Il consigliere giuridico nelle Forze Armate nel quadro dell'attuazione del diritto internazionale umanitario

Luca Scirman (*)

1. Premessa

Che le Forze Armate stiano attraversando una nuova stagione di cambiamenti, non sembra da porsi in dubbio. Basta scorrere le novità normative degli ultimi dieci anni per rendersene conto. V’è stato un rinnovo di compiti e di attribuzioni, anche con riferimento all’ambito delle attività che si svolgono nel campo del diritto internazionale. In tale quadro è da collocare la figura del legal advisor/consigliere giuridico. Le presenti note mirano a descrivere ed illustrare il significato ed il ruolo che esse hanno attualmente e potrebbero rivestire in seguito, in rapporto al diritto internazionale umanitario ed alla legislazione nazionale vigente.

2. Legal Advisor e consigliere giuridico: obblighi internazionali

La figura del Legal Advisor nelle FF.AA. è più nota all’estero che in Italia. La locuzione sta ad indicare la figura del “consigliere giuridico”, che non è un vero e proprio avvocato. Dal sito del “US Department of State” si traggono alcune interessanti indicazioni. Il Legal Advisor “fornisce pareri su qualsiasi materia legale, nazionale o internazionale, che possa sorgere nel corso dell’attività del Dipartimento”(1). Esso assiste altresì il US Department nella formulazione e nell’implementazione delle policy straniere, coadiuvandone l’attività e promuovendo lo sviluppo del diritto internazionale e dei suoi istituti, ed è organizzato in una serie di Uffici, sparsi sul territorio statunitense e all’estero, che svolgono attività economiche e di management. Come si può notare, non si tratta di un Consigliere Giuridico “militare”.

L’ausilio che esso porge è sovrastrutturale, riguardando l’intero Governo americano. Anche presso i nostri ministeri esistono, ad ogni modo, Uffici di Consiglieri Giuridici e Diplomatici. Presso le Forze Armate americane, invece, sono attivi il Judge Advocat Legal Service (JALS) ed il Judge Advocat General’s Corps (JAGC)(2). In particolare, il “Judge Advocat General”, generalmente appartenente alle FF.AA., è il legal advisor delle FF.AA. nel loro complesso, quantunque ciascuna Forza Armata sia dotata di un apposito e specifico Legal Advisor. Si tratta di un’istituzione che svolge - principalmente - compiti di procuratore e - secondariamente - consultivi. L’articolato sistema giustiziale americano prevede anche la figura dell’avvocato militare, che svolge la propria attività su piani e campi prevalentemente autonomi rispetto al Consigliere Giuridico. Ma, a parte il più che collaudato sistema giudiziario statunitense, certo è che pochi Stati hanno dato piena attuazione al disposto di cui all’art. 82 del I Protocollo addizionale del 1977 alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, dove è statuito che “le Alte Parti contraenti in ogni tempo e le Parti in conflitto in periodo di conflitto armato cureranno che dei Consiglieri Giuridici siano disponibili, quando occorra, per consigliare i comandanti militari di livello appropriato circa l’applicazione delle Convenzioni e del presente Protocollo e circa l’insegnamento appropriato da impartire in materia alle Forze Armate”(3).

Già nelle Convenzioni di Ginevra del 1949(4) un articolo dal comune tenore recitava e tuttora recita: “le Alte Parti Contraenti si impegnano a diffondere il più largamente possibile, in tempo di pace ed in tempo di guerra, il testo della presente Convenzione nei loro rispettivi Paesi, e in particolare ad includerne lo studio nei programmi di istruzione militare e, se possibile, civile in modo che i principi di essa siano conosciuti dalla popolazione nel suo complesso”(5). Ciascuna Convenzione, però, contiene un comma o un inciso diversi, che si spiegano in relazione alle esigenze di tutela distintamente sottese. Così, nella I Convenzione, relativa al miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle Forze Armate in campagna, e nella II Convenzione, relativa al miglioramento delle condizioni dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze Armate sul mare, alla disposizione sopra citata è aggiunto, in sostituzione dell’ultimo inciso, il seguente “…di guisa che i principi ne siano conosciuti da tutta la popolazione e particolarmente dalle forze armate combattenti, dal personale sanitario e dai cappellani militari”.

Al contrario, nel testo della III, relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, e della IV Convenzione, concernente la protezione delle persone civili in tempo di guerra, l’articolo si conclude con un ulteriore disposto: “Le autorità militari o altre che, in tempo di guerra, assumessero delle responsabilità nei confronti dei prigionieri di guerra, dovranno possedere il testo della Convenzione ed essere particolarmente istruite sulle sue disposizioni”. Il che sottolinea come la normativa sia rivolta in particolar modo alle autorità quivi indicate. Tutti gli articoli rammentati sono contenuti sotto la sezione delle disposizioni generali, nell’ambito del Titolo riguardante l’“esecuzione della Convenzione”, così attestando che non si tratta di disposizioni di principio o di criteri ispiratori, bensì di vere e proprie norme precettive e cogenti, produttive di obblighi in capo alle “Alte Parti contraenti”(6) e, pertanto, di responsabilità nazionali in caso di inadempimento o di violazione delle stesse.

Un obbligo identico pone l’art. 25 della Convenzione dell’Aja del 1954(7), relativa alla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato: “le Alte Parti contraenti s’impegnano a diffondere il più largamente possibile, in tempo di pace e in tempo di conflitto armato, il testo della presente convenzione e del suo regolamento di esecuzione nei loro rispettivi Paesi. In particolare, esse si impegnano a introdurne lo studio nei programmi di istruzione militare e, se possibile, civile, in modo che i principi di essa possano essere conosciuti dalla popolazione civile nel suo complesso, specialmente dalle forze armate e dal personale addetto alla protezione dei beni culturali”. Va ricordato, infine, l’art. 31 del più recente II Protocollo (1999) alla Convenzione del 1954(8), in cui, oltre a fissare obblighi di divulgazione nei confronti di tutta la popolazione “mediante programmi di istruzione ed informativi”, è stabilito che “qualsiasi autorità militare o civile che, in tempo di conflitto armato, assuma responsabilità relativamente all’applicazione di questo Protocollo, sarà (=dovrà essere) pienamente a conoscenza del testo.

A questo scopo le Parti dovranno, come appropriato: incorporare direttive ed istruzioni riguardanti la protezione dei beni culturali nei propri regolamenti militari; sviluppare ed attuare in cooperazione con l’UNESCO e relative organizzazioni governative e non governative, programmi di istruzione ed addestramento in tempo di pace; comunicare l’un l’altro, attraverso il Direttore Generale, le informazioni sulle leggi, le disposizioni amministrative e le misure prese ai sensi dei sottoparagrafi a e b; comunicare tempestivamente l’un l’altro, attraverso il Direttore Generale, le leggi, le disposizioni amministrative, che possono adottare per assicurare l’applicazione di questo Protocollo”. Secondo una dottrina, però, tali ultime due norme sembrerebbero estranee al diritto internazionale umanitario (DIU), riguardando più esattamente il diritto bellico(9) e la connessa materia dei diritti umani.

3. Attuazione degli obblighi convenzionali

L’Italia, purtroppo, risulta parzialmente inadempiente ai suddetti obblighi. Esistono infatti, ma solo da poco costituiti, corsi di diritto internazionale umanitario diretti ed organizzati da un organo del Ministero della Difesa (Centro Alti Studi della Difesa, CASD). Non è stata istituita, invece, la figura di legal advisor o consigliere giuridico che eserciti compiti consultivi nei confronti del Comandante Militare. In qualche caso gli Stati hanno consentito che l’attività d’insegnamento del DIU fosse rimesso ad organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) o anche ad istituzioni private, tra cui l’Istituto internazionale di diritto umanitario, con sede a Sanremo. Alcuni di questi organismi hanno anche esercitato pressioni affinché fosse divulgato il DIU. Numerose sono state nel tempo le risoluzioni delle conferenze internazionali della Croce Rossa e le raccomandazioni del CICR(10).

