Il cammino verso il riconoscimento e la tutela dei diritti umani

Sergio Schlitzer (*)

1. Definizione

Per diritti umani si intende un corpus di diritti - primi fra tutti quello alla vita e all’integrità della persona, all’uguaglianza degli uomini davanti alla legge, alla libertà dalla schiavitù - che “appartengono” all’uomo non perché a lui attribuiti dallo Stato, bensì perché inscindibilmente legati all’essenza stessa della persona umana. L’individuo è, cioè, titolare “naturale” di un insieme di diritti fondamentali, diritti che proprio per tale carattere non possono che essere oggetto di un riconoscimento universale. Un insieme di diritti che danno vita ad una identità universale dell’uomo, caratterizzata dall’aspirazione alle stesse libertà, quali che siano la razza, il sesso, la nazionalità dei singoli individui.

a. Le premesse filosofiche

Invero, l’esistenza stessa di tali diritti è ancora oggi controversa; il riconoscimento dei diritti umani, infatti, passa, ed è passato, attraverso la risoluzione dello storico conflitto culturale tra il “positivismo giuridico” ed il giusnaturalismo. Secondo la prima scuola di pensiero il diritto non risponde ad alcuna legge superiore, né etica né tantomeno soprannaturale, in quanto il diritto è creato dall’Uomo (Hobbes diceva “Auctoritas, non Veritas, facit legem”, ossia è l’autorità, e non la Verità, che crea la legge). Le leggi non si valutano in termini di giustizia (“All’Uomo non è dato conoscere la Giustizia, ma solo il diritto”), ma in termini di perfezione ed efficienza. Una legge è perfetta se sono state rispettate le procedure per la sua formazione; è efficiente se è in grado di raggiungere gli scopi per i quali è stata emanata.

Ma se il diritto non dovrà confrontarsi con un valore di riferimento quale è la Giustizia vuol dire che il diritto potrà anche discriminare i neri, o gli ebrei. In sintesi, il diritto è ciò che è qualificato tale da una maggioranza politica in un determinato momento storico. La seconda è costituita dal giusnaturalismo, la dottrina del diritto naturale, secondo la quale il diritto è proprio della natura umana, cioè discende da norme che appartengono ad una sorta di ordinamento “naturale” dell’uomo che privo di confini spaziali e temporali, precede e vincola gli ordinamenti degli stati. In quest’ottica, tutte le leggi devono rispondere a dei principi (immutabili) che esistono al di fuori e prima del diritto, inteso come ordinamento giuridico statale, primo tra tutti il comando “non uccidere”, che è il primo comandamento naturale in quanto riflesso del proprio istinto di conservazione (non uccidere = non uccidermi).

b. Evoluzione storica

Il riconoscimento dell’esistenza dei “diritti umani”, e quindi il prevalere della dottrina giusnaturalistica, si deve in particolar modo alle aberrazioni della Seconda Guerra Mondiale, a seguito delle quali la delicata tematica comincia a varcare i confini nazionali per entrare a far parte del palcoscenico internazionale. Se è vero, infatti, che i diritti alla vita, all’uguaglianza, alla libertà, trovavano già spazio negli ordinamenti interni degli stati sin dal Bill of Rights americano, o dalla dichiarazione francese sui diritti dell’uomo e del cittadino, è altresì vero che tale “spazio” non era riconosciuto agli individui in virtù del loro essere persone, del loro essere uomini, bensì in virtù del rapporto di cittadinanza che legava questi allo stato. In altri termini, lo stato non riconosceva l’esistenza di tali diritti, ma attribuiva tali diritti al cittadino in virtù del rapporto di sudditanza. Viceversa, a seguito dei conflitti mondiali, comincia a formarsi una coscienza dell’umanità, caratterizzata da un convincimento preciso: ciò che è accaduto non dovrà più ripetersi in nessuna parte del mondo. Comincia cioè a sentirsi la necessità di un diritto universale, anche per l’acquisita consapevolezza che l’esistenza di nazioni o zone geografiche in cui tali diritti minimi sono calpestati costituisce un grave pericolo per la pace e per la sicurezza internazionale (art. 1 p.1 C. N. U.).

