società, sideve tuttavia osservare come fin dal 1993 nella storiapersonale del P. possano essere estratti degliaspetti disfunzionali della sua personalità in gradodi rendere ragione della allora transitoria comparsadi sintomi psichici clinicamente rilevanti…”.B) relazione Galliani in tema di causa di servizio:“La storia clinica del p. sembra iniziare in concomitanzacon gli ultimi tempi del servizio prestato aPalermo, in relazione ai gravi fatti di sangue ai qualiil P. ha assistito, ed alla condizione di stress indottadal prestare servizio in una situazione gravata dapericoli, nonché da grave e continuativa minacciaper la incolumità personale”.Le considerazioni precedentemente riportate nonsono sufficienti ad inficiare la legittimità del provvedimentoimpugnato e, prima ancora, del presuppostoparere espresso dal Comitato di verifica per lecause di servizio. Tanto il perito dott. Rivellini (incaricatodal GIP presso il Tribunale di Modena), quantoil consulente di parte prof. Galliani non si sonoespressi sul punto che qui interessa in termini drastici,ma hanno anzi utilizzato espressioni chelasciano spazio a conclusioni diverse: e ciò si giustificatenendo conto, in particolare, che anche acollocare nel 1993 i primi sintomi della malattia,l’esordio della stessa viene rappresentato daglistessi periti in termini comunque molto “sfumati”; intali condizioni, se le conclusioni raggiunte nelle relazioniperitali di cui sopra appaiono ragionevoli,ancorché opinabili, in rapporto ai presupposti difatto su cui si fondano, non per questo risultano irragionevolile conclusioni di segno opposto – anch’essecomunque opinabili - a cui è pervenuto il menzionatoComitato. Le particolari caratteristiche - qualiappena descritte - della prima sintomatologia rilevatanelle relazioni citate non consentono infatti diescludere una lettura del tutto diversa del quadrosanitario del ricorrente; in una situazione di obiettivaincertezza, dunque, la valutazione espressa dalpredetto organo collegiale (e poi fatta propriadall’Amministrazione) sulla base di un percorsoargomentativo certamente discutibile, ma non perciò solo inattendibile, costituisce manifestazione didiscrezionalità tecnica comunque non affetta da vizidi illogicità immediatamente apprezzabili da questogiudice amministrativo; e non basta a modificarequesta conclusione la circostanza che il parere del Comitato abbia disatteso quello precedente dellaCommissione medica ospedaliera, peraltro formulatoin termini alquanto apodittici.Ciò posto, non può trovare ingresso nel presentegiudizio neppure la consulenza tecnica d’ufficiorichiesta dal ricorrente. Come precisato di recentedal Consiglio di Stato il mezzo istruttorio in questione“è da ritenersi ammissibile, allorché, pur nonrisultando il provvedimento viziato in radice per violazionedei principi di logicità, costituenti i limitiesterni dell’esercizio del potere (ché altrimenti lostesso andrebbe, per altro profilo, annullato), sia,tuttavia, carente l’accertamento dei presupposti chesono a base del giudizio, per insufficienza delleoperazioni tecniche poste in essere o per incompletarappresentazione dei fatti” (così si è espressa laSesta Sezione nella sentenza 10 marzo 2004 n.1204, che richiama la precedente 11 aprile 2003 n.1927; si veda anche Quarta Sezione 18 febbraio2003 n. 877). Nel caso di specie, peraltro, non sonoravvisabili nell’operato dell’Amministrazione carenzeche possano giustificare l’ammissione della consulenzarichiesta, che avrebbe dunque soltanto l’effettodi sovrapporsi alla valutazione già espressadall’organo tecnico a ciò istituzionalmente deputatoe ritenuta non affetta dai vizi denunciati nel ricorso;ma un simile effetto non può essere consentito, inquanto estraneo alla finalità della c.t.u. ed invasivodell’ambito riservato all’esercizio dei poteri attribuitialla P.A.
5) Per le ragioni illustrate il ricorso deve essererespinto.”




Croce Rossa Italiana - Corpo delleinfermiere volontarie - Ispettrice nazionale- Atti di nomina e rimozione -Equiparazione a quelli riguardanti gliufficiali delle Forze armate - Sussiste.Croce Rossa Italiana - Corpo delleinfermiere volontarie - Ispettrice nazionale- Dipendenza gerarchica o fiduciariadal presidente (o commissariostraordinario) della Croce Rossa - Non sussiste.

Consiglio di Stato, sez. VI, dec. 27 maggio2005, n. 2740 (c.c. 1° aprile 2005), Pres.Marrone, Est. Volpe, C. P. C. c. Croce RossaItaliana

La nomina e la rimozione dell’Ispettrice nazionaledel Corpo delle infermiere volontariedella C.R.I. deve avvenire con decreto delPresidente della Repubblica in base all’assimilazioneal grado di ufficiale delle infermierevolontarie. Considerata la predetta assimilazioneal grado di ufficiale e visto che la primanomina degli ufficiali delle Forze armate deveavvenire con decreto del Presidente dellaRepubblica, anche la loro rimozione, comequella delle dette infermiere, deve effettuarsicon un atto di identica natura giuridica, sullabase del principio del contrarius actus.Tra il presidente (o commissario straordinario)della C.R.I. e l’ispettrice nazionale del corpodelle infermiere volontarie non vi è un rapportodi subordinazione gerarchica e tanto menodi dipendenza fiduciaria; ma un rapporto dicollaborazione e di coordinamento nello svolgimentodelle rispettive funzioni. La normativavigente consente che determinate attività venganosvolte dall’ispettrice nazionale al postodel presidente; inoltre, una vera e propriadipendenza funzionale è prevista limitatamenteall’ipotesi di mobilitazione. (1)

(1) Si legge quanto appresso in sentenza:

