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Regole d'ingaggio e diritto all'autodifesa. Riflessioni e suggerimenti

Matteo Tondini


1. Introduzione

In un momento di rara turbolenza internazionale, caratterizzata dallo scoppio di conflitti e dal riacutizzarsi di tensioni interstatuali e intrastatali, le Forze Armate sono impegnate a fondo in diverse aree geografiche, nel corso di operazioni di stabilizzazione post-conflict. In un simile periodo, una considerazione dei risvolti politici e giuridici delle attività operative svolte dalle Forze Armate, come effetto del più generale impiego dello strumento militare in aree di crisi, potrebbe in verità prendere le mosse, non da uno studio e da una pianificazione improntata deduttivamente, bensì dall’esame del singolo, concreto uso della forza sul campo, suscettibile di influire profondamente sulle successive mutazioni del diritto generale dello ius in bello/ad bellum. Andrew Exum, Capitano in congedo della Decima Divisione di Montagna dell’U.S. Army, già in servizio in Afghanistan, nel suo libro “This man’s army” afferma come “La politica estera la fa(ccia) il soldatino di 19 anni con il mitra a tremare dietro un muro di Baghdad, non i professori neoconservatori in aula(1)”, con ciò volendo significare quanto il contributo effettivo delle truppe sul terreno influenzi gli esiti e gli sviluppi del contesto generale. Su questa linea appare di sicuro interesse analizzare quelle regole che, da vicino, consentono l’impiego dello strumento coercitivo: quando, come e perché, ad esempio, il fante apra il fuoco sulle forze ostili, la nave da guerra spari colpi d’avvertimento, l’aeromobi-le militare illumini col radar di tiro il possibile bersaglio.

Le regole d’ingaggio appunto. Proseguendo, un successivo interrogativo potrebbe riguardare il fine delle regole in parola, quale sia l’obiettivo della loro redazione, a che cosa aspiri l’Autorità che le ha emanate. In questo senso, l’ispirazione e, soprattutto, il controllo di legittimità politica, giocherà un ruolo determinante nello scongiurare regole che scavalchino le stringenti limitazioni costituzionali e normative nazionali, per scivolare su di un terreno infido e incerto che conduce inevitabilmente ad una recrudescenza delle ostilità e alla degenerazione della situazione. Ne è una triste testimonianza il deterioramento della sicurezza negli attuali teatri d’operazione. Le limitazioni all’uso della forza bellica in situazioni che anche si distanzino dalla guerra nella sua accezione più vasta non potranno però prescindere dal ricorso alle armi in autodifesa, inderogabile principio generale del diritto. Quanto più le Forze impegnate nel corso delle operazioni utilizzeranno una definizione unanime di tale principio, tanto più si presenteranno come un gruppo coeso, capace di intendere operativamente, in maniera comune, quei vincoli all’uso della forza che necessariamente influiranno sulla stessa immagine e percezione esterna della legittimità della propria attività. Per quanto sopra, una lettura attenta di tale principio di autodifesa potrà forse meglio delimitare l’area di applicabilità delle regole d’ingaggio e fornire al lettore una migliore percezione della delicatezza e dell’estrema attualità dell’argomento.

Così, al termine di un’ampia descrizione sul significato e sulla portata delle regole d’ingaggio, anche attraverso il loro impiego nel corso delle principali missioni internazionali, si andrà ad analizzare la definizione del concetto di autodifesa alla luce dei nuovi scenari e dei possibili risvolti operativi.


2. ROE. Definizione e presupposti


“War will never be abolished by people who are ignorant of war” Walter Lippman(*) Secondo il manuale delle Forze Armate statunitensi, per regole d’ingaggio (ROE - Rules Of Engagement) possono intendersi quelle “directives issued by competent military authority which delineate the circumstances and the limitations under which (f )orces will initiate and/or continue combat engagement with other forces encountered(2)”. Le stesse, “provided by the National Command Authority”, sono inoltrate “through the Joint Chiefs of Staff (JCS) to subordinate headquarters and deployed forces both during armed conflict and in periods of crisis short of war(3)”.

“Adottate in relazione ad uno specifico conflitto armato”, le regole d’ingaggio “hanno come contenuto le direttive governative circa l’impiego della violenza bellica. […] Possono mutare ma devono essere fondate sulle norme di diritto bellico(4)”. Mentre infatti queste ultime “remain static, […] ROE, which comprise military, legal and political objectives(5)”, “can shift and adapt to changing circumstances during conflict, thus politically altering what is militarily necessary”, e così “IHL(6) compliance becomes positively affected by a state’s military ROE(7)”. In conclusione, le regole d’ingaggio possono definirsi come “directives that a government may establish to define the circumstances and limitations, including targeting limitations, under which its forces will initiate and continue responsive actions to eliminate the threat posed by an attack. That response might include the complete or partial destruction, through technical or other means, of the critical communications or information infrastructure of an adversary, where proportional to the threat(8)”.

Dalle sintetiche affermazioni rese, si evincono già alcune caratteristiche fondamentali del valore giuridico, della formazione e dell’applicabilità delle regole d’ingaggio. Avendo il valore di direttive, e di vis giuridica regolamentare, esse promanano direttamente dal livello politico-militare(9). Come tali, le ROE sono subordinate alle fonti normative superiori, ovvero, guardando al diritto interno, alle leggi e agli atti aventi forza di legge, alla Costituzione e ai supremi principi costituzionali. Poiché quindi il diritto bellico viene per lo più codificato in norme patti-zie internazionali, alle quali lo Stato dà attuazione a mezzo di singoli provvedimenti di legge(10), ciò dovrebbe assicurare la stretta rispondenza delle ROE al diritto nazionale e internazionale. La prassi italiana vede sovente le regole d’ingaggio presentate direttamente al Parlamento per una preventiva approvazione(11), assieme al mandato della missione da compiersi e alla legge che assicura la copertura economica e finanziaria. Una simile prassi dovrebbe indicare esclusivamente la volontà del Governo di conferire piena legittimità all’azione militare, rimettendo al vaglio del legislatore, oltre allo stanziamento finanziario, anche la possibilità per le Forze Armate di poter utilizzare la forza all’interno di un quadro normativo più certo, quand’anche ciò costituisce, in pratica, “l’unico strumento per autorizzare l’uso della forza in tempo di pace e in situazioni di crisi(12)”.

La formazione delle regole in parola non può così che prendere le mosse dal più alto livello della catena gerarchica, ovvero quello politico-militare, per scendere immediatamente, attraverso il livello strategico e operativo, a quello tattico(13) e, infine, al militare sul terreno. Parte della dottrina lamenta la scarsa possibilità, per il soldato sul terreno, di comprendere appieno la portata e il valore delle ROE, una volta che le stesse siano definite alla stregua di direttive per i Comandi. Tale dottrina definisce più opportunamente le ROE “del soldato” come “commander’s standard for the use of force(14)”, ovvero “lo strumento attraverso il quale i comandanti militari controllano l’uso della forza da parte delle unità dipendenti(15)”, facendo dunque riferimento solamente all’ultimo anello della scala gerarchica, in diretta corrispondenza degli uomini sul terreno(16). Risalire la scala gerarchica nel senso inverso può risultare più complesso, ma proficuo e funzionale, nel caso in cui, per un Comandante sul terreno si renda inevitabile, onde garantire l’incolumità del proprio personale e la salvaguardia dei mezzi assegnatigli, modificare la possibilità d’ingaggio dell’avversario, ovvero ridurre tale possibilità, per le più favorevoli condizioni ambientali e generali di sicurezza. Anche in una simile situazione, il Comandante della forza sul terreno(17) dovrà sensibilizzare il comando operativo(18), che elaborerà una proposta da porre al vaglio del successivo livello strategico e politico(19).

Nel concreto, al concepimento della bozza da presentare al Comando superiore concorreranno diverse cellule del Comando della CJTF(20) (Combined Joint Task Force, se missione multinazionale e interforze, altrimenti JTF o semplicemente TF), in ragione dei simultanei diversi effetti che una variazione delle regole d’ingaggio comporta. In particolare, saranno le cellule (C)J3 e (C)J2, rispettivamente dedicate alle operazioni e all’intelligence, a delineare materialmente le regole, di concerto con i legal e political advisors (LEGAD - POLAD)(21), costoro dipendenti direttamente dal Comando. Il livello operativo si frappone così tra i comandi sul terreno, portatori più da vicino delle esigenze di sicurezza del personale, e il livello strategico-politico, titolare del potere di indirizzo politico generale e più incline alla considerazione dell’intero quadro delle relazioni internazionali e delle conseguenze che potrebbero avere le modifiche in parola su quest’ultime. Le ROE non possono infatti prescindere da un Indicatore di Indirizzo Politico (I.I.P.)(22), ovvero una sintetica proposizione, integrata da una guida descrittiva, che consenta ai Comandi di interpretare adeguatamente gli intenti del vertice politico sugli sviluppi della situazione(23). Altro sensibile riferimento per la richiesta delle nuove ROE, di più immediato rimando, data anche la diffusione mediatica che solitamente lo caratterizza, è la missione, ovvero, in maniera sibillina, “il compito primario che viene assegnato ad un individuo, unità, o forza, contenente elementi utili all’identificazione del chi, cosa, quando e dove, delle ragioni dell’intervento, senza specificare il come tale intervento sarà condotto(24)”. La missione infatti può cambiare nel corso dell’azione, rimanendo tuttavia nell’alveo del mandato ricevuto, risultando, nel caso contrario, una mission creep, ovvero una deriva del mandato originario attuata senza la preventiva approvazione dall’autorità politica di vertice(25). Le ROE possono applicarsi nel corso di un’ampia panoplia di missioni, ricomprendendo lo stato di guerra e di pace, ovvero condizioni intermedie, chiamate MOOTW(26) (Military Operations Other Than War).

Le MOOTW possono includere Crisis Response Operations (CROs)(27), Peacekeeping e Peace Support Operations (PKO e PSO)(28), operazioni umanitarie, Non-combatants Evacuation Operations (NEO) ecc. Nel corso di operazioni di guerra vere e proprie, le regole d’ingaggio saranno le più ampie, riconducendo le limitazioni imposte entro l’alveo del diritto dei conflitti armati, o facendo riferimento alla prevenzione di possibili estensioni territoriali o alla recrudescenza delle ostilità. In ogni caso, grande influsso sulla compilazione delle ROE avrà la c.d. politicizzazione del conflitto, ovvero il condizionamento delle Autorità politiche nella scelta e nelle modalità di condotta delle ostilità. Scelte politiche di alto livello vincoleranno lo svolgersi delle operazioni e, inevitabilmente, costituiranno un passaggio obbligato per la stesura e l’eventuale modifica delle ROE(29). Notoriamente, le ingerenze della politica negli affari militari vengono spesso criticate(30); ciononostante, è stato provato come vi siano state meno vittime civili in presenza di regole di condotta delle operazioni politicizzate(31). In tempo di pace, come già ravvisato poc’anzi, le ROE realizzano l’unica possibilità per le FF.AA. dell’uso della forza manu militari in situazioni limite, in cui l’uso della forza viene autorizzato a garanzia dell’incolumità del personale, ma anche a salvaguardia della sovranità e territorialità del Paese(32). Un esempio è fornito dalla possibilità di intercettazione di aeromobili civili dirottati(33), oppure al boarding di cargo sospetti in acque nazionali o di Paesi alleati(34).

Sono comunque le MOOTW ad attrarre maggiormente l’attenzione della dottrina sul fenomeno ROE, si voglia per la costante prassi adottata dai Governi di non nominare mai il termine guerra nel caso di operazioni militari intraprese(35), si voglia per l’estrema varietà e flessibilità delle possibili risposte ad una panoramica di minacce che non comprende più principalmente l’even-tualità di un attacco armato sferrato in forma tradizionale. Poiché le MOOTW costituiscono per definizione operazioni di guerra a bassa intensità, esse non includeranno combattimenti su larga scala e, di conseguenza, le ROE risulteranno normalmente più restrittive di quelle adottate in situazioni di guerra vera e propria(36). niDel resto, analogie tra situazioni di peacetime e situazioni di crisi, possono condurre all’utilizzo di regole d’ingaggio derivate dal diritto comune. Come infatti il diritto penale comune(37) garantisce l’utilizzo ragionevole della forza per scongiurare una seria lesione fisica o un pericolo grave per la vita, anche le ROE fanno riferimento a tale uso ragionevole della forza per sottrarsi ad una minaccia(38). Le regole d’ingaggio nelle MOOTW seguiranno due concetti base: autodifesa e limitazio-(39). Mentre il diritto naturale all’autodifesa non può essere comunque limitato dalle ROE(40), costituendo un principio desumibile dal diritto consuetudinario, molte sono le limitazioni di natura politica, giuridica e ambientale accolte. In generale, ogni restrizione viene adottata sulla base del mandato e delle condizioni di sicurezza sul terreno, per cui appare difficoltoso e scientificamente di scarso rilievo ricomprenderle in un unicum suscettibile di un’applicabilità generale.

