Le indagini video-fotografiche - Approccio tecnico e giuridico

Gianfranco De Fulvio(*) - Giuseppe Delfinis(**)

1. Introduzione

L’indagine videofotografica, intesa come accertamento tecnico per l’acquisizione di filmati che documentano eventi di interesse giudiziario, per la successiva identificazione dei responsabili di eventuali fatti reato, diventa uno strumento di cruciale importanza in ambito criminalistico. Vengono successivamente riportati esempi tratti dalla quotidianità in cui emerge il ruolo chiave nella formazione della prova assunto dalle immaginivideo:

Una telecamera di sorveglianza installata presso l'aereoporto di Portland - Maryland - riprendeva il terrorista Mohammad Atta, capo del gruppo che condusse l'attacco dell'undici settembre 2001 alle Torri Gemelle. Un numero cospicuo di telecamere amatoriali documentavano il volo dei due aerei poco prima del tragico impatto. Numerosi video presenti in rete mostrano sempre più frequentemente il noto terrorista capo di Al Qaeda.

Il piano di lavoro affrontato nella stesura del presente articolo viene schematizzato in quadri sinottici finalizzati ad un inquadramento concettuale della metodologia d’indagine seguita (cfr. quadro sinottico 1).
Appare necessario, a questo punto, introdurre la più recente definizione di analisi forense del video intesa quale sintesi dell’ esame scientifico, della comparazione e/o valutazione del video per questioni di giustizia.
Per esame  dal latino examen , da exigere “pesare (agere) bene (ex)”  scientifico di un video si intende, in senso lato, l’analisi sia del supporto di registrazione sia della registrazione stessa. Riguardo al supporto, il primo passo prevede sicuramente l’identificazione del tipo (VHS, BetaMax, BetaCam, DV, ecc.), subito seguita dalla verifica dell’integrità e dall’accertamento della presenza di registrazione all’interno dello stesso. La seconda fase consta invece della visione del filmato in analisi al fine di stabilire se le sequenze contenute siano

Quadro sinottico 1

univocamente riconducibili all’evento oggetto di indagine e, in caso affermativo, siano utili per i successivi confronti a scopo identificativo tesi all’individuazione dei soggetti responsabili del fatto reato. La fase di comparazione, preliminare al processo di identificazione, consiste nella selezione, nell’ambito del materiale a disposizione, di quelle immagini utili ai confronti ed omogenee rispetto al termine di paragone: in altri termini, elementi tra loro affini e/o uniformi posti a confronto al fine di attestare o meno l’identità tra essi. Con il termine identificazione si è soliti indicare il complesso di operazioni volte a stabilire l’identità di una persona, di una sostanza, di un oggetto. Preliminare all’identificazione è il concetto di identità che definiamo come l’insieme dei caratteri mediante i quali un individuo connota la sua persona e la distingue da quella di qualsiasi altro.

Si deve, innanzitutto, fissare il concetto d’identità, distinguendo poi tra identità preventiva ed identità giudiziaria, ove la prima consiste nell’accertamento dell’identità di un soggetto senza che necessariamente vi sia commissione di reato, mentre l’altra è l’identificazione dell’autore di un reato. In ogni persona sono presenti caratteri generali e caratteri particolari: i primi riguardano la forma e le dimensioni nel loro insieme; i secondi sono invece costituiti da veri e propri contrassegni che differenziano un individuo da ogni altro soggetto simile ad esso. Questi ultimi sono dati da anomalie che si riscontrano sulla superficie della pelle (cicatrici, porri, nei, macchie, tumefazioni, callosità, tatuaggi, ecc.), ma anche da anomalie anatomiche, deformità, mutilazioni, ecc.
Molto importanti ai fini identificativi sono, anche, alcuni caratteri funzionali quali ad esempio l’atteggiamento, la mimica o la gesticolazione, lo sguardo o l’espressione fisiomatica, l’andatura, la voce, il linguaggio, la scrittura, il modo di vestire. Per poter affermare che due soggetti si identifichino, o meno, nella stessa persona sarà, tuttavia, sufficiente, come nel confronto dattiloscopico, provare la coincidenza fra un sufficiente numero di caratteri generali, particolari, nonché funzionali dei due individui. Del resto, molto spesso ci si trova di fronte a soggetti caratterizzati dall’assenza quasi totale di segni particolari o a casi in cui questi sono presenti in parti del corpo non visibili in sede di confronto, e non per questo si rinuncia a priori all’esame del caso.  L’ultima fase di valutazione implica senz’altro il riepilogo, da un punto di vista tecnico, del lavoro svolto, non disgiunto da considerazioni di carattere giuridico legate al quesito posto dal Magistrato e connesse con l’uso processuale dell’indagine tecnica eseguita.