“FATTO E DIRITTO

1. Il primo giudice, con la sentenza indicata in epigrafe,ha respinto il ricorso proposto dalla signoraC. P. C. avverso il decreto del presidente delConsiglio dei ministri (d.p.c.m.) 7 novembre 1996,n. 13517, con cui la stessa era stata rimossa dallacarica di ispettrice nazionale del corpo delle infermierevolontarie della Croce Rossa Italiana (C.R.I.).La rimozione avveniva per il mancato rispetto deivincoli di dipendenza, collegamento e collaborazione,stabiliti dall’art. 11 del decreto del presidentedella Repubblica (d.p.r.) 31 luglio 1980, n. 613 tra ilvertice della C.R.I. e l’ispettrice nazionale, a causadel venire meno del rapporto fiduciario con il commissariostraordinario e della persistenza di gravicontrasti, pregiudizievoli del buon andamento e dell’efficienzadel corpo.Il primo giudice ha affermato che:a) non sussiste la violazione dell’art. 11 del d.p.r. n.613/1980, data la dipendenza gerarchica dell’ispettricenazionale con il vertice della C.R.I. ed essendoemerso che i rapporti tra la ricorrente e il commissariostraordinario erano connotati da una netta,inspiegabile e insuperabile contrapposizione, intotale contrasto con il dovere di leale collaborazionecon il proprio superiore gerarchico, direttamenteimposto dal citato art. 11;b) non occorreva il d.p.r. ma il d.p.c.m., ai sensidegli artt. 1 e 2 della l. 12 gennaio 1991, n. 131;c) ben poteva essere fatto cessare l’incarico di vertice,dalla ricorrente ricoperto da oltre venti anni.2. La sentenza viene appellata dalla signora P. C.per i seguenti motivi:1) tra il presidente (o commissario straordinario)della C.R.I. e l’ispettrice nazionale del corpo delleinfermiere volontarie non vi sarebbe un rapporto disubordine né un rapporto di dipendenza fiduciaria;ma una relazione di collaborazione e di coordinamentonello svolgimento delle rispettive funzioni;2) non sussisterebbero, nella specie, le inadempienzeai doveri da parte della ricorrente e, comunque,il decreto di rimozione si sarebbe dovuto adeguatamentemotivare; inoltre, la motivazione addottadall’amministrazione consisterebbe in affermazioninon rispondenti alla realtà dei fatti;3) essendo le infermiere volontarie assimilate algrado di ufficiale e, in particolare, l’ispettrice nazionaleequiparata al generale di brigata, ai sensi dell’art.7 del r.d. 12 maggio 1942, n. 918 (con cui èstato approvato il regolamento per il corpo delleinfermiere volontarie della C.R.I.), con riguardo agliufficiali generali sarebbe rimasta ferma la competenzadel capo dello Stato per la loro nomina erimozione dal grado.La C.R.I. e la Presidenza del Consiglio dei ministrisi sono costituite in giudizio, resistendo al ricorso inappello.L’appellante ha prodotto memoria con la quale haulteriormente illustrato le proprie difese.3.1. Il ricorso in appello è fondato.La ricorrente veniva nominata ispettrice nazionaledel corpo delle infermiere volontarie della C.R.I. cond.p.r. 9 luglio 1987, n. 3146. Poi, con il citatod.p.c.m. n. 13517/1996, era rimossa dalla carica diispettrice nazionale del corpo delle infermierevolontarie della C.R.I.La sezione ritiene che il d.p.c.m. impugnato siaviziato da incompetenza poiché occorreva il d.p.r.L’art. 1 della l. n. 13/1991 prevede la forma del d.p.r.per la “nomina degli ufficiali delle Forze armate digrado non inferiore a generale di brigata o equiparato”(comma 1, lett. n) e per la “prima nomina degliufficiali delle Forze armate” (comma 1, lett. v).Anche se non si volesse considerare l’equiparazionedell’ispettrice nazionale della C.R.I. a generaledi brigata, dato che, ai sensi dell’art. 7, comma ultimo,del r.d. n. 918/1942, “l’Ispettrice nazionale è aldi fuori di ogni equiparazione od assimilazione digrado” - mentre la vice-ispettrice nazionale, la qualenella gerarchia dei gradi del corpo delle infermierevolontarie della C.R.I. viene subito dopo l’ispettricenazionale, è assimilata al grado di colonnello (artt.6 e 7, comma 2, del d.p.r. n. 918/1942) - l’art. 7,comma 1, del d.p.r. n. 918/1942 prescrive che “leinfermiere volontarie della C.R.I. quando prestanoservizio presso formazioni od enti militari, sonoassimilate al grado di ufficiale”.Considerata l’assimilazione delle infermiere volontariedella C.R.I. al grado di ufficiale e visto che laprima nomina degli ufficiali delle Forze armate deveavvenire con d.p.r., anche la loro rimozione, comequella delle dette infermiere, deve effettuarsi cond.p.r., sulla base del principio del “contrarius actus”.3.2. La sezione ritiene, inoltre, che tra il presidente(o commissario straordinario) della C.R.I. e l’ispettricenazionale del corpo delle infermiere volontarienon vi sia un rapporto di subordinazione gerarchicae tanto meno di dipendenza fiduciaria; ma un rapportodi collaborazione e di coordinamento nellosvolgimento delle rispettive funzioni.Invero, l’ispettrice nazionale è posta al vertice dellagerarchia dei gradi del corpo delle infermiere volontariedella C.R.I. (art. 6 del r.d. n. 918/1942), “ha lasuprema direzione del corpo infermiere volontarie,ed impartisce le istruzioni e direttive tecniche o diorganizzazione alle quali deve conformarsi il servizio(art. 9 del r.d. n. 918/1942). Quanto previsto dall’art.11 del r.d. n. 918/1942 - secondo cui l’ispettricenazionale effettua determinate nomine e dispone lacessazione dalla carica delle ispettrici e vice-ispettricianche prima della scadenza del termine previstoper la loro durata in carica - “per delegazione delpresidente generale dell’associazione”, significache la legge consente che determinate attività venganosvolte dall’ispettrice nazionale al posto delpresidente. L’art. 11, comma 1, del d.p.r. n.613/1980, secondo cui “le autorità di vertice deicorpi della C.R.I. ausiliari delle Forze armate dipendonodirettamente dal presidente nazionale dell’istituzione,il quale nella ipotesi di mobilitazione delleForze armate assume tutti i poteri, diventando l’unicorappresentante dell’Associazione”, prevede unadipendenza funzionale, tra l’altro limitata all’ipotesidi mobilitazione, e non implica un rapporto di subordinazionegerarchica o di dipendenza fiduciaria.Il rapporto fiduciario semmai esiste con gli organiche prendono parte al procedimento relativo allanomina dell’ispettrice nazionale (art. 8 del r.d. n.918/1942), ma non con il presidente della C.R.I..4. Il ricorso in appello, pertanto, deve essere accolto,con l’assorbimento delle altre censure dedotte;in riforma della sentenza impugnata, il ricorso diprimo grado va accolto e il provvedimento impugnatoin quella sede deve essere annullato.