Più utile sembra un’analisi induttiva del fenomeno ROE nelle MOOTW, attraverso un rapido esame di alcune recenti operazioni appartenenti a tale categoria(41). L’UNEF, la Forza d’interposizione ONU schierata in Medio Oriente dal 1956 al 1967, a cavallo tra le due guerre Arabo-Israeliane, costituisce il primo esempio di operazione di pace armata delle Nazioni Unite. L’Operations Instruction n. 10, emanata dal Comando della Missione (riguardante la possibilità di incursioni nella zona controllata dalle truppe ONU), prevedeva la possibilità di aprire il fuoco solo per autoprotezione, oltre all’uso di colpi d’avvertimento durante le ore notturne e previo avvertimento(42). La stessa tipologia di limitazioni si riscontrò per l’ONUC (United Nations Operation in the Congo, 1960-1964) e per l’UNFICYP (United Nations Force in Cyprus, 1964 - oggi), con un ulteriore ampliamento delle possibilità d’ingaggio, non più solo limitate all’autoprotezione, ma estese ai casi in cui Forze ostili avessero minacciato seriamente le Forze ONU e le avessero spinte al ritiro dalle proprie posizioni(43). Risulta evidente peraltro il cambiamento di prospettiva, non più limitata alla preservazione dell’incolumità del personale, ma rivolta alla difesa del mandato della missione. Durante la Guerra del Vietnam, l’uso di regole d’ingaggio eccessivamente restrittive per la condotta dei bombardamenti aerei, a causa del pericolo, paventato dal Presidente USA Johnson, d’un intervento cinese o sovietico nel conflitto, ha portato, secondo la dottrina dominante, ad una condotta delle operazioni inefficace per lo sforzo bellico e pericolosa per il personale impiegato(44).

Simili limitazioni riflettevano una predominante finalità politica attraverso un’applicazione graduale del military power per un periodo di tempo indefinito, con restrizioni di carattere geografico, ovvero relative all’utilizzo di alcuni mezzi o metodi di combattimento, o alla selezione di determinati bersagli(45), tanto che, al termine del conflitto, anche il dibattito politico interno americano discuteva della revisione delle ROE utilizzate(46). Anche nella successiva operazione Just Cause (Panama, 1989), regole d’in-gaggio estremamente limitative sembrano essere state alla base di perdite statunitensi tra le special forces(47). L’UNPROFOR(48) in Croazia (United Nations Protection Force, 1992 -1995) adottava ROE che autorizzavano l’uso della forza normalmente solo in autodifesa, ma che, come nel caso della precedente Missione in Congo, risultava estesa anche alla protezione delle safe areas istituite dall’ONU(49). L’uso minimo della forza era consentito al fine di disarmare le Forze ostili che tentassero di infiltrarsi nelle aree protette, o che comunque commettessero atti o intenti ostili. Questi venivano definiti come azioni “appear(ing) to be preparatory to an aggressive action(50)”. In Somalia le ROE sono rimaste complessivamente le stesse per tutta la durata delle operazioni.

Ciò che è mutato è stata infatti la minaccia rivolta alle Forze sul terreno. Ciò ha imposto un cambiamento dell’applicazione delle regole, le quali rimanevano sì costanti, ma riguardavano un numero maggiore di obiettivi che potevano essere battuti any time(51). Le stesse includevano anche l’utilizzo di armi non letali, ammesse però nei casi in cui risultava ammesso anche l’uso letale della forza, significando quindi che la scelta tra i due mezzi di combattimento veniva effettuata esclusivamente in relazione all’obiettivo da perseguire, non guardando necessariamente ai pericoli di una escalation del conflitto(52). Del resto, operazioni di vero e proprio combattimento si sono verificate per tutta la durata della missione, secondo regole d’ingaggio proprie di situazioni di guerra(53). Un esempio dell’escalation della possibilità dell’uso della forza per le Forze ONU in Somalia può ricercarsi nella sostituzione, nelle regole d’ingaggio adot-tate(54), del termine “uso della forza”, con “uso della forza mortale”, anche sulla base di una semplice, ma chiara, dimostrazione di intento ostile, definito come la minaccia di un uso imminente della forza(55). Nella Missione Support Hope(56) in Ruanda, l’utilizzo di ROE puramente difensive rifletteva il carattere di operazione di assistenza umanitaria, con mandato esplicitamente enunciato(57). L’intervento americano ad Haiti si è distinto, al contrario, per l’utilizzo di ROE autorizzanti l’uso della forza anche preventiva rispetto alla minaccia paventata. In tale contesto, le Forze statunitensi, incaricate anche di compiti di polizia e di ordine pubblico, non avevano esitato ad aprire il fuoco, una volta percepita una minaccia imminente e concreta, anche costituita da un gruppo di poliziotti armati allo sbando(58), ovvero da singoli individui sorpresi a commettere serious crimes(59). La Missione italiana Alba (Albania, 1997) ha visto l’utilizzo di regole d’ingaggio abbastanza restrittive, con la previsione di un uso minimo della forza per il conseguimento dell’obiettivo, e comunque solamente a seguito di un preventivo avvertimento alle Forze ostili, anche a protezione di civili da atti criminosi(60).

Al contrario dell’intervento ad Haiti, la missione di preventive diplomacy in Macedonia non ha comportato l’utilizzo di ROE permissive. In tale contesto, l’end state dell’operazione si riferiva al contenimento delle ostilità al livello più basso possibile(61). Pertanto anche le regole d’ingaggio dovevano comportare un utilizzo della forza limitato alle sole effettive situazioni di grave pericolo. La guerra del Kosovo ha segnato probabilmente il punto di svolta decisivo nell’impiego delle ROE nelle MOOTW. Con l’introduzione del NATO New Strategic Concept(62), elaborato in costanza delle operazioni e allargato ad una tipologia di operazioni non più puramente difensive(63), s’imponeva un cambiamento nelle regole d’ingaggio dell’Alleanza, destinata ad essere impegnata secondo schemi differenti dall’uso della forza in situazioni di guerra in difesa collettiva dei Paesi del Trattato Nord Atlantico. Nasceva così l’MC 362(64), il catalogo base di ROE della NATO(65). In conseguenza di tale introduzione, durante l’operazione Allied Force sul Kosovo, nella fase finale dell’intervento aereo, gli aerei NATO sono stati autorizzati all’ingaggio di bersagli dual-use(66), con l’obiettivo di alterare il morale della società jugoslava per incidere sul supporto alla leadership al potere(67). Le stesse ROE utilizzate nel corso dei bombardamenti autorizzavano i velivoli all’ingaggio di bersagli anche da notevoli altitudini, con l’evidente finalità di sicurezza per gli equipaggi e gli aeromobili: il che è stato alla base di errori nella distruzione di obiettivi, rivelatisi, in seguito, civili(68).

Nel periodo di postconflict, fonti militari hanno assicurato l’esistenza di regole d’ingaggio comuni per tutte le Forze KFOR (Kosovo Force, ovvero la Forza NATO in Kosovo). Esse prevedrebbero l’uso graduale della forza per disperdere la folla durante le sommosse, mediante warning shots, lacrimogeni e proiettili in gomma(69). Risulta ancora controverso quale sia stata la tipologia delle regole d’ingag-gio utilizzate in Afghanistan(70). Si presume che, esendo stato attivato - per la Massione ISAF(71) - un comando NATO, almeno in costanza di tale operazione (distinta dalla più grande Enduring Freedom(72), di Comando unicamente statunitense) venga utilizzata l’MC 362, probabilmente con opportune variazioni tra le nazioni partecipanti, ad esempio, in ordine al concetto di autodifesa utilizzata. Difatti, proprio l’MC 362 riporta come “because national laws differ, there will not always be consistency between the nations as to where the right to use force in self-defence and extended self-defence ends and the use of force authorised by ROE begins(73)”. Nuove regole d’ingaggio sembrano altresì essere state emanate per il SOCom, il Comando USA per le Forze Speciali nel compimento di special operations in Afganistan(74).

In Enduring Freedom, l’altra delle missioni in corso in Afghanistan, “è da presumersi che siano state adottate […] ROE comuni di livello minimo, nel senso che sia stata mantenuta la possibilità per le Unità partecipanti di applicare proprie ROE nazionali. Anche perché è ipotizzabile che non sia stato raggiunto un consenso (proprio) sull’eventuale esecuzione di attività coercitive, vista l’assenza di risoluzioni ONU autorizzanti l’uso della forza e la conseguente incertezza sui presupposti legali dell’operazione(75)”. Difatti, volendo riferirci all’attività di LIO, (Leaders Interception Operations), ovvero di incursioni volte alla cattura di esponenti di spicco delle Forze ostili, anche queste sembrano essere condotte in modo differente(76). Nello specifico, “sono ben conosciute […] le riserve ufficialmente manifestate da parte della Francia sulla liceità di attività militari di enforcement basate sul principio della legittima difesa preventiva(77)”. All’opposto, la Spagna, nel dicembre 2002, aveva inviato una propria Unità Navale ad abbordare coattivamente nel Golfo di Aden un mercantile battente bandiera nord-coreana che trasportava missili Scud per lo Yemen, salvo procedere al rilascio del cargo il giorno successivo(78). Inoltre, nel corso di operazioni di LIO, Gran Bretagna e Germania hanno avanzato riserve sulle procedure di consegna alle Autorità Militari Americane di soggetti sospettati di attività terroristiche. Tali riserve attenevano, in particolare, al fatto che detti soggetti, una volta consegnati, non sarebbero stati posti sotto la tutela di Autorità giudiziarie ordinarie, ma di commissioni militari, senza alcuna garanzia di difesa per gli accusati(79), in violazione “della Convenzione Europea sui Diritti Umani, che proibisce l’estradizione di persone sospette in mancanza dei necessari standards of justice (80)”.

Per quanto riguarda le Forze Armate italiane, esse sembrano non poter giungere alla cattura degli elementi sospetti identificati, trasferendo il personale catturato alle Forze statunitensi. “Il motivo di questa limitazione all’azione dei nostri militari non è da imputare a pretese statunitensi di esclusiva nell’arresto dei terroristi né tanto meno a scarsa fiducia nei confronti delle Forze Armate italiane, ma risiede nelle regole d’ingaggio concordate dall’Italia con gli Stati Uniti ed è quindi di carattere politico poiché il gruppo navale dislocato nel Mare Arabico, pur se posto sotto il controllo operativo del Central Command statunitense(81), rimane a comando nazionale(82)”. Tale procedura consentirebbe di aggirare i vincoli garantistici imposti dalla Convenzione Europea sui Diritti Umani. Per ciò che concerne l’analisi delle operazioni susseguitesi in Iraq nel corso degli ultimi tredici anni, occorre una sostanziale partizione dottrinale e perciò giuridica. Le Forze della coalizione di mandato ONU, nel corso dell’intervento in Iraq del 1991 (operazioni Desert Shield e Desert Storm), impiegavano regole d’ingaggio estremamente permissive, che autorizzavano “to seek and destroy targets connected with Iraq’s war effort within the area of operations(83)”, anche se, concretamente, le stesse imponevano limitazioni che riflettevano considerazioni di natura politica e operativa, specialmente riguardo alla minimizzazione dei danni collaterali, ad esempio, in situazioni dove obiettivi militari legittimi venivano posti in prossimità di obiettivi civili(84). A tale proposito, si riporta come il 25% circa delle sortite durante la campagna aerea si siano concluse senza che gli aeromobili avessero sganciato i propri ordigni sui bersagli(85). La guerra del marzo 2003 ha visto una successiva, sensibile dilatazione delle regole d’ingaggio utilizzate dalle Forze anglo-americane nel conflitto; dilatazione che ha raggiunto i confini del diritto dei conflitti armati. Una volta conclusisi “le ostilità maggiori(86)”, le ROE sono rimaste inizialmente inalterate, per cui, ad esempio, chiunque fosse stato trovato in possesso di un’arma sarebbe stato arrestato e trattato da prigioniero di guerra(87).

Successivamente, durante la fase di postconflict, a mutare sono state le procedure di targeting, ovvero quelle regole inerenti alla scoperta e all’acquisizione dei bersagli per rallentare, disgregare, distruggere o sconfiggere le Forze nemiche (88), adottate e mutate in relazione alla situazione di sicurezza e ambientale. Una pubblicazione dello Stato Maggiore della Difesa Italiano riporta come le regole d’ingaggio utilizzate in Iraq dalle Forze italiane siano “comuni e concordate con tutti i contingenti della coalizione, realizzate sulla base del catalogo delle ROE NATO […] applicabili a tutte le Forze impiegate (terrestri, navali, aeree e Carabinieri)”. Tali regole sarebbero “basate sul concetto dell’uso della forza minima, necessaria e proporzionale all’offesa(89)”. A parte quanto riportato nel documento in questione, gli eventi occorsi hanno mostrato come, nella realtà dei fatti, le regole d’ingaggio utilizzate dai diversi contingenti in campo siano state diverse(90). Ad esempio, a seguito degli attacchi ai check point americani, la possibilità per i militari USA di aprire il fuoco su veicoli rappresentanti una minaccia si è notevolmente ampliata(91). Del resto, i militari del contingente australiano, alla fine di giugno 2003 (a quasi 2 mesi dalla fine delle ostilità vere e proprie), utilizzavano ancora regole d’ingaggio “war-like(92)”. Così, le ROE utilizzate dal contingente inglese nella fase di postconflict, per quanto possibile conoscere al momento in cui si scrive, sembrano essere peraltro permissive nell’uso della forza, anche se “minima”, nel mantenimento dell’ordine pubblico(93).

