Pedofilia: La "peste" sociale del terzo millennio? Un'analisi della situazione, delle prospettive e della Proposta di Legge N. 2521

Maurizio Bortoletti (*)

1. Premessa

Tema terrificante quello della pedofilia. Terrificante per tutti, perché la violenza sessuale sui minori denuncia la fragilità degli argini che poniamo a tutela delle generazioni future. Non ci sono, infatti, incertezze sulla qualifica morale della pedofilia. Ma come, quando e cosa dirne appare sempre insufficiente per definizione. Ogni presa di posizione dà, infatti, l’impressione di arrivare tardi. Tardi rispetto al numero dei casi. Tardi rispetto allo sviluppo del problema. Ogni volta capita di alzare gli occhi dai quotidiani dopo essere rimasti inorriditi. Attoniti di fronte ai racconti raccapriccianti degli abusi perpetrati a danno di minori. Sgomenti di fronte all’oltraggio a valori socialmente condivisi e collettivamente riconosciuti. Tanto è doloroso e lacerante parlare di bambini che hanno subito abusi sessuali, che si preferisce chiamarli “fiori recisi”.

La condanna di questa parafilia e dei pedofili è drastica: basterebbe scendere in strada per un veloce sondaggio. Ma questa ferita aperta nel cuore dei bambini e nel futuro dell’umanità è un male antico(1). I bambini sono stati spesso oggetto del desiderio degli adulti, di certi adulti. È un dato di fatto, ma non è certo una prova a dimostrazione della sua legittimità. Può essere, però, una delle spiegazioni del ritardo con il quale l’allarme pedofilia è stato spesso affrontato. I numeri sembrano confermare l’allarme pedofilia. In Italia, ogni giorno vi sono due minori vittime di abusi sessuali, mentre le denunce sono in crescita esponenziale. A livello mondiale va anche peggio. L’incredulità ci assale naturalmente perché la parola pedofilia è una di quelle che suscitano infinite diatribe nei media e scatenano violente emozioni, incredulità, raccapriccio, curiosità, negazione. Una parola che mette le persone “contro”, perché tocca le corde più profonde del nostro essere. È naturale che una persona normale, perbene, resti talmente incredula di fronte a certi episodi da pensare istintivamente: speriamo che non sia vero!

Rimuovendo, così, cercando di non credere. Ma già i dati sulla sola cyber-pedofilia, ci confermano quanto l’allarme sia grave, fondato e non frutto di isteria collettiva: - 12 milioni le fotografie e le immagini di minori messe in rete; - 2 milioni i bambini coinvolti nel fenomeno; - 8 mila miliardi di lire il giro d’affari annuo; - 50.000 siti internet dedicati alla pedofilia; - 40.000 chats per pedofili; - 20 milioni i video pedo-pornografici in circolazione; - ben 34 le organizzazioni internazionali attraverso le quali i pedofili rivendicano il diritto di avere rapporti sessuali con minori di 12 anni. Fenomeno antico, dicevo. Ma, oggi, è la virulenza del fenomeno a spaventare. E il volano innescato dal suo sfruttamento commerciale non può non preoccupare.

2. La situazione italiana

Le rilevazioni statistiche confermano il ritardo e ci mostrano un fenomeno che appare inspiegabilmente sottovalutato per molti anni. A partire dal 1983 (302 episodi con 333 persone denunciate), la fenomenologia ha presentato un andamento sostanzialmente decrescente fino al 1990 (132 episodi e 122 persone denunciate), per poi mostrare una continua tendenza al rialzo fino al 1998, anno in cui si è registrato il più alto numero di delitti (586) e di persone denunciate (606); dopo una pausa nel corso del 1999 (511 gli episodi denunciati per 545 persone denunciate), il numero degli episodi denunciati riprende a crescere repentinamente nel corso del 2000(2) (gli episodi denunciati aumentano del 35%, salendo a 698, con 621 persone denunciate) ed il trend è tuttora confermato.

Per comprendere le reali dimensioni del fenomeno è, però, necessario considerare l’evoluzione della normativa. In particolare, le modifiche apportate dalla legge nr. 66 del 1996 che, dopo aver incluso il reato di violenza sessuale tra quelli contro la persona e non più contro la moralità pubblica, eliminò la distinzione tra congiunzione carnale ed atti di libidine, elevando l’atto sessuale posto in essere con violenza, minaccia o abuso di autorità, a fattispecie tipica del delitto di violenza sessuale al quale la successiva e oramai consolidata giurisprudenza ha ricondotto sia quegli atti con i quali si eccita il desiderio sessuale, sia larga parte delle condotte che si riferiscono alle molestie sessuali.

Grafico rappresentante il numero di abusi contro minori di 14 anni: delitti denunciati e persone deferite all'Autorità Giudiziaria.

3. Incidenza del “numero oscuro”

È difficilmente quantificabile, tanto da far sorgere legittimamente il dubbio sulla “accettabilità” di qualsivoglia valutazione effettuata sulla scorta dei dati disponibili. È alto nei casi in cui l’autore non conosce la vittima. È elevatissimo nei casi di pedofilia “familiare” dove l’abuso, la violenza sessuale ai bambini è quasi sempre legata al “segreto”. Il silenzio che circonda l’abuso sessuale in famiglia è un dato tipico, frequente: poiché si teme che parlandone il colpevole possa finire nelle mani della giustizia e la famiglia subire un danno ulteriore, si preferisce sacrificare il minore. Come accade in ogni setta, in ogni organizzazione segreta, è frequentemente il segreto a cementare l’intesa tra i membri della famiglia nella quale avviene l’abuso, la violenza. È il segreto che tutta la famiglia “deve” mantenere, né può “svelare”.

Un vero e proprio elemento di coesione. Silenzio che viene amplificato dalla paura del minore di non essere creduto, dalla vergogna se la cosa dovesse diventare di dominio pubblico, dal timore nei confronti dell’adulto pedofilo che può utilizzare diverse forme di ricatto, dai sensi di colpa e dalla paura, magari, di perdere gli unici punti di riferimento affettivo. La media delle denunce fatte direttamente dai minori coinvolti diventa, così, ancora più bassa di quelle fatte dai loro familiari: tra chi lo fa, soprattutto adolescenti e, in particolare, ragazze, mentre i bambini hanno bisogno di essere spronati da un adulto significativo nel quale ripongono fiducia(3). Se a questo aggiungiamo un comportamento negante e mistificatorio della famiglia, che colpevolizza il minore, lo fa sentire solo, abbandonato e gli trasmette la convinzione di aver imboccato una strada senza ritorno, la situazione ci appare in tutta la sua gravità.

4. Andamento del fenomeno in relazione alle caratteristiche sociodemografiche di autori e vittime

Una considerazione preliminare: tale forma di devianza è estranea al mondo dell’immigrazione, legale o illegale che sia. Nel corso del 1999, infatti, solo il 6,5% dei casi è avvenuto in danno di minori di nazionalità non italiana, mentre per ben 85 volte su 100 l’autore è risultato un cittadino italiano. Le vittime straniere sono soprattutto rumene ed albanesi, mentre tra gli autori troviamo tunisini, marocchini, rumeni, albanesi e provenienti dall’area dell’ex Jugoslavia(4). Le serie storiche relative ai delitti denunciati ed alle persone deferite, osservate in relazione alla popolazione residente, ci indicano che in Italia non esistono regioni dove il fenomeno è particolarmente radicato, così come non vi sono sostanziali differenze tra nord, centro e sud del Paese(5).