2. Approccio tecnico

a. Generalità sui supporti di archiviazione: il concetto di compressione

Nei precedenti paragrafi abbiamo visto l’importanza delle banche dati. La successiva implicazione logica è: quanto grande deve essere la memoria per contenere tali dati? (cfr. quadro sinottico 2).

Quadro sinottico 2

L’idea da tener presente è la massima variazione che si può operare in un’immagine senza produrre un cambiamento visualmente apprezzabile.

Esempio di qualità di memoria allocata per un'immagine digitale


 
I sistemi di compressione sono metodi matematici di trattamento dei dati che permettono di manipolare le informazioni in modo tale da ridurre al massimo il numero di byte necessari per immagazzinarle, trasmetterle e archiviarle (cfr. figura 1).
Il loro funzionamento dipende in maniera sostanziale dal particolare metodo matematico usato.
Ad esempio, il formato JPEG che è basato sul dato scientifico che l’occhio umano ha dei recettori di luminanza (bianco e nero) molto più precisi rispetto a quelli di crominanza (colore). Il metodo JPEG infatti separa i due canali dell’immagine (luminosità e colore) e applica algoritmi differenti, più precisi sulla luminosità e più drastici sul colore, ottenendo così compressioni molto buone.
Vediamo ora le principali distinzioni fra i metodi di compressione.
Per questo i metodi di compressione si distinguono in due grandi gruppi:
metodi con perdita (o lossy);
metodi senza perdita (o lossless).
I metodi lossy sono quei metodi che, proprio per comprimere al massimo i dati, scartano alcune informazioni riguardanti l’immagine originale.
Sono metodi molto vantaggiosi per aumentare al massimo la velocità di scaricamento, ma irreversibili: ogni qual volta cioè che una immagine viene salvata in un formato lossy, vengono perse alcune informazioni che non sono più recuperabili, a meno naturalmente di non averne conservato un altro salvataggio in un formato lossless. Proprio a causa di questa loro caratteristica, è assai sconsigliabile fare progressive modifiche e salvataggi in questo tipo di formati, perché ad ogni passaggio la qualità peggiorerà e sarà sempre meno fedele all’originale. Conviene invece salvare in un formato senza perdita fino a lavoro ultimato e solo in ultima istanza salvare in un formato con perdita. L’esempio più classico di formato lossy per quanto riguarda le immagini è il JPEG; un altro esempio di formato lossy assai usato oggi in rete è l’MP3.
I metodi lossless sono invece i metodi che non hanno perdita di informazioni; ovviamente essi risultano sempre meno efficaci nell’ottimizzare lo scaricamento dei dati, ma hanno il grande pregio di mantenere costanti e stabili le informazioni contenute nell’originale. Formati lossless per le immagini web sono il GIF e il PNG, mentre uno dei tanti formati lossless per l’audio è il WAV.
La tecnica più semplice per memorizzare le immagini è quella bitmap (a colori o in bianco e nero): i singoli pixel dell’immagine vengono memorizzati uno a uno con un numero di bit variabile da 1 (bianco/nero) a 24, 32 e oltre (colore di qualità fotografica).
Il grosso difetto di questa tecnica è che richiede una quantità di memoria enorme tanto più per immagini ad alta risoluzione e con molte sfumature di colore: inconveniente particolarmente grave quando le immagini devono essere trasmesse in rete in quanto le dimensioni enormi dei files si traducono in una estrema lentezza della trasmissione.
D’altra parte, il contenuto di informazione di un’immagine è in genere molto minore della dimensione bitmap della medesima: in altre parole è sempre possibile comprimere l’immagine in misura che dipende dal tipo di immagine. Alcuni formati riescono a comprimere l’immagine senza perdite di qualità, altri come JPEG consentono compressioni anche molto forti ma con un certo sacrificio della qualità dell’immagine.


b. Sistemi di acquisizione

Una delle fasi principali dell’intero progetto è conoscere come vengono effettuate le acquisizioni, come funziona un sistema d’acquisizione (forense), quali strumenti vengono adoperati, in che modo il PC tratta i segnali video e quali sono i limiti dei sistemi di acquisizione utilizzati.
Il sistema di acquisizione più comune è l’occhio umano che, unito alla capacità computazionale del nostro cervello, ci permette di vedere il mondo esterno, riproducendo una percezione spaziale e cromatica. Le parti di maggiore interesse sono:
a. diaframma (iris): aprendosi e chiudendosi permette di regolare la quantità di luce che entra nell’occhio;

b. lente: per la messa a fuoco;

c. retina: parte sensibile che raccoglie l’immagine. Gli elementi fotosensibili della retina sono i coni. Questi sono distribuiti sull’intera superficie della retina e trasformano il segnale luminoso in un impulso elettrico che viene trasmesso al cervello per la successiva elaborazione (cfr. figura 2).