Nel corso della rivolta di Nassiriya dell’aprile e del maggio 2003, i militari del contingente italiano hanno risposto agli attacchi dei ribelli iracheni utilizzando anche l’armamento pesante, costituito dalle bocche da fuoco da 105 mm. delle autoblindo Centauro, missili anticarro filoguidati e razzi anticarro a corto raggio, in risposta ad attacchi condotti con razzi anticarro e armi leggere(94). Nonostante le Forze italiane non abbiano aperto il fuoco contro le milizie armate quando queste si facevano scudo di civili disarmati, la lunghezza degli scontri e il tipo di armamenti utilizzati suggerisce la possibilità dell’impiego di mezzi di combattimento war-like(95). Così, quand’anche il tipo di minaccia suggerisse una risposta con armi pesanti e le regole d’ingaggio (rimaste immutate per tutta la durata della missione(96)) lo consentissero, le truppe italiane si sono astenute dal farne uso per la presenza di civili nelle vicinanze degli obiettivi(97). Sulla vicenda, peraltro, l’inchiesta subito aperta dalla Procura Militare di Roma è stata archiviata senza ulteriori conseguenze per i militari impegnati negli scontri a fuoco(98). In concreto, ciò che consentirebbe un uso legittimo di ROE più permissive sarebbe l’impiego delle regole proprie dei conflitti armati e, quindi, della guerra (nella sua accezione più generale), in operazioni dal mandato diverso. Dall’esito dell’analisi dei casi illustrati risulterà sufficientemente chiaro come manchi un’uniforme interpretazione del ricorso all’uso della forza.

Nello specifico, un eccessivo frazionamento dottrinale-operativo tra le varie componenti di una Forza multinazionale in missione comporterà delle profonde lacune, conservando peraltro un riferimento ad una base comune che diviene altresì puramente verbale, rimanendo condiviso esclusivamente il ricorso all’autodifesa, quand’anche i Paesi componenti tali Forze mantengano spesso (si guardi agli Stati Uniti rispetto ai Paesi europei), un’idea della legittima difesa assai difforme. Dall’esame dei casi riportati, emergono due fattori chiave che riguardano l’applicabilità delle ROE ad una data missione o situazione: la minaccia e lo stato di necessità. Questo secondo criterio riguarda più generalmente, nel diritto dei conflitti armati: a) un criterio generale per l’impiego della violenza bellica; b) un limite all’applicazione del diritto bellico; c) un principio fondamentale nell’esercizio della legittima difesa(99). Tutte e tre le accezioni riportate ineriscono, mutatis mutandis, all’applicabilità delle regole d’ingaggio. Infatti: 1) in caso di operazioni di guerra, il principio di necessità militare varrà come obbligo per il belligerante di impiegare solo la qualità e la quantità di forza necessaria per sconfiggere il nemico(100); 2) nel caso di MOOTW, il principio di necessità militare può essere invocato come causa di giustificazione di un’azione altrimenti proibita, ma solo quando sia così previsto da una norma di diritto bellico(101); 3) in situazioni di pace, il principio di necessità militare assurge al rango di causa di giustificazione militare (art. 44 c.p.m.p.) nei confronti di militare che, in alcuni casi tassativamente indicati, abbia compiuto un fatto costituente reato, come ad es. nel caso di una rivolta(102). L’uso delle regole d’ingaggio nelle MOOTW farà senz’altro riferimento alla sussistenza della minaccia, che possiamo assumere come un dato evento materiale capace di mettere a repentaglio l’incolumità del personale o dei mezzi delle Forze in campo. Essendo la minaccia, per sua stessa accezione, una situazione di pericolo che in se stessa mantiene un margine di incertezza sulla verificabilità dell’evento dannoso, essa non coinciderà con quest’ultimo, ma si risolverà in una probabilità, futuribile ma concreta, dell’accadimento materiale nocivo. Tale minaccia, pertanto, coinciderà con l’ostilità manifestata nei confronti della Forza, e si risolverà in un intento, o in un atto ostile. In simili casi, le ROE avranno modo di esistere nella loro veste di norma giuridica, capace di attribuire alle Forze il diritto/dovere di attivarsi per sedare la minaccia nel momento stesso in cui essa si forma.

In tale contesto, assumiamo per intento ostile un atteggiamento probabile e identificabile, supportato da elementi concreti, che prospetti la capacità alla prontezza ad arrecare un danno da parte di singoli, gruppi o unità; mentre parleremo generalmente di atto ostile nel caso del compimento di azioni contro la sicurezza delle Forze, volte a limitare o impedire l’assolvimento della missione. Dunque, al fine di definire concretamente tali concetti, inevitabilmente dovremo far riferimento al principio cardine della sicurezza delle Forze, ovvero, nello specifico, al quando e come le Forze si sentano minacciate: minaccia che non abbia a sconfinare nell’attacco vero e proprio, altrimenti configurandosi un altro diritto/dovere: l’autodifesa, individuale o collettiva. Definendo quest’ulti-ma, sarà così possibile circoscrivere, a contrario, l’area di applicabilità delle regole d’ingaggio.


3. Diritto all’autodifesa


“…il terrorismo, le crisi, non le si possono combattere solo con lo strumento militare. Lo sviluppo economico, lo sviluppo sociale, quello politico sono fattori essenziali per creare condizioni di sicurezza che non costringano a un uso continuo dello strumento militare. La forza non può essere l’unica risposta ai problemi del mondo”.

Amm. Giampaolo Di Paola(*)

a. Diritto classico

Possiamo assumere il concetto di autodifesa in senso classico, come l’azione, dettata dalla necessità, rivolta alla difesa di un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa(103). Essa costituisce una causa di giustificazione che non solo assolve il soggetto autore delle conseguenze dell’illecito, ma più efficacemente costituisce un diritto fondamentale del singolo, che, nel mondo militare, assurge al rango di dovere, ovvero di obbligo giuridico sanzionato(104). neIn altre parole, è dovere del militare difendere se stesso, la propria unità, o la propria posizione, da un attacco sferrato da Forze ostili che mettesse in pericolo la vita o anche solo attentasse all’incolumità delle proprie Forze o dei mezzi in dotazione (105). Assieme, nel concetto classico di autodifesa va sicuramente inserita la norma di cui all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite(106), unica deroga esplicita al principio di divieto generale di uso della forza nelle relazioni internazionali, stabilito dall’art. 2(4) della stessa Carta(107). Per poter definire opportunamente il concetto di autodifesa, occorre peraltro comprendere appieno l’estensione concettuale che gli Stati le conferiscono.

A tal fine, dovremo fare riferimento alla nozione di attacco, ovvero dovremo stabilire se, per agire in autodifesa, occorra attendere una concretizzazione della minaccia in un attacco vero e proprio, oppure agire prima che questo si verifichi materialmente. In questo secondo caso, alle ROE rimarrebbe uno spazio applicativo più limitato, tanto più esiguo quanto più estesa risulti la possibilità di far ricorso all’autodifesa. Questa infatti presuppone l’esistenza di un attacco al quale si risponde immediatamente e proporzionalmente. Come anche nel caso delle regole d’ingaggio, tale azione in autodifesa dovrà essere necessaria, cioè utile (e si badi bene che non si fa riferimento al concetto di evitabilità dello scontro(108)) e limitata alla cessazione dell’attacco. Così, mentre nel caso in cui un attacco sia stato portato a termine non v’è dubbio alcuno che lo stesso faccia sorgere in capo agli attaccati il diritto/dovere all’autodifesa, quid nel caso in cui si consideri la possibilità di agire preventivamente ad esso, per evitare le conseguenze nefaste del first strike? b. Sviluppi:preemption e prevention Tra le teorie difensive anticipatorie, la dottrina ha elaborato due diverse fattispecie suscettibili di applicazione. La preempzione (preemption), ovvero la possibilità di una risposta militare immediata nei confronti di minacce non ancora concretizzatesi, ma futuribili in base ad analisi obiettive, poggia sull’assunto che le attuali strategie di prevenzione dei conflitti, basate sulla dissuasione, possano non essere adeguate nei confronti di pericoli quali quelli posti da organizzazioni terroristiche supportate da Stati nazionali, dotate di armi di distruzione di massa (WMD - Weapons of Mass Destruction). Si differenzia dalla prevenzione pura (prevention) per l’arco temporale di sviluppo della minaccia, che nella preemption si assume come limitato, assumendo invece, nella prevention, dimensioni più ampie e non definite(109). La teoria preventiva quindi prescinde da una concretizzazione vera e propria del pericolo, ma opera nel momento in cui tale pericolo non si sia ancora realizzato, prima che il possibile avversario rappresenti veramente un rischio per la propria sicurezza. La diffusione di WMD, nella logica anticipatoria, non consentirebbe l’applicazione del principio classico dell’autodifesa, in quanto, una volta utilizzati per primi, tali armamenti indebolirebbero l’avversario al punto da renderlo impossibilitato alla risposta(110).

La dottrina in materia(111) precisa che, affinché di autodifesa preventiva possa parlarsi, debbono comunque essere rispettati i principi di necessità, proporzionalità e imminenza, come risultato dell’applicazione del diritto consuetudinario, che, dal caso Caroline(112) in poi, preserverebbe il diritto di difesa naturale(113) in senso preventivo, sopravvissuto all’avvento della Carta delle (114) Imminenza, e non quindi immediatezza, come nel caso dell’autodifesa intesa in senso classico, proprio perché l’attacco che dà origine alla successiva risposta è qui ancora una mera eventualità. Parte della citata dottrina, onde affermare una deviazione dai suddetti principi, ha provato a rileggerne il contenuto alla luce delle nuove minacce e delle nuove tecnologie, nel particolare rappresentate da un terrorismo transnazionale, pronto a colpire l’Occidente con armi di distruzione di massa(115). In tale contesto, è la National Security Strategy americana (NSS)(116) a spiegare come il dato della necessità sembri aver perso di importanza, dal momento che “the greater the threat, the greater is the risk of inaction - and the more compelling the case for taking anticipatory action to defend ourselves, even if uncertainty remains as to the time and place of the enemy’s attack(117)”. Con essa sembra venir meno anche il principio dell’imminenza, in quanto “(it) must adapt the concept of imminent threat to the capabilities and objectives of today’s adversaries(118)”. A questo punto si cancellerebbe anche l’ultimo dei requisiti, quello della proporzionalità, in quanto l’attacco verrebbe lanciato sulla base di un giudizio di paragone che riguarda un atto meramente ipotetico, non fisicamente realizzatosi, né che presumibilmente si realizzerà nel prossimo futuro(119). Quali potrebbero essere allora i criteri da ricercarsi nell’utilizzo di attacchi preventivi da assumersi come legittimi? Alcuni pensano al mero possesso unito ad una forma statuale autoritaria(120), altri alla dimostrazione di atteggiamenti aggressivi o ostili(121) da parte di uno Stato nei confronti di un altro, altri alla connessione con organizzazioni terroristiche internazionali(122). Alcuni autori sostengono invece una teoria più realisticopragmatica, secondo cui l’utilizzo dell’attacco preventivo viene rapportato alla propria praticabilità effettiva(123), passando così dall’utilizzo di un criterio di valutazione giuridico ad uno più propriamente strategico, e pertanto evadendo da un’analisi giuridica e da un giudizio di legittimità in senso pieno. c. Una nuova teoria? Non volendo entrare nel merito delle teorie e delle obiezioni mosse generalmente dalla dottrina giuridica al concetto di legittima difesa preventiva, occorre tuttavia soffermarci su due particolari di rilievo: l’uno che riguarda l’im-minenza della minaccia, l’altro la sua effettività. Per entrambi, l’interrogativo verte sul soggetto autore della valutazione. Chi, in buona sostanza, decide sulla prossimità o sull’effettivo pericolo? Il Comando, le Autorità militari Superiori, l’Autorità politica, ovvero un organo statuale (ma anche internazionale: si pensi in tal caso alle Forze NATO o europee) dotato di potestà decisionale. Ma secondo quali disposizioni, se non quelle impartite dal diritto, dal mandato, dalle ROE? E allora, come si potrà stabilire una regola uniforme di condotta che da principio sottragga l’uso della forza al libero arbitrio individuale, tale così da definire, a contrario, spazi applicativi definiti per le regole d’ingaggio? Considerata inoltre la dilatazione temporale indefinita propria della dottrina dell’attacco preventivo, rispetto alla preemption, una teoria che non tenesse in considerazione i principi di necessità, proporzionalità, e, soprattutto, imminenza(124), finirebbe per risultare del tutto vaga. Al contrario, tra i fautori di una simile teoria, si afferma come “il giuri-sta che invece ammettesse la possibilità del ricorso alla legittima difesa preventiva in certe circostanze e secondo certe modalità […] offr(irebbe) una via d’uscita al dilemma tra legalità paralizzata e anarchia hobbesiana(125)”. Ma davvero dovremmo concludere che l’unica alternativa ad un utilizzo anarchico della forza risieda nel ripristino dell’attacco preventivo, rifiutando i concetti di deterrenza e non-proliferazione, in favore di interventi portati a termine senza una minaccia imminente, utilizzando così una strategia di con-tro-proliferazione(126)? In risposta a tale quesito, alcuni autori tendono a ridurre drasticamente l’efficacia di simili azioni anticipatorie, evidenziando come esse diminuiscano il ruolo della cooperazione diplomatica e della non-proliferazione, perfino indebolendo l’effettività della lotta al fenomeno terroristico e alla stessa proliferazione delle WMD(127).

