Profili vittimologici del danno alla persona

Danilo Riponti (*)


1. L’approccio delle istituzioni comunitarie

Le scienze giuridiche, sociologiche e criminologiche hanno evidenziato come la vittima sia figura tragicamente trascurata, tanto in relazione alla fenomenologia del reato quanto in relazione alle conseguenze dello stesso: il danno subito dalla stessa, infatti, e le problematiche riparatorie e risarcitorie connesse, riflettono la grave indifferenza con cui l’ordinamento giuridico si pone nei confronti della vittimalità e impongono significative riforme legislative, sia sostanziali che processuali, che consentano una svolta in senso vittimologico dell’ordinamento in favore di chi subisce le conseguenze del reato. Il Legislatore Comunitario, dal canto suo, si è da tempo segnalato per una notevole attenzione al problema, quanto meno a livello di principi ed analisi, in favore della vittima, che si è concretizzata, da ultimo, con l’importante proposta di direttiva del Consiglio U.E. presentata il 17 ottobre 2002 dalla Commissione Europea, relativa al risarcimento alle vittime del reato.

La proposta costituisce il punto d’arrivo di un percorso di approfondimenti scientifici e lavori normativi risalenti al 1998, allorquando, con il piano d’azione di Vienna, il Consiglio U.E. auspicava un’armoniosa azione comunitaria sul tema del risarcimento alle vittime, ampiamente sviluppata in occasione del Consiglio di Tampere del 1999. Il 14 luglio 1999 la Commissione aveva altresì indirizzato al Parlamento Europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale una comunicazione intitolata: “Vittime di reati nell’U.E.: riflessioni sul quadro normativo e sulle misure da prendere” (COM 1999/349), che il Parlamento aveva posto a fondamento della risoluzione 15 giugno 2000. Obiettivo del legislatore comunitario era quello di affrontare, in modo organico e globale, la posizione della vittima prima, durante e dopo il procedimento penale, onde attenuare, per quanto possibile, gli effetti del reato, assicurando alla stessa la salvaguardia della propria dignità, il diritto di informare le Autorità e di essere informata e compresa, il diritto di protezione e di assistenza a mezzo di servizi sociali specializzati.

Il Consiglio dell’Unione Europea ha poi approvato, in data 15 marzo 2001, una decisione-quadro relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, nell’ambito della quale sono state sintetizzate norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità, sull’accesso delle vittime alla giustizia e sui loro diritti al risarcimento dei danni, comprese le spese legali. La decisione-quadro 15 marzo 2001 si articola in 19 articoli, che offrono anzitutto una serie di importanti definizioni (art. 1), prima tra tutte quella di vittima, da intendersi come la persona fisica che ha subito un pregiudizio anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti od omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno stato membro. L’articolato impone agli stati membri di attribuire alla vittima un ruolo effettivo e appropriato, riconoscendo alla stessa ampi poteri in sede processuale, sia sotto il profilo probatorio e informativo, sia sotto quello dell’assistenza anche legale e della protezione (art. 2-8). Particolare attenzione è stata attribuita alle problematiche di risarcimento del danno (art. 9) e alle procedure di mediazione nell’ambito del procedimento penale (art. 10).

Ricca di risvolti vittimologici è la previsione di istituire servizi specializzati e organizzazioni di assistenza alle vittime, nonché esperti con specifica formazione professionale per gestire i contatti con le stesse sia nella fase investigativa che in quella processuale. Tuttavia, una tappa di fondamentale importanza sul tema che ci occupa risale al 28 settembre 2001, data in cui la Commissione Europea ha elaborato il Libro Verde sul risarcimento alla vittime di reati (COM 2001/536), testo che approfondisce i profili di risarcimento alle vittime a carico dello Stato (espressamente riservando a futuri approfondimenti il problema del risarcimento a carico dell’autore del reato), tracciandone un’analitica disamina nelle legislazioni di tutti gli Stati Membri. Viene così formalizzata l’impostazione concettuale per cui, ove non sia possibile conseguire utilmente il risarcimento a carico del reo (cd. “restitution”), lo Stato deve farsi carico, quale espressione ineludibile di solidarietà sociale, di assicurare alle vittime un trattamento risarcitorio (cd. “compensation”).