Rappresentanza schematica di un occhio umano

Con i sistemi di visione artificiale, si sta tentando di riprodurre e, dove possibile, di migliorare il funzionamento dell’occhio umano. Nei sistemi artificiali l’elemento che raccoglie le immagini non è più l’occhio ma la telecamera, mentre l’elemento che le elabora non è più il cervello ma generalmente un PC.
I principali elementi di una telecamera sono:
a. ottica (obiettivo): ha due funzioni, mettere a fuoco l’immagine (normalmente tramite una ghiera chiamata “ghiera di messa fuoco”), e regolare la quantità di luce che entra nel sensore (tramite il diaframma);

b. sensore: una piastrina (normalmente di silicio) contenente gli elementi fotosensibili. Nel sensore si forma l’immagine elettronica di lettura. L’immagine proveniente dall’elettronica di lettura passa attraverso un secondo stadio per essere convertita nel formato video di uscita richiesto (e.g.: Analogico PAL /NTSC, o digitale). Si può introdurre un modello matematico di facile intuizione che regola il funzionamento delle telecamere. Nelle figure 3a, 3b e 3c viene riportata la schematizzazione del meccanismo di formazione di un’immagine. In estrema sintesi, i raggi luminosi provenienti da un oggetto si intersecano in un punto F chiamato “Fuoco” e, successivamente, impressionano la pellicola fotografica (se si tratta di un apparecchio analogico ) o il CCD (charge coupled device dispositivo in grado di trasformare la luce in elettroni che, una volta liberi, producono un segnale interpretabile come immagine  cuore dell’apparecchio digitale).

Schema di realizzazione di un'immagine


Schema di realizzazione di un'immagine

Nella maggior parte delle immagini sono presenti due generi di irregolarità, chiamate anomalie prospettiche. La prima (come mostrato in figura 4), consiste nel confondere due oggetti che, pur avendo dimensioni fisiche differenti, appaiono essere uguali se osservati da un determinato punto di vista C (nel nostro caso coincidente con la telecamera dell’operatore).

Restringimento prospettico

La seconda anomalia (cfr. figura 5) riguarda le linee che in realtà sono parallele ma che vengono “viste” in una foto unirsi in un punto: è l’esempio dei binari che sembrano incontrarsi in un punto.

Punti e linee di fuga

Nei fotogrammi estrapolati sono presenti entrambe le anomalie. Per le correzioni pertinenti è necessario conoscere le dimensioni degli oggetti ed utilizzare software basati su sistemi CAD computer aided design, progetto assistito dal calcolatore attraverso il quale la simulazione grafica viene collegata con le caratteristiche fisiche di un oggetto.

c. Caratteristiche e limiti dei dispositivi video

Gli strumenti generalmente utilizzati per effettuare l’acquisizione delle immagini dal mondo reale sono le telecamere. Possiamo distinguere due famiglie di tali dispositivi: le analogiche e le digitali. Il punto in comune tra queste due tipologie di telecamere è l’ottica, mentre la metodologia del trattamento dei segnali in uscita dei sensori differisce enormemente.
Le telecamere analogiche, una volta acquisita l’immagine, tramite il sensore, rispondono in uscita con un segnale analogico (tipo segnale televisivo PAL); le digitali, invece, restituiscono in uscita una sequenza di bit, cioè un segnale digitale. Per una sintesi degli argomenti finora trattati è utile riferirsi al quadro sinottico 3 in cui viene mostrata la sequenza cronologica di formazione di un’immagine sino alla successiva elaborazione.

Quadro sinottico 3

In figura 6 è rappresentata la digititalizzazione dell’immagine, ossia la traduzione in linguaggio “comprensibile” al computer di un segnale elettrico.