Come in molti altri Paesi, anche presso il Ministero degli Affari Esteri è istituita dal 1988 una Commissione di studio per l’adeguamento dell’ordinamento giuridico agli accordi ed alle regole di diritto internazionale umanitario ed è, in particolare, composta da rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri, della Difesa e della Giustizia(11). Anche le Nazioni Unite hanno invitato gli Stati ad intensificare gli sforzi per la diffusione del DIU. Così sono da ricordare alcune risoluzioni assembleari(12), che si sono occupate specificamente del tema. Vi è notizia anche di un corso di formazione in tema di diritto internazionale umanitario per cappellani militari, organizzato dal Vaticano, e di un corso universitario in materia curato da talune Università, come, ad esempio, dalla facoltà di scienze politiche dell’Università degli Studi di Padova(13). Lo studio del DIU è affrontato in modo appena sufficiente nelle Accademie Militari italiane, mentre, per quanto noto, nelle scuole secondarie di stampo militare, come la Nunziatella o il Morosini, non sembra che esso sia affrontato affatto.

In verità, sebbene le fonti didattiche siano diverse e sparse sul territorio, difficilmente potrebbe ammettersi che il DIU sia noto all’intera popolazione sia negli aspetti generali che particolari. La recente legislazione in materia scolastica non ne fa cenno. Forse sarebbe stato opportuno farne inserimento già in sede di scuola di grado inferiore, ad esempio, nell’ambito di quella materia che un tempo si definiva “educazione civica” e che ora avrebbe assunto le nuove vesti di “educazione alla Convivenza civile”(14). Tanto profonda è l’attuale configurazione autonomistica degli istituti scolastici nel campo delle scelte didattiche, come conferma anche una recente circolare del Ministero dell’Istruzione(15), che i programmi di insegnamento potrebbero contemplare piani e corsi di studio del DIU. Purtuttavia, sotto tale profilo, potrebbe affermarsi che una certa attuazione è stata data alla disposizione concernente la didattica (“insegnamento appropriato”)( 16), mentre inattuata resta la prima disposizione relativa all’attività consultiva nei riguardi del Comandante militare.

A questo riguardo sembra necessario osservare tuttavia che - propriamente - il Consigliere Giuridico avrebbe l’ulteriore e diverso compito di consigliare il Comandante militare anche sull’insegnamento da impartire alle FF.AA., dando ad intendere che un’opera di divulgazione spetti al Comandante in persona. Mentre però l’obbligo di insegnamento sembra essere un obbligo “diffuso”, nel senso che potrebbe gravare su soggetti diversi dalle Autorità Militari e quindi incontrare più chances di adempimento, al contrario l’obbligo di affiancamento del Consigliere Giuridico sembra essere proprio dell’Amministrazione militare. Quest’ultima lettura non è corretta, dal momento che l’obbligo internazionale grava essenzialmente sullo Stato né quest’ultimo potrebbe esentarsene, adducendo che esso pertenga alla Difesa, la quale altro non è se non un organo statale. D’altra parte, l’insegnamento sulle disposizioni di diritto umanitario trova un presidio giuridico migliore nel successivo articolo 83, che recita: “le Alte Parti Contraenti si impegnano a diffondere il più largamente possibile, in tempo di pace come in tempo di conflitto armato, le Convenzioni ed il presente Protocollo nei rispettivi Paesi, in particolare ad includerne lo studio nei programmi d’istruzione militare e ad incoraggiarne lo studio da parte della popolazione civile, in modo tale che detti strumenti siano conosciuti dalle forze Armate e dalla popolazione civile”.

In ogni caso, bisogna leggere attentamente l’articolo 82 del I Protocollo, che in apparenza pone un obbligo, mentre in realtà impone soltanto un onere di istituzione della figura del Consigliere Giuridico. L’espressione “cureranno che…siano disponibili quando occorra” lascia agli Stati o all’Organizzazione Internazionale eventualmente preposta il margine per individuare il momento in cui sia necessario rendere “disponibile” un Consigliere Giuridico, rimettendo, di fatto, la decisione a criteri di convenienza e di opportunità. Non sembra nemmeno corretto leggere questa parte di norma come volta ad imporre l’istituzione ab ovo del Consigliere Giuridico. Diversi Paesi, che hanno partecipato alla redazione del I Protocollo, si erano già in precedenza dotati di una consimile figura. Una traccia di tale situazione sembra scorgersi proprio nello stesso testo, in base al quale si può rendere “disponibile” solo ciò che è stato già preventivamente “disposto” ed istituito. Donde appare possibile argomentare ulteriormente l’accessorietà della figura del Legal Advisor.

Ma c’è un’altra lettura possibile dell’articolo 82 suddetto. Se gli Stati non hanno l’obbligo giuridico di istituzione del Consigliere Giuridico, su di essi grava “in ogni tempo” un obbligo di “cura”, ossia di predisposizione delle condizioni e dei mezzi necessari affinché, “quando occorra”, il Consigliere Giuridico sia disponibile. Di qui la successiva responsabilità, qualora la mancata preordinazione di quei mezzi e di quelle condizioni causi l’effetto di una “indisponibilità” della figura del Consigliere Giuridico. Supponiamo, infatti, che si accerti che la presenza di un Consigliere Giuridico avrebbe potuto fornire al Comandante militare i mezzi cognitivi necessari per evitare un’infrazione alle norme del DIU. In tal caso, sarebbe difficile ritenere che non ricorra un’ipotesi di violazione delle disposizioni della Convenzione di Ginevra.

4. Disciplina dell’incarico di legal advisor nelle FF.AA.

Se la lettura sopra offerta spiega in parte perché sia stata data maggior attenzione all’obbligo didattico, non spiega però la ragione per cui non esista, nelle FF.AA. italiane, la figura istituzionale di un “legal advisor”. A prescindere da maliziose valutazioni in chiave di incapacità organizzativa e di lassismo nostrani, che peraltro dovrebbero trovare il conforto di prove precise e concordanti, potrebbero richiamarsi difficoltà di compatibilità della figura con altre figure già esistenti nell’ordinamento italiano. Si è notato(17), infatti, che già è previsto, nel nostro ordinamento, il consigliere giuridico del Comandante Militare. L’art. 52 dell’ordinamento giudiziario militare(18) statuisce che “consulente legale dei Comandi Militari per qualsiasi parere in materia giudiziaria militare è il Procuratore Militare della Repubblica”.

La previsione vale anche per la materia del codice penale militare di guerra, in virtù dell’art. 77, comma 2, del medesimo ordinamento. Tali norme però sarebbero utili solo “per le infrazioni gravi al diritto bellico” e “a posteriori” anziché in via preventiva, come è nella ratio del citato art. 82 del I Protocollo. Si aggiunga che dal testo di tale articolo non emerge la necessità che il Consigliere Giuridico sia un appartenente alle FF.AA. Non si comprende, in verità, per quale ragione debba asserirsi la posteriorità del parere giudiziario sulla base della piana e generica formula dell’art. 52 dell’ordinamento giudiziario, salvo a voler dare una forzosa interpretazione restrittiva, e temporalmente riferita al processo militare in corso, alla locuzione “in materia giudiziaria militare”. Né emerge che la stessa norma sarebbe utile solo “per le infrazioni gravi al diritto bellico”. L’Autore, probabilmente ha cercato di effettuare una interpretazione “sistematica” dell’obbligo che grava sui Comandanti militari di impedire o reprimere le gravi infrazioni alle Convenzioni o al Protocollo del 1977 (cfr. art. 87), e dell’obbligo di consulenza ricavabile da una norma nazionale precedente, che però va fornito al Comandante militare “per qualsiasi parere” e quindi anche al di fuori dei casi di infrazione.

Sotto tale riguardo, non sembra lecito interpretare le due norme in maniera coordinata. Semmai, può chiosarsi che la consulenza del Procuratore sia limitata solo alle problematiche nascenti dalla normativa penale e processual-penale militare e che sconsiglierebbe l’interpretazione offerta dalla suddetta dottrina la circostanza che il consulto dovrebbe essere per lo più caratterizzato dai connotati della disponibilità e dell’immediatezza. Tale risultato non sembra facile da conseguire, se non altro perché il Comandante Militare interessato sarà attivo all’estero, mentre il Procuratore Militare è in pianta stabile in Italia. Ai fini del consulto, anche il giudice militare dovrebbe essere istruito in materia, mediante la partecipazione ad appositi corsi formativi, che lo sottrarrebbero ai suoi compiti prioritari giurisdizionali. L’attività consultiva richiederebbe una forma di collaborazione più stretta di quello che potrebbe comunque ammettersi, ostando la circostanza che il magistrato non dipende in alcun modo dal Comandante militare.