Tabella raffigurante le violenze sessuali contro minori di anni 14: delitti denunciati e persone deferite all'A.G. nel 1998 e nel 1999, ripartiti per Regione.

Relativamente alla fascia di età delle vittime, i dati evidenziano che sul totale delle violenze sessuali incide maggiormente l’indice riferito alla fascia fino ai 10 anni. Peraltro, complessivamente le vittime minori di anni 14 rappresentano circa il 76 % del totale delle vittime.

Tabella raffigurante le violenze sessuali (art. 609 bis e 609 ter c.p.) contro minorenni: distinzione per fasce d'età delle vittime. Anno 1999.

I dati raccolti con riferimento al sesso delle vittime evidenziano, in linea con una consolidata tendenza, una chiara prevalenza di vittime di sesso femminile che si accentua in modo rilevante nella fascia d’età tra i 15 ed i 17 anni quando sembra scemare notevolmente l’interesse dei pedofili verso vittime di sesso maschile. Ciò non esclude la presenza di una casistica di vittime maschili, oppure di bambini molto piccoli. La tipologia dell’abusante è, per complementarità, prevalentemente maschile con un’età abbastanza variabile. Le donne pedofile sono, infatti, nettamente più rare degli uomini(6). Come gli uomini, anche le donne creano dissesti psicologici che possono essere talvolta addirittura superiori, nei casi in cui si tratta della madre. L’abuso madre figlio, più raramente madre figlia, è, comunque, un’eventualità inconsueta spesso associata a forte isolamento, a situazioni di disgregazione familiare e/o di squilibrio mentale, ed è considerato molto grave in tutte le culture perché la madre è la persona dalla quale la società si attende il massimo livello di protezione dei figli(7).

Violenze sessuali (art. 609 bis e 609 ter c.p.) contro minorenni: distinzione per sesso delle vittime, con distribuzione per Regioni. Anno 1999.

Dai dati operativi è possibile estrapolare anche il profilo delle relazioni esistenti tra gli autori e le vittime, da cui si evidenzia che la maggioranza delle persone denunciate erano già note alla vittima(8). Una delle generalizzazioni più comuni è quella che relega la pedofilia al mondo dei più deboli socialmente, dei più ignoranti, delle famiglie disfunzionali che, spesso, anche se non sempre, tendono a ripiegarsi su se stesse ed a isolarsi dal resto della società. Negli ultimi anni, sono, in effetti, emerse tante storie di abuso e di incesto avvenute nei quartieri più poveri, dove la promiscuità era ed è un elemento che può favorire certe situazioni. Ma un numero analogo di violenze sono emerse in ambienti dove la ricchezza ed il benessere non favorivano certo il contatto intimo e dove ognuno aveva la propria camera da letto: in questi casi non c’era, di sicuro, la giustificazione dell’ignoranza o della miseria(9).

Violenze sessuali (art. 609 bis e 609 ter c.p.) contro minorenni: tipologia delle relazioni fra autore e vittima. Anno 2000.

5. L’attuale quadro normativo

La tutela dei minori da abusi alla loro integrità psicofisica è attualmente perseguita attraverso le norme contenute nella legge 3 agosto 1998, nr. 269, con cui il legislatore ha voluto contrastare la riduzione dei minori a oggetti del commercio sessuale ed affermare l’intangibilità della loro persona: un testo limpidamente dalla parte dei bambini, così da rendere operante l’articolo 3 , primo comma, della “Convenzione dei diritti del fanciullo”, sottoscritta a New York il 20 novembre 1989 e recepita dal nostro ordinamento con la legge 27 marzo 1991, n. 176. La scelta operata dal legislatore è stata quella di punire le fattispecie tipiche dell’abuso sessuale a danno dei minori e dello sfruttamento della prostituzione e della pornografia minorile, senza elevare il concetto di pedofilia a figura giuridica autonoma: sia perché non ne esiste in campo clinico una definizione univocamente accettata, sia, soprattutto, perché è generalmente classificata come una malattia o quanto meno come un disturbo della personalità che, in sede di giudizio, porta a notevoli difficoltà nella fase di accertamento della capacità richiesta dal codice per l’imputabilità del presunto colpevole(10). La civiltà di qualunque società si misura dall’attenzione che dedica ai bambini, non solo per il loro valore intrinseco in quanto persone, ma anche perché essi rappresentano il futuro, la società del domani; la legge nr. 269 del 1998 riconosce la tutela dell’infanzia come obiettivo primario e si focalizza, in particolare, sui bambini e sugli adolescenti considerati “a rischio” perchè vivono in famiglie in difficoltà e/o in aree caratterizzate da elevati tassi di criminalità che favoriscono la devianza e la delinquenza. Tra le misure operative adottate si annoverano la rivitalizzazione del Comitato provinciale per la pubblica amministrazione(11), ma anche l’attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei ministri delle funzioni di coordinamento di tutte le attività svolte per la prevenzione, l’assistenza e la tutela dei minori dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale(12).

