Una riflessione sul nuovo ruolo delle forze armate

Domenico Libertini (*)


1. Premessa

L’approccio alla tematica delle missioni militari all’estero risulta particolarmente complesso in quanto l’intera materia delle attività delle Forze armate è in rapida evoluzione dal punto di vista normativo. Ancor di più lo è se si considerano i mutamenti intervenuti negli ultimi anni sul piano effettuale in relazione ai crescenti impegni sul piano internazionale conseguenti alle radicali modificazioni del quadro geostrategico. È del tutto irrilevante accertare se le conflittualità esistenti siano dei meri cascami residuali della guerra fredda ovvero se incarnino la ricerca di un nuovo ordine mondiale conseguente alla fine della contrapposizione dei blocchi. Ciò che interessa è il fatto che l’esperienza dell’ultimo decennio ci propone una realtà nella quale il fenomeno storico “guerra” si presenta in forme molto diverse rispetto al passato, tanto che la gran parte dei focolai esistenti nel mondo possono essere definiti più come conflitti armati che come guerra in senso tradizionale.

Di qui la difficoltà di ricondurre la realtà nell’alveo delle categorie concettuali cristallizzate in quello che era considerato il diritto internazionale bellico, ma anche e soprattutto di riorganizzare le Forze armate in aderenza alle più moderne e sofisticate esigenze dei nuovi conflitti. Non da ultima la considerazione secondo cui la guerra è sempre di meno un fenomeno relegato all’attenzione delle forze militari, non tanto perché le vittime civili rappresentino da tempo un deficit importante della guerra moderna, quanto per il fatto che la concezione stessa della guerra risulta mutata nel senso che oggi può essere immaginata con la partecipazione diretta degli stessi civili a causa della new technology, perciò in modo del tutto diverso rispetto al passato e non più come mera prosecuzione della precedente. Ovviamente, tali dinamiche si ripercuotono significativamente sui precetti costituzionali e sulle regole che disciplinano l’impiego delle Forze armate poiché anche in questo caso riesce difficile ricondurre la realtà negli schemi normativi predisposti molti decenni fa.


2. La guerra a “morti zero”

Qualora si voglia astrattamente considerare il loro momento organizzativo strutturale, le Forze armate sono certamente una organizzazione strumentale predisposta in vista delle operazioni militari, cioè della guerra(1). Si tratta di una affermazione che ha certamente valore paradigmatico e che pone l’accento sull’aspetto teleologico che correla l’organizzazione alle operazioni. Per meglio comprendere la natura delle Forze armate, quindi, dobbiamo necessariamente chiarire che per operazione militare, perciò anche quelle operazioni non riconducibili alla nozione di guerra, devono intendersi quelle attività complesse, organizzate e coordinate, attuate secondo i concetti tattici per l’impiego di reparti armati per il raggiungimento degli obiettivi assegnati. In altre parole, cioè, sono quelle attività complesse dirette dai capi militari che consistono in un attacco o in una difesa(2).

Una ulteriore osservazione induce a considerare che la parola guerra, quindi, è naturalmente connessa alle Forze armate ed è concettualmente assorbente di ogni situazione che vede l’impiego in operazioni militari delle Forze armate. È pur vero, però, che la moderna sensibilità dell’opinione pubblica dei Paesi occidentali rifugge da tale espressione per cui i conflitti armati contemporanei, che in passato sarebbero stati ricondotti con estrema semplicità e naturalezza al concetto di guerra, hanno assunto nuove e talvolta eufemistiche definizioni prodotte da una raffinata distinzione concettuale che considera separatamente le operazioni di guerra da quelle diverse dalla guerra. Tutto ciò ha prodotto un mutamento profondo nell’approccio concettuale al fenomeno storico “guerra” per cui è opportuno fare qualche breve riflessione.