2. L’internazionalizzazione

Se l’obiettivo era l’internazionalizzazione di alcuni diritti fondamentali, la prima tappa non poteva che essere la costituzione di organismi tra gli stati.

a. L’ONU

Proprio tra la fine della prima e l’inizio della seconda guerra mondiale, abbiamo il primo passo verso l’istituzione delle Nazioni Unite, ovvero la costituzione della Società delle Nazioni. Benché fosse nata per tutelare categorie limitate di individui (le minoranze etniche), è il primo passo: si comincia a prendere atto dell’esistenza di un diritto alla dignità dell’uomo, per la cui protezione è possibile imporre un limite esterno alla sovranità nazionale. Ma è con l’istituzione dell’ONU e la stesura della Carta delle Nazioni Unite, entrata in vigore il 24 ottobre 1945, che si compie il passo decisivo: l’istituzione di un sistema universale a tutela dei diritti umani; la carta si apre con il riconoscimento del rispetto dei diritti dell’uomo quale finalità dell’organizzazione (“salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti”). È chiaro che siamo ancora agli inizi di un lungo percorso; gli stati membri, infatti, ancora non hanno obblighi specifici ma soltanto si “impegnano ad agire collettivamente ed individualmente per garantire il rispetto e l’osservanza dei diritti umani”. La tutela dei diritti umani trovava ancora ostacoli in quanto potenzialmente in contrasto con la sovranità degli stati. Ma il momento storico è propizio; riconosciuta l’esistenza di diritti dell’uomo, bisognava ora individuarli, codificarli. Si verificò così un proliferare di carte o documenti, ad opera di diverse organizzazioni internazionali.

b. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

Il primo, compiuto, sforzo in questo senso, è rappresentato dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalle Nazioni Unite con la risoluzione n. 217 del 10 ottobre 1948. Una risoluzione “combattuta”, frutto di un compromesso tra i paesi occidentali, che miravano ad inserire nella dichiarazione solo i diritti civili e politici, e quelli orientali che, invece, tentavano di introdurre diritti di natura economica e sociale, ma che -ciò nonostante- rappresenta una svolta epocale: per la prima volta stati appartenenti ad aree geografiche e politiche diverse avevano individuato un nucleo essenziale di diritti comuni ad ogni uomo in ogni stato; sono i primi bagliori di un diritto potenzialmente universale. Vengono cosi sanciti il diritto alla libertà, alla uguaglianza, alla vita, alla libertà dalla schiavitù, ma, anche, in tema di “giustizia”, il diritto alla sicurezza sociale ed alla pace internazionale, nonché la presunzione di innocenza e il principio di irretroattività delle norme penali, il diritto a non essere arrestati arbitrariamente, il diritto ad una equa e pubblica udienza davanti un Tribunale terzo ed imparziale.

Ovviamente l’obbiettivo finale è ancora lontano: la dichiarazione dei diritti dell’uomo è, infatti, una dichiarazione solenne ma non vincolante, si tratta in sostanza di una risoluzione concretatasi in una dichiarazione di principi, priva tra l’altro di meccanismi a garanzia della tutela dei diritti in essa individuati. Solo con l’approvazione del patto internazionale dei diritti civili e politici avvenuto nel dicembre del 1966, viene introdotto l’obbligo per gli stati aderenti di inviare un rapporto periodico al segretario generale circa le misure adottate per garantire la tutela dei diritti umani, nonché un sistema di ricorso al comitato dei diritti dell’uomo (che oggi può essere presentato anche dalla singola presunta vittima o da organizzazioni non governative) che è competente a verificare l’inadempimento da parte di uno stato degli obblighi derivanti dal patto. Accanto alla dichiarazione, verranno poi suggellate tra i paesi aderenti all’Onu una serie numerosa di convenzioni tese sempre allo stesso fine.

c. L’evoluzione della tutela dei diritti umani in ambito europeo

Anche in Europa a seguito degli eventi bellici si dà vita ad una organizzazione di carattere intergovernativo: il Consiglio d’Europa (del quale farà parte anche l’Italia), che vede quale elemento unificante proprio la tematica dei diritti dell’uomo. Invero, l’accezione diritti dell’uomo era strumentale soprattutto alla necessità di condannare e sancire una linea di demarcazione con le ideologie dei paesi socialisti. Infatti, condizione necessaria per partecipare al Consiglio è che lo Stato Europeo accetti “i principi del primato del diritto, della democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.

d. La convenzione europea dei diritti dell’uomo

Nel 1950 gli stati membri del Consiglio d’Europa promuovono la nascita di uno strumento giuridico vincolante in tema di difesa di diritti umani. È il 3 settembre 1953 (l’Italia ratificherà il 4 agosto 1955) quando entra in vigore la Convenzione Europea per i diritti dell’uomo. Diversamente dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, le cui norme sono spesso richiamate dalla Convenzione, le disposizioni di quest’ultima sono vincolanti dal punto di vista giuridico, ragione per la quale, la Carta rappresenta certamente lo strumento più efficace per la protezione dei diritti civili e politici. La Convenzione, infatti, offre sia agli Stati sia ai singoli individui, la facoltà di ricorrere ad una Corte Sovranazionale (la Corte Europea per i diritti dell’uomo con sede a Strasburgo) per denunciare la violazione dei diritti in essa sanciti (anche da parte di uno stato in relazione alle violazioni commesse in un altro stato in virtù del superamento del principio di non ingerenza).