L’art. 52 dell’ordinamento giudiziario, pertanto, potrebbe rivestire un più corretto significato solo se letto come diretto a dar vita ad un diverso e distinto istituto di natura strumentale. Potrebbero poi prospettarsi difficoltà di adeguamento con l’ordinamento militare, in relazione ad aspetti di status e di adeguamento alla struttura gerarchica. Si è osservato(19), infatti, che sarebbe preferibile che il Consigliere Giuridico non rivesta uno status civile, onde evitare uno scollamento con l’ambiente militare in cui verrebbe ad operare. È preferibile, secondo la medesima opinione, una figura che resti ancorata ad un rapporto di subordinazione militare con il Comando, al quale spetta in ultima analisi l’emanazione della decisione finale, al di fuori di pressioni di qualsiasi sorta, anche se giuridicamente qualificate. In tale quadro, il ruolo del Consigliere Giuridico sarebbe solo di “preventiva informazione, non vincolante”(20).

La tesi forse si spiega con il ritenuto principio della inammissibilità ex post della funzione consultiva (il parere sarebbe inutiliter dato), descritto da risalente dottrina e solitamente ammesso anche nella giurisprudenza amministrativa(21). Tuttavia, il consulto legale può essere acquisito in ogni circostanza, a prescindere dai casi in cui una data azione militare debba essere necessariamente preceduta da esso. La natura “informativa” del consulto non deve, inoltre, impedire che il Consigliere Giuridico sia obbligatoriamente sentito. Altrimenti, la disposizione internazionale rimarrebbe aria fritta. Sarà preferibile, pertanto, edificare un’ipotesi di obbligatorietà del parere, individuando, se del caso, le aree tematiche in cui viga tale obbligo. Altro è che il parere del Consigliere Giuridico non sia vincolante. Su tale punto si può concordare con la citata dottrina per due ragioni. In primo luogo occorre evitare che il Comandante sia deresponsabilizzato, in quanto solo a lui spettano le decisioni finali. In caso contrario, sarebbe violata la norma di cui all’art. 87 del I Protocollo del 1977, laddove gli attribuisce la responsabilità dell’impedimento e della repressione delle gravi infrazioni alle Convenzioni ed al Protocollo. A questo riguardo occorre notare che la decisione finale del Comandante comporta un duplice piano di responsabilità, personale e dello Stato che egli rappresenta.

La responsabilità personale, tra l’altro, è particolarmente gravosa perché potenzialmente include, oltre alle note categorie civili, penali ed amministrative, anche una nuova e non meno importante forma di responsabilità: quella individuale internazionale(22). In secondo luogo, è opportuno svincolare la deliberazione consultiva da quella decisoria del Comandante, onde evitare che quest’ultimo strumentalizzi il Consigliere Giuridico per avallare le proprie posizioni e che, viceversa, il Consigliere Giuridico sia, diciamo così, “indotto” a favorire l’opinione del Comandante per evidenti ragioni di convenienza o di timore riverenziale. Per non svilire il ruolo del Legal Advisor, però, potrebbe ipotizzarsi un parere di natura parzialmente vincolante, nel senso che il Comandante militare potrebbe, nelle decisioni che implicano la necessità del consulto, discostarsi dal parere fornito, dandone idonea motivazione. Ciò potrebbe avvenire solo attribuendo un certo grado di autonomia al Legal Advisor.

Il che è configurabile, compatibilmente con le possibilità offerte dall’attuale ordinamento militare, attraverso l’esclusione della dipendenza “funzionale” dal Comandante(23) e mediante la contestuale ammissione di quella generica, derivante dal rapporto gerarchico (cd. “dipendenza gerarchico-militare”).

5. Un problema a latere: il parere è un ordine gerarchico?

A questo punto, potrebbe nascere un problema. Dal punto di vista amministrativistico, si potrebbe dubitare che il parere del Consigliere Giuridico sia sottoposto(24) alle regole dell’art. 16 o dell’art. 17 della legge 241/90 ed optare per l’idea che esso sia un atto dovuto in ottemperanza dell’ordine dato dal Comandante militare (rispetto al quale, secondo la prospettazione testé suggerita, sussiste, quantomeno, la dipendenza gerarchica), con la conseguenza che solo in tale secondo caso, omettendo o ritardando l’emanazione del parere, il Consigliere Giuridico andrebbe incontro alla responsabilità penale (art. 173 CPMP(25)), mentre nel primo caso nascerebbe una responsabilità di tipo amministrativo oppure una responsabilità penale fondata su un diverso titolo (ad es., “Abuso d’ufficio”, art. 323; “Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione”, art. 328 cp). In realtà, se il parere avesse carattere obbligatorio per legge o per regolamento, allora dal suo inadempimento non nascerebbe la responsabilità penale del Consigliere Giuridico(26) ex art. 173 CPMP. Ma, pur in assenza di obbligatorietà normativamente qualificata del parere, è comunque difficile annoverarlo nell’ambito degli ordini gerarchico-militari, potendo assumere i connotati dell’incarico.

Secondo una prospettiva diffusa in dottrina, invece, potrebbe parlarsi di “ordine gerarchico” laddove la sua obbligatorietà derivi dal rapporto della posizione di inferiorità gerarchica o di comando(27) ovvero, più latamente, di “subordinazione giuridicamente rilevante”(28) ai sensi del comma 3 dell’art. 5 della legge 11 luglio 1978, n. 382, relativa alle “norme di principio sulla disciplina militare”, che impinge l’applicabilità del regolamento di disciplina praticamente in quasi ogni aspetto della vita e del servizio del militare. Peraltro, la prima delle due citate impostazioni sembrerebbe contraddetta dalla possibilità che l’ordine provenga da un superiore in grado da cui il militare non dipende direttamente (arg. ex art. 25, comma 2, lett. B, del DPR 545/1986, denominato “regolamento di disciplina militare”, RDM). Ammettendo tale tesi anche il parere sarebbe un atto dovuto in esecuzione di un ordine legittimamente dato. In tal caso il superiore gerarchico, secondo tale dottrina confortata da certa giurisprudenza di legittimità, potrebbe appropriarsi dei doveri fissati da leggi o regolamenti diversi dal Regolamento di Disciplina Militare e “ripristinarne” il carattere di ordine attraverso la propria mediata manifestazione di volontà, in ossequio ai criteri estensivo-applicativi di cui all’art. 5, comma 3 della legge n. 382/78.

Tale tesi, però, allargherebbe a dismisura il campo di sussistenza dell’ordine e, di conseguenza, il campo della relativa responsabilità (non solo) penale. Né è giustificata dalla lettera della legge di principio, che non fornisce il mezzo per creare “nuovi doveri” gerarchici, ma che si limita a rinviare al Regolamento di Disciplina Militare per l’individuazione di essi. Ad avviso di chi scrive, sembra che gli unici doveri gerarchico-militari rilevanti siano quelli descritti in modo esplicito od implicito dal Regolamento di Disciplina Militare e che la legge di principio del 1978 si sia limitata a dire quando e dove essi trovino applicazione. Si pensi, infatti, al caso dell’Ufficiale Commissario o, in genere, dell’Ufficiale addetto alla gestione finanziaria che, nell’ambito delle procedure in economia, condivide con il Comandante Militare la corresponsabilità delle scelte acquisitive.

Se l’autorizzazione alla spesa emessa dal Comandante fosse considerata un ordine ricorrendo le condizioni dell’art. 3, comma 5 della citata legge di principio, sarebbe annullata qualsiasi autonomia decisionale prevista per l’atto di disposizione della spesa medesima, violando le norme del DPR 939/1983. Essendo l’autorizzazione alla spesa considerata alla stregua di un ordine gerarchico, all’Ufficiale Commissario non spetterebbe altro che obbedire ed emettere l’atto di disposizione della spesa, salvo il limite della manifesta criminosità dell’ordine. I poteri ed i relativi limiti previsti dal citato DPR in capo al soggetto “disponente” sarebbero implicitamente abrogati dalle previsioni dell’ordine gerarchico e da queste indebitamente sostituiti. Verrebbe tacitamente abrogata anche tutta la normativa in tema di controllo delle risorse economiche necessarie per gli acquisti, dal momento che l’Ufficiale Commissario non avrebbe alcun potere di delibazione e verrebbe mantenuta, nel contempo, una inammissibile ipotesi di “corresponsabilità” dei due soggetti.