Infatti, né queste azioni servirebbero a prevenire l’utilizzo delle WMD nel possibile conflitto che presumibilmente si scatenerebbe dopo il first strike, né potrebbero impedire definitivamente lo sviluppodi simili armamenti siti in zone l’attacco(128) alle quali è sconsigliabile per ragioni strategiche. Volendo attualizzare la questione, si immagini che per disarmarecoattivamente l’Iraq di Saddam Hussein si fosse giunti all’utilizzo delle WMD da parte irachena e alla successiva rappresaglia nucleare tattica statunitense:qualcuno avrebbe potuto dire “il mondo ora è un posto più sicuro”? Qualcuno avrebbe potuto accettare il successivo fall out nucleare e chimico e il numero elevatissimo di perdite da parte di entrambi gli schieramenti (oltre che tra la popolazione civile) come un tollerabile effetto collaterale dello scampato pericolo che un giorno forse le stesse armi sarebbero potute esplodere nel centro di una grande città occidentale? La breve esposizione porta a concludere che i tradizionali requisiti per il ricorso all’autodifesa preventiva non possono considerarsisoddisfatti. A questo punto non emerge neanche una lettura unanime del ricorso a questo strumento anticipatorio nella sua visione classica, in quanto anche coloro che difendono l’intervento armato lamentano lacune vistose nel-l’applicabilità dei principi che ne governerebbero l’utilizzo.Le ragioni strategiche sottese all’utilizzo della teoria preventiva inducono a pensare che la stessa possa essere paradossalmente impiegata con successo nella lotta alle nuove minacce emergenti solamente nei confronti di Forze che non rappresentino un effettivo pericolo al momento dell’attacco, ovvero che ancora non siano giunte ad una fase di sviluppo degli armamenti impiegabili in rispostaall’attacco stesso. Ergo, la teoria della guerra preventiva rimane confinata in un ambito puramente ideologico e dottrinale: una teoria allo stato teorico, non suscettibile di alcuna applicazione concreta. Per quanto sopra, si ritiene corretto e finanche più opportuno, sotto il profilostrettamente militare, attenersi ad una teoria dell’autodifesa in senso classico,evitando di sconfinare in ambiti teorici e scarsamente applicativi che, per assurdo, potrebbero penalizzare irreparabilmente le truppe sul campo, invece di scongiurare nuove minacce.


4. Conclusioni: nuove regole? Riflessioni e suggerimenti


“Il giusto altro non è che l’utile del più forte”
 Trasimaco(*)

“Officials failed to realize that a war designed to extinguish an inferno actually encouraged other arsonists to light their own fires”
Thomas Schmid(**)

L’esperienza odierna induce a ritenere che un utilizzo estremamente razionale della forza sul campo sia il migliore deterrente per scongiurare l’inasprimento del conflitto e la degenerazione delle condizioni di sicurezza.
Da un lato, la storia delle regole d’ingaggio non è altro che la risposta ad un uso della coazione limitato, nella maggior parte dei casi, da fattori extragiuridici, che per lo più attengono ad una legittimità più percepita che imposta dalle strette maglie del diritto. In tale contesto, la mutata sensibilità sociale guida un utilizzo della forza quanto più racchiuso negli stretti ambiti della necessità militare e della proporzionalità. Dall’altro, le regole d’ingaggio rappresentano l’esito (mutevole) di un iter storico, prima che giuridico, dell’uso controllato della vis militare, che conosce in tristi eventi bellici gli archetipi documentati del proprio essere. Proprio la dimensione reale e storica dovrebbe mettere in allarme quanti non credono alle restrizioni in parola e ritengono il dibattito sull’impiego della forza sterile e inammissibile. Al contrario, dall’esito dello studio condotto, emerge come “un eventuale abuso o utilizzo poco giudizioso della forza potrebbe portare a gravi ripercussioni sull’esito della missione e sul raggiungimento degli end states prestabiliti. Potrebbe, in astratto, mettere a repentaglio la sicurezza delle Forze nazionali e amiche, dovunque esse si trovino, data l’ormai tramontata limitazione geografica di un eventuale conflitto(129)”.
 
L’uniformità applicativa della coazione militare potrà ricercarsi anche in teorie che si distanzino dall’americanizzazione delle ROE, per confluire verso regole che intendano l’autodifesa ancora in senso classico. Alla luce delle purtroppo tristi esperienze odierne, sembra infatti che simili dottrine anticipatorie abbiano irreparabilmente leso la sicurezza delle Forze, invece di porle al riparo da possibili attacchi. Così, la loro illegittimità giuridica viene a ritorcersi irrimediabilmente contro la propria praticabilità ed efficacia. Non a caso, la vera forza del diritto internazionale generale è la propria originaria provenienza consuetudinaria, basata sulla prassi: sull’esistenza fisica degli eventi cui si vuol porre rimedio. E tale giuridicità non può così essere mai astratta, nonostante le critiche mosse di sovente. L’esperienza delle Forze Armate italiane, maturata anche di recente, nelle ultime operazioni oltremare, sembra, sulla base del materiale raccolto, del tutto funzionale al mandato conferito di volta in volta, e agli end states assegnati.

Perché dunque, anche alla luce dei poco esaltanti esiti di ROE basate su interpretazioni diverse del diritto all’autodifesa, cercare di modificare procedure significativamente efficaci? Se l’obiettivo di ogni ultima operazione condotta dalle Forze Armate è diretto alla stabilizzazione regionale, perché utilizzare regole che portano ad un’instabilità permanente e ad un innalzamento generale del livello della minaccia, invece di ridurla? Quand’anche l’uso di regole troppo restrittive possa talvolta esporre ad un’inaccettabile rischio le Forze in teatro, nel qual caso occorrerà adattarne i contenuti, ampliando le facoltà d’ingaggio, un uso graduale, proporzionale e vincolato della violenza bellica appare oggi l’unico efficace deterrente per garantire la sicurezza delle truppe, il raggiungimento dell’obiettivo della missione ed evitare il rapido scivolamento verso il baratro della guerra.