Non solo: il valore giuridico della Carta è di tale importanza che la Corte Costituzionale con la sent. n. 10/93 ha riconosciuto che le norme della convenzione non possono essere modificate con legge ordinaria in quanto godono di una particolare forza di resistenza. Il testo si suddivide in tre parti; in particolare, la prima ha ad oggetto i diritti, la seconda la procedura di funzionamento della Corte europea, la terza disposizioni di varia natura. Molti diritti riprendono quelli indicati nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma sono descritti in maniera più dettagliata e le norme sono più rigorose. Innanzitutto alcuni diritti vengono individuati e classificati come inderogabili anche in caso di guerra o di pericolo per la nazione, quali il diritto alla vita, il divieto di tortura, il divieto di schiavitù, il principio di legalità ed irretroattività delle norme penali. Il diritto alla vita stabilito dall’art. 2 ad es., ha assunto, a seguito dell’adozione del protocollo n. 13 del maggio del 2002, un significato ben più pregnante essendo stata abolita la pena di morte in ogni circostanza, anche in tempo di guerra.

La Corte ha invece escluso la possibilità di estendere al feto il diritto alla vita. Nell’ambito dei diritti soggetti a deroghe, ovvero che possono essere limitati da parte degli Stati per ragioni di pericolo per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la salute, viene in rilievo l’art. 6 che garantisce il diritto ad un equo processo; diritto che si sostanzia nel diritto ad un’udienza pubblica, ad un termine ragionevole di durata del procedimento, ad un Tribunale indipendente ed imparziale, il diritto alla presunzione di innocenza, nonché ad essere informato sui motivi e sulla natura dell’accusa, il diritto al tempo per preparare la difesa, il carattere contraddittorio del procedimento, la regolare produzione dei mezzi di prova. Proprio in relazione all’art. 6, la Cassazione con la sentenza Medrano del 1993 ha affermato che le norme della Convenzione sono di immediata applicazione; con la conseguenza che, ad avviso di parte della dottrina, la modifica all’art. 111 Cost. sarebbe superflua attesa la presenza nell’ordinamento dell’art. 6 della Convenzione.

e. I diritti umani in seno alle istituzioni comunitarie

Relativamente alla tutela dei diritti umani, i trattati istitutivi della Ceca e dell’Euratom si sviluppano in esatta controtendenza rispetto alla evoluzione del Consiglio d’Europa. Se la tutela di tali diritti era alla base dell’istituzione del Consiglio d’Europa, viceversa nel trattato C.E.E. non vi erano previsioni a tutela dei diritti dell’uomo. Per le istituzioni comunitarie l’uomo era “interessante” solo in quanto centro di imputazione di interessi economici. È stata l’opera incessante ed invasiva della Corte di giustizia ad introdurre con prepotenza il tema della tutela dei diritti umani anche a livello di istituzioni comunitarie. Dal 1969 la Corte, rivedendo la sua giurisprudenza precedente, afferma che “i diritti umani fanno parte integrante dei principi generali dell’ordinamento comunitario e non possono essere disattesi dalle istituzioni comunitarie o dai paesi membri”.

Indirizzo che ribadiva successivamente nel 1970 sent. n. 11: “la tutela dei diritti umani costituisce parte integrante dei principi generali di cui la Corte garantisce l’osservanza”. Nel 1975 con la sent. n. 36 la Corte richiama esplicitamente le disposizioni contenute nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Il lavoro della Corte dava i suoi frutti. Nel trattato di Maastricht istitutivo della Unione Europea, infatti, per la prima volta con l’art. 6 vengono inseriti nell’ambito delle disposizioni fondanti l’ordinamento comunitario, i principi individuati nella CEDU e quelli risultanti dalle tradizioni dei paesi membri come interpretati dalla corte di Giustizia. Nonché, all’art. 11, viene individuato tra gli obiettivi dell’Unione lo sviluppo ed il consolidamento della democrazia insieme al rispetto dei diritti dell’uomo. Tale riconoscimento dei diritti umani continua con il successivo trattato di Amsterdam nel quale, non solo viene ribadito che l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, principi che sono comuni agli stati membri, ma si introduce la previsione dell’art. 7, con la quale viene attivata una procedura politica sanzionatoria ai danni dello stato membro che violi in maniera grave e persistente i principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto.