6. Le problematiche attuali

La legge n. 269 del 1998 è una delle legislazioni più moderne ed avanzate del settore, ammirata a livello internazionale soprattutto per la scelta di configurare la fattispecie penale come reato di pericolo così da perseguire come delitto la forma del tentativo. Ma, purtroppo: a. è una normativa che, intervenendo dopo che il danno si è prodotto, non è riuscita, come dimostrano i dati e le tristissime cronache degli ultimi quattro anni, ad aumentare il livello di difesa dei minori, a meno che non si voglia considerare tale una condanna che, sempre che vi si pervenga, arriva dopo moltissimo tempo e con la fondata probabilità di non essere, del tutto o almeno in parte, scontata! Né possiamo qui sottacere che un funzionamento della giustizia caratterizzato da tanti e tanti delitti impuniti ed innumerevoli torti non riparati, ha fatto sì che la spinta verso il crimine dei pedofili abbia trovato nuovi ed inimmaginabili impulsi all’insegna di una sempre più probabile impunità ben lungi dall’avere nei meccanismi giudiziari il freno sperato. Né si può pensare, attraverso l’aumento sistematico delle pene edittali, di delegare la funzione di difesa dei minori dal dilagare della pedofilia alla carcerazione preventiva: è vero che questa pone l’indagato nella condizione di non poter proseguire la propria attività delinquenziale, è vero che può essere irrogata per impedire che l’indagato possa continuare a delinquere, ma il quadro probatorio richiesto dal nostro ordinamento ed i continui riesami previsti fino alla Suprema Corte la rendono una misura che poco si concilia con la necessità di difendere tempestivamente il bambino. E, comunque, quando si parla di carcerazione preventiva, il reato e, quindi, il danno sull’integrità psicofisica del minore, si è già consumato(13). Purtroppo il problema dell’ipertrofia del nostro sistema penale, che non assicura né prevenzione, né punizione, è un dato di fatto che non possiamo omettere di considerare. E qui si innesta un altro sentimento che sta iniziando a diffondersi tra i cittadini e che potrebbe portare, di fronte alle emozioni suscitate da un bambino vittima di abusi, a reazioni incontrollate e derive giustizialistiche: la mancata punizione del colpevole contribuisce a diffondere l’impressione di una giustizia negata nel quotidiano; cosa si può provare di fronte al racconto di un ragazzo, oggi maggiorenne, violentato, dai 9 ai 12 anni, da 33 pedofili dei quali, oggi, dopo 4 anni di indagini e processi, ben 31 li può incontrare tutti i giorni per la strada(14)? b. È una legge che non ha contenuto o eliminato il rischio dell’errore giudiziario: un rischio che, in questo settore, è da non sottovalutare perché genitori, educatori e responsabili delle Istituzioni sono, assai spesso, non adeguatamente preparati in merito o non hanno le necessarie competenze(15). Il rischio c’è, così come esiste il pericolo di una falsa denuncia da parte dello stesso minore attraverso il racconto di precise “dinamiche” attivate da qualche suggeritore interessato o dalla suggestione indottagli da eventi crudeli capaci di snaturare il rapporto di fiducia verso gli adulti, ma anche dalla violenza di uno stupro fisiologico e non fisico(16). È un pericolo da tener ben presente soprattutto nel momento immediatamente successivo alla scoperta della violenza: momento in cui il turbamento dei genitori, l’impressione dei parenti e degli amici della famiglia colpita, l’emozione popolare creano una fortissima pressione ambientale che può indurre scelte affrettate in chi ha il compito di assicurare alla giustizia il colpevole. Ecco un motivo in più per non aspettare il momento repressivo, per non continuare a confidare solo in una legge che guarda esclusivamente alla fase successiva alla commissione del reato dimenticando, così, che prevenire ha costi economici e, soprattutto, sociali notevolmente inferiori rispetto a quelli repressivi. c. È una legge che ha subito lo sviluppo di internet, probabilmente il più efficace e riservato sistema di comunicazione mai concepito, e il dilagare di una nuova dimensione organizzata della pedofilia che, pur se quantitativamente meno significativa rispetto alle forme classiche, riesce a mettere in connessione pedofili di tutto il mondo con minori rischi di essere scoperti vista l’enorme quantità di collegamenti che la rete ospita e l’inadeguatezza delle attuali tecniche di investigazione e controllo(17). La pedofilia telematica configura elementi nuovi e per certi versi allarmanti, sia in termini comunicazionali ed interattivi e sia in termini organizzativi(18): ogni criminale, posto in condizione di comunicare e di spostarsi in maniera più efficace e riservata, può aumentare la propria capacità di delinquere. La possibilità di mantenere l’anonimato nel corso dei collegamenti finalizzati allo scambio di pornografia o ai tentativi di adescamento è resa ancor più insidiosa dall’esistenza di appositi siti (ad esempio, il Replay Anonimus di Santa Monica, California) i cui gestori affermano di voler tutelare, rendendo anonimo il messaggio, la privacy degli utenti senza voler in alcun modo favorire il crimine(19). Mediatore dell’azione criminale, internet consente non solo di relazionare senza il contatto faccia a faccia che molti non sono in grado di sostenere, ma, attraverso la possibilità di “disconnettersi” e di abbandonare il gioco nel momento in cui si fa troppo impegnativo e stressante, dona l’idea di non fare ciò che in realtà si compie, fornendoci una delle più potenti tecniche di neutralizzazione che l’uomo moderno ha a disposizione. Così si resta perplessi o, forse meglio, sbigottiti, davanti ad adulti che non si sentono in colpa se, da soli, in pantofole, navigando nel Web, si imbattono in siti pedofili e “senza fare alcun male ad un bambino”(20), li vanno a visitare: dimenticando che non sono solo i piccoli del mondo con i loro sogni e la loro voglia di giocare, a subire violenza, perché senza quei sogni finisce la vita, perché viene colpita non solo l’anima di quei bambini, ma anche l’anima del mondo stesso. Non solo: è facilmente ipotizzabile che alcuni individui affetti da tale parafilia, abbiano avuto l’opportunità con internet di sperimentare la loro perversione, fino a quel momento vissuta a livello intrapsichico; la rete consente al pedofilo una maggior facilità e riservatezza nella fruizione di materiale pornografico con il possibile incremento delle fantasie erotiche, ma anche l’ingresso in circuiti di soggetti omogenei con il conseguente apprendimento o rinforzo di fantasie, tecniche ed opportunità. Già nel corso del dibattito conclusosi con l’approvazione della legge nr. 269 del 1998, i lavori parlamentari(21) evidenziarono, in modo inequivoco e ben prima che il fenomeno si manifestasse con la virulenza degli ultimi mesi, quanto era chiara al legislatore l’insidiosità del mezzo telematico per il sistema di tutela del minore dalle offese alla sua integrità psicofisica. Ed ancor più chiara, dai verbali parlamentari della discussione, emerge la consapevolezza della necessità di intervenire nella sfera privata, prevedendo la punibilità del possesso personale di materiale pornografico minorile. Difesa della sfera privata che era e resta il pilastro di una concezione laica e democratica dello Stato: ma qui è stata ritenuta prevalente la necessità di proteggere la libertà psicologica e fisica del minore, così come già accadeva in Germania, Belgio, Norvegia, Svizzera, Inghilterra, Stati Uniti, Australia e Canada, nella consapevolezza che non è sufficiente contrastare solo l’offerta, vista l’entità del fenomeno del quale comunque in quei giorni neanche si intuivano le dimensioni attuali, ma risulta indispensabile il contrasto alla domanda della quale il possesso è un elemento fondamentale. Di più: in assenza di misure opportune, la frequente associazione, informativa e semantica, tra pedofilia e internet rischia di radicare nell’immaginario collettivo delle convinzioni distorte circa gli aspetti criminogenetici della rete, generando delle tendenze di tipo isterico in direzione di uno strumento viceversa di grande sviluppo sociale e culturale. La Rete non ha inventato la pedofilia, né la favorisce: ha solo permesso una nuova aggregazione del comportamento pedofilo, una nuova possibilità per questo comportamento di uscire allo scoperto in un mondo, quello della Rete, in cui mancano e mancavano codici giuridici e morali, e che, dunque, favorisce il riemergere di fenomeni che esistono, però, da sempre in maniera nascosta nel mondo off-line. Il rischio è quello di confondere la novità del mezzo di osservazione, internet, con la novità del fenomeno, la pedofilia, che di nuovo ha solo il mezzo di aggregazione. Se da un lato internet ha favorito l’aggregazione più di vecchi che di nuovi pedofili, dall’altro ha avuto anche l’innegabile merito di mostrare al mondo intero la pedofilia, l’abuso e lo sfruttamento dei minori. La pedofilia, fenomeno antico, è apparsa sugli schermi della Rete, figlia dei tempi moderni, sconcertando e scuotendo l’opinione pubblica che è sembrata solo allora rendersi conto di qualcosa che in realtà ha una ben più antica origine. Comportamenti come quelli pedofili, che già esistevano prima di internet, avrebbero invece trovato in esso, mezzo tecnologico dalla potenzialità illimitata, dalla immediata e generalizzata accessibilità, uno spazio di concentrazione, di diffusione e di comunicazione. La rete telematica ha reso possibile lo sviluppo di una nuova dimensione organizzata della pedofilia collegando pedofili di tutto il mondo e rendendo possibile l’offerta on-line di una serie di servizi illegali. Internet è una sorta di mondo on-line in cui, non solo è presente tutto ciò che troviamo off-line, ma anche tutto quello che off-line è vietato, nascosto, proibito(22): potentissimo strumento di diffusione della cultura, è servito, e serve tuttora, anche per diffondere delle idee e dei concetti che nel mondo reale sono praticamente banditi. I pedofili hanno scoperto, grazie ad internet, la possibilità di fare tutto ciò che altrimenti era loro precluso, arrivando a diffondere il loro ideale pedofilo come una sorta di filosofia di vita e di amore per i bambini. Ma internet non è solo un mezzo per la diffusione di materiale pedo-pornografico o per operare del proselitismo. Il pericolo più insidioso per i minori è rappresentato dalle IRC (le internet relay chats), aree o canali che consentono conversazioni on-line in tempo reale tra due o più persone. Qui, viene esaltato il mimetismo dei viaggiatori telematici, la comunicazione con un interlocutore anonimo e sconosciuto che si presenta con un’identità di sua scelta non necessariamente corrispondente a quella reale, attraverso la possibilità di adottare una modalità di identificazione convenzionale con sigle o codici inventati (il nickname) e di asserire di avere qualsiasi età, sesso o aspetto fisico, senza che sia possibile verificarne la veridicità(23). Pericolo grave perché, come acclarato da diversi studi, nella prima adolescenza viene fatto un uso del computer quale tramite per conoscere meglio l’altro sesso - dal punto di vista conversazionale, immaginativo ed emotivo - e per sperimentare, tramite la conoscenza dell’altro, diverse identità fino a costruirne una propria, definitiva; l’infinita potenzialità di sperimentazione che offre internet fa buon gioco alla curiosità di una personalità in divenire com’è quella dei giovani: il minore, là per curiosità o in cerca di amicizia, rischia di essere facilmente ammaliato da promesse, lusinghe o dalla possibilità di ottenere informazioni su argomenti “proibiti” che in genere è difficile avere dagli adulti(24). Ma non solo: per una persona abituata ad entrare nelle chats, che conosce gli interlocutori più fedeli e le conversazioni che essi intrattengono, è facile sostituirsi, con le intuibili conseguenze, ad uno di questi ed avviare un dialogo con un minore che ignaro nutre, verso il titolare del nickname, fiducia e confidenza. Pericolo reso ancor più grave dall’avvento e dalla diffusione di video-fotocamere digitali che sono un grosso elemento di facilitazione per i produttori amatoriali di pornografia minorile: non necessitando di sviluppo presso un laboratorio specializzato, riducono drasticamente gli inconvenienti ed il rischio di essere scoperti e denunciati. In effetti in passato alcuni fotografi amatoriali erano già in grado di sviluppare e stampare le fotografie nelle loro case, ma questa pratica non era diffusissima e comunque necessitava di una certa perizia e di una discreta quantità di attrezzatura(25). Senza criminalizzare internet, attraverso l’associazione fuorviante del fenomeno pedofilia alle reti telematiche, sarebbe errato sottovalutare la cyberpedofilia che, forse, a fronte di un numero forse ridotto e comunque in vertiginoso aumento di pedofili telematici, origina un giro d’affari, come abbiamo visto, di incredibili dimensioni. Non è necessario criminalizzare la rete per stigmatizzare chi, navigando in internet, visualizzi materiale pornografico “proibito”: bisogna tutelare i minori e perseguire coloro che li sfruttano, senza però limitare la libertà individuale di milioni di persone, in linea con l’orientamento espresso dal Garante per la Privacy. Tra l’altro, sarebbe inutile inseguire manie censorie anche perché la maggioranza della comunità attiva di internet rifiuta decisamente ogni tipo di censura, di restrizione digitale. Ma è avvertita da tutti la necessità, anche a seguito della campagna condotta sugli organi di stampa su quello che è ormai considerato un mondo ai confini della legalità oltre che privo di una autodisciplina, di una qualche forma di controllo(26).