Schema di acquisizione digitale di un'immagine



d. Aberrazioni ed elaborazione

I sistemi sopraccitati presentano determinate problematiche: alcune dipendenti dalla loro natura tecnologica, altre dipendenti da anomalie costruttive. Il processo di fabbricazione di una telecamera è affetto da errori. Alcuni riguardano le lenti, per cui esse non si comportano esattamente secondo il modello matematico descritto in precedenza. Ci sono gli errori di montaggio del CCD: per esempio quest’ultimo può non essere parallelo al piano focale dell’ottica oppure il suo centro non essere allineato con il centro ottico. In un sistema ottico ideale tutti i raggi luminosi provenienti da un punto di un oggetto piano dovrebbero convergere in uno stesso punto nel piano immagine, formando un’immagine nitida. I difetti delle lenti che inducono tutti i raggi provenienti da un punto a convergere in punti differenti sono chiamate aberrazioni, e si possono classificare in sei classi:
1.aberrazione sferica: difetto di una lente che produce un’immagine non nitida dovuta al fatto che i raggi che attraversano i bordi sono rifratti meno di quelli che passano nella zona centrale di un obiettivo. Non tutti i raggi di luce  quindi sono messi a fuoco sullo stesso piano. Ne deriva una perdita di nitidezza generale;
2.astigmatismo: l’effetto di questa aberrazione è una sfasatura della messa a fuoco delle linee ad andamento orizzontale rispetto a quelle ad andamento verticale (o viceversa). L’astigmatismo è più visibile alla periferia del campo di immagine di taluni binocoli grandangolari;
3.coma, o aberrazione comatica: si manifesta con la trasformazione di un punto luce in un effetto cometa (simile a una virgola). Dato che aumenta verso l’esterno della lente, questo tipo di aberrazione interessa soprattutto la periferia del campo visivo;
4.aberrazione cromatica: è il risultato di una differenza di lunghezza d’onda. La lunghezza focale o ingrandimento di una lente, varia in base alla lunghezza d’onda dei vari tipi di luce incidente. Di conseguenza, se si osserva attraverso una lente affetta da aberrazione cromatica, l’immagine apparirà confusa e colorata ai margini. In genere, l’aberrazione cromatica diventa più importante con l’aumento dell’ingrandimento (cfr. figura 7);

Figura 7

5. curvatura di campo: un oggetto piano perpendicolare all’asse di un sistema ottico viene riprodotto come una superficie curva (cfr. figura 8);

Figura 8



6. distorsione: l’immagine differisce sotto l’aspetto geometrico dall’oggetto reale. Il modo più semplice per visualizzare gli effetti della distorsione è quello di riprendere un oggetto quadrato: potrebbe risulatare “bombato” verso l’esterno o verso l’interno (effetto botte o cuscino, cfr. figura 9); 

Figura 9

Può essere positiva o negativa: entrambe sono provocate da una variazione di ingrandimento. Con l’aumento della distorsione, sebbene l’immagine appaia a fuoco su tutto il campo, la dimensione dell’immagine è diversa al centro rispetto alla periferia del campo visivo.
Abbiamo visto che un’immagine può essere definita come una rappresentazione visiva di un oggetto o di un gruppo di oggetti.
L’elaborazione di immagini (image processing), manipola l’informazione all’interno di un’immagine per renderla più espressiva con lo scopo di:
migliorare la qualità (filtraggio);
generare un’opportuna codifica (compressione);
estrarre informazioni e/o modelli.
È possibile ricostruire l’immagine a partire dai dati geometrici e fotometrici della scena e dal modello della telecamera, oppure ricostruire i dati geometrici della scena a partire dall’immagine, dai dati fotometrici e dal modello della telecamera (reverse projection).
L’elaborazione digitale di immagini viene attuata tramite computer convertendole in un formato numerico, cioè digitalizzandole. L’elaborazione consiste nell’applicazione di algoritmi matematici, tipicamente mediante l’utilizzo di software dedicati, aventi un duplice fine: da un lato il miglioramento della “qualità visiva” dell’immagine stessa, dall’altro la correzione delle eventuali aberrazioni. In letteratura sono presenti molti lavori sulla valutazione e la modellizzazione degli effetti della distorsione (in particolare della distorsione radiale dovuta all’ottica).