Ebbene, acquisito che non si possa dubitare del fatto che oggi la concezione della guerra sia profondamente mutata rispetto al passato, le Forze armate nel comune sentire sono percepite come uno strumento necessario a sostenere una politica internazionale di supporto alla pace più che una politica di potenza, oltre che a garantire la sovranità e l’indipendenza dello Stato delineando in tal modo l’accettazione condivisa di una tendenziale vocazione specializzata dello strumento militare verso le operazioni a supporto della pace più che per quelle di guerra intesa in senso tradizionale. In un certo senso possiamo anche affermare che è terminata l’età eroica del soldato e con essa della retorica militare. Inoltre, da alcuni anni si è affermata la necessità di combattere le guerre a “morti zero” in quanto l’opinione pubblica non accetta più la perdita di vite umane, per cui nei Paesi a più elevato tasso di sviluppo economico, tecnologico e sociale, il conflitto viene concepito come finalizzato al dominio della conoscenza in quanto questa consente di ottenere risultati di supremazia e di annientamento non inferiori a quelli ottenibili a conclusione di un conflitto armato di tipo tradizionale con il vantaggio di non richiedere il sacrificio di vite umane, peraltro senza che l’opinione pubblica si renda conto dell’attualità di una guerra di questo tipo(3) o che si senta responsabile di una strategia di dominio nei confronti di un altro Paese. Per converso, anche l’opinione pubblica dello Stato aggredito non percepisce l’aggressione stessa, oppure ne ricava una immagine non reale. Inoltre, questo tipo di guerra in realtà è una “non guerra” secondo l’accezione tradizionale per cui ha la caratteristica di svilupparsi del tutto al di fuori delle regole dello jus in bello e, quindi, di essere svincolata da quei principi etici che comunque distinguono l’organizzazione militare la quale, peraltro, rimane del tutto estranea al conflitto(4).

In altre parole, una guerra di questo tipo distrugge, annienta, domina senza che alcun limite di natura etica intervenga a governare e mitigare l’azione del combattente che opera con la mediazione della tecnologia che impiega, senza più guardare l’avversario, senza più riconoscerlo come individuo, quasi che sia una mera entità virtuale. Inoltre, una importante conseguenza di questa tipologia di conflitto deve essere individuata nel fatto che si tratta di un tipo di aggressione indiretta che non consente allo Stato che la subisce di esercitare il diritto di legittima difesa previsto dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite(5), anzi, una sua reazione armata lo qualificherebbe certamente come un aggressore. Secondo una autorevole dottrina l’ostacolo principale all’ammissibilità della legittima difesa nel caso di aggressione indiretta andrebbe ricercato nella impossibilità di ammettere la legittima difesa preventiva. Ciò in quanto l’aggressione indiretta non si riferisce all’uso della forza in un preciso momento storico per cui un soggetto aggredito non si trova di fronte ad un attacco armato(6). Risulta evidente, quindi, che il predominio militare è soltanto una conseguenza del predominio tecnologico.


3. Il ruolo dell’intelligence

Parlare di dominio della conoscenza significa utilizzare una formula che incarna il risultato di un complesso di attività informative di penetrazione, ma anche di difesa dagli attacchi altrui, che costituiscono ciò che con terminologia anglosassone viene definito intelligence. In effetti, la centralità di un sistema che sia finalizzato a dominare l’avversario sotto il profilo conoscitivo non può che essere occupata dalla attività che assicurano tale dominio. Ebbene, sul punto è opportuno fare maggiore chiarezza a premessa dello sviluppo dei passi successivi della nostra analisi. La parola intelligence ormai è entrata nel linguaggio comune ma, come spesso accade quando si ricorre in modo acritico e frettoloso alla terminologia anglosassone, non ne risulta molto chiaro il significato, tanto da aver determinato il generale convincimento che non sia traducibile.