7. La soluzione della nostra politica Ora quale dovrebbe essere il compito della politica di fronte a questa emergenza?

Quello di assecondare ed inseguire demagogicamente gli umori dell’opinione pubblica o, piuttosto, quello di intervenire prima, con una prevenzione capace di creare una barriera di protezione attorno al minore, una serie di ostacoli sulla strada che il pedofilo deve necessariamente percorrere per arrivare a intaccare l’integrità psicofisica del minore? Vi sono otto proposte(27) di modifica della normativa in materia: pendenti avanti la 2^ Commissione Giustizia (relatore nominato il 5 febbraio 2002, la deputata Marcella Lucidi), furono presentate nel corso del 2001 con l’obiettivo di migliorare la capacità di risposta e, quindi, l’attività repressiva delle Forze di polizia e della Magistratura. Tutte sono l’espressione dell’attuale tendenza ad individuare nell’inasprimento delle pene la risposta a qualsiasi propagarsi e generalizzarsi dell’allarme sociale in tema di sicurezza, a ricercare una maggiore serenità sociale attraverso l’ideologia della pena esemplare, nonostante la storia recente abbia evidenziato la pericolosità di questa linea politica che lascia il cittadino ancor più accorato e disorientato di fronte all’inutilità di misure così aspre e propagandate come risolutive, aggravando il suo sentimento di insicurezza e sfiducia nel diritto e nelle istituzioni(28). Pur se non va taciuto che alla determinazione in astratto della misura della pena concorrono diversi fattori, già Beccaria evidenziò i pericoli di un uso non calibrato della sanzione criminale: l’osservanza del principio di proporzionalità è, infatti, interno alla stessa prospettiva della prevenzione generale, essendo ormai acquisito che una sua violazione per eccesso, mentre non accresce l’effetto deterrente di controspinta della sanzione in rapporto corrispondente all’eccesso, conduce ad un disorientamento della opinione dei consociati sui valori tutelati e sulle loro gerarchie. Un principio teorico, elementare, suffragato dall’esperienza, in tema di efficacia degli inasprimenti punitivi è che l’effetto deterrente delle pene è direttamente proporzionale al grado di effettiva esigibilità dell’osservanza delle norme violate: pena effettiva non significa pena severa. Meglio pene miti, ma certe, piuttosto che pene rigorose, ma casuali, anche perché l’afflittività della prigione non è proporzionale, ma progressiva. Non solo. Un sistema sanzionatorio inflazionato sul piano dell’entità delle pene produce delle discrasie tra pena nominale e pena reale che, spesso, sono viste dalla collettività come un segnale dell’ineffettualità della sanzione e di inaffidabilità del sistema nel suo complesso. Perché l’inflazione penale ed il suo uso ed abuso simbolico, l’espansione della giustizia penale come strumento di consenso non farà che creare ulteriori crepe e macerie in un sistema che, invece, richiede risposte immediate ed efficaci a tutela dei minori. Altrimenti continuiamo a spingere il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale a rovesciarsi nella prassi della massima discrezionalità, in cui il rischio di un suo uso flessibile e condizionato dalle necessità del momento è altissimo. Alcune misure penali sono, dunque, tanto inutili nei riguardi delle dimensioni oggettive del fenomeno che pretendono di esorcizzare, quanto dannose nei riguardi della sua percezione soggettiva per il battage pubblicitario che le accompagna. Certo: è più facile emanare leggi repressive, che porre mano a migliorare la qualità dell’azione svolta. Ma queste leggi non servono assolutamente a nulla.