Disciplina militare - Sanzioni di stato -Determinazione del tipo e dell’entità -È rimessa all’apprezzamento discrezionaledell’amministrazione.Disciplina militare - Procedimentodisciplinare di stato - Ufficiale inquirente - Proposte e conclusioni nel rapportofinale - Legittimità.

T.A.R. Lazio, sez. I-bis, sent. n. 5450/2005(c.c. 15 giugno 2005), Pres. Orciuolo, Est.Politi, P. E. c. Ministero Difesa.

Non è consentito al giudice amministrativovalutare il giudizio della Commissione di disciplina,sia per quanto attiene alla configurazionedell’illecito commesso sia per quantoriguarda la determinazione dell’entità dellasanzione irrogata, tranne che per ragioni dimanifesta contraddittorietà, illogicità o travisamentodei fatti, ovvero di evidente sproporzioneod anomalia della sanzione.È legittima, con riferimento alle disposizionidettate dalla circolare n. 457 del 15 settembre1955, nella parte in cui (punto 4 del paragrafo4), l’attività di formulazione di proposte e conclusionirimessa all’ufficiale inquirente nell’ambitodel rapporto finale. Tale modalità procedimentale rivela persuasivi ambiti di legittimitàove si consideri che il documento nelquale l’ufficiale inquirente rassegna le conclusionidell’attività dal medesimo disimpegnatanon riveste, nell’ambito del procedimentodisciplinare di stato, alcun carattere (anche seindirettamente) vincolante, atteso che rientranelle esclusive prerogative della competenteautorità l’assunzione della determinazione dirinviare - o meno - il militare inquisito al giudiziodella Commissione di disciplina. (1)

(1) Si legge quanto appresso in sentenza:

“DIRITTO

1. Viene in primo luogo in considerazione la censuracon la quale parte ricorrente assume che l’irrogatoprovvedimento di perdita del grado per rimozionesia intervenuto successivamente allo spirare deltermine previsto per la conclusione del procedimentodisciplinare; conseguentemente sostenendosil’intervenuta decadenza del potere sanzionatoriorimesso all’Amministrazione.Va innanzi tutto escluso che, come sostenuto dallaparte ricorrente (cfr. memoria depositata il 31 maggio2005), il carattere recettizio del provvedimentoin questione sia espressamente sancito dall’art. 3del c.p.m.p., atteso che le relative disposizionihanno esclusivo riguardo all’applicazione dellalegge penale militare nei confronti dei militari in servizio:mentre, nel caso di specie, viene invece inconsiderazione l’esercizio del potere disciplinare.Va parimenti confutata la tesi secondo cui il carattererecettizio del provvedimento espulsivo conseguirebbeall’entrata in vigore del I comma dell’art. 21-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (come introdottodall’art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n.15), per effetto del quale “il provvedimento limitativodella sfera giuridica dei privati acquista efficacia neiconfronti di ciascun destinatario con la comunicazioneallo stesso effettuata anche nelle forme stabiliteper la notifica agli irreperibili nei casi previsti dalcodice di procedura civile”.Nell’osservare come tale disposizione sia, con ognievidenza, insuscettibile di applicazione retroattiva, vaparimenti escluso che ad essa corrisponda un canoneermeneutico avente, nell’ordinamento, generalizzatoambito di operatività anche precedentementeall’entrata in vigore della norma di che trattasi.Milita, in senso contrario alla tesi propugnata daparte ricorrente, la presenza di una diversificataregolamentazione, ad opera della pertinente disciplinadi settore, degli effetti promananti da determinazioniaventi carattere limitativo della sfera giuridicasoggettiva dei privati, di tal guisa da escludereche la disposizione come sopra introdotta dallanovella del 2005 possa assurgere a generalizzatocanone ermeneutico, con valenza interpretativa“autentica”.In difetto di disposizione di legge che espressamentequalifichi il provvedimento espulsivo (destituzioneper i dipendenti civili della PubblicaAmministrazione; rimozione per perdita del gradonei confronti del personale militare) quale attorecettizio (i cui effetti vanno ricollegati non giàall’adozione, ma al momento della partecipazionenotiziale al destinatario) non può dunque accedersialla tesi di parte ricorrente secondo cui il termine diconclusione del procedimento disciplinare avrebbedovuto necessariamente coincidere con la notificazionedell’avversata determinazione.Nel dare atto della presenza di un orientamento giurisprudenzialeche ha espressamente confutato ilcarattere di recettizietà del provvedimento espulsivo,giacché tale determinazione è idonea a produrregli effetti suoi propri senza necessità di alcunacollaborazione da parte dell’incolpato (cfr. T.A.R.Veneto, 26 gennaio 2000 n. 19 e T.A.R. Campania,Salerno, 5 maggio 1993, n. 304), la censura all’esamesi rivela priva di pregio.Sgombrato il campo dalle confutate prospettazionidifensive, rileva, infatti, la consecuzione temporaledegli atti del procedimento conclusosi poi con l’irrogazionedella sanzione con il presente ricorsoimpugnata, quale di seguito indicata:contestazione degli addebiti (27 dicembre 2002);deferimento alla Commissione di disciplina (29 gennaio2003);giudizio della Commissione di disciplina (20 febbraio2003);adozione del decreto ministeriale di rimozione perperdita del grado (14 marzo 2003).L’arco temporale intercorrente fra l’atto iniziale delprocedimento (la contestazione di addebiti in data27 dicembre 2002; rilevando, quale dies ad quem,la data di adozione di tale atto e non, invece, ladeterminazione del 9 dicembre 2002 con la quale èstata disposta l’inchiesta formale a carico del ricorrente)e l’atto dello stesso conclusivo (l’emanazionedel provvedimento sanzionatorio in data 14 marzo2003) si ragguaglia a complessivi giorni 77: all’interno,quindi, dello spatium deliberandi, pari a giorni90, fissato dall’art. 9, II comma, della legge 7 febbraio1990, n. 19.2. Esclusa, alla stregua di quanto sopra rappresentato,la fondatezza della censura al precedentepunto esaminata, parimenti inaccoglibile è ladoglianza con la quale parte ricorrente assume chel’irrogato provvedimento espulsivo sia stato adottatoin violazione del principio di gradualità della sanzione, in ragione dell’affermata “evidente” sproporzionefra l’accertata gravità dell’illecito e l’entitàdella sanzione inflitta.2.1 Va in proposito dato preliminarmente atto che lagiurisprudenza della Corte Costituzionale ha, ormaida tempo, precisato che il principio di gradualitàdella sanzione trova applicazione non solo nel procedimentopenale, ma anche in quello disciplinare,per cui le sanzioni destitutive, sia nel campo delpubblico impiego che in quello delle professioniinquadrate in ordini o collegi professionali, non possonoessere disposte in modo automatico, ma debbonoseguire un procedimento disciplinare che inmodo autonomo consenta di adeguare la sanzioneal caso concreto secondo il principio di proporzione,dandone specifica e puntuale ragione nella relativadeterminazione finale (cfr. Corte Cost. n. 971 del1988; n. 40 del 1990; n. 197 del 1993; n. 239 del1996; n. 363 del 1996; n. 2 del 1999).Ne consegue che, pur in presenza di un procedimentopenale conclusosi come nella specie conuna sentenza di condanna, l’Amministrazione nell’adottarei relativi provvedimenti disciplinari devenecessariamente tenere conto, a pena di illegittimità,del principio di proporzionalità delle sanzionianzidetto, in relazione ai profili soggettivi ed oggettividella vicenda.Non v’è dubbio, pertanto, che nella ipotesi di irrogazionedella sanzione massima della destituzione(nel caso in esame: della rimozione per perdita delgrado), l’Amministrazione debba specificatamenteed adeguatamente valutare non tanto l’astratta naturadel reato ascritto al dipendente, quanto la suaobiettiva gravità, nel senso dell’incidenza che haavuto nel tessuto sociale e degli indizi di pericolositàche lo hanno caratterizzato, nonché la complessivapersonalità e la condotta precedente e successivadel dipendente medesimo, lo stato di servizio, il suorecupero morale ed il tempo trascorso dal fatto,dando espressa e puntuale ragione nel relativoprovvedimento della effettiva corrispondenza dellasanzione stessa, a quanto obiettivamente accertato(cfr. Cons. Stato, sez. IV 30 maggio 1996, n. 695; 29novembre 1995, n. 1656; 10aprile 1995, n. 229, nonchéT.A.R. Liguria, sez. I, 30 ottobre 1997, n. 394).2.2 Quanto alla materialità dei fatti a fondamentodel contestato