La sua utilizzazione, perciò, ben lungi dall’essere chiarificatrice, provoca confusioni concettuali come normalmente accade quando viene mutuata la terminologia straniera senza che abbia passato il vaglio della mediazione della nostra cultura. Il termine appartiene a quella grande famiglia di parole di origine latina che ci viene restituita dalla lingua inglese. In effetti, nella tradizione britannica il termine veniva usato già nel XIV secolo per indicare il metodo utilizzato dall’esperto di informazioni(7), per cui in quella realtà il suo uso risulta culturalmente consolidato ed adattato alle situazioni concrete che si sono succedute nel tempo. Partendo dal significato originario, dobbiamo dire che intelligence deriva dal verbo latino intelligo, da inter-legere, che vuol dire scegliere, discernere, selezionare, per cui indica l’azione di chi operi una scelta consapevole ed affidabile. Fatta questa premessa, possiamo dire che in italiano la parola intelligence può essere tradotta in maniera adeguata con la formula “attività informative” con riferimento, cioè, alle attività finalizzate al conseguimento di una conoscenza affidabile, cioè ponderata da un lògos, che faciliti il compito di scelta dei decisori pubblici democraticamente eletti e di quelli privati.

In altre parole, con la parola intelligence vogliamo riferirci al complesso di attività informative, per loro natura di carattere aggressivo, che appartengono al processo informativo e che si sostanziano nella raccolta delle informazioni, nella loro valutazione, nel confronto dei dati, nella loro analisi e nella diffusione dei risultati a sostegno della decisione politico-strategica del decisore democraticamente eletto e soggetto ai controlli previsti dall’ordinamento(8). Analogo risultato possiamo ottenere considerando il termine counterintelligence, da considerare sempre insieme ed in contrapposizione all’intelligence, che possiamo, quindi, tradurre con il termine “controinformazione”. In prima battuta possiamo dire che questa si sostanzia nelle attività di contrasto alle attività informative ma, procedendo ad una successiva approssimazione, possiamo affermare che la controinformazione rappresenta un particolare settore di attività degli organi preposti al servizio di informazione. Più in particolare, con questo termine si intende il complesso delle attività difensive, anche di carattere informativo, rivolte a contrastare in maniera simmetrica le attività informative offensive di altri soggetti volte a carpire i segreti dello Stato o a deviarne o influenzarne il processo decisionale.

Perché possa intendersi la valenza della controinformazione, è sufficiente ricordare che nella metodologia dell’intelligence il canone è la spregiudicatezza nell’impiego di tutti i mezzi disponibili per cui l’attività difensiva di controinformazione rappresenta uno dei pilastri della difesa dello Stato. Resta da ricordare, inoltre, che nell’uso comune con i termini intelligence e counterintelligence vengono indicati in senso figurato gli organismi deputati alle specifiche attività, pertanto con la formula “comunità di intelligence” ci si riferisce al complesso delle strutture informative. Ovviamente, quando parliamo di intelligence militare ci riferiamo in modo generale agli organi di informazione e controinformazione costituiti all’interno dell’organizzazione militare ed alle attività da essi svolte. Da ricordare che la cultura dell’intelligence in Italia è ancora poco sviluppata e da taluni è vista con sospetto anche a causa delle carenze del sistema-Paese che non consentono un utilizzo ottimizzato della conoscenza affidabile prodotta dai servizi di informazione, peraltro il sistema si rivela poco adatto a perseguire obiettivi di medio e lungo periodo.

Per quel che ci riguarda è opportuno sottolineare che l’intelligence militare è essenzialmente orientata al breve periodo e solo in parte al medio in quanto aderente alle necessità tecnico-militari delle forze che rappresentano solo un aspetto del problema informativo, certamente non quello che consente il raggiungimento degli obiettivi strategici di dominio; rappresenta, per converso, la componente dell’insieme necessaria allo sviluppo delle operazioni militari. Tale aspetto consente di marcare concettualmente il confine fra le aree d’interesse dell’intelligence militare e degli organismi di informazione previsti dalla legge. Nell’ambito del contesto che è stato enunciato è bene tenere presente che fenomeni quali la globalizzazione e la new economy combinati con la sensibilità dell’opinione pubblica e la grande disponibilità di tecnologie avanzate determina la necessità di pensare in termini di new intelligence. Infatti, la grande disponibilità di informazioni paradossalmente ha reso più difficile pervenire ad un prodotto dell’attività informativa che si risolva effettivamente in “conoscenza affidabile” utilizzando gli strumenti tradizionali secondo i consolidati e stereotipati canoni d’impiego.