Approfondimenti

(*) - Dottorando di ricerca in Sistemi Politici e Cambiamento Istituzionale all’IMT Alti Studi di Lucca. Già Ufficiale della Marina Militare.
(1) -Cfr.: G. RIOTTA, La rivolta dei guerrieri del weekend costretti a combattere senza più congedi, in CORRIERE DELLA SERA, sabato, 18 settembre 2004, pag. 9.
(*) -Editorialista, giornalista e scrittore americano (1889-1974), più noto per aver coniato il termine
“guerra fredda” nel 1947, cit. in: J. F. ADDICOTT, Operation Desert Storm: R.E. Lee or W.T. Sherman?, in MILITARY LAW REVIEW, Vol. 136, Spring 1992, pag. 116.
(2) -Joint Chiefs of Staff, Joint Pub. 1-02, DEPARTMENT OF DEFENSE DICTIONARY OF MILITARY AND ASSOCIATED TERMS, Washington, March 23, 1994, pag. 329.
(3) -Chairman of the Joint Chiefs of Staff, Joint Chiefs of Staff Instruction 3121.01A, STANDING RULES OF ENGAGEMENT FOR U.S. FORCES (SROE), Washington, January 15, 2000. Tali regole d’ingaggio hanno preso il posto delle precedenti Peacetime ROE (PROE) del 1994 (cfr.: H. W. PARKS, Deadly Force Is Authorized, in (NAVAL INSTITUTE) PROCEEDINGS, Annapolis, January 2001, disponibile su http://www.usni.org/proceedings/Articles01/PROparks1.html). Tutta la documentazione inerente alle SROE non presenta classifiche di segretezza, ad eccezione di alcuni allegati. L’orientamento delle SROE risulta senz’altro più permissivo delle precedenti PROE, riguardando situazioni di guerra, crisi e “pace”, prevedendo la possibilità dell’uso della forza non solo in autodifesa, ma anche orientato al conseguimento di un obiettivo specifico. Le SROE costituiscono anche uno sviluppo a livello operativo dell’impiego dello strumento bellico, prevedendo la possibilità di una loro differenziazione in relazione a specifiche aree di responsabilità (AORs), definite nel corso della pianificazione
operativa (cfr.: M. L. WARREN, Operational Law - A Concept Matures, in MILITARY LAW REVIEW, Vol. 152, Spring, 1996, pag. 52). Sul tema cfr. anche R. J. GRUNAWALT, JCS Standing Rules of Engagement: A Judge Advocate’s Primer, in AIR FORCE LAW REVIEW, Vol. 42, 1997, pagg. 245-258.
(4) -Cfr.: N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, 2a ed., Giappichelli Editore, Torino, 2001, pag. 135. Per ciò che concerne l’Aeronautica Statunitense, cfr. anche: The Judge Advocate General, Air Force Policy Directive 51-4, COMPLIANCE WITH THE LAW OF ARMED CONFLICT, 26 April 1993, para. 2: “Air Force personnel will comply with LOAC in military operations and related activities during armed conflicts, no matter how these conflicts are characterized”.
(5) -Cfr.: G. J. CARTLEDGE, Legal Constraints on Military Personnel Deployed on Peacekeeping Operations, in THE CHANGING FACE OF CONFLICT AND THE EFFICACY OF INTERNATIONAL HUMANITARIAN LAW, H. DURHAM and TIMOTHY L. H. MCCORMACK eds., The Hague, 1999, pag. 123.
(6) -IHL, International Humanitarian Law, DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO, alias Diritto Bellico, o ius in bello, ovvero “il diritto relativo alla disciplina delle ostilità tra belligeranti e delle relazioni tra questi e terzi Stati” (cfr.: N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, cit., pag. 19), con particolare attenzione alle norme inerenti alla protezione degli individui
e dei beni culturali.
(7) -Cfr.: M. A. LEMIEUX, From Bagdad to Kabul: The Impact of International Humanitarian Law on Colaition Airpower and their Consequences for Humanitarian Action, DEPARTMENT OF POLITICAL SCIENCE, McGill University, Montreal, Canada, July 2002, disponibile su http://www.jha.ac/articles/a110.htm.
(8) -Cfr.: J. P. TERRY, The Lawfulness of Attacking Computer Networks in Armed Conflict and in Selfdefense in Periods Short of Armed Conflict: What are the Targeting Constraints?, in MILITARY LAW REVIEW, Vol. 169, September 2001, pag. 82.
(9) -Tale è il livello costituito dalle supreme autorità militari e politiche della difesa. In ambito italiano, può intendersi nel concerto dei Capi di Stato Maggiore col CSMD e il Ministro della Difesa. L’inglese grand strategy può forse meglio riassumere il concetto, volendo significare l’utilizzo del complesso delle risorse nazionali per il raggiungimento degli obiettivi politici
del Paese, coinvolgendo le componenti economica, industriale, politica e militare (cfr.: Directorate of Air Staff, Ministry of Defence, BRITISH AIR POWER DOCTRINE, 3rd ed., AP 3000, London, 1999, para. 1.1.2). In realtà, mentre alcune Forze Armate, come quelle australiane o statunitensi considerano le ROE come veri e propri ordini che, se disattesi, configurano il reato di disobbedienza, altri, come Canada e Nuova Zelanda, ad es., guardano alle regole d’ingaggio come semplici linee guida (cfr.: T. FINDLAY, The Use of Force in UN Peace Operations, Oxford University Press, New York, 2002, pag. 371).
(10) -Ad es., la Legge Italiana di Guerra e Neutralità (R. D. n. 1415/1938), che raccoglie numerosi
principi adottati nelle Convenzioni dell’Aja del 1907 e 1923, i c.p.m.g. e c.p.m.p. (R. D. n. 303/1941), la Legge sulla Prevenzione e Repressione del Crimine di Genocidio (L. n. 962/1967). Sul tema dell’adattamento delle norme patrizie internazionali all’ordinamento interno cfr.: B. CONFORTI, Diritto Internazionale, VI ed., Editoriale Scientifica, Napoli, 2002, pagg. 318 e ss.
(11) -Ad es., riguardo all’operazione Enduring Freedom, il Ministro della Difesa Martino, nel corso della seduta parlamentare per autorizzare la missione, dichiarava: “Le ROE sono quelle regole che limitano o autorizzano l’uso della forza nel rispetto del diritto internazionale. Qualora non vi sia piena rispondenza con la missione o con la legislazione italiana, le regole d’ingag-gio non potranno ovviamente essere accettate. Se queste regole sono fuori dalle nostre leggi il problema non si pone. Se invece sono fuori, anche solamente in parte, dalla missione, allora si pone l’eventuale problema di una modifica di questa e, senza alcun dubbio, ci sarà il passaggio parlamentare”, (cfr.: Grandinotizie.it, 18 marzo 2002. Disponibile su http://www.grandinotizie.it/dossier/019/fatti_perchè/046.Htm).
(12) -Cfr.: A. BIANCHI, Costituzione di un tribunale internazionale per i crimini contro il diritto umanitario:
riflessi e condizionamenti sulla normativa giuridica nazionale e sui regolamenti del Ministero della Difesa riguardanti le attività delle Forze Armate nella condotta della difesa nazionale
e delle operazioni in supporto della pace, in RASSEGNA DELLA GIUSTIZIA MILITARE, Vol. 3 4, maggio - agosto 1998, para. 6 b), disponibile su http://www.giustiziamilitare.difesa.it/ras-segna_gm/1998/mag_ag/riflessi.shtm#riflessi2. Intervento presentato alla 50a Sessione I.A.S.D., presso il Centro Alti Studi Difesa (anno accademico 1998-1999).
(13) -La dottrina, nell’individuare i livelli di responsabilità all’interno dei quali si sviluppano le operazioni militari, utilizza l’espressione di levels of war. Tali livelli corrispondono, in ordine
decrescente, ai livelli strategico, operativo e tattico. Il livello strategico stabilisce l’obiet-tivo strategico-militare e assegna uno o più obiettivi al livello operativo, il quale, a sua volta, concepisce, organizza e conduce campagne e operazioni per conseguire gli obiettivi ricevuti, altresì stabilendo propri obiettivi operativi che vengono assegnati al livello inferiore - tattico. Per un’esauriente disamina dell’argomento cfr.: NATO AJP-01 (B), ATP 35 (B), MC 133/3 (NATO’s Operational Planning System) e Stato Maggiore della Difesa, SMD 104.
(14) -Cfr.: M. L. WARREN, Operational Law - A Concept Matures, cit., pag. 52.
(15) -Cfr.: Dipartimento di Diritto Umanitario, Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, Codice di Comportamento delle Forze Armate Italiane in Operazioni, Centro Alti Studi per la Difesa, Roma, 2002, pag. 3.
(16) -Il problema della comprensibilità delle ROE per il soldato sul campo di battaglia è stata una problematica ampiamente dibattuta all’indomani della firma dei Protocolli Aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra del 1949. Tra le iniziative prese allora, si segnala un meeting svoltosi a Varsavia nel 1977 e organizzato dalla Croce Rossa Internazionale e da quella Polacca. In tale occasione fu elaborato un semplice catalogo di 14 regole, che successivamente il Dipartimento della Difesa Americano ridusse a 9 e la Marina e l’Esercito adottarono per distribuirle ai reparti. Nella formulazione attuale, essi si presentano come segue (H. W. PARKS, The Future of Humanitarian Intervention. Rules of Conduct during Operation Other Than War: The Law of War Does Apply, in AMERICAN DIPLOMACY SPECIAL REPORT, July 2001, disponibile su: http://www.unc.edu/depts/diplomat/archives_roll/2001_0709/hum_inter-vention/hum_08_parks.html#Anchor_bio): -soldiers fight only enemy combatants; -soldiers do not harm enemies who surrender. They must disarm them and turn them over to their superior; -soldiers do not kill or torture prisoners; -soldiers collect and care for the wounded, whether friend or foe; -soldiers do not attack medical personnel, facilities or equipment; -soldiers destroy no more than their mission requires; -soldiers treat all civilians humanely; -soldiers do not steal. Soldiers respect private property and possessions; -soldiers should do their best to prevent violations of the law of war. They must report all violations of the law of war to their superior.
(17) -Nel caso di una missione internazionale interforze, il Comandante delle forze in campo prende
il nome di COM CJTF: Commander of the Combined Joint Task Force; il Capo di Stato Maggiore di Chief of Staff; i Comandanti della componente terrestre, navale ed aerea, rispettivamente
di LCC, MCC, ACC: Land, Maritime, Air Component Commander. Il primo sarà responsabile dell’eventuale richiesta di modifica o introduzione delle regole d’ingaggio, avanzata
dai Comandi delle varie componenti; questi ultimi della loro implementazione all’inter-no delle branche dipendenti (cfr.: Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, Macchiavelli 2003, Exercise Supplan, Roma, maggio 2003).
(18) -Nel caso di missioni interforze, tale livello è assicurato dal COI, Comando Operativo di Vertice Interforze, suddiviso organicamente secondo reparti che ricalcano appieno le cellule del NATO Operational Planning Process, con numeri progressivi da 1 a 9 (J1, J2, … J9).
(19) -Allo stesso modo, nel caso di peacekeeping operations, le Guidelines for the Development of Rules of Engagement (ROE) for United Nations Peace-Keeping Operations (United Nations, Department of Peace-keeping Operations, Military Division, UN Document MD/FGS/0220.0001, May 2002) prevedono tre diversi livelli, paragonabili in via analogica ai tre livelli anzivisti: il Comandante della Forza sul terreno dovrà proporre dei cambiamenti alle ROE, da essere inviati alla Military Division (il Comando Operativo delle operazioni di pace ONU), ed approvate successivamente dal Sottosegretario Generale alle Operazioni di Peacekeeping (il livello strategico - politico)(cfr.: Findlay T., The Use of Force in UN Peace Operations, cit., pag. 348).
(20) -Per Combined Joint Task Force (CJTF) si intende un gruppo di forze multinazionale e interarma
rapidamente schierabile, costruito, organizzato e attagliato ad una specifica missione (cfr.: Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, GUIDA PER IL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE OPERATIVA, Centro Alti Studi per la Difesa, Roma, 2003, pag. 8).
(21) -In linea di massima, il Comando di un CJFT sarà organizzato in modo da permettere al Comandante di dirigere, coordinare e controllare le unità assegnate, attraverso una suddivisione in cellule, numerate progressivamente da 1 a 9. Rispettivamente: personale e ordinamento,
informazioni, operazioni, sostegno logistico, pianificazione, comunicazioni e informatica, dottrina e addestramento, amministrazione, cooperazione civile-militare (Id., pagg. 9-10). Tali cellule dipendono direttamente dal Chief of Staff. Le cellule POLAD - LEGAD dipendono invece direttamente dal Comandante.
(22) -Nella dottrina NATO, P.P.I., ovvero Political Policy Indicator.
(23) -Un esempio di I.I.P. potrebbe essere “ZULU: Take the Initiative, keeping the risks of an escalation
within the limits of authorised ROE”, (cfr.: Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, Machiavelli 2003, cit.).
(24) -Cfr.: U.S. Department of the Army, FIELD MANUAL, 101 - 5 - 1, 21 October 1985.
(25) -Cfr.: M. L. WARREN, Operational Law - A Concept Matures, cit., pag. 43.
(26) -Le MOOTW costituiscono operazioni che “encompass the use of military capabilities across the range of military operations short of war” (cfr.: Joint Chiefs of Staff, Joint Pub. 1-02, cit., pag. 283). La manualistica distingue sedici tipologie diverse di MOOTW, ovvero: controllo delle armi, terrorismo, operazioni antidroga, operazioni di interdizione marittima, enforcement delle zone di esclusione,