addebito nei confronti del ricorrente,va osservato che, secondo quanto è dato evinceredalla documentazione depositata in giudizio, quest’ultimo,convocato (in data 8 aprile 2002) dalComandante della Compagnia per essere ascoltatoin merito all’istanza di rapporto dal medesimo presentata,riceveva dal predetto superiore contestazionea fronte della mancanza dell’omesso salutonei confronti di quest’ultimo.Tornato verso l’ufficio del Comandante dopo averpreso con sé la pistola d’ordinanza (altrove custodita),il sig. E. estraeva l’arma e minacciava il predettoufficiale, con colpo in canna e cane armato, pronunziandofrasi che ne offendevano gravementel’onore ed il prestigio.A seguito dell’ingresso di altri sottufficiali, il ricorrenteveniva disarmato, tuttavia esercitando violenzanei confronti dell’ufficiale e causando a quest’ultimolesioni giudicate guaribili in giorni sei.Tratto a giudizio dinanzi al Giudice dell’udienza preliminarepresso il Tribunale Militare di Roma, il ricorrenteveniva condannato alla pena di anni uno emesi sette di reclusione (con il beneficio dellasospensione condizionale della pena) per i reati diinsubordinazione con violenza e minaccia e diingiuria continuata e pluriaggravata.2.3 Ciò osservato in punto di fatto, si rammenta ilprincipio in base al quale la valutazione della rilevanzadisciplinare di un’infrazione ai fini della graduazionedella sanzione da irrogare al dipendentepubblico costituisce oggetto di un apprezzamentodiscrezionale dell’Amministrazione, sicché il giudicenon può sostituire la propria valutazione a quelladella competente Autorità.Ciò non esclude, ovviamente, che il giudice medesimopossa verificare se la determinazione inerentealla specifica sanzione da irrogare (specie quandola scelta ricade, come nel caso in esame, su quellapiù grave) sia sorretta da un’adeguata motivazionee basata su fatti manifestamente tanto gravi dapoter indurre la P.A. a considerare incompatibili ifatti commessi con la prosecuzione del rapporto diservizio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 2000, n.1566 e sez. V, 30 marzo 1994, n. 155).Nel caso di specie, la chiara ed inequivoca gravitàdella condotta posta in essere dal ricorrente - allastregua di quanto precedentemente evidenziato edi quanto, ulteriormente, indicato nella menzionatasentenza di condanna (la quale, ai sensi dell’art.653, comma 1-bis, c.p.p., aggiunto dall’art. 1 della l27 marzo 2001 n. 97 “ha efficacia di giudicato nelgiudizio per responsabilità disciplinare davanti allepubbliche autorità quanto all’accertamento dellasussistenza del fatto, della sua illiceità penale eall’affermazione che l’imputato lo ha commesso”) -non è evidentemente discutibile.Nel dare quindi atto della riservata area di discrezionaleapprezzamento in materia rimessaall’Amministrazione - la cui sindacabilità, con ognievidenza, implicherebbe un precluso trasmodamentonel “merito” del presente giudizio di legittimità- deve escludersi che, sulla base delle indicazioniricavabili dalla documentazione depositata in giudizio,il provvedimento impugnato riveli evidenti profili di sproporzione, ovvero di irragionevolezza.Nel rammentare come i margini di esercitabilità delsindacato giurisdizionale, in subiecta materia, debbanotenere conto del consolidato insegnamentogiurisprudenziale in base al quale non è consentitoal giudice amministrativo valutare il giudizio dellaCommissione di disciplina, sia per quanto attienealla configurazione dell’illecito commesso sia perquanto riguarda la determinazione dell’entità dellasanzione irrogata, tranne che per ragioni di manifestacontraddittorietà, illogicità o travisamento deifatti, ovvero di evidente sproporzione od anomaliadella sanzione, deve escludersi che, nella sottopostavicenda, emergano profili di manifesta ed incontroversairragionevolezza del provvedimento sanzionatorio,a fronte dei fatti al ricorrente contestati:per l’effetto dovendosi disattendere il presente profilodi censura.3. Assume poi parte ricorrente che le conclusioni ele proposte formulate dall’ufficiale inquirente nelcorso del procedimento disciplinare sarebberoestranee ai poteri (meramente) istruttori al medesimodemandati dalla legge n. 599 del 1954, attesoche - secondo quanto stabilito dall’art. 66 di taletesto normativo - la sola Autorità militare che hadisposto l’inchiesta formale può decidere se deferireil militare alla Commissione di disciplina.Nella fattispecie, il deferimento alla Commissione didisciplina è intervenuto ad opera del Comandanteinterregionale Carabinieri “Podgora”; non condividendosile censure dalla parte ricorrente dedottecon riferimento alle disposizioni dettate dalla circolaren. 457 del 15 settembre 1955, nella parte in cui(punto 4 del paragrafo 4) viene rimessa all’inquirentela formulazione di proposte e conclusioni nell’ambitodi un rapporto finale e stabiliscono altresì chetale documento debba essere trasmessoall’Autorità che ha disposto l’inchiesta.Tale modalità procedimentale rivela persuasiviambiti di legittimità ove si consideri che il documentonel quale l’ufficiale inquirente rassegna le conclusionidell’attività dal medesimo disimpegnata nonriveste, nell’ambito del procedimento disciplinare,alcun carattere (anche se indirettamente) vincolante,atteso che rientra nelle esclusive prerogativedella competente Autorità l’assunzione della determinazionedi rinviare - o meno - il militare inquisitoal giudizio della Commissione di disciplina.In altri termini, la predisposizione da parte dell’ufficialeinquirente di proprie conclusioni è elemento exse inidoneo a determinare una violazione dei principi- e delle attribuzioni - che presidiano il correttosvolgimento dell’iter disciplinare; così come nonpuò ritenersi inficiata la determinazione di deferimentoalla Commissione laddove la motivazione ditale scelta venga, in tutto o in parte, per relationemriferita alle conclusioni rassegnate dall’ufficialeinquirente, atteso che:non solo non è preclusa all’Autorità (alla quale èrimessa l’adozione di tale atto) la condivisione delleconclusioni suddette;ma, vieppiù, alla stessa Autorità neppure è inibitooperare un riferimento alle relative risultanze (fral’altro dato atto che, alla stregua di noti principi fondamentali,non è certo estranea al nostro ordinamentola legittima praticabilità dell’ostensione motivazionalepraticata ob relationem).