3. Approccio giuridico

a. Utilizzo del video nei processi penali

Gli aspetti giuridici connessi con questo tipo di indagine criminalistica non sono invero fondati su molta giurisprudenza, anche se le poche sentenze rintracciate appaiono significative, in quanto toccano più aspetti della problematica. Del resto il diffuso utilizzo di sistemi di videoregistrazione installati per la sorveglianza di obiettivi “sensibili”, per il controllo di accessi o per servizi di osservazione, controllo e pedinamento da parte delle forze di polizia fa sì che l’interesse in campo forense verso questi apparati ed i filmati da questi ottenuti sia sempre maggiore.
Nonostante ciò, sia il Codice Penale sia quello di Procedura Penale non parlano mai specificatamente di questa tecnologia come del resto di investigazioni scientifiche. Sulla base dell’articolo 243 c.p.p., primo comma (che prevede espressamente l’acquisizione di documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante fotografia, cinematografia, fonografia o altro), la pellicola cinematografica contenente la rappresentazione di un fatto va ritenuta prova documentale avente requisiti particolari, trattandosi di un documento figurativo non caratterizzato, cioè, dalla scrittura, bensì di norma dalle immagini  del tipo testimoniale, in quanto contenente la descrizione  testimonianza di un fatto, e diretto perché dà la descrizione immediata degli avvenimenti.
La videoregistrazione, quindi, non essendo una scrittura privata, non è soggetta  ai fini dell’utilizzazione processuale  alle regole imposte dall’articolo 2702 cod. civ., onde non necessita di sottoscrizione, mentre la sua autenticità (correlazione filmatomezzo di registrazione, individuazione modalità d’uso dell’apparecchio, tempi e luoghi delle riprese, assenza di tagli o manipolazioni, ecc.) deve essere invece accertata caso per caso [Cass. penale, sez. V, 15 novembre 1993 (18 ottobre 93), n. 10309. Pres. L. Bilardo, Rel. F. Marrone, P.M. Fiore (conf.), ric. Fumero].
Un altro problema è distinguere, nell’ambito delle operazioni tecniche da compiere, cosa debba intendersi per “rilievi” di cui all’art. 354 c.p.p. e cosa si configuri invece come “accertamento”. A tal riguardo, rientrano nei rilievi tecnici tutte le attività materiali che, pur richiedendo un grado (più o meno elevato) di capacità tecnica, non comportano la valutazione critica dei risultati di tali attività (si pensi ad esempio al sopralluogo in una scena criminis). Rientrano, invece, nella categoria degli accertamenti tecnici, in quanto frutto di elaborazione critica, l’estrapolazione di fotogrammi  non solo a livello frame ma anche a livello campo  da un supporto ed il successivo raffronto di questi con le fotografie di determinati soggetti al fine di evidenziare eventuali affinità e/o compatibilità [Cass. penale, sez. II, 27 novembre 1992 (c.c. 10 novembre 1992), n. 4523. Pres.
P. Callà, Rel. D. Nardi, P.M. (conf.), ric. P.M. in proc. Arena ed altro].
Passo successivo è capire se l’analisi del nastro magnetico si configuri come accertamento ripetibile o non ripetibile per una corretta formalizzazione dell’atto al fine della utilizzabilità in dibattimento e se detto esame possa essere eseguito su una copia del filmato in reperto. In tema di documenti, l’art. 234 c.p.p. richiede che vengano acquisiti in originale, potendosi acquisire copia solo quando l’originale non è recuperabile; poiché tuttavia l’attuale codice di procedura penale non ha accolto il principio della tipicità dei mezzi di prova (tant’è che l’art. 189 c.p.p. si occupa espressamente de “le prove non disciplinate dalla legge”), il giudice può ben utilizzare quale elemento di prova anche la copia di un documento, purché idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti [Cass. penale, sez. V, 15 novembre 1993 (18 ottobre 1993), n. 10309. Pres. L. Bilardo, Rel.
F. Marrone, P.M.  Fiore (conf.), ric. Fumero]. Riguardo alla ripetibilità dell’atto, tale operazione  come la successiva estrapolazione di immagini  viene considerata ripetibile.
La Suprema Corte ha poi affrontato anche il tema della validità scientifica dei risultati di una consulenza o perizia tecnica affermando che il giudice ha l’onere di verificare la validità scientifica dei criteri e dei metodi d’indagine utilizzati allorché essi si presentino come nuovi e sperimentali, e perciò non sottoposti al vaglio di una pluralità di casi ed al confronto critico tra gli esperti del settore, sì da non potersi considerare ancora acquisiti al patrimonio della comunità scientifica [Cass. penale, sez. II, 11 agosto 1997 (c.c. 16 aprile 1997) n. 2751. Pres. G. Consoli, Rel. E. Perna La Torre, P.M. G. Palombarini (conf.), ric.
P.M. in proc. Vezzoni]. La prova da filmato utilizzata a fini di giustizia ricade, essenzialmente, in tre categorie:
a scopo illustrativo: sono i video che mostrano o presentano situazioni non altrimenti comprensibili per un collegio giudicante (tipico esempio: ripresa della scena del crimine, una demografica o una ricostruzione bi o tridimensionale di un evento senza i sospettati);
a scopo documentale: sono i video che riprendono fasi temporalmente antecedenti all’ interrogatorio di un testimone o di un sospettato (telecamere nascoste che videoregistrano il comportamento di soggetti poco prima di essere interrogati );
a scopo di sorveglianza: sono i video registrati da telecamere costituenti sistemi di controllo di obiettivi sensibili, accessi, zone di interesse militare, luoghi aperti al pubblico (stazioni ferroviarie, stadi, ecc.).