In altre parole, è sicuramente più economico che le fonti aperte(9), attraverso cui è possibile acquisire la grande massa di informazioni esistenti, vengano ricercate, indagate, collazionate e valutate direttamente dagli analisti, mentre gli strumenti specialistici vengano orientati nei confronti di obiettivi specifici, opportunamente selezionati, per acquisire informazioni di grande pregio che conferiscano all’analisi di intelligence e di controintelligence un alto valore aggiunto. Conseguentemente si tratta di ribaltare i termini del problema nel senso che l’analisi delle fonti aperte deve condurre, per induzione, alla individuazione degli obiettivi di ricerca sui quali indirizzare sinergicamente le altre branche dell’intelligence. Quanto abbiamo descritto, però, esprime plasticamente una visione del conflitto che può manifestarsi sul piano storico soltanto laddove vi sia una simmetria fra gli stati, quando, cioè, lo stato oggetto della penetrazione informativa sia tecnologicamente avanzato almeno quasi quanto lo stato aggressore, o almeno lo sia quanto basta perché l’aggressore possa impiegare efficacemente le proprie tecnologie.

In questo quadro i mezzi di comunicazione di massa giocano un ruolo fondamentale per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica a causa della loro presenza nel teatro di operazioni fin sulla linea di fuoco per cui la guerra, o più in generale le operazioni militari, sono divenute un evento mediatico peraltro scarsamente controllato e controllabile dalle Forze armate. In effetti la loro capacità di divulgare con le immagini la brutalità degli scontri spettacolarizzando la crudezza della sofferenza e della morte condiziona fortemente l’orientamento dell’opinione pubblica, la quale, a sua volta, può condizionare le scelte di Governo e Parlamento. Deve essere sottolineato, ancora, che il concetto di dominio della conoscenza determina l’importante conseguenza per cui anche nei Paesi Alleati od amici vi possano essere obiettivi di ricerca e di penetrazione. In proposito basti ricordare la vicenda del caso “Echelon”(10) e le attività di ricerca dei sistemi di intercettazione globale(11): - Carnivore. Si tratta di un insieme di software sviluppato dall’FBI a partire dal 1996 per intercettare messaggi d’interesse sulla rete Internet; - Tempest. È un insieme di tecnologie che possono catturare i dati che compaiono su di uno schermo di un computer captando le emissioni elettromagnetiche del fascio di elettroni che creano le immagini; - Fluent. Consente di effettuare ricerche su documenti scritti in lingue diverse; - Oasis. Permette di convertire in testo i segnali audio di radio e televisione. Distingue una voce dall’altra, l’accento ed attribuisce il testo alla voce. Vi sono versioni per più lingue.


4. Il nuovo ruolo delle Forze armate

Quanto osservato in tema di dominio della conoscenza attraverso la guerra delle informazioni e le nuove esigenze legate alla stabilizzazione della situazione interna alla Comunità Internazionale conduce a ritenere che il ruolo futuro delle Forze armate sarà profondamente diverso perché diversa è la minaccia da contrastare e diversa è l’esigenza di sicurezza della Comunità Internazionale. Comunque, rispetto a tali parametri, a fattor comune emerge il fatto che le Forze armate non sono più intese come strumenti funzionali alla sola difesa della Patria, ma anche e soprattutto alla sicurezza ed alla stabilità della Comunità Internazionale; ciò che più conta, quindi, è il coraggio politico di impiegare la forza militare.

Certamente è la percezione della minaccia che influisce in maniera significativa su questo processo evolutivo per cui la riscrittura del ruolo delle Forze armate necessita di un chiaro quadro geopolitico di riferimento e di una affidabile definizione della minaccia. In tal senso risultano particolarmente importanti gli elementi indicati in proposito dalla NATO e dall’Unione europea. Quanto alla prima, dobbiamo ricordare che il nuovo concetto strategico, adottato con il documento di Washington del 1999, incarna una evoluzione della volontà politica dei Paesi membri di dare nuovi e più aggiornati contenuti all’Alleanza in relazione al profondo mutamento della Comunità internazionale conseguente alla fine della logica dei blocchi contrapposti. Di particolare interesse è il fatto che i nuovi contenuti sono posti in relazione alla individuazione dei nuovi rischi per la sicurezza, ciò in una prospettiva di anticipazione del fronte di tutela collettivo.