I doveri gerarchici, pertanto, non devono essere confusi con i doveri nascenti dal rapporto di impiego, che trovano il loro fondamento nella normativa relativa (legge n. 216/1992, legge n. 331/00, d.lvo 490/1997, legge n. 113/1954, legge n. 599/1954, altri testi normativi speciali). Una conferma di tale interpretazione potrebbe individuarsi nella lettera dell’art. 4, comma 4 della legge n. 382/1978, per cui gli ordini devono riguardare il servizio e non l’impiego(29). Anche la dottrina riconosce la distinzione del rapporto di impiego da quello di servizio, non necessariamente coincidenti e coesistenti(30). La funzione ordinativa, volta alla costituzione del rapporto di impiego pubblico, ossia alla definizione dei diritti e dei doveri dell’impiegato, coesiste con l’area della subordinazione gerarchica e ciò può creare possibili fraintendimenti applicativi. Il modulo gerarchico, però, per quanto sovrapposto o coincidente, non va scambiato o fuso con quello impiegatizio, avendo ciascuno un proprio ambito di operatività.

D’altro canto, il grado non ha nulla a che vedere con l’impiego, avendo la fondamentale funzione di indicare “la posizione che il militare occupa nella scala gerarchica” (art. 10, comma 1, del DPR 545/1986). Ciò è confermato anche dall’art. 4 della legge n. 113 del 10 aprile 1954, recante norme sullo “stato degli Ufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica”. A ciò si aggiunga la considerazione che è arduo superare il dato letterale della legge di principio che vuole l’applicabilità del Regolamento di Disciplina Militare “nei confronti dei militari”, ossia di persone fisiche, nonché il testo del Regolamento di Disciplina Militare, che in più luoghi tratta dei doveri dei “cittadini” alle armi e del superiore e dell’inferiore in grado intesi - nuovamente - come persone fisiche(31). Tale riflessione, ad avviso di chi scrive, vale soprattutto qualora il Consigliere Giuridico sia strutturato come Ufficio inserito nel tessuto ordinamentale della Difesa, in quanto vieppiù la dipendenza gerarchica sarebbe soffocata dal prevalente rapporto di impiego, con la conseguenza che, in tal caso, l’omissione o il ritardo nell’emanazione del parere non costituirebbero reato, bensì darebbero luogo ad eventuali responsabilità sul piano amministrativo (ad es., revoca dell’incarico a seguito della violazione di direttive ministeriali che dettino tempi e modalità dell’emanazione dei pareri).

Anche per quanto attiene al diritto di accesso al parere del Consigliere Giuridico, esso potrebbe ritenersi escluso richiamando la lett. a del comma 2 dell’art. 24 della detta legge, che, però, in relazione alle esigenze di difesa nazionale, di sicurezza e di ordine pubblico, rimette ad apposito regolamento le modalità di esercizio dello stesso(32).

6. Continua: analisi disciplina

Dal punto di vista della responsabilità disciplinare, non sarebbe incongruo prevedere forme di esenzione per lo svolgimento delle relative funzioni consultive, allo scopo di evitare strumenti di coercizione diretta od indiretta del legal advisor. Questa soluzione potrebbe essere eccessiva, dando l’illusione al Consigliere Giuridico di operare al di fuori della gerarchia. Si potrebbe obiettare che quelle del Consigliere Giuridico sono funzioni consultive altamente qualificate, le cui implicazioni potrebbero esporre il medesimo a gradi di responsabilizzazione particolarmente intense. Allora, come soluzione intermedia, potrebbe confermarsi l’opzione già prospettata di escludere che il Consigliere Giuridico dipenda “disciplinarmente” e “funzionalmente” dal Comandante di Corpo con il quale collabora, riservando a quest’ultimo la sola dipendenza “gerarchica” generica e rimettendo, in particolare, la potestà disciplinare(33) ad altro organo. In tal modo il Consigliere Giuridico potrebbe essere perseguito disciplinarmente da una Autorità terza e, allo stesso modo, non sarebbe soggetto alla valutazione da parte del Comandante mediante lo strumento delle “note caratteristiche”.

Dal punto di vista della responsabilità penale, invece, a parte l’ipotesi di reato autonomamente commesso, non sembra vi siano ragioni per discostarsi dalla normale disciplina in tema di concorso di persone nel reato, il quale, come noto, può essere commesso sia in forma dolosa sia in forma colposa. Ad ogni modo, la semplice emissione di un parere, anche se erroneo, non configura la responsabilità penale in concorso con l’azione del Comandante militare, occorrendo la realizzazione di un fatto tipico, il rilevante contributo causale, la consapevolezza di cooperare nel reato, oltreché ovviamente la necessaria pluralità dei concorrenti. Ragioni di altro tipo sono poi catalogabili al fine di spiegare la mancata introduzione, nell’ordinamento militare, della figura del Consigliere Giuridico. Tale ingresso richiederebbe la valutazione dell’esatta collocazione di status sotto il profilo della carriera, dell’avanzamento e del trattamento economico. Per quanto attiene ai primi due aspetti (carriera ed avanzamento), occorre riflettere sul fatto che il Consigliere Giuridico deve essere figura particolarmente qualificata, il che impone una costante formazione ed un approfondito aggiornamento che di necessità esigeranno, a loro volta, tempo ed impegno.

Occorrerà svolgere un corso formativo coscienziosamente accurato e ripetuto, in forma aggiornata, a cicli periodici. Per essere seri, tali corsi dovranno prevedere - sempre secondo chi scrive - lo studio di (almeno) una lingua dell’UE, avere una durata proporzionale all’impegno del corso ed al risultato che si deve ottenere, prevedere un impegnativo esame finale, con attribuzione di una qualifica ad hoc(34). Il Consigliere Giuridico potrà preferibilmente, ma non necessariamente, essere scelto nell’ambito del corpo di commissariato delle FF.AA. o comunque di un corpo dedito alle scienze giuridiche, che, per gli studi di base e la formazione seguiti, si presti meglio degli altri ad essere oggetto finale di elezione. Tutto ciò non potrà non avere riflessi sull’avanzamento. Il Corpo di Commissariato delle tre FF.AA., in specie, è per lo più dedito agli acquisti di beni o servizi ed incontra obblighi di carriera (ad esempio, la Direzione e la Vicedirezione degli organi di Commissariato, obblighi di imbarco su navi, ecc.) non agevolmente conciliabili con un impegno di tale portata. Occorrerebbe allora prevedere dei correttivi di carriera(35).

Il profilo del trattamento economico potrebbe invece rilevare sotto due aspetti. Innanzitutto, per la natura dell’impegno da svolgere, il Consigliere Giuridico dovrà operare all’estero. E ciò implica la previsione del relativo regime economico. Il secondo aspetto invece è legato alla peculiarità ed alla specificità della funzione, potendo, se del caso, la stessa essere remunerata con una indennità ad hoc.

7. Legislazione ordinaria e diritto umanitario

Nei tempi in cui scriveva il Verri, non esisteva una disposizione di legge o di regolamento che facesse riferimento alla necessità, per gli appartenenti alle FF.AA., di rispettare le norme di diritto umanitario. E la lacuna era sentita come particolarmente grave. Anche più di recente si osservava(36) che, nonostante l’organizzazione di un seminario “su scala planetaria” per accertare lo stato delle legislazioni circa l’attuazione della disposizione di cui all’art. 82 del I Protocollo citato, poco o nulla era stato fatto. Allo stato attuale vanno registrate nuove disposizioni di legge ed una nuova formulazione dell’art. 117 della Cost., che impongono talune riflessioni. L’art. 117 della riformata Costituzione stabilisce che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato…nel rispetto…dei vincoli derivanti…dagli obblighi internazionali”.

Tale disposizione ha trovato attuazione nel disposto dell’art. 1, comma 1 della legge n. 131 del 5 giugno 2003 (cd. Legge “La Loggia”), secondo il quale “costituiscono vincoli alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, quelli derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, di cui all’art. 10 della Costituzione, da accordi di reciproca limitazione della sovranità, di cui all’art. 11 della Costituzione, dall’ordinamento comunitario, dai trattati internazionali”. Il comma 4 dell’art. 1 della legge n. 331 del 14 dicembre 2000, recante “norme per l’istituzione del servizio militare professionale”, stabilisce che “le forze armate hanno [altresì] il compito di operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte”.

