L'evoluzione delle operazioni di pace ai sensi della carta delle Nazioni Unite dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda

Isidoro Palumbo (*)

1. Brevi note sull’Organizzazione delle Nazioni Unite e sul ruolo del Consiglio di Sicurezza

L’Organizzazione delle Nazioni Unite è stata creata, dopo la fine della seconda guerra mondiale, dalla Carta c.d. di San Francisco (California, USA) firmata da 51 Stati il 26 giugno 1945 ed entrata in vigore il 24 ottobre 1945. Costituisce parte integrante dello Statuto delle Nazioni Unite lo statuto della Corte internazionale di Giustizia. Lo scopo fondamentale del nuovo organismo internazionale è il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (art. 1 numero 1): tale obiettivo viene perseguito collettivamente mediante l’adozione di tutte le misure ritenute necessarie per “prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace” (ibidem). Attualmente appartengono all’ONU 190 Stati (dopo l’ingresso della Confederazione Svizzera), assicurandosi così l’universalità dell’istituzione.

Dopo il fallimento della Società delle Nazioni, dopo le devastazioni, materiali e umane, del secondo conflitto mondiale, dopo gli immani crimini di guerra e le violazioni massicce dei diritti fondamentali dell’uomo, i “Popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni” (preambolo) dal subire nuovamente tali “flagelli”, hanno creato un’organizzazione internazionale finalizzata, per l’appunto, al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, allo sviluppo delle relazioni amichevoli tra gli Stati, alla cooperazione internazionale, alla promozione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 1). Nell’ambito degli organi creati dallo Statuto delle Nazioni Unite (e ricordiamo brevemente: Assemblea Generale, Consiglio di Sicurezza, Consiglio Economico e Sociale, Consiglio di Amministrazione Fiduciaria, Corte internazionale di Giustizia e Segretariato Generale), è stata affidata al Consiglio di Sicurezza la “responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali” (art. 24), agendo “in conformità ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite” (art. 24, numero 2) e con i poteri specificati nei capitoli VI, VII, VIII e XII della Carta. Com’è noto, il Consiglio di Sicurezza ha un nucleo stabile di cinque membri permanenti (gli Stati usciti vincitori dopo il secondo conflitto mondiale e cioè Cina, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica).

Gli altri dieci membri non permanenti (in carica per un periodo di due anni) sono eletti dall’Assemblea Generale. Il Consiglio di Sicurezza adotta le proprie decisioni con voto favorevole di nove membri (compresi i voti dei membri permanenti). Nessuna decisione può, quindi, essere presa nel caso in cui un voto negativo, o veto, venga espresso da un membro permanente. Le decisioni adottate dal Consiglio di Sicurezza vincolano al rispetto tutti gli Stati appartenenti all’Organizzazione.

2. Le Operazioni di pace nella Carta delle Nazioni Unite

Nell’ambito delle funzioni e dei poteri del Consiglio di Sicurezza, lo Statuto con l’art. 24 fa del Consiglio di Sicurezza il “pilastro” unico del sistema di sicurezza collettivo instaurato con la Carta di San Francisco, affidandogli, come detto, la “responsabilità principale” nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. In base a tale articolo, l’azione inerente a questo fine può essere esplicata dal Consiglio di Sicurezza tramite i capitoli VI (soluzione pacifica delle controversie), VII (azione rispetto alla minaccia alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione), VIII (accordi regionali) e XII (regime internazionale di amministrazione fiduciaria).

Tutti gli Stati membri dell’Organizzazione hanno delegato, in particolare ai fini che ci riguardano, al Consiglio di Sicurezza i poteri previsti nei capitoli VI e VII della Carta per la soluzione pacifica delle controversie internazionali e per la prevenzione e repressione delle minacce e violazioni della pace e della sicurezza internazionale. Nell’ambito dei poteri riservati al Consiglio di Sicurezza dal capitolo VII ci pare importante sottolineare il dettato dell’art. 39: è il Consiglio di Sicurezza che “accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione”. Tale accertamento risulta di esclusiva competenza del Consiglio di Sicurezza ed assume carattere “costitutivo” del riconoscimento da parte dell’intera Organizzazione delle Nazioni Unite di una “situazione” di pericolo o di minaccia, di violazione o, in extrema ratio, di aggressione. La discrezionalità del Consiglio di Sicurezza stabilita dall’art. 39 è rimasta integra anche dopo la risoluzione n. 3314-XXIX del 14 dicembre 1974 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla definizione di aggressione. Infatti, il Consiglio di Sicurezza si è sempre dichiarato unico attore dell’art. 39 e dei poteri da esso riconosciutigli. Senza limitazioni di sorta.