b. Ammissibilità della prova relativa al video

Negli Stati Uniti, le videocassette sono classificate come prova fotografica sia in base alla “Federal Rule of Evidence” (Codice Federale per la Prova) sia in base ad analoghi codici a livello dei singoli Stati.
Passiamo, ora, ad analizzare le differenti tipologie di ammissibilità della prova.
1)Teorie circa l’ammissibilità
 teoria della prova illustrativa (comunicazione visiva): il punto di vista tradizionale delle fotografie e delle videocassette è che esse non hanno significato indipendente dato che illustrano semplicemente fatti verificati da un testimone. Spesso ciò viene riferito come rappresentazione grafica della prova reale. Secondo questa teoria, le fotografie o le videocassette diventano ammissibili quando un testimone asserisce che fotografie o videocassette descrivono accuratamente ciò che egli ebbe ad osservare.
teoria della testimonianza silenziosa: una volta acclarata l’autenticità della videocassetta, il nastro “si esprime da solo”: non vi è cioè bisogno di testimoni che dichiarino di aver visto quanto ripreso dalla videocamera. La prova è però ammissibile dopo che sia stata verificata l’affidabilità del processo di registrazione che ha prodotto la videocassetta.
2)Pertinenza
La valutazione di pertinenza si applica alla videocassetta in toto. Se nel video compaiono immagini non rilevanti, cosa tipica in un contesto di videosorveglianza, ciò non rende l’intera videocassetta inammissibile. A questo punto, sono soltanto le immagini di interesse a dover essere pertinenti.
3)Autenticazione
Nel motivare una sentenza, in merito all’ammissibilità di una prova videofotografica, una Corte di giustizia ha basato la sua decisione sul parere di un perito che ha asserito che “un filmato non può essere modificato senza lasciare traccia da nessun metodo conosciuto di montaggio”. Tuttavia, mentre ciò poteva essere vero nel 1983, non è detto che ancora oggi ciò corrisponda a realtà. Per la dichiarazione di ammissibilità della prova videofotografica e per poter il giudice usare tale prova nel giudizio, deve essere anche stabilito che la prova videofotografica è attendibile.
Tale requisito di autenticazione richiesto al filmato è basato sull’accertamento dei seguenti elementi:
luogo;
data;
orario;
alterazione delle immagini in tutto od in parte.
Provare la collocazione delle immagini riprese non è generalmente difficile. In un contesto di videosorveglianza con operatore, ciò richiederà che lo stesso operatore video o qualcun altro presente durante la registrazione verifichi i luoghi ripresi. In un contesto automatico di sorveglianza, quale quella in un magazzino od altro esercizio commerciale, ciò potrà avvenire a cura di qualcuno che abbia familiarità con la posizione della telecamera ed il campo di ripresa della stessa (come il proprietario del negozio, impiegati o addetti alla sicurezza). Nel caso di una banca sarà sufficiente che ciò sia attestato da un impiegato o da un rappresentante della società che ha installato e gestisce l’impianto. Dopo aver accertato la posizione, dovrà essere accertata la data e l’ora delle immagini in questione. La maggior parte delle telecamere di sorveglianza evidenzia con precisione il gruppo data  orario, e pertanto tale requisito è facilmente accertabile. Dove il gruppo data  orario mostrato non è corretto, come nel caso di errori dovuti al settaggio dell’ora legale o nel settaggio dell’orario, il gruppo data  orario reale deve essere dimostrato. Ciò può essere fatto o tramite il soggetto responsabile della gestione del gruppo data  orario o, nel caso in cui manchi questa figura, tramite eventi ripresi nel filmato esattamente collocabili nel tempo (esempio, ora di arrivo della polizia). Il fine ultimo affinché la prova videofotografica sia ammissibile è dimostrare che ciò che contiene sia l’evento in questione.
4)Editing e montaggio
In relazione alla prova da videocassetta (sia analogica sia digitale), è necessario dire che le immagini sono prodotte in maniera tale da presentare una rappresentazione “nonreale” dei fatti (immagini affette da distorsione, prive di sufficiente luminosità e/o nitidezza, ecc.). Tale concetto differisce dall’autenticazione. L’editing, inteso come complesso di operazioni volte all’estrapolazione delle sequenze di rilievo e aggiunta di note esplicative, in questo contesto vale anche per l’audio: per esempio se una videocassetta da 72 ore contiene immagini e suoni rilevanti soltanto nella prima ora è perfettamente legittimo trascurare le successive 71 ore. Inoltre, l’editing e l’eventuale riproduzione attraverso un fascicolo fotografico, non riguardano la sfera dell’ammissibilità, bensì quella del peso della prova.
5)Accuratezza delle immagini
Lo scrupolo nell’analisi delle immagini deve riguardare sia l’ammissibilità sia il peso. Mentre i danni su elementi materiali della videocassetta potrebbero riguardare l’ammissibilità della prova, le distorsioni su elementi non materiali riguarderanno unicamente il peso della prova (per esempio, bisogna tener presente le corrette proporzioni in pixels dopo aver acquisito digitalmente un video analogico). La tendenza attuale è quella di privilegiare sistemi di sicurezza basati sul digitale in quanto la capacità di memorizzazione e l’economicità d’esercizio di questi risultano superiori ai similari analogici. Il problema legato a questi nuovi sistemi di acquisizione e archiviazione è costituito dalla compressione (cfr. parte prima  Generalità sui supporti di archiviazione: il concetto di compressione). Se le immagini sono compresse in una maniera tale da produrre, per esempio, il cosiddetto effetto scia o simili artefatti, il Giudice si troverà innanzi ad un grosso ostacolo nello stabilire l’ammissibilità di tale sequenze.
6)Catena di custodia
Le videocassette e, in generale, ogni altro reperto devono essere custoditi in appositi luoghi tali da garantire l’integrità della prova e l’assenza di manomissione (luoghi privi di eccessiva umidità, lontani da fonti di calore e da campi elettromagnetici, ecc.). Inoltre il nastro della videocassetta custodito in un normale ambiente condizionato deve essere riavvolto in entrambi i versi almeno un volta all’anno.