Fra questi rischi devono essere ricordati: - la diffusione globale di una tecnologia che possa essere impiegata nelle armi; - la circostanza che gli avversari possano sfruttare gli strumenti informatici; - il terrorismo internazionale; - il sabotaggio; - la criminalità organizzata; - il movimento delle masse a seguito dei conflitti. Da sottolineare che viene espressamente stabilito (punto 42 del comunicato del Consiglio) che il terrorismo costituisce una minaccia alla pace, alla sicurezza ed alla stabilità e che è capace di minacciare l’integrità territoriale degli stati. Da ricordare, comunque, la dichiarazione di Praga rilasciata dai Capi di Governo partecipanti alla riunione del Consiglio del Nord Atlantico tenutasi il 21 novembre 2002. Tale dichiarazione ha ribadito l’impegno comune nei confronti delle forme di minaccia già individuate nel nuovo concetto strategico e si è, inoltre, riferita ai ciber-attacchi. Per quanto concerne l’Unione europea, in materia di definizione della minaccia, risulta particolarmente interessante quanto affermato dal Consiglio europeo di Siviglia del 21 e 22 giugno 2002. Il Consiglio ha adottato una dichiarazione (allegato V alle conclusioni) volta a meglio inquadrare le capacità necessarie per la lotta contro il terrorismo(12).

In particolare, viene affermato, l’azione dell’Unione Europea dovrebbe incentrarsi sulle seguenti priorità: - consacrare maggiori sforzi alla prevenzione dei conflitti; - approfondire il dialogo politico con i Paesi terzi per incentivare la lotta contro il terrorismo, segnatamente promuovendo i diritti umani e la democrazia ed anche la non proliferazione e il controllo degli armamenti, e fornendo a tali paesi l’assistenza internazionale appropriata; - rafforzare gli accordi in materia di scambio di intelligence e sviluppare la produzione delle valutazioni della situazione e dei rapporti di tempestivo allarme, attingendo alla più ampia gamma di fonti; - sviluppare una valutazione comune della minaccia terroristica che grava sugli Stati membri o sulle forze schierate al di fuori dell’Unione, nell’ambito della PESC, per operazioni di gestione delle crisi, ivi compresa la minaccia di un uso terroristico delle armi di distruzione di massa; - determinare le capacità militari necessarie per proteggere contro attentati terroristici le forze schierate nel quadro di operazioni di gestione delle crisi da parte dell’Unione Europea; - esaminare più approfonditamente come le capacità militari o civili possano essere utilizzate per contribuire a proteggere le popolazioni civili dagli effetti degli attentati terroristici(13).

Ad ogni modo, le esperienze maturate nell’ultimo decennio hanno tracciato una chiara linea di tendenza secondo cui le Forze armate dovranno essere sempre più specializzate ed addestrate per l’impiego risolutivo in conflitti armati limitati nel tempo, non generalizzati, nei confronti di obiettivi limitati e selezionati, contro avversari asimmetrici e che abbiano un elevato valore politico, strategico ovvero operativo. Da sottolineare che per avversari asimmetrici devono essere intesi quegli avversari che non posseggono capacità tecnologiche di livello pari a quello delle forze amiche. Pertanto, il parametro di riferimento per la definizione delle capacità operative delle Forze armate già oggi è quello della disponibilità di tecnologie avanzate a disposizione del singolo combattente e per il controllo dell’area di operazioni. In altre parole, è la disponibilità di tali tecnologie ad incarnare l’indicatore che ci consente di catalogare le forze come capaci di operare per la guerra ovvero in situazioni post-conflitto a supporto della pace. È intuitivo che lo sviluppo ed il mantenimento delle forze del primo tipo comporta l’impiego di rilevanti risorse economiche, mentre le seconde richiedono investimenti minori ma consentono al Paese di giocare un ruolo di primo piano, anche se non di punta, negli interventi della Comunità Internazionale. Appare evidente che in questo quadro i Paesi che dispongono di forze di polizia a status militare hanno delle capacità aggiuntive che li rendono particolarmente idonei a ricoprire entrambi i ruoli.