Altra norma rilevante è il comma 3 dell’art. 5 del D.lvo n. 297 del 23 ottobre 2000, recante “norme in materia di riordino dell’Arma dei Carabinieri, a norma dell’art. 1 della legge 31 marzo 2000, n. 78”. Giusta tale disposizione, “in caso di conflitti armati e nel corso delle operazioni di mantenimento e ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale, i comandanti dell’Arma dei Carabinieri, analogamente agli altri comandanti militari(37), vigilano, in concorso, ove previsto, con gli organismi internazionali competenti, sull’osservanza delle norme di diritto internazionale umanitario”. Pur se emanate anteriormente alla riforma del Titolo V della Costituzione(38), le due ultime disposizioni si prestano ad essere viste come attuative, nel loro complesso, degli obblighi contenuti nelle Convenzioni Internazionali (massime, quelle di Ginevra). Incidentalmente si osserva che un nuovo contenuto potrebbe acquisire, nella prospettiva ora accennata, la norma, di carattere più generale, contenuta nell’art. 10 della legge 382/1978, in base a cui lo Stato ha l’obbligo di promuovere la preparazione professionale dei militari, predisponendone idonee condizioni (ad esempio, mediante corsi di istruzione o istituendo biblioteche).

Non potrebbe affermarsi invece che, con le suddette norme, sia stato istituito il Consigliere Giuridico, il quale richiede appositi atti di specificazione. Si è già detto come interpretare l’art. 82 del I Protocollo del 1977. Ora si tratta di chiarire che mentre sugli Stati grava sicuramente un obbligo di “cura”, sul Comandante gravano due autonomi doveri, il primo, logicamente prioritario, di conoscenza del DIU ed il secondo, di vigilanza del rispetto del medesimo. La disposizione legislativa ha dato vita ad un meccanismo di attuazione che sposta o, meglio, che estende gli obblighi suddetti sia alle FF.AA. intese come organo statale che ai singoli Comandanti militari destinati ad applicare il DIU, non esclusi gli appartenenti alla Guardia di Finanza (D.lvi nn. 68 e 69, entrambi del 19 marzo 2001). Ne discende un arricchimento dei piani di responsabilità e della discendente sanzionabilità dei comportamenti sul piano giuridico e politico. I compiti di insegnamento ed i doveri di conoscenza dei Testi delle Convenzioni di Ginevra e degli altri Atti Internazionali che formulano locuzioni similari, sono entrati in modo definitivo, in seno all’ordinamento nazionale, nella sfera del giuridicamente vincolante, con tutte le pertinenti conseguenze che ne potrebbero seguire in caso di loro violazione.

I doveri espressi nelle dette Convenzioni inoltre trovano un presidio particolare nelle norme dello Statuto della Corte Penale Internazionale, ratificato con legge n. 232 del 12 luglio 1999. La dottrina(39) ritiene comunque che i reati previsti dallo Statuto debbano essere (ancora) recepiti nel nostro ordinamento mediante l’introduzione di corrispondenti fattispecie legali, qualora non siano già previste, e che i doveri cognitivi possano intrecciarsi strettamente anche con i doveri nascenti dalle direttive militari in campo internazionale, rappresentate dalle Rules of Engagement (ROE). L’obbligo di “vigilanza” sul rispetto delle norme convenzionali può già trovare concreta attuazione in sede di commissione di reati contemplati nella normativa nazionale, laddove il Comandante, dato il suo ruolo di “direzione, comando e controllo”, assuma una posizione di “garanzia”, con la conseguenza che non solo la sua “azione” ma specialmente la sua “omissione”(40) avrebbero, agli effetti della legge penale, una ampiezza operativa maggiore di quanta ne avessero in passato(41).

Nella stessa direzione ma fuori dei casi in cui la sovraordinazione sia già elemento costitutivo del reato o di un’aggravante speciale (dal momento che in tal caso il legislatore ha già fatto una sua valutazione ai fini della determinazione della sanzione edittale), anche ipotesi di circostanze aggravanti comuni (ad es., art. 112, n. 3, c.p.) sembrano aver acquisito valenza applicativa maggiore. Considerazioni analoghe potrebbero svolgersi in relazione alle altre forme di responsabilità (amministrativa, civile, ecc.). Si pensi, ad esempio, alla possibilità per il Comandante militare di incorrere anche - secondo la prassi interpretativa comunemente ammessa - in una sanzione disciplinare, nei casi di sua omissione degli obblighi di vigilanza o di conoscenza. Tale sanzione, peraltro, potrebbe essere grave(42) dato il particolarmente delicato ruolo che un Comandante militare svolge all’estero e le profonde implicazioni del mancato rispetto delle norme del diritto internazionale umanitario.

Sul piano ordinamentale, poi, possono distinguersi due piani ulteriori di responsabilizzazione, la cui flessibilità caratteristica è quella di consentire forme di concorso tra più coautori del fatto o tra più fatti connessi, determinando la multisanzionabilità della condotta. Le figure di vertice dell’ordinamento della Difesa non possono dirsi esenti da doveri giuridici riguardanti la preparazione e l’organizzazione delle FF.AA. nel loro complesso. Così, il Capo di Stato Maggiore della Difesa deve “fissare”, in particolare, i criteri riguardanti la preparazione delle FF.AA. (lett. c, comma 1, art. 1 del DPR 18 novembre 1965, n. 1477) e deve emanare, sentiti i Capi di Stato Maggiore di Forza Armata, “disposizioni di carattere generale sugli obiettivi… della formazione e dell’addestramento delle Forze armate” (punto 5, lett. p, art. 1, DPR n. 556 del 25 ottobre 1999). Deve altresì promuovere lo studio e l’aggiornamento, anche su proposta dei Capi di Stato maggiore di ciascuna FA, delle normative sulla formazione delle FF.AA. (lett. q, art. 1 DPR 556/99 citato)(43).

Disposizioni analoghe, in tema di formazione e di preparazione del rispettivo personale, gravano sui Capi di Stato Maggiore delle rispettive Forze armate. Salvo a voler valutare le suddette disposizioni solo da un punto di vista strettamente giuridico, non sembra improprio sostenere che l’omissione o l’inadempimento delle stesse potrebbe involgere anche una responsabilità in base al rapporto di tipo politico o fiduciario che è alla base del vincolo che lega tali alte figure dirigenziali ai massimi organi istituzionali del Paese, determinando, nei casi di maggior gravità, la “defenestrazione” politica delle prime da parte dei secondi. Dal canto loro, le FF.AA. - intese nel loro complesso ordinamentale - potrebbero trovarsi a rispondere secondo uno spettro normativo più ampio ed ancor più fondatamente delle conseguenze civilistiche dei fatti di reato commessi dai Comandanti nell’esercizio delle loro nuove funzioni di “vigilanza”, in applicazione delle note regole di immedesimazione organica che la dottrina e la giurisprudenza prevalenti desumono dall’art. 28 della Costituzione.

8. Tecniche normative di istituzione del consigliere giuridico

A conclusione del presente studio non sembra fuor di luogo elaborare qualche riflessione in materia di tecnica di “ingresso” della figura del Consigliere Giuridico nel nostro ordinamento. A questo riguardo, occorre distinguere due ipotesi fondamentali. La prima mira ad attribuire ad un soggetto determinate capacità e funzioni, creando, se del caso, un Ufficio(44) ad hoc da inserire nel tessuto ordinamentale delle FF.AA. In tale ipotesi, sarebbe sufficiente un mero atto amministrativo. Più in particolare, occorrerebbe seguire il seguente iter : a. direttiva del Capo di Stato Maggiore della Difesa (art. 2 lett. s del DPR 556/1999), concernente l’impiego del personale militare in ambito interforze ed internazionale, stabilendo in particolare compiti, attribuzioni e dipendenza del Legal Advisor; b. singoli atti amministrativi attuativi (ad es., nella forma di provvedimenti di trasferimento d’autorità), rivolti ad allocare il Legal Advisor presso i Comandi “di adeguato livello”. Tali atti dovrebbero essere emanati dallo Stato Maggiore della Difesa e non dai singoli Stati Maggiori, poiché l’impiego del personale militare in ambito interforze o all’estero è competenza del Capo di Stato Maggiore della Difesa.