4. Lamenta poi il ricorrente di non aver potuto prenderevisione del rapporto finale redatto dall’ufficialeinquirente.Va osservato, al riguardo, come tale “rapporto” nonabbia neppure formato oggetto di trasmissione allaCommissione di disciplina, al fine - evidente - di nondeterminare effetti (anche se indirettamente) “suggestivi”che potessero assumere valenza “decettiva”ai fini di un corretto ed imparziale svolgimentodella funzione rimessa a tale organo.Se, conseguentemente, deve escludersi che il “rapporto”onde trattasi abbia costituito elemento divalutazione ai fini della decisione di irrogare la sanzionegravata - atteso che, come si è detto, laCommissione di disciplina non ha mai acquisito taledocumento - deve parimenti escludersi che la mancatacomunicazione di tale atto - unitamente aglialtri rilievi documentali formati nel corso del procedimentodisciplinare - possa, ex se riguardato,assurgere ad insanabile profilo inficiante.Ferma la rilevanza assunta da tale “rapporto” ai finidell’assunzione della conclusiva determinazione daparte della suddetta Commissione (in ordine alaquale vanno ribadite le considerazioni dianzi esposte),va infatti osservato che ben avrebbe potuto ilricorrente, conosciuta l’esistenza di tale atto, edulteriormente valutata l’esigenza di acquisirlo ai finidi una migliore precisazione delle proprie strategiedifensive, formulare istanza di accesso agli atti,secondo le modalità fissate dalla legge 7 agosto1990, n. 241.Al contrario, nel corso del procedimento disciplinare- e fino alla seduta nel corso della quale è intervenutala trattazione della vicenda, ad opera delsuddetto organo - il sig. E. non ha manifestato alcunintendimento nel senso sopra indicato; astenendosi,peraltro, anche dal formulare alcuna richiesta dilettura degli atti elencati nell’indice dei documentiacquisiti dalla Commissione di disciplina.Le considerazioni precedentemente formulate induconoil Collegio ad escludere la fondatezza delladoglianza all’esame, che deve conseguentementeessere respinta.
5. Assume poi parte ricorrente che l’Amministrazioneprocedente sarebbe pervenuta all’adozione dellagravata sanzione disciplinare senza aver preventivamentesvolto i necessari approfondimenti volti a chiariretutti gli elementi rilevanti ai fini di una migliorecomprensione della sottesa vicenda.Ritiene il Collegio che, in presenza di una ammissionedi responsabilità dall’interessato effettuatacirca l’episodio precedentemente descritto, nonricorresse alcuna esigenza di procedere ad un puntualeaccertamento in ordine alle ipotizzabili causeche potevano aver condotto l’E. a porre in essereuna condotta connotata da chiari elementi di inescusabiliàe gravità.Né la verificabilità di elementi che non si sollevanodal rango di indimostrate illazioni (quali le “asseritepersecuzioni” delle quali il ricorrente e la propriafamiglia sarebbero stati vittima) può ritenersi fondatamenterientrare nel novero degli adempimentiteleologicamente preordinati alla valutazione di unepisodio per il quale la materialità (incontroversa)dei fatti adeguatamente giustifica una valutazionequale quella sfociata poi nell’adozione della gravatadeterminazione espulsiva.Va poi considerato che la mancata produzione, daparte del sig. E., di memorie difensive nell’ambitodel procedimento disciplinare di stato (e, comunque,l’intervenuta audizione dello stesso dinanzialla Commissione di disciplina), lungi dal confermarela prospettazione di parte circa le carenze istruttorieche inficerebbero il procedimento de quo, piuttostoevidenziano che:non soltanto la parte è stata posta in grado di esercitare,con le previste modalità, le azioni a propriadifesa (il carattere meramente “formale” ricongiuntodalla difesa del sig. E. alla richiamata audizione daparte della Commissione di disciplina risolvendosi,con ogni evidenza, in una mera affermazione privadi riscontrabile consistenza);ma che la decisione è stata assistita da un correttosvolgimento del preordinato iter, all’interno delquale la valutazione circa la sufficienza - o meno -degli acquisiti elementi di valutazione, lungi dalrispondere ad astratti e cristallizzati modelli di “adeguatezza”,piuttosto rientra nell’ambito degli apprezzamentirimessi a tale organo: il cui limite di sindacabilità,fuori da pretestuose argomentazioni, puòintervenire nella presente sede giudiziale solo inpresenza di evidenti profili di incongruità ed inadeguatezza,nel caso di specie non riscontrabili.
6. Da ultimo, viene all’esame la censura con laquale la parte ricorrente assume che la motivazionedel provvedimento impugnato abbia carattere “stereotipato”:non rispondendo, per l’effetto, ad unareale esigenza dimostrativa circa la valutazionedall’Amministrazione operata circa la gravità deifatti contestati al fine di determinare l’irrogazione diuna così grave sanzione di stato.Va, in proposito, preliminarmente dato atto che ilgravato decreto ministeriale di rimozione per perditadel grado - precisato che “dalla vicenda emergecon chiarezza la gravità dei fatti perpetrati dal ViceBrigadiere dell’Arma dei Carabinieri in s.p. E. P. conpiena consapevolezza” - ha manifestato condivisionedelle considerazioni rassegnate dallaCommissione di disciplina; ritenendo, per l’effetto,che il ricorrente abbia “palesato, nella circostanza,carenze di ordine morale e militare, con conseguentelesione del prestigio dell’Istituzione, violando idoveri attinenti al grado ed alle funzioni del propriostato, che rendono incompatibile la sua ulteriorepermanenza nell’Arma dei Carabinieri”.Tale motivazione si rivela, invero, adeguatamentearticolata e pienamente in grado di dar sufficientecontezza dell’iter logico seguito dall’Autorità emanantee dell’operata valutazione della gravità dellacondotta posta in essere dall’E. comparativamentecon la possibilità di ulteriore permanenza dell’interessatonell’Arma dei Carabinieri.Va soggiunto come il decreto gravato ulteriormentesi diffonda (art. 2) sulla condotta posta in essere dalricorrente in occasione dell’episodio precedentementerammentato, qualificandola “biasimevolesotto l’aspetto disciplinare, in quanto contraria aiprincipi di moralità e rettitudine che devono improntarel’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramentoprestato ed ai doveri di correttezza ed esemplaritàpropri di un appartenente all’Arma deiCarabinieri, nonché lesiva del prestigiodell’Istituzione”: per l’effetto concludendosi nelsenso di ritenere che “i fatti disciplinarmente rilevantisono di gravità tale da richiedere l’irrogazionedella massima sanzione disciplinare di stato”.Non è chi non veda come siffatto apparato motivazionale,lungi dal risolversi nell’impiego di formule distile, ovvero di stereotipate espressioni inidonee adare contezza dell’iter valutativo che ha condottol’Autorità emanante a correlare la condotta del militarealla tipologie di sanzione suscettibile di essereapplicata nei confronti di quest’ultimo, soddisfinoinvece, con carattere di apprezzabile congruità,quell’esigenza “giustificativa” dalla giurisprudenzareiteratamente sottolineata, segnatamente con riferimentoai profili di legittima adottabilità della sanzioneespulsiva.
7. La constatata infondatezza delle censure dedottecon il presente gravame ne impone la reiezione.”