L’obiettivo è raggiunto: la tutela dei diritti umani diviene valore fondante ed inderogabile dell’Unione Europea. La novità è di fondamentale importanza. Viene intaccato, infatti, l’ultimo ambito nel quale il diritto comunitario cedeva di fronte al diritto interno. La preminenza del diritto comunitario trovava, infatti, un limite con riferimento ai principi supremi della Costituzione e dei diritti inalienabili della persona umana (sent. 170/84), rispetto ai quali la sovranità degli stati riaffermava la propria titolarità e le corti Nazionali la propria competenza giurisdizionale; ciò, ovviamente, al fine di impedire l’ingresso, negli ordinamenti nazionali, di atti e norme incompatibili con i valori individuati nelle leggi fondamentali. Con le novità introdotte nell’ambito dell’Unione Europea viene messa in discussione la frontiera tra diritto interno e diritto esterno anche in questa materia, frontiera forse cancellata del tutto con la recentissima creazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

f. La carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea

La necessità di un recupero della centralità dell’individuo, la necessità di saldare l’integrazione economica con l’integrazione politica, ha spinto il Consiglio Europeo a conferire nel 1999 il mandato ad un organo, autodenominatosi Convenzione, a redarre una carta nella quale, valorizzando al massimo la persona quale soggetto fondamentale dei diritti civili e politici, si individuassero i diritti fondamentali del cittadino europeo. Diritti che potessero costituire un insieme di valori condivisi dai diversi popoli d’Europa.

La Carta, approvata solennemente a Nizza il 7 dicembre 2000, è costituita da un preambolo, che esplicita le ragioni sottese alla sua creazione: “Consapevole del suo patrimonio morale e spirituale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà e uguaglianza e solidarietà. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione” - e da 54 articoli aventi ad oggetto tre categorie di diritti: libertà e diritti civili e politici, le cui fonti fondamentali sono la Convenzione europea e le tradizioni costituzionali comuni agli stati membri; i diritti economici e sociali, enunciati per lo più nella carta sociale europea; diritti civili e politici inerenti alla cittadinanza nell’unione, diritti che, diversamente dagli altri, per il loro carattere di universalità si applicano ad ogni individuo indipendentemente dalla nazionalità o residenza e si ricollegano a situazioni legate al possesso della cittadinanza dell’Unione. Per ciò che concerne i diritti in materia di giustizia, non vi sono particolari novità rispetto a quanto sancito nella Convenzione europea.

Merita una particolare menzione l’art. 47 che sancisce il diritto dei non abbienti al patrocinio a spese dello stato. Pur essendo la Carta una dichiarazione solenne priva di efficacia vincolante, la sua importanza è determinante. Non solo perché fin dalla sua redazione se ne è stabilito il futuro inserimento nei trattati, tanto che oggi è parte integrante della futura Costituzione Europea, ma perché certamente i principi in essa espressi troveranno applicazione attraverso l’attività della Corte di Giustizia della Comunità europea. Anzi un espresso riferimento ai principi contenuti nella Carta è stato effettuato proprio dalla nostra Corte Costituzionale che, con la sent. 135/02, ha negato che nelle disposizioni della Carta vi fosse un concetto di libertà domiciliare che richiedesse l’applicazione della disciplina prevista per le intercettazioni telefoniche, anche per riprese visive o videoregistrazioni. Come detto, i principi contenuti nella carta sono stati pienamente recepiti dalla istituenda Costituzione europea.

La bozza attualmente all’esame degli organismi comunitari, infatti, all’art. 7 recita: “l’Unione rispetta i diritti fondamentali garantiti dalla Carta promulgata a Nizza il 7 dicembre 2000, che fa parte integrante della presente costituzione, e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo...” A proposito della Costituzione, anche questa ha quali propri obiettivi l’affermazione dei diritti umani: infatti all’art. 2 prevede che l’Unione si fonda sui principi comuni agli stati membri, di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dei valori spirituali e morali.


(*) - Avvocato.