libertà di navigazione marittima e aerea, assistenza umanitaria, supporto militare alle autorità civili, assistenza/supporto alle attività di controguerriglia, operazioni di evacuazione di non combattenti (NEO), operazioni di pace, scorta navale, operazioni di recupero, operazioni di dimostrazione di forza, bombardamenti e raids, supporto alla guerriglia (cfr.: Joint Chiefs of Staff, Joint Pub. 3-07, JOINT DOCTRINE FOR MILITARY OPERATIONS OTHER THAN WAR, 16 June 1995, para. III).
(27) -Per un’ulteriore disamina delle CROs, cfr.: NATO MC 400/2, MC Guidance for the Military Implementation of Alliance Strategy; MC 327/2, NATO Military Policy for Non Article 5 Crisis Response Operations.
(28) -Per ciò che concerne PKO e PSO, il Rapporto Brahimi (United Nations, Report of the Panel on United Nations Peace Operations, UN Document A/55/305, S/2000/809, 21 August 2000), sulle operazioni di pace ONU, afferma che l’uso della forza da parte delle Unità delle Nazioni Unite dovrà consentire l’autodifesa, la difesa di tutte le componenti della Missione e del suo mandato. Insieme, esso dovrà essere sufficientemente robusto e non impedire alle Forze ONU di lasciare l’iniziativa agli attaccanti, anche consentendo di sedare fonti di deadly fire nemico (cfr.: T. Findlay, The Use of Force in UN PEACE OPERATIONS, cit., pag. 334).
(29) -Un esempio di politicizzazione delle ostilità è spesso offerto dalla dottrina con riferimento alla Guerra del Vietnam, dove forte fu l’influsso delle autorità politiche sulla condotta delle operazioni
belliche (cfr.: M. A. LEMIEUX, From Bagdad to Kabul: The Impact of International Humanitarian Law on Coalition Airpower and their Consequences for Humanitarian Action, cit.).
(30) -Cfr., ad es.: M. J. DORSCHEL, The Effects of Restrictive ROEs on the Rolling Thunder Air Campaign, Globalsecurity - CSC 1995, disponibile su http://www.globalsecurity.org/milita-ry/library/report/1995/DM.htm).
(31) -Cfr.: M. A. LEMIEUX, From Bagdad to Kabul : The Impact of International Humanitarian Law on Coalition Airpower and their Consequences for Humanitarian Action, cit.
(32) -Delle statunitensi Peacetime ROE (PROE) si è già detto poco sopra. Per un’ulteriore, esaustiva, disamina dell’argomento, cfr.: M. S. MARTINS, Rules of Engagement for Land Forces: a Matter of Training, Not Lawyering, in MILITARY LAW REVIEW, Vol. 143, Winter 1994, pag. 22 e ss. (33) -In tali operazioni è comunque sempre presente una copertura radar allargata, fornita da aeromobili AWACS. La loro presenza è stata infatti segnalata in occasione di grandi eventi come il G-8 di Genova (luglio 2001); i giochi invernali del 2002 a Salt Lake City (2002); il vertice UE di Siviglia (giugno 2002); il Vertice dell’Alleanza Atlantica a Praga (novembre 2002); la Ministeriale Esteri della Nato di Madrid del giugno 2003. Il loro impiego era stato annunciato anche al vertice UE a Barcellona (marzo 2002), al vertice NATO-Russia di Pratica di Mare (maggio 2002) e al Consiglio Europeo di primavera dell’anno scorso (Bruxelles, marzo 2003), (Cfr. Ansa, UE: vertice; vigileranno anche aerei AWACS della NATO, Bruxelles, 25 marzo 2004, disponibile su http://www.ansa.it/europa/ilconsiglio/20040325163232887702.html).
(34) -Cfr.: S. MECONI, Polizia Marittima in Golfo Persico: con il Boarding Team sui Mercantili Irakeni, in NOTIZIARIO DELLA GUARDIA COSTIERA, Anno VI, n. 1, febbraio 2004, disponibile su http://www.guardiacostiera.it/notiziario/a_3_1_04.cfm.
(35) -L’introduzione della Carta delle Nazioni Unite ha infatti proibito l’uso della forza per fini diversi dall’autodifesa (cfr.: UN Chart, art. 2(4) e art. 51). Senza volersi addentrare nell’anali-si della sopravvivenza consuetudinaria della possibilità dell’uso della forza in ipotesi diverse dall’autodifesa, è generalmente ritenuto politically uncorrect riferirsi ad una guerra nel caso del compimento di azioni militari. (36) -Cfr.: M. L. SMIDT, Yamashita, Medina and Beyond: Command Responsibility in Contemporary Military Oparations, in MILITARY LAW REVIEW, Vol. 164, Summer 2000, pag. 159, nota 14.
(37) -Volendoci in gran parte riferire ad ordinamenti di common law.
(38) -Cfr.: D. G. BOLGIANO, Firearms Training System: A Proposal for Future Rule of Engagement, in THE ARMY LAWYER, Department of the Army Pamphlet 27 - 50 - 277, December 1995, pag. 80.
(39) -Cfr.: M. L. WARREN, Operational Law - A Concept Matures, cit., pag. 57. (40) -Cfr.: V. A. ARY, Concluding Hostilities: Humanitarian Provisions in Cease Fire Agreements, in MILITARY LAW REVIEW, Vol. 148, Spring 1995, pag. 203.
(41) -Solo per far riferimento alle missioni di peacekeeping, perfino le UN Guidelines (United Nations, Department of Peace-keeping Operations, Military Division, Guidelines for the Development of Rules of Engagement (ROE) for United Nations Peace-Keeping Operations, cit.) rispettano il principio che nessuna regola d’ingaggio debba limitare in nessun modo il diritto di autodifesa (cfr.: T. FINDLAY, The Use of Force in UN PEACE OPERATIONS, cit., pag. 349).
(42) -Cfr.: T. FINDLAY, The Use of Force in UN PEACE OPERATIONS, cit., pag. 34.
(43) -Id., pagg. 56, 92.
(44) -Cfr.: M. J. DORSCHEL, The Effects of Restrictive ROEs on the Rolling Thunder Air Campaign, cit.: J. G. HUMPHRIES, Operations Law and the Rules of Engagement in Operation Desert Shield and Desert Storm, in AIRPOWER JOURNAL, Vol. 6, No. 3, Fall 1992, pag. 25 e ss, disponibile su http://www.airpower.maxwell.af.mil/airchroni-cles/apj/hump.html.
(45) -Cfr.: H. W. PARKS, Rolling Thunder and the Law of War, in AIR UNIVERSITY REVIEW, Vol. 34, No. 2, January-February 1982, pag. 2 e ss., disponibile su http://www.airpower.maxwell.af.mil/airchroni-cles/aureview/1982/jan-feb/parks.html.
(46) -Cfr.: H. W. PARKS, Deadly Force Is Authorized, cit.
(47) -Id. Sulle operazioni americane a Panama, cfr.: R. H. COLE, Operation Just Cause. The Planning and Execution of Joint Operations in Panama, Joint History Office, Office of the Chairman of the Joint Chiefs of Staff, Washington, D.C. 1995, February 1988 - January 1990, disponibile su http://www.dtic.mil/doctrine/jel/history/justcaus.pdf.
(48) -Solo nel marzo 1995, le tre Missioni UNPROFOR in Croazia, Bosnia e Macedonia presero tre nomi distinti, ovvero, rispettivamente, UNCRO (United Nations Restoration Operation in Croatia), UNPROFOR e UNPREDEP (United Nations Preventive Deployment Force) (cfr. UNSC Res. 981, 982, 983 - 1995).
(49) -United Nations Protected Areas (UNPAs), ovvero le enclaves umanitarie protette dalle truppe ONU, create il 7 aprile, sulla base dell’UNSC Res. 749 - 1992).
(50) -Cfr.: T. FINDLAY, The Use of Force in UN PEACE OPERATIONS, cit., pag. 133.
(51) -Cfr.: M. L. WARREN, Operational Law - A Concept Matures, cit., pag. 56.
(52) -Cfr.: R. D. SCOTT, Getting Back to the Real United Nations: Global Peace Norms and Creeping Interventionism, in MILITARY LAW REVIEW, Vol. 154, Fall 1997, pag. 42, Nota 85.
(53) -Cfr.: M. L. SMIDT, Yamashita, Medina and Beyond: Command Responsibility in CONTEMPORARY MILITARY OPARATIONS, cit., pag. 159. Basti ricordare la fallita cattura del Gen. Aidid a Mogadiscio il 3 ottobre 1993, risultata in una battaglia durata un giorno intero, con la morte di 18 soldati statunitensi e circa 500 guerriglieri somali (cfr.: H. W. PARKS, Deadly Force Is Authorized, cit.), oppure la battaglia al check point “Pasta” di Mogadiscio, con la morte di 3 militari italiani e di un numero imprecisato di somali.
(54) -Le ROE utilizzate per la Missione in Somalia (Restore Hope - UNOSOM I e II) ricalcavano quelle utilizzate all’epoca dalle Forze americane in tempo di pace (PROE), (cfr. U.S. Department of the Army, Samples Rules of Engagement: Rules of Engagement for Operation Restore Hope, FM 100-23, Washington, DC, December 1994, appendix D).
(55) -Cfr.: T. FINDLAY, The Use of Force in UN PEACE OPERATIONS, cit., pag. 171.
(56) -Per le FF.AA. italiane, Operazione Ippocampo. L’operazione vede la partecipazione dell’Italia con un contingente formato da 112 uomini della Folgore, 65 uomini del Comando Subacquei Incursori Teseo Tesei della Marina e 3 velivoli da trasporto della 46a Brigata Aerea (Cfr.: Stato Maggiore Esercito, Ufficio Risorse Organizzative e Comunicazione, Missioni, Roma, 2002).
(57) -Cfr.: M. L. WARREN, Operational Law - A Concept Matures, cit., pag. 44.
(58) -Id., pag. 57.
(59) -Id., pag. 63; cfr. anche: P. SLEVIN, U.S. Rules of Engagement Shift in Haiti, in WASHINGTON POST, Thursday, March 11, 2004, pag. A01. (60) -Nello specifico, le regole d’ingaggio utilizzate dalle FF.AA. italiane in Albania sono così riassumibili (cfr.http://www.gianfrancopaglia.com/Pagine/Albania.htm): -pieno rispetto del diritto internazionale; -autodifesa (diritto-dovere all’autodifesa individuale e di reparto); -uso della forza solo quando non vi sia altro mezzo militare possibile, coerente con la sicurezza
delle forze, per assolvere la missione; -dovere di intimazione e di avvertimento, nel senso che deve essere compiuto ogni sforzo per evitare il confronto; -dovere di usare una forza minima (in accordo con il principio della proporzionalità, qualunque uso della forza deve essere limitato al minimo livello possibile di intensità e durata); -dovere di evitare danni collaterali a cose e persone nell’uso della forza; -proibizione dell’uso punitivo della forza; -diritto di difendere la propria posizione, intendendo con ciò che le unità non sono obbligate
a ritirarsi o a cedere la propria posizione; -diritto di usare la forza, in accordo con il principio dello jus necessitatis, per proteggere persone da gravi atti criminosi.
(61) -Cfr.: M. L. WARREN, Operational Law - A Concept Matures, cit., pag. 57.
(62) -Washington, 24 aprile 1999.
(63) -Chiamate non-article 5 missions, facendo riferimento alla clausola di mutua assistenza militare
in caso d’attacco, contenuta, appunto, nell’art. del Trattato Nato (cfr.: B. SIMMA, NATO, the UN and the Use of Force: Legal Aspect, in European Journal of International Law, Vol. 10, No. 1, 1999, pag. 1 - 22; E. CANNIZZARO, La nuova dottrina strategica della NATO e gli interventi
“fuori area”, in RIVISTA DI DIRITTO INTERNAZIONALE, 1999, p. 729-731; F. CAFFIO, Il Nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza. Aspetti d’Interoperabilità Giuridica, in INFORMAZIONI DELLA DIFESA, n. 2/2000, pagg. 14 - 21).
(64) -Cfr. North Atlantic Military Committee, MC 362 (Military Decision), NATO Rules of Engagement, 9 November 1999.
(65) -Cfr.: S. WEBER, Rules of Engagement: Ein Paradigmenwechsel für Einsatz und Ausbildung?, in HUMANITÄRES VÖLKERRECHT, Vol. 2, 2001, pag. 76 e ss.
(66) -Con ciò volendo intendere obiettivi principalmente di carattere civile, ma che “per loro natura,
ubicazione, destinazione o impiego, contribuiscono efficacemente all’azione militare, e la cui distruzione totale o parziale, conquista o neutralizzazione offre, nel caso concreto, un vantaggio
militare preciso”, (I Prot. Conv. Ginevra, 1977, art. 52.2).
(67) -Cfr.: M. A. LEMIEUX, From Bagdad to Kabul: The Impact of International Humanitarian Law on Coalition Airpower and their Consequences for Humanitarian Action, cit. Sul tema cfr.: H. SHUE, D. WIPPMAN, Limiting Attacks on Dual Use Facilities Performing Indispensable Civilian Functions, in CORNELL INTERNATIONAL LAW JOURNAL, Vol. 35, No. 3, Winter 2002, pag. 559 e ss.
(68) -Sull’argomento cfr., ad es., N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, cit., pag. 264 e ss.; E. CANNIZZARO, Le operazioni aeree della NATO contro la Repubblica Federale di Iugoslavia e il diritto umanitario, in RIVISTA DI DIRITTO INTERNAZIONALE, 2001, pag. 133 e ss. Sono noti gli episodi del ponte colpito in occasione del passaggio di un convoglio ferroviario, della carovana di profughi albanesi colpiti a Djakovica (cfr.: R. J. BUTLER, Modern War, Modern Law, and Army Doctrine: Are We in Step for the 21st Century?, in PARAMETERS, Spring 2002, pag. 45 e ss.), e della distruzione dell’Ambasciata Cinese a Belgrado.
(69) -Ad esempio, nel corso dei duri scontri del marzo 2004, scatenati dalla maggioranza albanese ai danni della minoranza serba, il Comandante tedesco della KFOR, Gen. Holger Kammerhoff, ha confermato, con una dichiarazione a Pristina, che i soldati della KFOR erano autorizzati ad utilizzare la forza per fermare le violenze in corso nella provincia. Fonti militari della NATO avevano sottolineato come le regole d’ingaggio non fossero tuttavia mutate per via degli incidenti in atto e che queste prevedessero un uso della forza “in modo proporzionale rispetto all’aggressione subita’’, specificando come, ad esempio, non fosse possibile rispondere aprendo il fuoco contro una folla armata di sassi (cfr. Ansa, Pristina, 18 marzo 2004, disponibile su http://www.ansa.it/balcani/kosovo/20040318160632879816.html).