Carabinieri e Gendarmi, in astratto, sono i peacekeepers ideali poiché adatti ad operare in situazioni di post conflitto con la mentalità del poliziotto ma con l’addestramento e la disciplina militari. Ciò significa che i loro eserciti possono essere predisposti ed addestrati per interventi ad alta intensità, quindi per compiti di combattimento puro. In ogni caso, deriva la necessità di disporre di forze professionalizzate che puntino alla qualità dell’elemento umano, cosa del tutto incompatibile con un esercito di coscritti, ma che proprio in quanto tale è più lontano dalla società civile poiché l’opinione pubblica potrebbe percepire le Forze armate come una organizzazione sostanzialmente estranea al corpo sociale(14). Tali brevi osservazioni conducono a concludere che un Paese che voglia giocare un ruolo di rilievo, pur senza sviluppare una politica aggressiva di potenza, dovrà dotarsi di Forze armate professionali che dovranno essere sostanzialmente delle forze per operazioni speciali, cosa che consentirà di superare in concreto la ripartizione delle forze nelle tradizionali specialità della fanteria o d’arma. Queste forze, inoltre, dovranno essere affiancate e supportate da forze specializzate con specifiche capacità militari e di polizia, in grado di garantire l’opera di stabilizzazione dell’area di intervento e la ricostruzione delle istituzioni locali.

Ne deriva che la professionalizzazione delle Forze armate e la riorganizzazione della componente terrestre deve essere intesa proprio in tale significato concettuale. Il quadro emergente ha il pregio di individuare un possibile bacino di risorse, quantitativamente limitato ma dotato di flessibilità e grandi capacità operative, il cui parametro di riferimento è la volontarietà del servizio, quindi l’adesione consapevole a quello che può incarnare il prezzo, in termini di risorse umane, che il gruppo sociale è disposto a pagare per sviluppare e sostenere la politica estera e di sicurezza dello Stato. In questo senso sarà più facilmente accettabile dall’opinione pubblica un possibile deficit umano conseguente ad operazioni militari di combattimento. Tali considerazioni sono propedeutiche alla comprensione di quale sia il ruolo attualmente attribuito sul piano della realtà all’Istituzione di rilevanza costituzionale “Forze armate” e le ragioni dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento della direzione di una sempre maggiore attribuzione di compiti di carattere umanitario a supporto della pace allo strumento militare. Ovviamente, non potrà mai escludersi che le Forze armate possano essere chiamate a condurre operazioni militari tradizionali.

Perciò, tra gli impieghi attribuiti alle Forze armate che non possono essere tecnicamente ricondotti nella nozione tradizionale di guerra rientrano numerosi tipi di misure, differenziate fra loro, che comprendono l’uso della forza in maniera più o meno importante. In generale, si tratta delle operazioni a supporto della pace intraprese sotto la direzione ed il controllo diretto delle Nazioni Unite, ovvero a seguito del loro mandato, perciò sotto la loro egida, e dell’uso della forza autorizzato dalle stesse Nazioni Unite, oppure utilizzata per garantire l’esecuzione delle sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza, quando questi faccia esplicita richiesta agli Stati. Altri casi di impiego delle Forze armate non qualificabili come guerra sono riconducibili alla protezione dei cittadini all’estero. Le Forze armate, quindi, stanno vivendo una nuova stagione di modificazioni il cui esito sarà necessariamente l’assunzione di nuove caratteristiche. La seguente tabella sintetizza tale processo tendenziale.