c. Stato dell’arte in italia e nei paesi basati sul “common law”: giurisprudenza a confronto
Uno studio approfondito su tematiche di grande attualità quali quelle legate al miglioramento delle immagini, inteso sia come minimizzazione del rumore di fondo, sia come massimizzazione dei particolari ritenuti rilevanti anche debitamente estrapolati dal contesto , e come correzione delle aberrazioni e delle anomalie prospettiche, in relazione all’ammissibilità e al peso della prova giudiziaria, ha portato a prendere atto del fatto che tali tecniche di elaborazione per mezzo del calcolatore sono pienamente accettate purché riconosciute scientificamente attendibili, riproducibili  ossia non alterative in senso irreversibile dello stato del reperto  e supportate da idonea letteratura.
In tal senso si sono pronunciate, a giurisprudenza costante, numerose Corti sia di primo grado sia di Appello di nazioni tecnologicamente avanzate quali il Canada, l’Inghilterra e gli Stati Uniti [422 S.E. 2d 924 Corte d’Appello della Georgia U.S.A., 1992  1994 U.S. App. LEXIS 23969 Corte d’Appello degli Stati Uniti per il nono Circuito  907 S.W. 2d 677 Suprema Corte dell’Arkansas U.S.A., 1995  681 A.2d 1305 Suprema Corte della Pennsylvania U.S.A., 1996 89 C.C.C. (3d) 402 Suprema Corte del Canada, 1994  B.C.J. 446 Suprema Corte della British Columbia, 2000 Canada]. Tale unanimità di giudizi deve poter indurre senz’altro ad una riflessione in quanto nel nostro Paese ogni “manipolazione” delle immagini, ancorché condotta con rigore scientifico, non è tuttora pienamente accettata né specificatamente regolamentata.
L’uso delle immagini estrapolate ed elaborate (miglioramenti di cui sopra) può risultare utile al giudice anche per compiere determinazioni quantitative discrezionali, come la pena ad un detenuto o l’eventuale risarcimento di un danno. In questo caso però la discrezionalità del giudice è tecnica, nel senso che egli stesso, per non creare discordanza con situazioni analoghe precedentemente trattate, ne dovrà prendere spunto, ricercando eventuali condizioni similari.
La ragione di tale vuoto è sempre meno giustificabile in quanto, come già accennato, l’estrema diffusione dei mezzi di videoripresa fa sì che sempre più spesso debba essere preso in considerazione il contenuto di un video ai fini dell’accertamento di colpevolezza in un processo.
A tal riguardo un primo passo per un corretto approccio al problema dovrebbe essere quello di selezionare gli esperti deputati all’elaborazione dei filmati attraverso l’attuazione di un protocollo il cui rispetto costituisca, di fatto, il certificato di accreditamento del tecnico stesso.
In una fase preliminare bisognerebbe richiedere all’aspirante esperto:
a. curriculum vitae;
b.assenza di pregiudizi penali;
c. livello di istruzione (almeno diploma universitario di primo livello); d.corsi di specializzazione eventualmente frequentati e risultati conseguiti;
e. periodici corsi di aggiornamento nel settore.