L’accertamento di cui sopra è il presupposto dei poteri che derivano al Consiglio di Sicurezza dai successivi articoli del capitolo VII: adozione di misure provvisorie (art. 40) per evitare un aggravamento della situazione; adozione di “sanzioni” non implicanti l’uso della forza contro lo Stato o gli Stati responsabili (art. 41) quali, a titolo esemplificativo, l’interruzione parziale o totale delle comunicazioni, delle relazioni economiche da parte degli altri Stati, et cetera; può intraprendere azioni armate con forze aeree, navali e terrestri (art. 42). Sulla base del combinato disposto dell’art. 1 e dell’art. 42 dello Statuto, il Consiglio di Sicurezza, mediante adozione di apposita risoluzione, decide l’avvio di una missione per il controllo delle crisi e dei conflitti o per aiuti umanitari, e che prevede l’impiego di forze militari (anche se non comportanti necessariamente l’uso di armi), definendo la portata dell’intervento militare, il conseguente mandato, le forze per l’esecuzione del mandato e quant’altro.

3. Le Operazioni di pace nella prassi delle Nazioni Unite

Dalla fine del secondo conflitto mondiale le operazioni di pace delle Nazioni Unite hanno coinvolto quasi un milione di militari, poliziotti, gendarmi, personale civile e collaboratori. Questo dato sta a significare (e a quantificare) l’impegno delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. La stragrande maggioranza del personale impiegato nei contingenti nazionali è costituito da appartenenti alle forze armate e di polizia degli Stati partecipanti alle operazioni di pace: è questo il personale addestrato e preparato (operativamente, tecnicamente ed “umanamente”) al compito di ristabilire, imporre e mantenere la pace. È il solo personale che può unire e unisce affidabilità operativo- militare, senso della disciplina, capacità elevate di ridispiegamento in area in tempi rapidi (dalle novantasei ore ai venti giorni) e, soprattutto, un’affidabile catena di comando e controllo.

Il Muro di Berlino non ha solo diviso la città di Berlino in due aree di influenza di appartenenza a due Stati, ma ha anche rappresentato la linea di demarcazione tra due “blocchi” ideologici e militari. Nel blocco occidentale gli Stati Uniti hanno assicurato la funzione di “gendarme” prevenendo e controllando l’insorgenza dei conflitti ed assicurando la pace e sicurezza tra gli Stati. Nel blocco orientale tale funzione è stata, invece, svolta dall’Unione Sovietica, fino alla sua implosione interna e alla frammentazione in numerose repubbliche indipendenti e alla nascita della Confederazione delle Repubbliche Indipendenti guidata dalla Russia. Non è un caso che l’implosione del blocco orientale abbia portato (o meglio lasciato libero il campo) al riaccendersi e rinforzarsi di una intensa conflittualità etnica, religiosa, nazionalistica, micro-nazionalistica o tribale in ampie parti del mondo appartenenti alla detta area di influenza “orientale”. Non è un caso, che mentre nei primi quaranta anni di vita le Nazioni Unite hanno condotto solo tredici operazioni di pace (per la politica dei veti incrociati sì, ma anche perché ciascuna parte era indipendente nella funzione di “controllo” della propria area: es. Budapest 1956, Praga 1968, Grenada 1983, Panama 1989, etc), a partire dal 1989 sono state avviate circa una trentina di nuove operazioni di pace. Ricordiamo le missioni di maggiore importanza: Namibia (1989/1990), Kurdistan (1991), Albania (1991/1993), Somalia (1992), Mozambico (1993/1994), Albania (1997), Timor Est (1999/2000), Bosnia (1995/2002), Kosovo (1999/2002). Alle “tradizionali” operazioni di pace la prassi internazionale ha affiancato anche altre e nuove tipologie di operazioni di pace che richiedono una combinazione di attività diplomatiche, economiche, politiche, militari ed umanitarie. I militari sono stati affiancati da ufficiali di polizia, osservatori elettorali, controllori per il rispetto dei diritti dell’uomo ed altro personale civile: tutti questi sono i protagonisti oggi, sotto la bandiera delle Nazioni Unite, dell’impegnativo lavoro per favorire la ricomposizione dei conflitti, incoraggiando i nemici tribali, etnici, politici, religiosi a ricostruire insieme un futuro di pace.