Si tratta di un testo di fondamentale rilevanza, che si interroga su tre obiettivi fondamentali: - la necessità di prevedere un obbligo di risarcimento alle vittime a carico dello Stato; - la necessità di attenuare le conseguenze sfavorevoli che possono conseguire alla vittima in ragione delle diversità tra le diverse normative degli Stati membri; - la necessità di garantire alle vittime transfrontaliere un accesso semplice ed uniforme al risarcimento del danno. Il Libro Verde esprime l’esigenza di una rete di sicurezza nell’ambito comunitario, che assicuri il diritto di circolare liberamente nel territorio dell’Unione in condizioni di sicurezza e di giustizia accessibili a tutti, sulla base dei principi comunitari fondamentali che regolano l’U.E.

a. Il principio di non discriminazione

L’obiettivo perseguito nel Libro Verde deve fondarsi anzitutto sul divieto di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità: la Corte di Giustizia CE, nel famoso caso Cowan/Tresor public (1989-racc. 195), ha affermato che il Trattato CE impone la completa parità di trattamento per soggetti che si trovino in una situazione disciplinata dal diritto comunitario, rispetto ai cittadini dello stato membro interessato, e nel caso di specie, ha vietato ad uno Stato membro di subordinare la concessione di un indennizzo statale alla vittima di un reato al requisito della residenza o cittadinanza, ovvero della reciprocità di trattamento.

b. Il diritto ad essere sentito in giudizio

L’art. 6, par. 1, della CEDU stabilisce che ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, istituito per legge..; la Corte Europea di Strasburgo, nell’interpretare, in subiecta materia, detta norma (Rolf Gustafson/Svezia, sentenza 27 maggio 1997), ha stabilito che il diritto al risarcimento a carico dello Stato costituisce un diritto civile soggettivo e quindi ogni istanza connessa debba essere sottoposta ai principi dell’art. 6 CEDU. Peraltro, già la Convenzione Europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti del 1983, entrata in vigore nel 1988, prevedeva il diritto al risarcimento a carico dello Stato nel cui territorio si è verificato il reato, in favore dei cittadini di altri stati che hanno aderito alla Convenzione e dei cittadini di altri Stati membri del Consiglio d’Europa, stabilmente residenti nel territorio dello Stato suddetto. Tale diritto è riconosciuto alle vittime di reati contro la persona, anche qualora l’autore non sia perseguibile o punibile, purché vi sia stata denuncia all’Autorità di pubblica Sicurezza e la relativa richiesta sia presentata entro i termini contemplati.

La situazione attuale delle legislazioni europee in tema di indennizzo a carico dello Stato, pur estremamente diversificata, è sconfortante per l’Italia, unico stato europeo, insieme alla Grecia, a non possedere sistemi di risarcimento di applicazione generale, bensì solo settoriale (vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, dell’usura e delle estorsioni). Il Libro Verde parla in termini generali di risarcimento, ed in tal senso useremo il termine, per quanto forse, con riferimento al nostro ordinamento giuridico, l’espressione indennizzo sia, in relazione alle erogazioni statuali de quibus, forse più appropriata, riferendosi quest’ultimo ad una finalità di assistenza e solidarietà nei confronti di chi subisce un danno, mentre il primo ha piuttosto funzione di reintegrazione per equivalente della situazione patrimoniale del danneggiato lesa dal comportamento ingiusto del danneggiante. In una panoramica generale delle normative europee, le vittime aventi diritto sono quelle dirette, indirette (per es. le persone a carico o altri superstiti della vittima diretta), occasionali (cd. passanti) e coloro che sono intervenuti per aiutare la vittima o la polizia (cd. samaritani).

Le vittime sono coperte da tutela anche se non comunitarie, in taluni Paesi membri, però con la condizione di reciprocità. Affinché si possa attivare il diritto al risarcimento a carico dello Stato, il reato deve essere commesso intenzionalmente, ovvero con violenza, e il pregiudizio deve esser grave: usualmente (con l’eccezione della Svezia), sono esclusi i reati connessi alla circolazione stradale. Condizione primaria per l’accesso al risarcimento è che l’autore del reato resti ignoto ovvero non sia punibile oppure utilmente perseguibile. È onere della vittima provare che il danno consegue eziologicamente al reato, generalmente in base agli usuali criteri di responsabilità civile. L’indennizzo in esame copre le spese di assistenza medica, il lucro cessante (calcolato in modo variabile nei diversi Stati membri, in modo forfettario ovvero analitico), il risarcimento alle persone a carico in caso di morte della vittima, i danni a cose di proprietà e il danno da invalidità permanente. Più complesso il tema del risarcimento del danno morale: alcuni stati riconoscono la risarcibilità del dolore e della sofferenza, fisica e mentale. I criteri di quantificazione del risarcimento ricalcano perlopiù le norme relative alla responsabilità civile, peraltro con alcuni tetti massimi, ed ulteriori limitazioni in ipotesi particolari, allorquando, per esempio, la vittima abbia concorso a determinare l’evento lesivo, ovvero appartenga essa stessa ad organizzazioni criminose.