8. Una strada percorribile

Per chi può scappare, per chi può percepire per tempo la minaccia, per chi può aspettare i tempi della giustizia penale, la preoccupazione esiste, ma è certamente minore di quella che un legislatore attento deve avere nei confronti dei minori. Qui bisogna difendere chi non si può difendere, perché ogni volta in cui l’offesa viene portata ad uno di questi soggetti, il clamore che si suscita nell’opinione pubblica ed il conseguente sentimento di ribellione sono ancora più forti e destabilizzanti per la tranquillità sociale. Qui l’esigenza di difesa sociale non può aspettare la repressione penale, nemmeno se questa fosse tempestiva, perché il sentimento di ingiustizia e di frustrazione che determinati delitti suscitano nell’opinione pubblica e, soprattutto, nella cerchia dei rapporti affettivi di questi soggetti, rischia di suscitare reazioni difficilmente controllabili, scatenando fobie ed una “caccia al lupo” che può coinvolgere indiscriminatamente chiunque. Qui, difesa sociale vuol dire, soprattutto, apprestare un adeguato e presidiato sistema di tutela, evitando di subire le spinte emozionali degli eventi che possono, in casi molto eclatanti come questi, non lasciare indenni anche le forze di polizia e la magistratura, con il rischio che, al danno, si possano aggiungere errori che non farebbero che aumentare ulteriormente il disagio e la ribellione sociale verso un sistema che, oltre a non garantire la sicurezza dei più deboli, è pure fallace. Ecco perché la prevenzione, una prevenzione che sappia essere efficace, ha un costo sociale molto inferiore. Preso atto dell’impossibilità di difendere tutti gli obiettivi potenziali, appare utile non solo incidere su tutti quei soggetti che hanno manifestato comportamenti che, se pur non integrano ancora fattispecie penali, sono sintomatici di una certa pericolosità, ma anche interdire tutti i “luoghi” di potenziale contatto tra pedofili e minori. Una prevenzione che funzioni permette di ridurre l’incidenza di quel muro di silenzio, di quell’omertà che, spesso, nasconde l’abuso, la violenza sessuale ai bambini(29). Un segreto che “deve essere mantenuto”, che non si può “svelare” e che lega i protagonisti, vittime e carnefici, in un circolo perverso che riesce ad avvolgere anche tutti coloro che, uniti con questi da vincoli di parentela o rapporti di amicizia e frequentazione, sospettano o intuiscono o sanno. In realtà, abbiamo visto, oltre i due terzi degli abusi sessuali compiuti sui minori avvengono in contesti noti alla vittima, e apparentemente protetti, ad opera per lo più di familiari e conoscenti. Il particolare contesto in cui la violenza si consuma condiziona fortemente la possibilità della vittima di ribellarsi o di denunciare l’aggressore: l’omertà familiare, la vergogna e i sensi di colpa e i più o meno impliciti ricatti affettivi, favoriscono il segreto e, così, l’accrescere del cosiddetto numero oscuro del reato(30). Una prevenzione che funzioni aumenta il tempo disponibile per l’attuazione di tutte le azioni formative e di sensibilizzazione(31). Interventi che, pur essendo il vero rimedio all’emergenza pedofilia, non possono incidere sul fenomeno con quella tempestività resa indispensabile dall’attuale virulenza del fenomeno di fronte al quale appare indispensabile difendere chi non si può difendere, chi non può scappare ed è disarmato di fronte al pericolo, chi non può scegliere “di cambiare strada” perché non è in grado di percepire il pericolo: solo allontanando, per quanto è possibile, il “carnefice” dalle sue vittime potenziali, solo frapponendo alla sua condotta deviante una serie di ostacoli che rendano complicato “agganciare” un minore, potremo garantire all’azione di formazione e di sensibilizzazione il tempo che è necessario. Una prevenzione che funzioni può sfruttare la forte propensione di questi soggetti verso il collezionismo(32) di materiale pornografico di tipo tradizionale o informatico: è questo il “cavallo di Troia” per mezzo del quale sarà possibile entrare in questi “bazar virtuali” dove il materiale pornografico è usato come merce di scambio per creare una rete di comunicazione omogenea e, indirettamente, come “lasciapassare telematico”. La pornografia minorile rappresenta, infatti, una manifestazione complementare ed imprescindibile della pedofilia, dalla quale trarre gratificazione ed eccitamento, convalidazione e giustificazione del comportamento, seduzione, preservare la gioventù del bambino, ricatto, mezzo di scambio e profitto.

9. La proposta di legge Atto Camera n. 2521

Il dibattito in corso avanti alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati per la riforma della legge 269/1998 si è arricchito di una proposta innovativa ed esclusivamente focalizzata sulla prevenzione. Prendendo spunto dalle riflessioni sopra svolte, la proposta mira a fornire alla Magistratura ed alle Forze di polizia alcuni nuovi strumenti per combattere il fenomeno. O, almeno, nuovi per l’ampliamento che viene proposto della loro operatività, perché quello delle misure di prevenzione è un sistema antico: individuata la fonte del comportamento antisociale del soggetto, se ne contrasta la pericolosità con una serie di divieti e obblighi mirati che rendono molto più rischiosa la preparazione e la commissione dei reati. La modifica che si vuole introdurre appare non solo idonea, ma anche adeguata e proporzionale al contenimento di questa fenomenologia antisociale ed all’aumento del livello di difesa sociale che viene richiesto dall’opinione pubblica: interdire all’agire del soggetto molti dei luoghi (da internet al parco giochi, dall’internet cafè agli impianti sportivi) dove si concentrano abitualmente e, frequentemente senza particolari difese, i soggetti passivi del suo agire criminale non potrà che complicare notevolmente l’adescamento, anche informatico, del minore. Infatti, nonostante gli ultimi e più eclatanti casi abbiano visto internet quale mediatore dell’azione criminale, le casistiche scientifiche nazionali ed internazionali confermano che il terreno di “coltura” privilegiato della pedofilia è ancora rappresentato dalla famiglia, ristretta ed allargata, delle piccole vittime e da alcune categorie sociali e professionali facilitate nel contatto con i minori(33): monitorare molto più intensamente i parchi giochi, gli edifici scolastici, gli impianti sportivi e ricreativi, i luna park ed i circhi equestri, i luoghi ed i locali dedicati all’intrattenimento giovanile quali sale giochi o di video games, internet point e internet cafè, multisale cinematografiche, non solo condurrà i soggetti sottoposti alla misura a desistere per evitare di incappare nei controlli con le previste conseguenze penali, ma potrà avere un analogo effetto deterrente anche verso tutti coloro che non sono stati ancora individuati ed “etichettati” quali soggetti pericolosi. Non solo: sono misure che si rafforzano reciprocamente. Interdire l’accesso al world wide web è utile a contrastare indirettamente anche forme di pedofilia “classica” perché, come confermato dalle casistiche scientifiche nazionali ed internazionali, si sta registrando un aumento dei casi in cui il pedofilo, appartenente alla famiglia delle piccole vittime o ad alcune categorie sociali e professionali facilitate nel contatto con i minori, è stato trovato in possesso di materiale pedopornografico proveniente dal “supermarket telematico” dove risulta comunque, sempre, apparentemente meno rischioso acquistare. La applicazione delle misure di prevenzione, aumentando il livello di rischio che i soggetti pericolosi devono accettare per porre in essere comportamenti illeciti, porta evidenti positive conseguenze anche nell’attività di individuazione dei cd. “pedofili classici”, spesso, inafferrabili grazie al muro di silenzio dietro al quale si nascondono: come con una macchia d’olio che si allarga, partendo dal parco virtuale in cui si muove il soggetto pericoloso, sarà possibile localizzarne altri sia direttamente, attraverso l’analisi dei contatti, che indirettamente, dopo essere risaliti ai “bazar telematici” visitati.