È dubbia la correttezza di tale opzione. Trattandosi di compiti assolutamente nuovi, non rintracciabili già nell’ordinamento delle FF.AA., la direttiva del Capo di Stato Maggiore della Difesa si porrebbe in contrasto con l’art. 97 della Cost., che demanda alla legge la determinazione dell’organizzazione e delle attribuzioni degli Uffici e, di conseguenza, delle mansioni dei pubblici dipendenti( 45). È difficile ammettere che il titolo normativo valido per la creazione di nuove funzioni dei dipendenti militari vada individuato nei provvedimenti già citati (l. 331/00, ecc.), perché il vincolo internazionale di costituire la figura di Consigliere Giuridico non è in grado di attribuire, di per sé, quella precipua funzione consultiva ad un dato soggetto, occorrendo - in ogni caso - una ulteriore specificazione normativa di assegnazione. La direttiva del Capo di Stato Maggiore della Difesa, essendo un atto amministrativo a carattere generale, non può innovare l’ordinamento giuridico(46) e sarebbe pertanto inidonea ad istituire la nuova figura del Consigliere Giuridico.

La tesi sembra confermata anche dall’art. 4 della legge 6 marzo 1992, n. 216, recante, tra l’altro, la delega al Governo per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale non dirigente delle Forze di Polizia e delle Forze Armate. In base a tale disposizione, è comunque riservato alla disciplina “per legge o per atto normativo o amministrativo emanato in base alla legge” l’ordinamento generale della materia dell’organizzazione del lavoro, degli Uffici e delle strutture nonché della materia della mobilità e dell’impiego del personale. Il nuovo art. 117 della Cost. riserva inoltre alla potestà legislativa esclusiva la materia della Difesa e delle FF.AA. (comma 2, lett. d) e l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato (comma 2, lett. g), indicando la necessità del fondamento legislativo per regolare tali casi. Inoltre, la soluzione risulta ancora più dubbia in relazione alla costituzione della figura del Consigliere Giuridico o di un Ufficio Consultivo presso gli Enti/Comandi nazionali, dove il Consigliere Giuridico potrebbe operare.

In tal caso, infatti, non sarebbe competente il Capo di Stato Maggiore della Difesa, bensì, sulla base delle direttive superiori, lo Stato Maggiore della singola Forza Armata, il quale, tuttavia, può emanare solo “le direttive per l’impiego del personale della rispettiva Forza Armata” (art. 12, lett. h, punto 2, del DPR n. 556/99), determinando una inaccettabile frammentazione delle competenze del Consigliere Giuridico. La suddetta soluzione è criticabile anche sotto altri profili non strettamente giuridici: - creerebbe una sorta di alea intorno alla figura del Consigliere Giuridico, facendolo apparire o scomparire dalla scena internazionale a seconda delle circostanze e della capacità dello stesso di sapersi imporre in base alla sua preparazione; - potrebbe comportare il rischio che il Legal Advisor non abbia la copertura di adeguate garanzie di formazione professionale, le quali debbono essere costantemente assicurate dalla Difesa, essendo l’obbligo istituivo del Legal Advisor a carico dello Stato. Come segnalato, potrebbe poi sorgere tutta una serie di complicazioni a livello esecutivo (carriera, avanzamento, trattamento economico, ecc.), disciplinabili solo con provvedimenti normativi ad hoc.

Aspetti, questi, di cui occorre tenere conto, perché la Difesa adempia l’obbligo di assicurare, tra l’altro, il benessere del personale; - è facile immaginare che - nella pratica - il singolo soggetto non sarà tenuto presso i Comandi “di adeguato livello” in funzione meramente consultiva (ad esempio, presso l’Ufficio del Comando). Proprio perché mancano le garanzie di stabilità offerte da un atto normativo, è probabile che in capo allo stesso verranno cumulati più compiti ed attribuzioni, che ne svuoteranno o ne sviliranno, di fatto, la relativa funzione(47). La seconda opzione costruttiva, volta alla costituzione di una pluralità di Uffici di Consigliere Giuridico e ad assicurare la certezza della funzione consultiva, potrebbe seguire due vie: a. se si opina che l’obbligo contenuto nell’art. 82 del Protocollo del 1977, già ratificato con legge, sia stato attuato con la legge 331/00 e con i decreti legislativi citati, allora potrebbe essere sufficiente un regolamento di attuazione, adottato in forma di decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell’art. 87, comma 5 della Cost. ed ai sensi dell’art. 17 lett. a) della legge n. 400/1988. In tal caso, però, rimarrebbe scoperta la disciplina relativa allo status, all’avanzamento, al trattamento economico del Consigliere Giuridico: dovendo essa incidere sulla normativa pertinente delle FF.AA. (in particolare sul decreto legislativo 490/1997), richiederà un ulteriore e diverso atto di pari forza normativa; b. se invece si ritiene che l’obbligo internazionale sia ancora inattuato, richiedendo un ulteriore atto di assegnazione dell’incarico e di specificazione delle modalità generali di esecuzione, allora occorrerà adottare specifici provvedimenti di legge ovvero di legge delega, cui seguiranno i decreti attuativi necessari.

In tal caso, la disciplina di dettaglio potrebbe essere rimessa ad un decreto ministeriale o interministeriale (per i casi, ad esempio, relativi alla duplice dipendenza configurata per l’Arma dei Carabinieri e per la Guardia di Finanza), quando “la legge espressamente conferisca tale potere” (art. 17, comma 3 della legge n. 400/88). Tale disciplina sarebbe compatibile anche con il disposto dell’art. 97 della Costituzione(48). Una volta intervenuto l’atto normativo, gli aspetti attuativi e di dettaglio potrebbero veicolarsi a mezzo delle procedure sopra illustrate a proposito del potere organizzativo e di impiego del Capo di Stato Maggiore della Difesa.