Documenti caratteristici - Giudizio sinteticosu capacità, qualità e rendimentoin servizio - Costituisce sufficiente motivazione.

T.A.R. Sardegna, sez. II, sent. 5 aprile 2005,n. 597 (c.c. 16 marzo 2005), Pres. ed Est.Atzeni, G. M. c. Ministero Difesa.

La scheda valutativa annuale relativa allecapacità, alle qualità ed al rendimento in serviziodi un carabiniere, per sua natura nondeve contenere un elenco analitico di fatti ocircostanze relative alla carriera del militare,ma raccogliere un giudizio sintetico, ancorchéesauriente, su tali caratteristiche riscontratenel complesso del servizio svolto; pertanto,per rispondere all’obbligo di motivazione, nonvi è alcuna necessità che il documento menzionifatti o circostanze in occasione dellequali il ricorrente si sia comportato in conformitàalla tipologia del giudizio riportato. (1)

(1) Si legge quanto appresso in sentenza:

“DIRITTO

Il ricorrente, ufficiale dei Carabinieri, impugna lascheda valutativa per il periodo settembre 2002 -settembre 2003, nella parte in cui gli attribuisce laqualifica di “superiore alla media” in luogo di quelladi “eccellente”.Lamenta, in primo luogo, il proprio mancato coinvolgimentonella procedura, sostenendo che anche il procedimentodi cui ora si tratta ricade nell’ambito d’applicazionedell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241. La censura è infondata. È ben dubbio se il procedimento in parola, destinatoa sfociare in un giudizio che costituisce necessariamentefrutto esclusivo della valutazione dei superioridel militare, ai quali viene imputata la responsabilitàrelativa, possa essere influenzato dall’interventopreventivo del diretto interessato, il quale intal modo concorrerebbe alla propria valutazione.Peraltro, la questione è infondata in punto di fatto,in quanto il ricorrente è stato informato dell’aperturadel procedimento in data 4/11/2003, ed è stato quindiposto in condizione di far pervenire proprie osservazionie memorie. La censura deve, pertanto, essere respinta. Il ricorrente lamenta, con il successivo mezzo digravame, difetto di motivazione. Neanche questa doglianza può essere condivisa.Il collegio condivide, al riguardo, l’orientamento(T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 9 gennaio 2004,n. 3) secondo il quale la scheda valutativa annualerelativa alle capacità, alle qualità ed al rendimentoin servizio di un carabiniere, per sua natura nondeve contenere un elenco analitico di fatti o circostanzerelative alla carriera del militare, ma raccogliereun giudizio sintetico, ancorché esauriente, sutali caratteristiche riscontrate nel complesso delservizio svolto; pertanto, per rispondere all’ obbligodi motivazione non vi è alcuna necessità che ildocumento menzioni fatti o circostanze in occasionedelle quali il ricorrente si sia comportato in conformitàalla tipologia del giudizio riportato. Atteso che il provvedimento impugnato palesementerispetta tali caratteristiche minime, il motivo deveessere respinto.Il ricorrente lamenta poi, anche con il motivoaggiunto, l’illogicità del giudizio conclusivo, affermandoche questo si pone in contrasto con i risultatidella sua attività professionale nel periodo considerato,nonché con le valutazioni attribuite in precedenza,tanto da far dubitare che abbiano concorsoanche elementi relativi ad anni diversi da quello daprendere in considerazione.Osserva, al riguardo, il collegio che al ricorrentenon è stata attribuita la qualifica massima, macomunque è stata attribuita la qualifica più prossimaalla medesima.Le istruzioni sui documenti caratteristici del personaledelle forze armate in data 5/10/2002, depositate ingiudizio dal ricorrente, chiariscono che la qualifica di“eccellente” è attribuita al militare che emerge nettamenteper qualità e rendimento eccezionali, vale adire al militare le cui qualità sono tanto spiccate ed ilrendimento è di tale livello e continuità da farlo nonsoltanto emergere, ma sovrastare altri che parimentiemergono; la qualifica di “superiore alla media” èattribuita al militare che emerge sulla media per labontà delle qualità e per il livello e la continuità delrendimento, mentre la qualifica “nella media” è attribuitaal militare che possiede un normale complessodi qualità e rende in misura adeguata ad esso.Appare evidente, alla luce delle istruzioni appenariportate, che anche la qualifica di “superiore allamedia” può essere attribuita solo sulla base di elementisensibilmente positivi.Non può stupire, conseguentemente, che la schedaimpugnata evidenzi il livello soddisfacente del servizioreso dal ricorrente, e le sue ottime qualità di ufficiale.Il ricorrente obietta che la scheda impugnata sipone in contraddizione con quelle relative agli anniprecedenti.Neanche quest’argomentazione può essere condivisa,atteso che la qualifica di “eccellente” è stataconseguita solo nel periodo che precede immediatamente quello preso in considerazione nel provvedimentoimpugnato, mentre in quello ancora precedenteil ricorrente è stato valutato “superiore allamedia”, e così in altre occasioni.In realtà, la qualifica di “eccellente” è stata conseguitasolo in due delle schede valutative redatte nelcorso della carriera del ricorrente, per cui il giudizioora attribuitogli non appare isolato, e non si poneaffatto in contraddizione con i precedenti.Il ricorrente rileva che, peraltro, il suo rendimentoproprio nel periodo in discussione è stato particolarmenteelevato nonché superiore a quello fornitonell’anno precedente, per cui non si comprendecome lo stesso abbia portato ad una valutazionenon altrettanto positiva.Neanche questa osservazione appare decisiva, inquanto il ricorrente affida l’argomentazione a meridati numerici, non indicativi della qualità del servizio.Appare pertinente, inoltre, l’osservazionedell’Amministrazione, la quale sottolinea come irapporti ispettivi compilati dal ComandanteProvinciale a seguito di visite periodiche presso laCompagnia alla quale era preposto il ricorrente evidenzianogli elementi positivi in assenza dei qualisarebbe stata illegittima l’attribuzione della qualifica“superiore alla media”, ma contengono anche l’invitoa superare talune insufficienze che escludono illivello di assoluta eccellenza che avrebbe consentitodi attribuire la qualifica massima.In conclusione, afferma il collegio chel’Amministrazione ha dimostrato la logica della propriadeterminazione, mentre il ricorrente non hadimostrato l’esistenza di quegli elementi di assolutaeccellenza, propri di un livello superiore a quello,certamente alto, riconosciutogli, che avrebberolegittimo l’attribuzione della qualifica massima.Il ricorso deve, di conseguenza, essere respinto.”