Variabili Prima della
guerra fredda
Durante la
guerra fredda
Dopo la
guerra fredda
minaccia Invasione guerra nucleare,
invasione non convenzionale,
conflittualità interna tipo di forza Forze armate
di massa grandi Forze Armate
con componenti professionali Forze armate ridotte
ad elevata professionalità con tecnologie sofisticate atteggiamento opione pubblica favorevole oscillante tendenzialmente indifferente missioni guerra deterrenza,
guerra deterrenza, guerra, operazioni diverse dalla guerra

Le riflessioni che sono state delineate ci aiutano a comprendere quale sia l’attuale ruolo attribuito alle Forze armate e, quindi, quali siano i compiti operativi che ne possono derivare, ma dobbiamo sottolineare che l’impiego delle Forze armate all’estero non può e non deve essere immaginato soltanto come riconducibile a missioni in cui vengono compiute operazioni militari. L’attuale realtà storica, infatti, ha internazionalizzato lo strumento militare sotto altri due profili. In primo luogo le esigenze di addestramento, sia combinato sia nazionale, hanno determinato un ripetuto e costante invio di reparti all’estero, anche in Paesi non appartenenti alla NATO, per utilizzare poligoni ed aree addestrative di altri paesi, ovvero per esercitazioni congiunte. Altro aspetto è costituito dalla partecipazione agli organi militari di staff in seno ad organizzazioni internazionali, quali il Military Staff costituito nel 2001 in seno al Consiglio d’Europa.

L’importanza del problema risulta in tutta evidenza ove si vogliano considerare i soli dati numerici riferiti alle missioni militari alle quali l’Italia ha partecipato o partecipa tuttora dal secondo dopoguerra in poi. Ebbene, l’Italia all’ottobre 2002 aveva preso parte a ben 77 missioni militari fuori dai confini nazionali, di queste 31 in Europa non comunitaria, 21 in Medio Oriente, 12 in Africa subsahariana, 5 in Asia centrale e meridionale, 3 in Asia orientale, 3 in America latina, e 2 in Nord Africa. Oltre a quelle indicate si segnalano gli interventi operati dal Corpo militare della CRI in Corea e Congo. Nel primo caso, il 16 ottobre 1951 fu inviato con le forze ONU un ospedale da campo che rimase inquadrato nell’8^ Armata USA, mentre nel secondo caso venne inviato nel Katanga un ospedale da campo per 100 posti letto. Nell’ultimo decennio, comunque, si è registrata una forte accelerazione di tali impegni internazionali soprattutto a causa del mancato ricorso alla pratica del veto incrociato in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Delle 77 missioni, di cui 26 sono ancora in corso, quelle condotte da Organizzazioni internazionali alle quali l’Italia aderisce sono 51 ripartite secondo la seguente tabella:

ONU 28 NATO 16 UEO 3 NATO e UEO 2 OSCE 1 UE 1

Le missioni alle quali l’Italia ha partecipato e che non sono state condotte dalle predette Organizzazioni sono 26 di cui, comunque, 9 sono state svolte a seguito di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Per quanto riguarda le 26 missioni in atto, alla data del 2 ottobre 2002, risultano impiegati 8.651 uomini così ripartiti(15):

Esercito

6.102

Marina

885

Aeronautica

656

Arma dei Carabinieri

850

Polizia di Stato

112

Guardia di Finanza

46



Il personale risulta così impiegato:

Paesi europei non comunitari 7.375 Medio Oriente 340 Africa subsahariana 143 Asia centrale e meridionale 783 Nord Africa 10

A questi dati vanno aggiunti i mille uomini del corpo di spedizione terrestre di recente inviato in Afghanistan nella missione Enduring Freedom nell’ambito della coalizione multinazionale a guida statunitense, nonché i tremila inviati in Iraq per l’operazione “Antica Babilonia”.