10. Note conclusive

Dopo aver affermato che “l’infanzia è il sonno della ragione”, Rousseau(34) si chiese se “c’è qualcosa di più debole e misero di un bambino, qualcosa di più totalmente alla mercé di chi lo circonda, di così dipendente dalla sua pietà, dalle sue cure e dal suo affetto?”: la civiltà di qualunque società si misura dall’attenzione che dedica ai bambini, non solo per il loro valore intrinseco in quanto persone, ma anche perché essi rappresentano il futuro, la società del domani. È il momento, in un settore così delicato della vita nazionale, di rinunciare ad inseguire la popolarità attraverso simili facili illusorie soluzioni, ritornando ad una politica capace di ottenere voti come strumento per il fine di realizzare programmi, senza più indulgere nella propaganda di programmi, inasprimento delle pene, piani straordinari, creazione di nuove ulteriori strutture ad hoc, quali che siano, come strumento per il fine di ottenere voti. Perché di fronte ad un fenomeno che in alcuni momenti è parso totalmente fuori controllo, tanto da far lecitamente supporre che anche gli scarni risultati qua e là conseguiti siano una goccia nel mare, un giornale ha pubblicato le liste dei pedofili condannati con sentenza definitiva, riesumando le cosiddette “pene della vergogna”, la “gogna” nel senso più autenticamente medioevale del termine, già impiegata negli Stati Uniti: in Arkansas, un ladro di supermercati è stato condannato a sostare davanti ai negozi svaligiati con un cartello al collo con scritto “Sono io il ladro”; in Minnesota, un marito che era solito picchiare la moglie ha accettato di farsi sputare in faccia dalla donna nella piazza del tribunale, in occasione della causa di divorzio; in Wisconsin, nei pressi di un’abitazione, è stato collocato il cartello “Qui abita un pedofilo. Bambini lontani”. E visto che, nonostante vi siano innegabili differenze socioculturali tra modello europeo e americano, è altrettanto vero che quest’ultimo ha talvolta notevolmente influenzato - americanizzandoli - parte dei nostri usi e costumi, c’è da chiedersi: vogliamo un futuro in cui, esaurite tavole rotonde, forum e dibattiti vari, incontreremo, dal giornalaio o in piazza, un distinto signore con un cartello al collo riportante “sono un pedofilo”?