(70) -Sulle questioni giuridiche sollevate dall’intervento militare in Afghanistan, cfr.: C. STAHN, International Law at Crossroad? The Impact of September 11, in ZEITSCHRIFT FÜR AUSLÄNDISCHES OFFENTLICHES RECHT UND VÖLKERRECHT, Vol. 62, No. -2, 2002, pag. 183 e ss.; C. STAHN, Collective Self-Defence after the September 11 Attacks, in TILBURG FOREIGN LAW REVIEW, Vol. 10, No. 1, 2002, pag. 10 e ss. Sul tema dell’introduzione forzosa della forma di governo democratica nel corso delle operazioni internazionali cfr.: M. TONDINI, L’Introduzione del Sistema Democratico a Timor Est: Una Via Verso la Riconciliazione?, in INFORMAZIONI DELLA DIFESA, n. 2/2003, pagg. 5 e ss.
(71) -Il Military Technical Agreement tra l’ISAF e l’Interim Administration a Kabul, all’origine della missione, è disponibile su http://www.mde.es/mde/infoes/afganistan/pdf/isaf.pdf.
(72) -Nata in risposta agli attacchi dell’11 settembre, con comando strategico a Tampa (Florida). Sulla partecipazione italiana alla missione Enduring Freedom cfr. l’audizione del Ministro On. Antonio Martino al Senato della Repubblica, il 2 ottobre 2002, disponibile su http://www.difesa.it/ministro/audizioni/2002/Ottobre2002/end_free.pdf.
(73) -Cfr.: S. WEBER, Rules of Engagement: Ein Paradigmenwechsel für Einsatz und Ausbildung?, cit., pag. 78.
(74) -Ed assieme permangono dubbi di legittimità sulle stesse, frutto del lavoro di un non meglio precisato Proactive Preemptive Operations Group (P2OG), alle dipendenze dirette del Vice Consigliere per la Sicurezza Nazionale, il che farebbe pensare ad un utilizzo preventivo di operazioni cover (cfr.: F. MINNITI, Enduring Freedom. Nuove Regole d’Ingaggio per le Forze Speciali USA, disponibile su http://www.analisidifesa.it/articolo.shtm/id/2494/ver/IT).
(75) -Cfr.: F. CAFFIO, La Forza Navale (dell’Unione) Europea, in INFORMAZIONI DELLA DIFESA, n. 6/2003, pag. 19.
(76) -Cfr.: F. CAFFIO, Il Fondamento Giuridico dell’Operazione Enduring Freedom: Aspetti Marittimi, in DIRITTO MILITARE, anno II, n. 1, 2002, pag. 38.
(77) -Cfr.: F. CAFFIO, La Forza Navale (dell’Unione) Europea, cit., pag. 19.
(78) -Il mercantile in questione era stato anche fatto preventivamente oggetto di colpi d’avverti-mento da parte delle Unità spagnole (cfr.: F. CAFFIO, La Forza Navale (dell’Unione) Europea, cit., pag. 20).
(79) -Sul tema dello status dei prigionieri catturati in Enduring Freedom, cfr., ad es.: R. K. GOLDMAN, B. D. TITTEMORE, Unprivileged Combatants and the Hostilities in Afghanistan: Their Status and Rights Under International Humanitarian and Human Rights Law, THE AMERICAN SOCIETY OF INTERNATIONAL LAW TASK FORCE ON TERRORISM, Washington, December 2002, disponibile su http://www.asil.org; G. H. ALDRICH, The Taliban, al Qaeda, and the Determination of Illegal Combatants, in HUMANITÄRES VÖLKERRECHT, Vol. 4, 2002, pag. 202 e ss.
(80) -Cfr.: F. CAFFIO, Il Fondamento Giuridico dell’Operazione Enduring Freedom: Aspetti Marittimi, cit., pag. 40.
(81) -Sul tema della differenza tra comando e controllo delle Forze, cfr.: N. RONZITTI (a cura di), Lo Status delle Forze Armate Italiane Impegnate in Operazioni “Fuori Area” Condotte Sotto l’Egida di Organizzazioni Internazionali, supplemento a INFORMAZIONI DELLA DIFESA, Centro Militare di Studi Strategici, Roma, Novembre 1996, pag. 197 e ss.
(82) -Cfr.: G. GAIANI, La Marina Controlla i Mercantili ma Non Arresta i Sospetti Terroristi, in ANALISI DIFESA, n. 20, disponibile su http://www.analisidifesa.it/numero20/ef-mmicontrol-lo.htm
(83) -Cfr.: J. G. HUMPHRIES, Operations Law and the Rules of Engagement in OPERATIONS DESERT SHIELD AND DESERT STORM, cit., pag. 9.
(84) -Cfr.: K. R. RIZER, Bombing Dual-Use Targets: Legal, Ethical, and Doctrinal Perspectives, in AIR & SPACE POWER CHRONICLES, 1 May 2001, disponibile su http://www.airpower. maxwell.af.mil/airchronicles/cc/Rizer.html; M. L. WARREN, Operational Law - A Concept Matures, cit., pag. 52, Nota 82. Sulle regole d’ingaggio nella guerra del Golfo del 1991, cfr. anche: C. B. SHOTWELL, Economy and Humanity in the Use of Force: A Look at the Aerial Rules of Engagement in the 1991 Gulf War, in JOURNAL OF LEGAL STUDIES, Vol. 4, 1993, pagg. 1557.
(85) -Cfr.: M. A. LEMIEUX, From Bagdad to Kabul: The Impact of International Humanitarian Law on Colaition Airpower and their Consequences for Humanitarian Action, cit.
(86) -Come, forse con toni eccezionalmente trionfalistici e anticipatori, data la situazione di belligeranza
odierna, il Presidente statunitense Bush aveva dichiarato il primo maggio 2003 dal ponte di volo della portaerei Lincoln (disponibile su http://www.bushcountry.org/bush_speeches/pre-sident_bush_speech_050103.htm).
(87) -Cfr.: D. J. CARACCILO, A. M. ROHLING, Targeting in Postconflict Operations in Iraq, in MILITARY REVIEW, January-February 2004, pag. 12. (88) -Id., pag. 12.
(89) -Stato Maggiore Difesa, Scheda Composizione del Contingente Militare, disponibile su http://www.analisidifesa.it/numero39/SCHEDA-SME.pdf. (90) -Nonostante si sia ripetuto che le regole d’ingaggio siano state concertate e che l’inquadra-mento in un’unica linea di controllo non consenta loro deroghe, i national caveat, ovvero le condizioni poste dai Governi dei Paesi partecipanti alla Coalizione, sminuiscono considerevolmente questa presunta uniformità. Si pensi ad es. che, mentre le truppe USA possono essere autorizzate all’ingaggio anche senza aver preventivamente ricevuto fuoco nemico, il contingente polacco è autorizzato dal proprio Governo all’uso delle armi solo in caso di necessità e per difesa personale (cfr.: M. NESE, Missione, le regole d’ingaggio non cambiano, in CORRIERE DELLA SERA, martedì, 18 maggio 2004, pag. 9).
(91) -Cfr.: D. J. CARACCILO, A. M. ROHLING, Targeting in Postconflict Operations in Iraq, cit., pag. 15.
(92) -Cfr.: ALLARD T., The rules of engagement are still war-like in Iraq, in SIDNEY MORNING HERALD, June 18, 2003, disponibile su http://www.smh.com.au/articles/2003/06/17/1055828329652.html.
(93) -Se ne riporta il catalogo (disponibile su http://www.vpro.nl/attachment.db/British%20Rules%20of%20Engagement%20in%20Iraq.doc?16732708): -Conduct of simulated attacks against potentially hostile elements as a non-lethal escalatory
warning option is authorised. -Designation of targets by use of Laser Target Designation equipment is authorised. -Designation of targets by fire control radar for the purposes of height finding by maritime forces is authorised. -Counter harassment to a similar extent and degree to that experienced by MND(SE) forces
in the AO is authorised. -Counter harassment including riding off to a similar extent and degree to that experienced
by any vessel is authorised. -Use of riot control means where necessary for the purpose of controlling detainees and internees, is authorised. -Use of riot control means where necessary for the conduct of Public Order Control is authorised. -Use of force up to but not including deadly force to prevent interference with MND(SE) personnel during the conduct of their mission is authorised. -Use of minimum force to defend designated non-MND(SE) forces/personnel is authorised. -Use of minimum force to prevent the taking possession of or destruction of MND(SE) property or the weapons and ammunition and explosives seized in the execution of the MND(SE) mission is authorised. -Use of minimum force to defend against intrusion into Military Restricted Areas or other areas designated by an authorised commander is authorised. -Use of minimum force to enforce compliance with diversion and/or boarding instructions is authorised. -Use of covert actions in Iraq is permitted to the extent necessary for mission execution. -Deployment of indirect fire and crew-served weapon systems is authorised. -Use of indirect fire and crew-served weapon systems is authorised. -Use of demolitions in Iraq is permitted. -Use of non-explosive obstacles in Iraq is permitted. -Unrestricted use of ECM is authorised. -Laying of anti-personnel mines is prohibited.
-Use of minimum force against elements demonstrating Hostile Intent against MND(SE)
forces or elements under MND(SE) protection is authorised.
-Use of minimum force against elements, which commit or directly contribute to a
hostile act against MND(SE) forces or elements under MND(SE) protection is
authorised.
(AO - Area delle Operazioni; MND(SE) - Divisione Multinazionale Sudest; ECM -
Contromisure elettroniche).
(94) -Cfr.: M. NESE, Ci colpivano con i razzi. Abbiamo sparato 30 mila colpi, in CORRIERE DELLA SERA, giovedì 8 aprile 2004, pag. 4; M. PONTE, Gli italiani riprendono Nassiriya, in LA REPUBBLICA, martedì, 18 maggio 2004, pag. 7.
(95) -Cfr.: D. MASTROGIACOMO, Abbiamo usato i cannoni, in LA REPUBBLICA, giovedì, 8 aprile 2004, pag. 6.
(96) -Sulle regole d’ingaggio usate dal contingente italiano nella Missione Antica Babilonia in Iraq, molto si discute nei giorni in cui il presente lavoro si appresta ad essere ultimato. La polemica politica ruota attorno alle regole d’ingaggio utilizzate, citate da alcune parti poltiche come non adeguate alla situazione e incapaci di proteggere le truppe sul terreno. La non uniformità delle ROE italiane a quelle utilizzate  dagli altri contingenti si evince dalle dichiarazioni rese dal Ministro della Difesa, On. Antonio Martino, dalla Governatrice italiana di Nassirija, Barbara Contini, dal Comandante del contingente  italiano, Gen. Gian Marco Chiarini e dalle affermazioni di alcuni ufficiali USA. Più volte infatti la dott.sa Contini ha fatto riferimento al fatto che “ci vorrebbero le stesse regole d’ingaggio per tutti i contingenti” (cfr.: A. NICASTRO, Regole di ingaggio uguali per tutti i contingenti, in CORRIERE DELLA SERA, mercoledì, 19 maggio 2004, pag. 6); mentre il  Ministro Martino ha affermato che le ROE italiane rimangono “comunque adeguate ai compiti assegnati” (cfr.: G. CASADIO, C. FUSANI, MARTINO, I nostri soldati possono sparare per primi, in LA REPUBBLICA, giovedì, 20 maggio 2004, pag. 3), ammettendo che altri contingenti utilizzano regole diverse. Il Gen. Chiarini ha invece precisato come, preventivamente ad ogni azione, venga concordato l’eventuale utilizzo di armamento pesante con la catena di comando italiana (cfr.: A. NICASTRO, Ordini da Roma ai nostri ufficiali per usare i cannoni, in LA REPUBBLICA, giovedì, 20 maggio 2004, pag. 6). A palesare le differenze con le ROE USA, basti pensare che il giorno precedente a quello in cui il generale aveva reso tale dichiarazione, ad es., un aereo statunitense aveva centrato con un ordigno una festa di matrimonio, uccidendo 40 persone e ferendone un numero imprecisato, poiché tratto in inganno da colpi di arma da fuoco esplosi in aria dai partecipanti per i  festeggiamenti.
(97) -C. PICCOZZA, Il Capo di Stato Maggiore, “Resta una missione di pace”, in LA REPUBBLICA, martedì,
18 maggio 2004, pag. 7.
(98) -Cfr.: F. SARCINA, Spari e regole d’ingaggio, indaga Roma, in CORRIERE DELLA SERA, giovedì, 4 aprile 2004, pag. 6. Le indagini del Procuratore Capo Intelisano si erano concentrate sul rispetto delle regole d’ingaggio e sulla legittimità degli ordini impartiti, visto che la decisione di impiegare l’armamento pesante era stata presa dai “vertici della task force”, (D. MASTROGIACOMO, Abbiamo usato i cannoni, cit.), ovvero dal comandante del livello tattico.
(99) -Cfr.: N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, cit., pag. 38.
(100) -Cfr.: C. M. POLIDORI, La Necessità Militare, in INFORMAZIONI DELLA DIFESA, n. 5/2002, pag. 40.
(101) -Cfr.: N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, cit., pag. 174.
(102) -Cfr.: C. M. POLIDORI, La Necessità Militare, cit., pag. 43.
(*) -Attuale Capo di Stato Maggiore della Difesa, cit. in: V. NIGRO, L’ONU può avere successo. Più potere agli iracheni, in LA REPUBBLICA, 23 aprile 2004, pag. 11.
(103) -Cfr.: art. 52 c.p., art. 42, 44 c.p.m.p.
(104) -Cfr.: artt. 52, 97, 98 c.p.m.g.
(105) -L’art. 43 c.p.m.p. prevede che “agli effetti della legge penale militare, sotto la denominazione
di violenza si comprendono l’omicidio […] le lesioni personali, le percosse, i maltrattamenti
e qualsiasi tentativo di offendere con le armi”.
(106) -Il testo dell’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite: “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.
(107) -Non s’intende peraltro addentrarsi nella questione della vigenza o meno della norma in questione.
Personalmente si è favorevoli a voler considerare positivamente l’assolutezza del divieto. Sul tema cfr.: A. CASSESE, International Law, OXFORD UNIVERSITY PRESS, Oxford, 2001, pagg. 309-310; gen., I. DETTER, The Law of War, CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS, 2nd ed., Cambridge, 2000; R. JENNINGS, QC and Watts A. QC (eds), Oppenheim’s International Law, Ninth Edition, 1991. Sul concetto di interceptive self defence, cfr.: Y. DINSTEIN, War, Aggression and Self-defence, CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS, 2nd edition, Cambridge, 1994, pagg. 187-191.