Per quanto concerne, invece, il conseguimento dell’abilitazione all’analisi forense del video, questa dovrebbe essere fondata sull’accertamento dei seguenti requisiti:
competenza nella trattazione di segnali digitalizzati;
specifica conoscenza della Procedura Penale con particolare riferimento alle metodologie di rilievo ed accertamento tecnico dell’analisi forense dei video;
presentazione e discussione di un elaborato pratico circa un caso reale;
preparazione al contraddittorio tra tecnici e alla presenza di avvocati.
La necessità di pretendere un tale iter formativo ed il possesso di una professionalità non solo consolidata ma anche continuamente aggiornata dovrebbe essere ancora più sentita in un Paese, qual è l’Italia, in cui purtroppo non esistono direttive che regolino la corretta installazione e gestione degli impianti di videosorveglianza: con il risultato di disporre, in sede di accertamento a fini di giustizia, di filmati non solo fortemente deteriorati, ma con immagini affette da aberrazioni, anomalie e compressione.
Tutto ciò stride ancor di più se si pensa che l’Italia oltre ad impiegare massicciamente questa tecnologia ne è anche esportatore nel resto del mondo.
A fronte di tutto ciò, sembra invece che per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia… il tempo si sia fermato e per esami  sicuramente  di alto livello la Magistratura debba ancora ricorrere, nella maggior parte dei casi, a figure professionali più assimilabili a “praticoni” piuttosto che a professionisti di rango, quasi che si fosse ancora costretti ad operare in un contesto da Paese sottosviluppato. Altra problematica che dovrebbe essere completamente affrontata per la prima volta è quella legata alla definizione dei criteri identificativi a cui ispirarsi quando, una volta analizzato il filmato ed estrapolati i fotogrammi più significativi, si deve passare alla fase dei confronti con le immagini dei soggetti sospettati del reato. Anche in questa fase, purtroppo, tutto è lasciato alla buona volontà ed alla coscienza di chi deve operare.

4. Conclusioni
 
Nel presente lavoro si è tentato di esaminare le problematiche connesse con l’analisi del video e alle relative implicazioni giuridiche. È emerso un quadro in continua evoluzione in cui la probabilità di commettere errori, se un esperto non tiene in debito conto le numerose sfaccettature relative al corretto e minuzioso studio del video  sviscerando ogni singolo elemento , è altissima. Un altro punto debole riscontrato in Italia è la carenza di “giurisprudenza” in merito, a fronte di una trattazione più che esaustiva in altri Paesi  peraltro di pari sviluppo  che, per ragioni sia storiche sia soprattutto tecnologiche, devono essere considerati linee guida al riguardo.
Probabilmente indotto dalla globalizzazione, il passaggio al digitale sta poi divenendo un’esigenza non più differibile che però, per essere attuata, ha la necessità che siano individuate ed adottate opportune strategie. Le tecnologie e i modelli teorici per accedere a tale operazione sono ben consolidati, anche se non sempre utilizzati correttamente; tuttavia una loro analisi permette di studiare quali siano i principali rischi che si corrono e quali precauzioni debbano, invece, essere adottate per minimizzarli.
Le potenzialità offerte dalla digitalizzazione, che permettendo l’impiego di tecniche di elaborazione e di analisi delle immagini consentono l’estrazione di informazioni utili e la relativa ottimizzazione di queste, saranno però adombrate qualora il nostro Paese non si allinei alle tendenze giuridiche ormai consolidate nei sopraccitati Paesi.



(*) Maggiore dei Carabinieri, Comandante del R.I.S. Messina.
(**) Tenente dei Carabinieri, ufficiale addetto al R.I.S. Messina.