(*) - Tenente Colonnello dei Carabinieri.
(1) - Nei secoli passati i maltrattamenti e gli abusi nei confronti dei minori erano vari e diffusi, così come l’abbandono e l’infanticidio; povertà, epidemie, morti precoci, lotta per la sopravvivenza, non lasciavano molto spazio a preoccupazioni di altro tipo. Ma a mano a mano che una larga parte della società migliorava le proprie condizioni di vita, emerse una nuova attenzione nei confronti dell’infanzia. Nella nostra epoca, gli abusi sui minori continuano con nuovi scenari sociali, culturali e politici. Di nuovo, rispetto al passato, c’è, soprattutto, il grande potere di amplificazione e di diffusione dei mezzi di comunicazione di massa.
(2) - Tra il 1999 ed il 2000 si è, purtroppo, assistito ad una rilevante diminuzione delle persone denunciate in stato di arresto: dal 70 % nel corso del 1999 (351 arrestati sui 522 denunciati) si è passati al 50% dell’anno 2000 (342 denunciati in stato di arresto su 621). L’arresto in flagranza di reato o il fermo, e la successiva custodia cautelare dopo la convalida, contribuiscono in modo rilevante ad aumentare il livello di difesa sociale in un settore così delicato nel quale i tempi, a volte biblici, della giustizia penale, non sembrano adeguati a fronteggiare un fenomeno che richiederebbe, invece, risposte rapide dopo la scoperta del reato al fine, almeno, di porre il pedofilo in condizione di non nuocere ulteriormente attraverso la reiterazione della condotta. V. MORELLI, Il business sui bambini, in POLIZIA MODERNA, 11, 2001, pag. 18.
(3) - A. OLIVERIO FERRARIS, B. GRAZIOSI, Pedofilia, per saperne di più, Laterza, Bari, 2001, pag. 90. (4) - AA.VV., Rapporto sullo stato della sicurezza in Italia, Ministero dell’Interno, Roma, 2001.
(5) - I fattori sociali, culturali ed economici non sembrano incidere in modo significativo sul comportamento del pedofilo intrafamiliare e, quindi, sul 72 % circa dei casi di pedofilia. F. MONTECCHI (a cura di), I maltrattamenti e gli abusi sui bambini, F. Angeli, Milano, 1998.
(6) - Il giudizio clinico tradizionale ha, infatti, sostenuto che le perversioni sono rare nelle donne e, quindi, sono rari i casi di pedofilia femminile. Questo punto di vista è cambiato negli ultimi anni, com’è risultato della ricerca empirica e dell’osservazione clinica che hanno dimostrato come le fantasie perverse siano, di fatto, comuni alle donne. Verosimilmente, i clinici non sono stati in grado di identificare le perversioni delle donne poiché implicano delle dinamiche più sottili rispetto alla sessualità più prevedibile delle perversioni maschili. M. STRANO (a cura di), Aspetti eziologici della pedofilia: una raccolta essenziale di contributi teorici, Psychomedia, febbraio 2001.
(7) - A. OLIVERIO FERRARIS, B. GRAZIOSI, Pedofilia, per saperne di più, cit., pag. 85.
(8) - La rappresentazione sociale del pedofilo era quella del “maniaco”, isolato e sconosciuto alla vittima, che occasionalmente aggredisce ed importuna il bambino usandogli violenza. Negli ultimi anni l’opinione pubblica ha dovuto prendere coscienza della gravità e della diffusione del fenomeno dell’abuso sessuale all’interno delle mura domestiche: un lento processo di presa di coscienza e di accettazione dell’esistenza stessa, all’interno delle relazioni familiari, di violenze di questo tipo. Resistenze psicologiche e culturali non riguardavano solo la gente comune, ma anche gli operatori professionali. Il fenomeno, nella sua reale entità, è stato, così, per diverso tempo sottostimato, non solo per la difficoltà emotiva a dover ammettere che la famiglia possa rappresentare in alcuni casi addirittura una situazione di rischio per il minore, ma anche per la difficoltà oggettiva nel rilevare una casistica aderente all’entità del fenomeno. J. GOODWIN (a cura di), Abuso sessuale sui minori: le vittime dell’incesto e le loro famiglie, Centro Scientifico Torinese, Torino, 1985.
(9) - Dalle statistiche giudiziarie emerge che, a differenza di quanto si riteneva in passato, l’incesto, seppur favorito dall’ignoranza e dall’isolamento sociale, si verifica non soltanto in famiglie dissestate che vivono in luoghi isolati, ai margini della società, ma anche in ambienti urbani con buoni standard di vita. Unica differenza: i casi delle classi sociali svantaggiate vengono generalmente scoperti negli ospedali e segnalati ai Tribunali, mentre quelli delle classi più elevate hanno maggiore probabilità di passare inosservati e di emergere solo nel corso di una psicoterapia. M.R. PARSI, Più furbi di cappuccetto rosso, Mondadori, Milano, 2000, pag. 71.
(10) - M. BORTOLETTI, Pugno duro, ma troppo tardi, IL QUOTIDIANO, 5 marzo 2002.
(11) - Istituito con decreto legge n. 152 del 13 maggio 1991, convertito in legge con legge n. 203 del 12 luglio 1991, con la circolare del 3 ottobre 2000, n. 070100, si è visto attribuire numerose funzioni di rilievo: la promozione di protocolli tra le Amministrazioni per definire modalità comuni di intervento operativo; lo svolgimento delle iniziative di formazione proposte dal Comitato di coordinamento, istituito dalla stessa legge, d’intesa con l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza e il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza; la realizzazione in scuole ed agenzie educative di attività di informazione; il monitoraggio delle diverse forme di abuso sui minori, anche al fine di favorire la raccolta dei dati da parte del Centro nazionale; la promozione, d’intesa con gli enti locali, di ogni utile iniziativa di diffusione della conoscenza dei diritti dell’infanzia e di miglioramento delle condizioni di reale godimento di tali diritti.
(12) - Tra i risultati vi sono: a. i decreti istitutivi del Comitato di coordinamento per la tutela dei minori dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale, a cui spetta: definire la destinazione dei finanziamenti, elaborare un protocollo operativo nazionale e procedure omogenee di rilevazione statistica; b. il Piano nazionale d’azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2000-2001; c. le strategie d’intervento (essenziali per contrastare il fenomeno e attivabili dalle pubbliche amministrazioni con la collaborazione del privato sociale e di tutta la società civile), i percorsi mirati alla conoscenza del fenomeno, “alla presa in carico” del minore, alla sua protezione e alla prevenzione di tutti i fattori di rischio; d. il coordinamento in materia di attività formativa attraverso il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza; e. il rafforzamento della progettualità nell’ambito del programma europeo “S.T.O.P.” (sexual trafficking of persons) per la lotta contro la tratta e lo sfruttamento sessuale di esseri umani, tra i quali lo Stato italiano ha cofinanziato: e1. P.A.C.S.E. (project against child sexual exploitation), con l’obiettivo di: - monitorare, studiare e analizzare il fenomeno della violenza sessuale sui minori; - indagare sull’estensione del fenomeno, sui problemi operativi e sulle forme del fenomeno e, in particolare, sull’abuso intrafamiliare, sulla tratta dei minori, sulla pornografia e sulla prostituzione minorile; - pubblicare un Prontuario per gli operatori del territorio; e2. D.E.F.I. (défence des enfants sur le front international), con l’obiettivo di: - approfondire gli aspetti comparativi del fenomeno sia in termini normativi che di azioni intraprese per la prevenzione ed il contrasto; - formulare un piano integrato di fattibilità per ulteriori azioni congiunte a livello europeo.
(13) - M. BORTOLETTI, Il diritto alla sicurezza personale, CUEM, Milano, 2001, pagina 42.
(14) - L’episodio è stato presentato nella trasmissione “ Maurizio Costanzo show “, trasmessa su Canale 5, il 22 gennaio 2002.
(15) - Ultima in ordine di tempo, il 16 gennaio 2002 a Milano, l’assoluzione, prima in Tribunale e, poi, in Corte d’Appello di un uomo di 46 anni che, dopo: a. 13 mesi tra carcere e arresti domiciliari; b. aver perso un figlio nell’incidente stradale che ha coinvolto l’autovettura con la quale insieme alla moglie sconvolta lo stavano raggiungendo in carcere; c. essere stato licenziato; d. aver rischiato di perdere la patria potestà sugli altri figli con un tribunale dei minori che si è “arreso” solo di fronte alla seconda assoluzione, è stato assolto dall’accusa di aver abusato della nipotina, perché, come afferma il Tribunale, “le dichiarazioni sono incerte, per alcuni versi contraddittorie, tanto scarne da apparire stereotipate, come in una favola. Mancano le date, mancano gli ancoraggi alla realtà quotidiana, spesso le narrazioni fanno a pugni con logica e buon senso, senza il minimo riscontro oggettivo”. S. ZURLO, Accusato di molestie, assolto dopo un anno di carcere, IL GIORNALE, 17 gennaio 2002.
(16) - M. BORTOLETTI, Quante ingiuste condanne, IL QUOTIDIANO, 15 febbraio 2002.
(17) - N. FUSARO, Internet e la legge in tema di pedofilia, in B. CALLIERI, L. FRIGHI (a cura di), La problematica attuale delle condotte pedofile, Edizioni Universitarie, Roma, 1999.
(18) - M. BORTOLETTI, Pedofilia telematica. Pericolo gravissimo, IL QUOTIDIANO, 23 aprile 2002.
(19) - M. STRANO, Pedofilia e pornografia su internet: quali rischi per i minori, su BYTE ITALIA, ottobre 2001.
(20) - È comune a molti pedofili il tentativo di fornire una serie di razionalizzazioni per giustificare il loro comportamento. Così alcuni padri sostengono la bontà della loro attività incestuosa con il pretesto dell’educazione sessuale e questa viene anche usata come argomentazione per convincere il minore a partecipare, sfruttando la sua disinformazione. Oltre a queste pretestuose difese se ne ritrovano poi altre come “devo aver bevuto, non ricordo”, oppure “non sapevo che lei non volesse”, “mia moglie ed io siamo sessualmente incompatibili”. S. M. SGROI, Handbook of clinical intervention in child abuse, Lexington Books, Lexington, 1982.