(108) -Sul tema della necessità e dell’assenza di riferimenti all’evitabilità, cfr.: C. M. POLIDORI, La Necessità Militare, cit., pag. 43.
(109) -Cfr.: R. N. HAASS, Intervention: The Use of American Military Force in the Post-Cold War World, Revised Edition, BOOKINGS INSTITUTION PRESS, 1999, pag. 51-52.
(110) -Cfr.: A. C. AREND, International Law and the Preemptive Use of Military Force, in THE WASHINGTON QUARTERLY, Vol. 26, No. 2, Spring 2003, pag. 97.
(111) -Cfr.: W. H. TAFT IV, The Legal Basis for Preemption, American Society of International Law/Council on Foreign Relations (ASIL/CFR) Roundtables on Old Rules, New Threats, Washington, April 10, 2003, disponibile su http://www.cfr.org/publication.php?id=5250&content=; F. L. KIRGIS, Preemptive Action to Forestall Terrorism, in ASIL INSIGHTS, June 2002, disponibile su http://www.asil.org/insights/insigh88.htm; W. B. SLOCOMBE, Force, Pre-emption and Legitimacy, in SURVIVAL, Vol. 45, No. 1, Spring 2003, pag. 125; D. M. ACKERMAN, International Law and the Preemptive Use of Force Against Iraq, CRS Report RS21314, Washington September 23, 2002, disponibile su http://www.radanovich.house.gov/ documents/CRSReportIraqInternationallaw.htm; M. E. O’CONNELL, The Myth of Preemptive Self Defense, THE AMERICAN SOCIETY OF INTERNATIONAL LAW TASK FORCE ON TERRORISM, Washington August 2002, pag. 8 e ss. disponibile su http://www.asil.org/ taskforce/oconnell.pdf; J. N. MOORE, Preemption and International Law, Opinion Editorial, Centre for National Security Law, University of Virginia, 2002, pag. 1, disponibile
su http://www.virginia.edu/cnsl/preemp1.pdf; L. FREEDMAN, Prevention, Not Preemption, in THE WASHINGTON QUARTERLY, No. 26, Vol. 2, Spring 2003 pag. 105 e ss.; J. BARKAM, Information Warfare and International Law on the Use of Force, in NEW YORK JOURNAL OF INTERNATIONAL LAW AND POLITICS, Vol. 34, No. 1, 2001, pag. 57 e ss.; S. M. CONDRON, Justification for Unilateral Action, in RESPONSE TO IRAQI THREAT: a Critical Analysis of Operation Desert Fox, in Military Law Review, Vol. 161, 1999, pag. 148 e ss.; M. N. SCHMITT, Preemptive Strategies in International Law, in MICHIGAN JOURNAL OF INTERNATIONAL LAW, Vol. 24, No. 2, Winter 2003, pag. 513 e ss.; A. TAMMARO, Ambito Operativo della Legittima Difesa nel Diritto Internazionale e Sua Ammissibilità nelle Ipotesi di Aggressione Indiretta, in DIRITTO MILITARE, Anno I, No. 2/3, 2001, pag. 73 e ss.; N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, cit., pagg. 38-39; A. C. AREND, International Law and the Preemptive Use of Military Force, cit., pagg. 90-91.
(112) -Il ben noto caso Caroline, occorso nel 1842, concerne l’attacco britannico ad una nave, la Caroline appunto, ormeggiata in acque statunitensi, per fermare il continuo supporto americano ai ribelli canadesi che combattevano contro la Corona Inglese. La controversia
che ne nacque fu definita attraverso un successivo scambio di lettere tra Daniel Webster, Segretario di Stato Americano, e Lord Ashburton, Rappresentante Speciale del Regno a Washington. L’esame di tale carteggio ha permesso di ricostruire i criteri della necessità, proporzionalità e imminenza, applicabili alla legittima difesa preventiva. Questa pertanto dovrà essere: “instant, overwhelming and leaving no choice of means, no moment of deliberation” (Cfr.: A. C. AREND, International Law and the Preemptive Use of Military Force, cit., pag. 90; M. E. O’CONNELL, The Myth of Preemptive Self Defense, cit., pag. 9).
(113) -Notoriamente, la versione in lingua inglese della Carta delle N.U. prevede, all’art. 51, un “inherent right of self defense”, tradotto in francese “naturel”. La dottrina minoritaria
in esame attribuisce a tale formula il potere di mantenere in vita il previgente diritto di legittima difesa preventiva (N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, cit., pag. 36).
(114) -Sull’argomento cfr.: G. B. BOZZO, Nazioni Unite, Storia di un Fallimento, in IL GIORNALE, 30 ottobre 2002, disponibile su http://www.ragionpolitica.it/testo.888.html; J. GURWITZ, Unted Nations and Legitimacy no Longer Go Hand in Hand, in MILWAKEE JOURNAL SENTINEL, April 20, 2003, disponibile su http://www.jsonline.com/news/editorials/apr03/134644.asp; R. PERLE, United They Fall, in THE SPECTATOR, March 22, 2003, disponibile su http://www.aei.org/news/newsID.16730,filter./news_detail.asp; D. R. SANDS, Iraq Not Alone in Defying Resolutions of U.N. Body, in THE WASHINGTON TIMES, September 21, 2002; M. J. GLENNON, Why the Security Council Failed, in FOREIGN AFFAIRS, Vol. 82, No. 3, May/June 2003; A. C. AREND, International Law and the Preemptive Use of Military Force, cit., pag. 100. Tale ultimo autore riporta una serie di conflitti internazionali scoppiati senza una preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, né riconducibili ad azioni intraprese
in legittima difesa: Cecoslovacchia (1948), Corea (1950), Guatemala (1954), Suez (1956), Ungheria (1956), Cuba (1961), Goa (1961), Repubblica Dominicana (1965), Cecoslovacchia (1968), Guerra dei sei Giorni (1973), Vietnam (1960 - 1975), Cambogia (1979), Afghanistan (1979), Uganda (1979), Falklands (1982), Grenada (1983), Panama (1989), Kuwait (1990), Kosovo (1999). In verità, alcune delle azioni intraprese a seguito dell’invasione, ad es. delle Falklands per mano argentina, della Corea del Sud da parte della Corea del Nord, del Kuwait per mano irachena, possono considerarsi a pieno titolo esempi di legittima difesa nell’un caso, e di funzionamento del sistema di sicurezza collettivo ONU nell’altro, nonostante le note distorsioni procedurali al momento del voto che hanno dato origine a regole consuetudinarie valevoli oggi stesso, come la possibile astensione di un membro permanente non inficiante il raggiungimento della maggioranza prevista nel Consiglio di Sicurezza, ovvero il mandato conferito a singoli Stati o Coalizioni, a fronte della previsione formale del consenso esercitato da tutti i membri permanenti, ovvero di forze armate dell’Organizzazione prontamente impiegabili in caso di crisi.
(115) -Cfr.: W. H. IV TAFT, The Legal Basis for Preemption, cit.; F. L. KIRGIS, Preemptive Action to Forestall Terrorism, cit.
(116) -Sul tema cfr.: P. BATACCHI, L’uso preventivo della forza: la nuova strategia di sicurezza americana e l’esempio israeliano del 1956, in INFORMAZIONI DELLA DIFESA, n. 4/2003, pag. 35 e ss.; C. RICE, Anticipatory Defense in the War on Terror, in NEW PERSPECTIVES QUARTERLY, Vol. 19, No. 4, Fall 2002, pag. 5 e ss.; H. KISSINGER, Preemption and The End of Westphalia, in NEW PERSPECTIVES QUARTERLY, Vol. 19, No. 4, Fall 2002, pag. 31 e ss.; J. SPENCER, The New National Security Strategy: An Effective Blueprint for the War on Terror, THE HERITAGE FOUNDATION, Washington, September 25, 2002, disponibile su http://www.heritage.org/Research/HomelandDefense/WM149.cfm; M. O’HANLON, S. RICE, J. B. STEINBERG, The New National Security Strategy and Preemption, BROOKINGS INSTITUTION, Washington, November 14, 2002, pag. 11, disponibile su http://www.brook.edu/views/papers/ohanlon/20021114.htm; M. HIRSH, Bush and The World, in FOREIGN AFFAIRS, Vol. 81, No. 5, September/October 2002, pag. 18 e ss.; G. E. LOPEZ, Perils of Bush’s Pre-emptive War Doctrine, in INDIANAPOLIS STAR, October 3, 2003, disponibile su http://www.indystar.com/print/articles/4/079947-6994-P.html.
(117) -Cfr.: The White House, National Security Strategy of the United States of America, Washington, September 2002, pag 15.
(118) -Id.
(119) -G. J. IKENBERRY, America’s Imperial Ambition, in FOREIGN AFFAIRS, September-October 2002, pagg. 51,52.
(120) -Cfr.: P. BONIFACE, What Justifies Regime Change?, in THE WASHINGTON QUARTERLY, Vol. 26, No. 3, Summer 2003, pag. 64 e ss.
(121) -Cfr.: A. C. AREND, International Law and the Preemptive Use of Military Force, cit., pag. 98.
(122) -D. P. FIDLER, Weapons of Mass Destruction and International Law, in ASIL INSIGHTS, February 2003, disponibile su http://www.asil.org/insights/insigh97.htm; R. WEDGWOOD, Al Qaeda, Terrorism, and Military Commissions, in AMERICAN JOURNAL OF INTERNATIONAL LAW (AJIL), Vol. 96, No. 2, 2002, pag. 328 e ss.; M. P. POPIEL, Redrafting The Right of Self-Defense in Response to International Terrorism, in ACROSS BORDERS INTERNATIONAL LAW JOURNAL, Vol. 4, No. 1, 2003, pag. 1 e ss; T. K. GILMAN, Search, Sentence, and (Don’t) Sell: Combating the Threat of Biological Weapons through Inspections, Criminalization, and Restrictions on Equipment, in JOURNAL OF TRANSNATIONAL LAW AND POLICY, Vol. 12, No. 2, Spring 2003, pag. 217 e ss.
(123) -Cfr.: W. B. SLOCOMBE, Force, Pre-emption and Legitimacy, cit., pag. 126.
(124) -Sull’argomento, cfr.: F. HEISBOURG, A Work in Progress: The Bush Doctrine and its Consequences, in THE WASHINGTON QUARTERLY, No. 26, Vol. 2, Spring 2003, pag. 77. Significativo appare inoltre il contributo di CONDRON, all’epoca della pubblicazione del suo scritto (1999), Capitano dell’U.S. Army. Secondo l’autore citato, la legittima difesa preventiva non sarebbe potuta assurgere a base giuridica dell’Operazione Desert Fox (Iraq, dicembre 1998), proprio perché mancante del requisito dell’imminenza (CONDRON, Justification for Unilateral Action in Response to Iraqi Threat: a Critical Analysis of Operation Desert Fox, cit., pag. 150).
(125) -Cfr.: E. OTTOLENGHI, G. VERDIRAME, Il Diritto al Primo Colpo, in IL FOGLIO QUOTIDIANO, 1 Marzo 2003, pag. 3. (126) -La contro-proliferazione, a differenza della non-proliferazione, non si fonda sull’aderenza di soggetti internazionali alle disposizioni contenute in trattati e accordi di disarmo, ma prevede la possibilità dello smantellamento coattivo delle risorse belliche o delle fonti di approvvigionamento dell’avversario. Tale concetto venne sviluppato ufficialmente negli ultimi due anni della prima amministrazione Bush e successivamente riarticolato dall’amministrazione Clinton per mano del Segretario della Difesa Les Aspin. Mentre però nel corso dell’ammi-nistrazione Clinton al Department of Defense’s Counterproliferation Initiative venne rivolta un’attenzione piuttosto blanda, concentrandosi invece sull’Arms Control and Non proliferation, l’attuale Amministrazione Statunitense ha inteso rafforzare tale concetto anticipatorio a mezzo di alcune pubblicazioni, chiamate National Security Presidential Directives (J. D. ELLIS, The Best Defense: Counterproliferation and U.S. National Security Strategy, in THE WASHINGTON QUARTERLY, No. 26, Vol. 2, Spring 2003, pagg.116, 117).
(127) -G. GUOLIANG, Redefine Cooperative Security, Not Preemption, in THE WASHINGTON QUARTERLY, No. 26, Vol. 2, Spring 2003, pag. 135. Sul tema cfr.: C. KUCIA, Counterproliferation at Core of New Security Strategy, in ARMS CONTROL TODAY, Vol. 32, No. 8, October 2002, pag. 30 e ss.; G. B. ROBERTS, The Counterproliferation Self-Help Paradigm: A Legal Regime For Enforcing the Norm Prohibiting The Proliferation of Weapons of Mass Destruction, in DENVER JOURNAL OF INTERNATIONAL LAW AND POLICY, Vol. 27, No. 3, 1998, pag. 483 e ss.; T. JR. GRAHAM, Is International Law Relevant to Arms Control? National Self-Defense, International Law, and Weapons of Mass Destruction, in UNIVERSITY OF CHICAGO JOURNAL OF INTERNATIONAL LAW, Spring 2003, pagg. 1 e ss.
(128) -Id., pagg. 136, 137. L’autore citato porta l’esempio della Corea del Nord, la cui invasione fu pianificata già nel 1994 dall’amministrazione Clinton. La realizzazione di tale ipotesi venne infatti bloccata dai pianificatori poichè foriera della preoccupante conseguenza del-l’escalation delle ostilità, fino all’utilizzo di WMD da parte nord-coreana e all’uccisione di un numero imprecisato di civili da entrambe le parti. Inoltre, secondo l’autore, il dualismo pragmatico dell’amministrazione americana nell’affrontare situazioni di crisi diverse, come l’Iraq e la Corea del Nord, utilizzando per il primo l’opzione militare e per la seconda la teoria classica del contenimento, suggerisce come il Governo USA non sia giunto ad una politica
unitaria nei confronti dello sviluppo e delle capacità WMD da parte di Paesi ostili.
(*) - Filosofo sofista greco, di cui di ha traccia nel Primo Libro della Repubblica di Platone, cit. in G. STRADA, Buskashì, 2a ed., Feltrinelli, Milano, 2003, pag. 66.
(**) Editorialista, Military finally gets political aid in Kosovo, in FRANKFURTER ALLGEMEINE ZEITUNG, 4 settembre 2004, disponibile su http://www.faz.com. Schmid, nel testo dell’arti-colo citato, voleva riferirsi alla situazione del Kosovo successiva ai tumulti scoppiati nel marzo 2004.
(129) -M. TONDINI, Regole d’ingaggio e uso della forza in mare, in RIVISTA MARITTIMA, prossima pubblicazione.