4. Le caratteristiche delle Operazioni di pace

Quando il Consiglio di Sicurezza abbia deciso di avviare una operazione di pace (comportante l’uso della forza oppure no) procede a delegare il Segretario Generale affinché assuma la responsabilità dell’approntamento e della condotta dell’operazione stessa, nei limiti del mandato del Consiglio di Sicurezza. Il Segretario Generale (che, ricordiamo, ha anche la facoltà ex art. 99 di richiamare l’attenzione del Consiglio di Sicurezza su situazioni che potrebbero minacciare la pace e la sicurezza internazionale) procede, quindi, alla concreta messa in opera dell’operazione di pace. Ciascuno Stato Membro viene chiamato, su base volontaria, a mettere a disposizione contingenti nazionali sotto il comando del Segretario Generale. Il Segretario Generale nell’accettare i contingenti nazionali da parte degli Stati Membri, generalmente, non tiene conto delle disponibilità di Stati interessati o coinvolti, direttamente o indirettamente, nella crisi o nel conflitto specifico, o negli esiti degli stessi.

È il Comandante della Forza (nominato dal Segretario Generale e destinatario delle sue direttive) che ha la responsabilità operativa delle forze militari fornite dagli Stati Membri: infatti, se le forze militari nazionali sono normalmente sotto il controllo operativo del Comandante della Forza, rimane in ambito nazionale proprio il comando operativo. Più raramente, il Comandante della Forza esercita sia il comando operativo che il controllo operativo su tutte le forze impegnate nella missione. Spesso alle forze militari si affiancano - come detto - operatori civili delle Nazioni Unite che svolgono un’opera di assistenza umanitaria, di assistenza ai rifugiati e profughi, di assistenza sanitaria, di assistenza al Governo locale nel ristabilimento di normali condizioni di vita dopo una guerra civile ad esempio e, di conseguenza, procedere - anche con l’ausilio di altre organizzazioni internazionali - al monitoraggio elettorale, alla costituzione di organi democratici, et cetera (c.d. peace-keeping multifunzionali).

5. Le Operazioni di pace dal 1989 in poi

Sono ben quindici le operazioni di pace avviate dopo la fine della guerra fredda e già conclusesi: - UNAVEM I (Prima Missione di Verifica delle Nazioni Unite in Angola); - UNTAG (Gruppo di Assistenza delle Nazioni Unite per l’Assistenza alla Transizione); - ONUCA (Gruppo di Osservatori delle Nazioni Unite in America Centrale); - UNAVEM II (Seconda Missione di Verifica delle Nazioni Unite in Angola); - ONUSAL (Missione di Osservatori delle Nazioni Unite in El Salvador); - UNAMIC (Missione Avanzata delle Nazioni Unite in Cambogia); - UNPROFOR (Forza di Protezione delle Nazioni Unite); - UNTAC (Autorità Transitoria delle Nazioni Unite in Cambogia); - UNOSOM I (Prima Operazione delle Nazioni Unite in Somalia); - ONUMOZ (Operazione delle Nazioni Unite in Mozambico); - UNOSOM II (Seconda Operazione delle Nazioni Unite in Somalia); - UNOMUR (Missione di Osservatori delle Nazioni Unite in Uganda e Ruanda); - UNAMIR (Missione di Assistenza delle Nazioni Unite per il Ruanda); - UNASOG (Gruppo di Osservatori delle Nazioni Unite nella striscia di Aouzou); - UNCRO (Operazione delle Nazioni Unite per il Ritorno delle Fiducia in Croazia). Mentre ammontano a undici le operazioni di pace sempre avviate dopo il 1989 e ancora in corso: - UNIKOM (Missione di Osservazione delle Nazioni Unite in Iraq e Kuwait); - MINURSO (Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale); - UNOMIG (Missione degli Osservatori delle Nazioni Unite in Georgia); - UNOMIL (Missione di osservatori delle Nazioni Unite in Liberia); - UMIH (Missione delle Nazioni Unite ad Haiti); - UNMOT (Missione degli Osservatori delle Nazioni Unite in Tajikistan); - UNAVEM III (Terza Missione di Verifica delle Nazioni Unite in Angola); - UNPREDEP (Forza di Spiegamento preventivo delle Nazioni Unite); - UNMIBH (Missione delle Nazioni Unite in Bosnia ed Herzegovina); - UNTAES (Amministrazione Temporanea delle Nazioni Unite per la Slavonia Orientale, la Baranja e il Sirmium Occidentale); - UNMOP (Missione degli Osservatori delle Nazioni Unite a Prevlaka).