(21) - Lo stesso relatore, dopo aver preso atto delle difficoltà di intervenire con efficacia sulle reti telematiche e dei tentativi in atto in molti paesi, tra i quali Stati Uniti e Germania, affermò che “sarà necessario consentire agli organi dello Stato di agire anche nei confronti della divulgazione per via telematica nella consapevolezza che lo sviluppo di queste tecnologie potrà richiedere continui aggiornamenti legislativi”. A.M.SERAFINI, Atti Camera, XII legislatura, seduta del 21 giugno 1998.
(22) - G. GIORDANO, Il rapporto tra pedofilia e Internet alla luce di una epistemologia della complessità, in B. CALLIERI, L. FRIGHI (a cura di), La problematica attuale delle condotte pedofile, Roma, Edizioni Universitarie Romane.
(23) - M. STRANO, Pedofilia e pornografia su Internet: quale rischio per i minori?, cit., pag. 90.
(24) - A tal proposito è opportuno considerare che i bambini, anche piccoli, hanno talvolta delle fantasie sessuali molto intense, soprattutto in termini di curiosità e sperimentazione corporea e questo fattore, abilmente sfruttato dai pedofili, costituisce un elemento di enorme complicazione, sia per la definizione dell’azione criminale sia per la sua prevenzione. Pensare alla pedofilia esclusivamente in termini di approccio violento, rapace, su un minore che tendenzialmente cerca la fuga, potrebbe infatti essere fuorviante anche in considerazione delle tecniche, documentate dalla cronaca, di avvicinamento soffice e graduale (definito non a caso adescamento) e anche in relazione al fatto che statisticamente la prevalenza degli abusi sui minori ha origine dalla sfera parentale-amicale, da una categoria, quindi, che naturalmente può contare su un rapporto fiduciario ed affettivo nei confronti della vittima. M. STRANO, Pedofilia e telematica: la ricerca criminologica sul web, in ID., La mente in internet, Piccin, Padova, 1999.
(25) - Il computer è diventato uno strumento ideale per i produttori di pornografia minorile (amatoriali e professionali) in quanto permette, oltre che lo scambio di materiale foto-video, anche di creare immagini di bambini inesistenti (o artefatti), impegnati in comportamenti esplicitamente sessuali, che sono praticamente indistinguibili dalle immagini di bambini reali. Tale materiale, definito “pseudofotografie”, anche se non implica un abuso sul minore all’atto della produzione, costituisce in realtà un elemento criminogeno poiché viene sovente utilizzato dai pedofili, alla stregua delle immagini reali, per sedurre i bambini e ridurre le loro inibizioni sessuali mostrando loro dei coetanei che “fanno certe cose” e cercando di convincerli che si tratta di fatti normali. Un esempio a questo proposito è dato da un caso accaduto in Canada il 21 Ottobre del 1993, quando la polizia eseguì una perquisizione nella casa di Joseph Pecchiarich, di 19 anni e trovò delle immagini che rappresentavano bambini impegnati in attività sessuali. Pecchiarich diventò la prima persona in Canada colpevole di distribuire pornografia minorile. Mancava qualcosa, però, riguardo il materiale pornografico trovato: i bambini. Infatti Pecchiarich non aveva mai fotografato o filmato bambini reali. I bambini impegnati in attività sessuali lo erano soltanto nella sua mente e nel suo computer. Non aveva commesso nessun tipo di reato nei confronti dei bambini, ma fu dichiarato colpevole e condannato con la seguente motivazione: “Avere fantasie riguardo a rapporti sessuali con i bambini non è contro la legge. Pecchiarich è un criminale perché ha messo per iscritto queste fantasie”. In Italia non sarebbe stato possibile. M. STRANO (a cura di), La pedofilia e internet, cit.
(26) - Tra le iniziative in itinere: - il “Communication Decency Act”, approvato dal Congresso degli Stati Uniti nel febbraio 1997; - la Risoluzione approvata nel 1997 dai ministri delle telecomunicazioni dei quindici paesi dell’Unione Europea; - i programmi-filtro, in grado di selezionare le pagine web prevenendo, quindi, l’utilizzo di siti e immagini a rischio da parte dei più piccoli; - le etichette P.I.C.S (platform for internet content selection), riconoscibili da tutti e rilasciate da una Agenzia secondo un rating system. M. STRANO (a cura di), La pedoflia e internet, Psycomedia, Marzo 2001.
(27) - Presentate da: On. Mazzucca (atto Camera 311 del 30 maggio); On. Buttiglione (atto Camera 382 del 31 maggio), On. Mussolini (atto Camera 408 del 1 giugno); On. Prestigiacomo (atto Camera 593 del 6 giugno); On. Butti (atto Camera 953 del 21 giugno); On. Foti (atto Camera 1346 del 17 luglio); On. Marras (atto camera 1489 del 2 agosto); On. Deodato (atto Camera 2038 del 28 novembre).
(28) - Gli inasprimenti punitivi, proprio perché prodotti come risposte simboliche ed emergenziali al bisogno di sicurezza, finiscono, infatti, per alimentare a loro volta l’insicurezza e, così, per accrescere e drogare la domanda di sicurezza. È questa solo la via più semplice per alimentare un’illusione di sicurezza e tranquillità nel cittadino esasperato. P. BORGNA, P. FASSINO, Sicurezza e giustizia, Donzelli, Roma, 2001, pag. 59.
(29) - M. BORTOLETTI, Spezziamo il muro del silenzio, IL QUOTIDIANO, 13 marzo 2002.
(30) - La difficoltà, quasi inverosimile, di accorgersi dell’abuso, da parte del coniuge non abusante, o la resistenza a credere alle prime rivelazioni del figlio. Ma anche, oltre alla negazione, un’altra reazione che potremmo osservare nella madre di una bambina abusata dal proprio padre, è quella di rimproverare la figlia accusatrice. Questa manovra permette di mantenere l’alleanza con il marito, rimuove i sensi di colpa della donna per aver scelto tale marito e per non aver saputo proteggere la figlia e riduce la pressione di dover reagire alle lamentele della figlia con una denuncia reale. La madre che insiste sulla fatale capacità seduttrice della figlia evita il timore di non essere più attraente per il marito, mentre allo stesso tempo sfoga in modo mascherato la sua invidia per le attrattive della figlia rivale. D. TORTOLANI, Cause sociali e relazionali dell’abuso intrafamiliare, in F. MONTECCHI (a cura di), Prevenzione, rilevamento e trattamento dell’abuso nell’infanzia, Borla, Roma, 1991.
(31) - La prevenzione e il trattamento dell’abuso all’infanzia e di altre forme di sfruttamento sessuale richiedono specifiche strategie di intervento e l’acquisizione di strumenti per la rilevazione, la diagnosi e la cura dei minori vittime. È, poi, necessaria una rete tra i servizi presenti sul territorio e le diverse istituzioni che si occupano specificamente di promuovere il benessere di bambini e ragazzi siano esse politiche, giudiziarie, amministrative o formative. Questo per tentare di incidere sul rapporto tra abuso sessuale, cultura sessuale e cultura dell’infanzia, dove è possibile, perché, seppur possibile, è difficile parlare di minori “a rischio”, così come è difficile tracciare uno stereotipo del pedofilo. Infatti, è istintivo affermare che i bambini a rischio sono quelli che non hanno la sicurezza di essere amati in famiglia, quelli maltrattati, quelli umiliati o quelli impreparati a difendersi. Ma non è così. Perché anche i bambini curiosi, attivi, generosi, disponibili verso gli altri possono essere vittime di abusi, soprattutto se non sono stati educati o sufficientemente preparati a nutrire di consapevole prudenza il loro atteggiamento aperto verso gli altri. Così è per il pedofilo, perché si può arrivare a simili comportamenti devianti per ragioni diverse e in seguito ad esperienze traumatizzanti o devianti. Può poi non essere un “orco invisibile”, ma, ad esempio, anche una persona gentile, affidabile, stimata. L’unico dato comune emerso è quello di una persona che ha sostituito all’amore il bisogno di dominare, di avere potere su chi non ne ha e non può difendersi; così come comune è il bisogno di farsi setta. M.R. PARSI, Più furbi di cappuccetto rosso, cit., pag. 74.
(32) - I pedofili secondo il loro comportamento ricorrente rispetto al reperimento, fruizione e cessione del materiale vengono classificati: - closed collector: tiene la sua collezione segreta e non è direttamente coinvolto in abusi sui minori. Egli compra il suo materiale segretamente; - isolated collector: oltre a collezionare pornografia minorile è anche coinvolto in abusi sui minori, ma tiene la sua attività segreta per paura di essere scoperto. La sua collezione comprende sia materiale proprio che comprato; - cottage collector: condivide la sua collezione e le sue attività sessuali con altre persone, ma non è interessato a trarne profitto; - commercial collector: produce, copia e guadagna vendendo materiale commerciale ed è anche coinvolto nello sfruttamento minorile. M. STRANO (a cura di), La pedofilia e internet, cit.
(33) - Questo approccio da parte della comunità scientifica in realtà si discosta spesso dallo stereotipo del pedofilo diffuso a livello sociale. A tutt’oggi, nell’immaginario collettivo, lo stereotipo del pedofilo corrisponde al classico individuo avviluppato nell’impermeabile che si aggira nei pressi delle scuole elementari (e più recentemente dal mostro di internet) e così, sostanzialmente, estraneo alla sfera familiare ed affettiva della vittima. Tale stereotipo, probabilmente funzionale al mantenimento di una matrice culturale e sociale stabile e, quindi, in un certo senso tranquillizzante, è stato drammaticamente smentito, oltre che dalle ricerche scientifiche, anche da numerosi ed eclatanti fatti di cronaca recente che hanno rivelato come il pedofilo possa essere viceversa, se non prevalentemente, una persona qualunque, di qualsiasi livello socioeconomico e sovente appartenente allo stesso nucleo familiare, ristretto o allargato, della vittima. A. PACCIOLLA, I. ORMANNI, Abuso sessuale, Laurus Robuffo, Roma, 1999.
(34) - J.J.ROUSSEAU, Emilio, trad.it. di A. VISALBERGHI, Laterza, Bari, 1957.