(*) - Capitano di Corvetta, addetto all’Ufficio Affari Giuridici dello Stato Maggiore Difesa.
(1) - www.state/gov/s/I/, voce “Office of Legal Advisor” (traduzione dell’articolista).
(2) - Per un quadro sintetico dell’arruolamento, della formazione e dei compiti dei CC.GG. statunitensi,
tedeschi e inglesi, si veda: P. DONVITO, Il Comandante e il Consigliere Giuridico Militare, in RIVISTA MILITARE, n. 4/1995, pagg. 88-89.
(3) - Manuale di diritto umanitario, vol. III, edito dallo Stato Maggiore della Difesa, Roma, 1991, pag. 381.
(4) - Art. 47 nella I Convenzione, art. 48 nella II, art. 127 nella III, art. 144 nella IV: P VERRI., L’insegnamento del diritto umanitario nelle istituzioni militari, in RASSEGNA DELL’ARMA CARABINIERI, gennaio-febbraio 1973, vol. I, pag. 11. Peraltro lo stesso Autore in Istituzioni militari: il problema dell’insegnamento del diritto dei conflitti armati e dell’adattamento dei regolamenti alle sue prescrizioni umanitarie, in RASSEGNA DELL’ARMA CARABINIERI, n. 2, aprile-giugno 1985, pagg. 336-337, sottolinea giustamente che già in passato il nostro Paese, “ratificando la II Convenzione dell’Aja del 1899, aveva assunto l’impegno di impartire alle proprie Forze Armate di terra istruzioni conformi al Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre, allegato alla Convenzione, e che l’impegno era stato ripetuto con le Convenzioni del 1906 e del 1929 (feriti e malati)”, oltreché con la Dichiarazione di Londra del 1909 sul diritto della guerra marittima, la quale, tuttavia, non venne ratificata da alcuno Stato..
(5) - Manuale di diritto umanitario…, cit., pagg. 64, 94, 164 e 249.
(6) - Secondo una cospicua parte della dottrina internazionalistica, le disposizioni delle Convenzioni di Ginevra esprimerebbero ormai un diritto generale consuetudinario, non circoscritto alle sole Nazioni che le hanno firmate, con la conseguenza che tali obblighi sono da intendersi estesi a tutte le Nazioni del globo. A tale opinione non accedono altra parte della dottrina e quegli Stati, secondo i quali i meccanismi di garanzia e le procedure di controllo previsti nei testi di DIU “operano in tempi troppo lunghi e non rispondono alle esigenze di immediatezza che le situazioni di gravità richiedono, siano esse di natura bellica o no”, cfr.: E. SPATAFORA, Diritto Umanitario, in EGT, Utet, vol. XI, 1989, pag. 3. Accogliendo la prima tesi, sarebbe giocoforza ammettere, come corollario, che le norme in commento siano immediatamente precettive, senza che occorra un atto normativo interno di recepimento per renderle efficaci.
(7) - Manuale di diritto…, cit., pag. 278. Si noti che il successivo art. 28 “impone” alle Parti contraenti di adottare sanzioni penali e/o disciplinari nei riguardi di coloro che “hanno commesso o dato l’ordine di commettere” un’infrazione alle norme della Convenzione.
(8) - Testo in www.casd.difesa.it.
(9) - P. VERRI, L’insegnamento…, cit., pag. 12; contra: E. GREPPI, I crimini di guerra e contro l’umanità nel diritto internazionale, Utet, 2001, pagg. 19-20, il quale ritiene che si siano ormai enucleati tre ambiti, tendenzialmente convergenti, del DIU: il diritto bellico in senso stretto, il diritto umanitario alla salvaguardia dei militari, la protezione internazionale dei diritti umani.
(10) - Il CICR ha anche concluso accordi internazionali per l’insegnamento del DIU presso varie Nazioni. Di recente (16 aprile 2003) ha siglato con le Autorità israeliane un memorandum of understanding (MoU) in tal senso. Cfr.: www.icrc.org., ove è segnalato un programma di diffusione, iniziato sin dal 1998, che dovrebbe coinvolgere 70 Paesi e che si sta sperimentando in 10 Nazioni “pilota”. Inoltre, sin dal 1995, il CICR, in cooperazione con 7 Stati del Commonwealth of Independent States (CIS), ha dato vita ad un programma educativo volto a far conoscere alla popolazione adolescenziale le regole basiche del DIU. Il programma è rivolto ai ragazzi compresi tra i 10 ed i 17 anni delle scuole civili e militari di Paesi come la Russia, l’Uzbekistan, la Georgia.
(11) - Cfr.: “Table of national committees on international humanitarian law” in www.icrc.org.
(12) - Sono da ricordare - ad esempio - le risoluzioni 2852 e 2853 del 1971, nonché le risoluzioni 2652, 2670, 2674 e 2678 del 1970, che afferiscono più ampiamente al tema del rispetto dei diritti umani nei conflitti armati. Tali risoluzioni sono rintracciabili sul sito www.org.un.
(13) - www.infostudent.scipol.unipd.it.
(14) - Punto 2.6 della circolare n. 29 del 5 marzo 2004 del MIUR, avente ad oggetto “decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59 - indicazioni e istruzioni”, pubblicata su IL SOLE 24 ORE del 6 marzo 2004.
(15) - Circ. cit. del MIUR, ove grande rilievo è attribuito all’autonomia delle scuole, ribadita dal nuovo titolo V della Costituzione, con riferimento, in particolare, ai piani di studio. La riforma prevista dalla legge delega n. 53/2003, pur nel quadro di “indicazioni nazionali” degli obiettivi generali di apprendimento (allegati al decreto), “esalta il ruolo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e riconosce ai docenti una responsabilità di scelte che ne valorizza il profilo professionale”.
(16) - P. VERRI, una ventina d’anni fa, ritornò sul tema dell’insegnamento del DIU nelle FF.AA., lamentando che la problematica non appariva ancora risolta “in modo accettabile” da tutte le Nazioni, cfr.:s Istituzioni Militari…, cit.
(17) - A. INTELISANO, Un problema aperto: i “Consiglieri Giuridici” per l’applicazione del diritto umanitario bellico, in RASS. GIUST. MIL., 1992, vol. 5-6, pag. 3.
(18) - RD n. 1022 del 9/8/1941.
(19) - A. INTELISANO, loc. cit. Tale posizione, come ci si avvede, contrasterebbe con la precedente espressa dalla medesima dottrina. Se il Consigliere Giuridico non deve essere un “civile”, a maiori non sarà il PM militare.
(20) - A. INTELISANO, loc. cit.
(21) - R. LUCIFREDI, Inammissibilità di un esercizio ex post della funzione consultiva, in SCRITTI PER VACCHELLI, Milano, 1937, pagg. 283 ss.
(22) - L’argomento è particolarmente delicato e non si presta ad essere trattato in questa sede. Per un primo riferimento, si veda: N. PARISI, Problemi attuali del diritto internazionale penale, in DIRITTO E FORZE ARMATE. NUOVI IMPEGNI, a cura di S. RIONDATO, Cedam, 2001, pagg. 195 ss.
(23) - Mancando la dipendenza “funzionale” il Comandante non sarà il compilatore delle note caratteristiche del Consigliere Giuridico, che è lo strumento “formale” di valutazione usato nelle FF.AA. Le note potrebbero essere redatte da un organo centrale, individuato all’uopo.
(24) - Non sembra che il “parere” del Consigliere Giuridico possa farsi rientrare né nel novero degli “atti politici”, promanando da un organo amministrativo e non da un organo politico, né tra gli “atti di alta amministrazione”, non avendo una funzione di raccordo tra politica ed amministrazione. Ai primi, come noto, sono inapplicabili le regole contenute nella legge 241/90.
(25) - In certi casi, il reato di disobbedienza aggravata comporta l’arresto in flagranza: art. 9, comma 3, lett.a del DL 421/2001, convertito dalla legge n. 6 del 31 gennaio 2002, relativa all’operazione multinazionale denominata Enduring Freedom.
(26) - In giurisprudenza si afferma che l’ordine già imposto da una norma penale è da questa assorbito e che l’ordine del superiore nulla aggiunge all’imperatività della legge; analogamente la vecchia dottrina, A. MANASSERO, I codici penali militari, vol. II, Giuffrè, 1951, pag. 218, che, sulla scorta del Di Vico, sottolinea che il dovere fissato in un atto normativo non è un ordine e che già i codici militari abrogati (1869) distinguevano tra ordine e incarico; in senso contrario, recente dottrina giudica che l’ordine già imposto da obblighi di legge o di regolamento potrebbe essere “ripristinato” dalla nuova manifestazione di volontà del Comandante/superiore gerarchico; cfr.: V. SANTORO, in AA.VV., Codici Penali militari, in RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA E DI DOTTRINA, Giuffrè, 2001, pagg. 575-576.
(27) - Per lo stato dottrinale di tale impostazione, cfr.: V. SANTORO., op. ult. cit., pag. 571.
(28) - BRUNELLI-MAZZI, Diritto penale militare, Giuffrè, Milano, ediz. 1998, pag. 477.
(29) - Potrebbe dubitarsi che al rapporto di impiego si riferisca invece il concetto dei “compiti di istituto”, contenuto nello stesso articolo e sul cui significato la dottrina discetta. Certo è che la legge di principio separa i compiti di istituto da quelli di servizio.
(30) - G. LANDI, in LANDI, VEUTRO, STELLACCI, VERRI, Manuale di diritto e di procedura penale militare, Giuffrè, Varese, 1976, pag. 14.