Non si può qui parlare di ciascuna di queste operazioni di pace. Basta fare una piccola riflessione. Come si vede la numerosità e complessità delle operazioni di pace diventa lapalissiana considerato che per ogni operazione il Consiglio di Sicurezza impone mandati diversificati, con regole di ingaggio diversificate e funzioni di comando e controllo diversificato. Solo l’impegno di uomini e mezzi è sufficiente a comprendere, almeno a grandi linee, la complessità del meccanismo. Facciamo un esempio: l’Italia. Da anni l’Italia prosegue un impegno intenso nel teatro balcanico, in cooperazione con le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali regionali quali la NATO, l’OSCE et cetera. Negli ultimi dieci anni i soldati italiani sono stati impegnati in molteplici missioni di diverso genere e rischiosità. Dagli interventi armati della NATO in Bosnia e in Kosovo alle missioni umanitarie soprattutto in Albania. Attualmente l’impegno italiano nei Balcani ammonta a circa seimila militari: l’impegno maggiore è in Kosovo, con tremilacinquecento uomini circa, dove si garantisce l’ordine pubblico e la ripresa sociale e economica.

Anche in Bosnia l’impegno italiano è consistente nella SFOR in ambito NATO. In Albania, nell’ambito di quattro missioni, sono impegnati circa mille militari. Ma l’Italia è anche impegnata in Medio Oriente: ad esempio, in Libano, a Hebron, sul confine israelo-palestinese; in Marocco, per l’indipendenza del Sahara Occidentale. E non consideriamo l’impegno militare italiano in Afghanistan e in Irak in quanto non rientranti nel quadro delle operazioni di pace a mandato delle Nazioni Unite.

6. Conclusioni

Il breve panorama delineato è sufficiente a spiegare la complessità delle operazioni di pace in considerazione anche dell’esplosione di situazioni di conflitto sia internazionali che interne, che partono come torbidi interni, come disordini interni e arrivano a configurarsi come guerre civili o addirittura come conflitti internazionalizzati (coinvolgendo anche Stati limitrofi).

Il numero consistente di operazioni di pace dimostra la loro utilità se non la loro efficacia nel mantenimento o ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale. Anche il proliferare di sempre nuove tipologie e classificazioni nell’ambito sia degli operatori sia degli accademici manifesta la vitalità dell’argomento e l’interesse che la comunità internazionale nutre nell’ambito dello scopo fondamentale del sistema delle Nazioni Unite. Infatti, si parla oggi di prevenzione dei conflitti e di pacificazione, di mantenimento della pace e di imposizione della pace, anche di costruzione della pace, e altre ancora. L’attuale sistema delle Nazioni Unite di gestione delle operazioni di pace e più in generale di gestione del sistema di sicurezza collettiva è un sistema “costruito” al di fuori del sistema previsto dalla Carta negli articoli 46 e 47 con la creazione del Comitato di Stato Maggiore avente la responsabilità strategica di tutte le forze armate messe a disposizione del Consiglio di Sicurezza da parte degli Stati Membri.

Tale Comitato di Stato Maggiore, alle strette dipendenze del Consiglio di Sicurezza, dovrebbe svolgere un’azione di consulenza in tutte le questioni riguardanti le esigenze militari, l’impiego e il comando delle forze armate, la disciplina degli armamenti e l’eventuale disarmo (art. 47 numero 1). Questo sistema è di là da venire. È, forse, il futuro a cui si arriverà. Ma per il momento, e negli ultimi sessant’anni, il Consiglio di Sicurezza ha preferito, invece, appoggiarsi al disposto degli articoli 48 e 49: di volta in volta, gli Stati Membri, direttamente o mediante l’azione delle organizzazioni internazionali di cui sono membri, intraprendono e svolgono tutte le azioni necessarie per eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza, unico e principale responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.


(*) - Avvocato e Consigliere giuridico militare.