(*) - Colonnello dei Carabinieri, Capo Ufficio Piani e Polizia Militare del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri.
(1) - La bibliografia sulla guerra è copiosa, comunque, per orientamento sugli aspetti legati al diritto costituzionale v.: BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, ed. III, Milano, 1953; BASSETTA, in AA.VV., Elementi di diritto militare aspetti costituzionali, suppl. al n.1 della RASSEGNA ARMA DEI CARABINIERI, Velletri, 1999; FERRARI, Guerra - stato di guerra (diritto costituzionale), in ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO, 1970, pagg. 822 e ss.; GRASSO, Guerra (disciplina costituzionale della guerra), in ENCICLOPEDIA GIURIDICA, 1989.
(2) - Sull’argomento cfr.: GARINO, L’ordinamento giudiziario militare nei suoi riflessi internazionali, in RASS. GIUST. MIL., 1998, pag.30; RIONDATO, Appunti sul regime giuridico penale dei Corpi di spedizione all’estero, in RASS. GIUST. MIL., 1986, pag.199.
(3) - Sull’argomento cfr.: DI NUNZIO, Effetti sociali e conseguenze sulla sicurezza interna della guerra dell’informazione, in PER ASPERA AD VERITATEM, n.13, 1999, pagg. 103 e ss.; LIBERTINI, Alcune considerazioni sulle differenze fra Forze armate e di polizia, in RIVISTA DI POLIZIA, III-IV, 2001, pag. 230. Per una particolare ed approfondita analisi su questo tipo di guerra, sulle sue prospettive ed interazioni cfr.: PIERANTONI, La guerra incruenta, ricerca Ce.Mi.S.S., Formia, 2002. L’Autore sottolinea che la guerra incruenta avrà come obiettivo la sottomissione virtuale dell’avversario, senza ricorrere alla violenza fisica, senza morti e feriti per azioni di guerra, senza che alcuno se ne accorga troppo, per mezzo di un ampio ventaglio di tecnologie (v. pag. 31).
(4) - Le Forze armate a causa delle loro peculiarità organizzative e dell’etica di supporto che hanno elaborato nel tempo sono un potente strumento di trasmissione transgenerazionale di tali principi etici.
(5) - Sul problema dell’aggressione indiretta cfr.: SCISO, Legittima difesa ed aggressione indiretta secondo la Corte Internazionale di Giustizia, RDI, 1986.
(6) - Cfr.: TAMMARO, Ambito operativo della legittima difesa nel diritto internazionale e sua ammissibilità nelle ipotesi di aggressione indiretta, in DIRITTO MILITARE, 2-3, 2001, pagg. 73 e ss.
(7) - DI PAOLO, Elementi di intelligence e tecniche di analisi investigativa, Roma, 2000.
(8) - In "PER ASPERA AD VERITATEM", 9, 1997.
(9) - Sul tema delle fonti aperte si segnala: ZARCA, Le fonti aperte: uno strumento essenziale dell’attività di intelligence, in PER ASPERA AD VERITATEM, n. 1, gennaio 1995, pagg. 117 e ss.
(10) - Sulla vicenda si segnala la Relazione concernente il ruolo dei Servizi di informazione e sicurezza nel caso Echelon, approvata nella seduta del 29 novembre 2000, del Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, pubblicata in PER ASPERA AD VERITATEM, anno VII, n. 19, gennaio-aprile 2001, pagg. 141 e ss..
(11) - In proposito cfr.: OVI, Tecnologia e sicurezza, in PER ASPERA AD VERITATEM, anno VIII, n. 23, maggio-agosto 2002, pagg. 419 e ss. La classificazione indicata nel testo è tratta dall’articolo.
(12) - Le conclusioni del Consiglio sono state pubblicate in PER ASPERA AD VERITATEM, anno VIII, n. 23, maggio-agosto 2002, pagg. 647 e ss.
(13) - Sulla minaccia ai sistemi informativi il Consiglio della UE ha assunto una importante decisione il 19 aprile 2002 alla quale si rinvia per ogni indicazione. Il testo è stato pubblicato in PER ASPERA AD VERITATEM, anno VIII, n. 23, maggio-agosto 2002, pagg. 610 e ss.
(14) - L’abolizione della leva è certamente una scelta obbligata nella prospettiva di professionalizzazione delle Forze armate ma, è appena il caso di ricordarlo, il modello organizzativo che ne deriva non consente di disporre di riserve da mobilitare, fattore fortemente condizionante le capacità generali di difesa del Paese in caso di crisi.
(15) - Fonte Ministero della difesa. I dati sono riportati in “Partecipazione dell’Italia alle missioni militari internazionali”, ed. II, XIV Legislatura, 14 ottobre 2002, a cura della Camera dei Deputati, pag. 12.