Procedimento disciplinare - Accesso agli atti - Autorizzazione all’accesso contestuale all’irrogazione della sanzione - Violazione del diritto di difesa -Sussiste.

T.A.R. Toscana, sez. I, sent. 20 giugno 2005,n. 2979 (c.c. 22 febbraio 2005), Pres. Vacirca,Est. Di Nunzio, B. A. c. Ministero Difesa.

L’autorizzazione di un accesso agli atti di unprocedimento disciplinare, formulata a seguitodi contestazione di addebiti da parte delmilitare incolpato, che interviene contestualmente,anziché precedentemente, al provvedimentoche irroga una sanzione disciplinare,inficia il procedimento disciplinare stesso erende annullabile la relativa sanzione, poichéil militare in questione, anche se abbia presentatouna memoria difensiva, non ha potutocomunque disporre di tutti gli elementi perpoter esercitare il suo diritto di difesa.



Trasferimento per incompatibilità ambientale - Non ha natura sanzionatoria- È basato su una valutazioneampiamente discrezionale dell’amministrazione.

T.A.R. Toscana, sez. I, sent. 27 giugno 2005,n. 3082 (c.c. 12 gennaio 2005), Pres. Vacirca,Est. Migliozzi, L. P. c. Ministero Difesa.

Il trasferimento per incompatibilità ambientalenon ha natura sanzionatoria, né postulanecessariamente un comportamento contrarioai doveri d’ufficio, essendo invece basatosu una valutazione ampiamente discrezionaledei fatti, in riferimento al prestigio dell’ufficio ealla compatibilità dell’ulteriore permanenzadel pubblico dipendente con la funzionalità e ilnormale andamento dell’ufficio stesso. Il comportamentodel dipendente che, ancorché percerti versi incolpevole, comunque possa creareturbamento nell’ambiente, sì da arrecarepregiudizio al prestigio dell’ufficio o alla credibilitàdel funzionario, giustifica legittimamenteda parte dell’Amministrazione l’adozione dellamisura de qua (1).

(1) Si legge quanto appresso in sentenza:

“FATTO e DIRITTO



Il provvedimento impugnato trova la sua scaturigine,quanto agli elementi di fatto, da una pretesa attivitàextraprofessionale che il ricorrente, sottufficialedell’Arma dei Carabinieri avrebbe svolto, collaborandoin particolare col proprio coniuge nella promozione e sottoscrizione di contratti per la fornituradi beni e servizi.Al riguardo la parte ricorrente nega di aver tenutoun quale che sia comportamento disdicevole erespinge, in particolare, ogni addebito in ordine alfatto di aver esercitato una sorta di influenza relativamenteall’attività promozionale svolta dalla consorte,sicché la determinazione assunta a suo caricosarebbe priva di fondamento.Orbene ritiene il Collegio che siffatte argomentazioninon siano idonee ad invalidare il provvedimento diche trattasi che appare emanato in conformità ai principigiurisprudenziali affermati in subjecta materia.Il trasferimento per incompatibilità ambientale,com’è noto, non ha natura sanzionatoria né postulanecessariamente un comportamento contrario aidoveri d’ufficio, essendo invece basato su una valutazioneampiamente discrezionale dei fatti, in riferimentoal prestigio dell’ufficio e alla compatibilità dell’ulteriorepermanenza del pubblico dipendente conla funzionalità e il normale andamento dell’ufficiostesso (in tal senso, questa Sezione n. 1625 del19/1/2000).In particolare giustifica legittimamente da partedell’Amministrazione l’adozione della misura de quail comportamento del dipendente che ancorché, percerti versi incolpevole, comunque sia produttivo dicrear turbamento nell’ambiente sì da arrecare pregiudizioal prestigio dell’ufficio o alla credibilità delfunzionario (cfr., ancora, sempre I^ Sezione TARToscana n. 1782 del 29/3/2002).Ora negli atti istruttori cui fa espressamente rinvio ilprovvedimento impugnato sono adeguatamenteevidenziate circostanze di fatto di per sé idonee aprodurre nella comunità locale un qualche “turbamento”o “velato disvalore” circa il ruolo e/o la figuradel Maresciallo L., sì da sconsigliare l’ulteriorepermanenza del ricorrente nella sede di servizio delComune di Fivizzano. Insomma, al di là delleresponsabilità o meno, dalla vicenda in questioneemergono ragioni di opportunità ambientale adeguatamenteacclarate dall’Autorità procedente, diper sé giustificative della decisione di disporre il trasferimentodel ricorrente ad altra sede.L’amministrazione ha quindi valutato discrezionalmentela “menomazione” del prestigio dell’ufficioproprio nell’ottica di assicurare quelle condizioni diserenità necessarie per lo svolgimento di compitiistituzionali così delicati e tanto senza nulla togliereai meriti di servizio del Maresciallo L.Quanto sopra osservato vale altresì a far ritenereinfondata la censura di difetto di motivazioni purededotta in ricorso.Invero la determinazione assunta dal ComandoRegione Toscana dell’Arma dei Carabinieri recaun’orditura motivazionale idonea a sorreggerel’adottata decisione, lì dove, in particolare, la predettaAutorità, avuto in specie, riguardo agli accertamentiistruttori svolti dalle strutture localidell’Arma, ha avuto cura di fornire adeguata contezzadel proprio operato, ben potendosi ripercorrerel’iter logico seguito per pervenire alla statuizioneadottata senza che in ciò si possano riscontrare vizidi irrazionalità o contraddittorietà.In forza delle suestese motivazioni, il ricorso, inquanto infondato, va respinto”.