(31) - Un esempio di “falso” ordine gerarchico è il “trasferimento” dell’appartenente alle FF.AA., per cui sia consentito rinviare al mio scritto, Il trasferimento del militare nell’ordinamento delle FF.AA.: una differente impostazione, in DIRITTO MILITARE, n 2-3/2002, 33 ss. Cfr., altresì: L. D’ANGELO, Trasferimento d’autorità nelle forze armate: natura giuridica e garanzie dell’interessato, in DIRITTO MILITARE, 1-2/2003, pagg 7 ss. Il trasferimento d’autorità, in particolare, non è un ordine gerarchico tra persone fisiche, bensì - secondo la ricostruzione operata da chi scrive e avallata da parte della giurisprudenza amministrativa di prime cure - un atto ad alta discrezionalità amministrativa.
(32) - Il DM 14 giugno 1995, n. 519 (“regolamento concernente le categorie di documenti sottratti al diritto di accesso presso il Ministero della Difesa”) esclude dall’accesso, oltre agli atti cui è stata conferita classifica di segretezza o di riservatezza, derivante da esigenza di sicurezza dello Stato (art. 1, all. 1, punto 1, nr. 11), anche “direttive e piani operativi NATO e Nazionali” (art. 1, all. 1, punto 1, nr. 20), entro cui potrebbe farsi rientrare il parere del consigliere giuridico in quanto inserito, come atto endoprocedimentale, nel procedimento di formazione della direttiva. Tuttavia, al di fuori di tali ipotesi non sembra giustificata, nemmeno alla luce delle altre preclusioni fissate dal DM, la sottrazione del parere all’accesso. Peraltro, l’art. 82 del I Protocollo del 1977 sembra riservare l’istituzione della figura del Consigliere Giuridico in Comandi “di adeguato livello”, facendo supporre che esso debba partecipare alle grandi decisioni strategiche e di pianificazione.
(33) - Tale spostamento di dipendenza e della relativa potestà disciplinare è attuabile mediante un atto amministrativo. Nell’ordinamento militare esiste un apposito atto generale che individua gli incarichi di Comandante di Corpo e le relative potestà.
(34) - Ad esempio, sotto forma di “abilitazione” da riportare sull’estratto matricolare, con la conseguenza che essa sarà oggetto di valutazione in sede di avanzamento.
(35)- Una soluzione sarebbe quella, ad esempio, di revisionare la struttura dei compiti e delle competenze del ruolo speciale rispetto al ruolo normale del corpo di commissariato, rimettendo al primo le attribuzioni tipiche dei servizi di Commissariato (cassa, acquisti) ed al secondo oneri più qualificati. Tra l’altro, il ruolo normale è distinto da quello speciale già in sede di reclutamento e sovente se ne differenzia per l’assenza del titolo del diploma di laurea posseduto invece dal ruolo normale (cfr., per Marina, Esercito, Aeronautica, artt. 4 e 5 del D.lvo n. 490 del 30 dicembre 1997, recante il “riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell’avanzamento degli Ufficiali, a norma dell’art. 1, comma 97 della legge 23 dicembre 1996, n. 662”; mentre, in particolare, per l’Arma dei Carabinieri, il riferimento normativo è costituito dall’art. 2 del D.lvo n. 298 del 5 ottobre 2000, recante il “riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell’avanzamento degli Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, a norma dell’articolo 1 della legge 31 marzo 2000, n. 78”).
(36) - A. INTELISANO, op. cit., pag. 1.
(37) - Si noti il tortuoso percorso logico del legislatore che, disciplinando i compiti dell’Arma dei CC, si è trovato ad ammettere che la disposizione possiede una precettività analoga anche per gli “altri” Comandanti militari. Il curioso inciso è spiegabile, ad avviso di chi scrive, nel senso che il d.lvo in parola trae le mosse dalla legge 31 marzo 2000, n. 8, recante la “delega al Governo in materia di riordino dell’Arma dei carabinieri, del Corpo forestale dello Stato, del Corpo della Guardia di finanza e della Polizia di Stato. Norme in materia di ordinamento delle Forze di polizia”. Tale legge, infatti, mira a fissare le competenze e le attribuzioni dell’Arma in rapporto alle altre FF.AA., ferme restando le previsioni del RD 1169/1934 e della legge 18 febbraio 1997 n. 25. In particolare uno dei criteri direttivi della legge attiene alla disciplina della “partecipazione alle operazioni militari in Italia e all’estero sulla base della pianificazione d’impiego delle FF.AA….”.
(38) - B. CONFORTI, Diritto Internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2002, pagg. 321- 324; contra: Pinelli, FI, 2001, IV, col. 195. Secondo il Conforti, la prevalenza del Trattato sulle leggi interne anche posteriori va desunta sul piano interpretativo, con l’ausilio di criteri sussidiari, quale quello volto a considerare il Trattato come diritto speciale ratione materiae. Il criterio migliore resterebbe comunque quello “secondo cui il trattato internazionale, una volta introdotto nell’ordinamento interno, prevale finché non si dimostri la volontà del legislatore di venir meno agli impegni internazionali”.
(39) - A. BIANCHI, Costituzione di un Tribunale Internazionale per i crimini contro il diritto umanitario: riflessi e condizionamenti sulla normativa giuridica nazionale, in RASSEGNA DELLA GIUSTIZIA MILITARE, n. 3-4 maggio-agosto 1998, par. 6.
(40) - Peraltro, accogliendo sia la tesi formale sia la tesi funzionale relative all’obbligo di impedire gli eventi di reato, l’omissione del Comandante militare avrebbe comunque una sua autonoma rilevanza. Sugli aspetti e sulle conseguenze delle due teorie, si veda: M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Giuffrè, 1995, pagg.356 ss.
(41) - Per fare un altro esempio, la responsabilizzazione del Comandante (che però non sia già correo) potrebbe condurre come ulteriore conseguenza, ricorrendone i presupposti, anche all’applicazione dell’art. 196 cp, che, benché sia sospettato di incostituzionalità da certa dottrina e di non frequente applicazione, obbliga, nei reati ivi previsti, la persona rivestita di sovraordinazione o vigilanza ad adempiere l’obbligazione civile per le multe e le ammende inflitte a persona dipendente non solvibile. Il fenomeno è diventato molto attuale specie dopo che il legislatore nazionale ha allargato lo spettro di configurabilità di reati previsti dal codice penale militare di guerra, mutuandoli dal diritto comune ed aggiungendo, nella descrizione della fattispecie, gli elementi dell’abuso di autorità o di vigilanza. Che l’art. 196 possa applicarsi anche in presenza di un rapporto di pubblico impiego è confermato in dottrina: M. ROMANO, G. GRASSO, T. PADOVANI, Commentario…, cit., vol. III, Giuffrè, Milano, 1994, pag. 332.
(42) - Non solo sanzioni “di corpo”, ma anche sanzioni disciplinari “di stato”: cfr. art. 13 citata legge 382/1978.
(43) - Si prestano ad essere lette in tale ottica anche la lett. t, e la lett. y, art. 1, DPR 556/99.
(44) - Il Capo di Stato Maggiore della Difesa ha il potere di emanare direttive concernenti la “configurazione complessiva della struttura ordinativa e dei relativi organici…delle Forze Armate, tenuto conto anche degli impegni derivanti da accordi e trattati internazionali” (art. 2, n. 5 del DPR 556/99).
(45) - Così, ad esempio, il personale non direttivo delle FF.AA., essendo destinato a svolgere “mansioni esecutive” (volontari di truppa in servizio permanente e sergenti: artt. 4 e 5 del D.lvo n. 196 del 12 maggio 1995), non può rivestire l’incarico di Consigliere Giuridico. Analogamente, il personale del ruolo marescialli. Questi ultimi, però, essendo abilitati, in relazione alla professionalità posseduta, anche a “compiti di formazione e di indirizzo del personale subalterno” (art. 6, comma 1 del D.lvo cit.), potrebbero essere impiegati per i compiti di insegnamento del DIU. A maggior ragione, il personale in ferma breve non può assumere l’incarico di Consigliere Giuridico, essendo destinato ad attività di “pronto impiego” (art. 7 D.lvo cit. e art. 3, comma 2 del DPR 2 settembre 1997, n. 332).
(46) - Con riferimento all’assenza di forza innovativa degli atti amministrativi a carattere generale, cfr. Cass. Civ., 5 luglio 1999, n. 6933, in Massimario, 1999 e Cass. SS.UU., 28 novembre 1994, n. 10124, in Mass. 1994. Dubbi sulla delegificazione operata con la legge n. 25/1997, sulla riforma dei vertici militari e civili della Difesa, sono stati inoltre avanzati in dottrina: BONETTI, Ordinamento della Difesa nazionale e Costituzione italiana, Giuffrè, Milano, 2000, pag. 73.
(47) - Secondo il generale DONVITO, in Il Comandante…, cit., pag. 88, il Consigliere Giuridico potrebbe avere il compito, in tempo di guerra, di consigliare il Comandante di Grande Unità e, in tempo di pace, di istruire i Comandanti di unità sulle leggi di guerra, di rivedere i piani operativi, i piani contingenti e le regole di ingaggio per verificarne la corrispondenza alle leggi di guerra.
(48) - V. CARUSI, in AA.VV., Commentario breve alla Costituzione, Cedam, 1990, pag. 616.