Altri Stati optano piuttosto per risarcimenti secondo equità, e tengono conto della situazione finanziaria della vittima. Gli indennizzi descritti dal Libro Verde sono connotati dal principio di applicazione sussidiaria e di surrogazione statale. Ciò significa che il risarcimento posto a carico dello Stato costituisce, in molte legislazioni europee, l’ultima risorsa per la vittima, che deve dar prova di avere esaurito infruttuosamente ogni possibilità di risarcimento prima di potersi rivolgere allo Stato, sia nei confronti dell’autore del reato che di eventuali assicurazioni. Interpretato in modo rigoristico, tale principio costituirebbe una forte limitazione alla possibilità di attingere al risarcimento e, pertanto, solitamente la vittima è tenuta ad esaurire le altre possibilità di risarcimento solo in modo ragionevole, potendo poi adire lo Stato, che in ogni caso si surroga nei suoi diritti, entro i limiti dell’indennizzo corrisposto. Principio diverso è il divieto del doppio risarcimento, in base al quale eventuali risarcimenti corrisposti per il medesimo evento devono essere dedotti da quello statale.

Quasi tutti i paesi europei prevedono che, per poter invocare il risarcimento, la vittima abbia sporto “senza indugio” regolare denuncia presso le Autorità inquirenti, e abbia collaborato sufficientemente con le stesse per l’accertamento delle responsabilità del caso. Il termine per promuovere l’azione, invece, è molto variabile a seconda dei diversi ordinamenti, solo tre mesi in Irlanda (il più esiguo), addirittura 10 anni in Finlandia (il più ampio), termini derogabili in caso di forza maggiore, ovvero se la vittima è minore. La domanda va fatta per iscritto, corredata dei documenti comprovanti l’an e il quantum del danno, può prevedere la richiesta di pagamento di somme provvisionali, in caso di difficoltà finanziaria della vittima o di lunghezze particolari della procedura. L’autorità destinata ad esaminare tale domanda è diversa nei diversi ordinamenti e riflette tre modelli: - un’autorità indipendente centrale costituita ad hoc (detta commissione, consiglio o autorità); - una sezione di un ministero; - un organismo decentrato negli stati federali. In media, gli indennizzi vanno da un minimo di 1.000 ad un massimo di 15.000 €.

Il Libro Verde evidenzia la necessità, per motivi eminentemente di politica sociale, ma anche di equità e solidarietà sociale, di un coordinamento tra le varie legislazioni nazionali mediante l’individuazione di norme minime comuni, particolarmente necessarie nelle situazioni transfrontaliere, in cui più macroscopiche appaiono le eventuali disparità di trattamento della vittima, magari di un analogo reato, nell’ambito delle legislazioni di paesi confinanti. Offrire una efficace azione a livello comunitario a fronte delle esigenze della vittima significa, in prospettiva europea, soddisfare gli obiettivi in precedenza individuati, su tre livelli: - offrire una rete di sicurezza per tutti i residenti nell’Unione, cioè analoghe possibilità di conseguire un risarcimento a carico dello Stato per le vittime di reati; - limitare le vistose differenze tra i livelli di risarcimento previsti nei vari stati membri; - agevolare l’accesso al risarcimento a carico dello Stato per le vittime che si trovano in situazione transfrontaliera, limitando così, quanto più possibile, le distorsioni in ordine al risarcimento determinate dal luogo in cui è stato commesso il reato. Le norme minime non possono inerire in modo diretto i livelli di risarcimento, pesantemente influenzati sia dal tenore di vita dei diversi paesi sia dalle priorità in relazione alle politiche sociali, ma devono costituire lo strumento con cui delimitare le restrizioni che gli stati membri possono porre al risarcimento statuale alle vittime.

Sotto il profilo della legittimazione, il Libro Verde ritiene corretto prevedere tale facoltà in capo a tutti i cittadini dell’Unione negli stessi termini assicurati ai cittadini dello Stato membro in cui è stato commesso il reato, in applicazione al principio di non discriminazione, così come interpretato nella sentenza Cowan. Per quanto attiene ai criteri inerenti al tipo di reato, è apparso corretto ipotizzare diverse soluzioni, l’una più ampia che si riferisce a tutti i reati, altre più restrittive che escludono i reati colposi ovvero limitano il risarcimento ai reati più gravi. Quanto al danno, dovrebbero certamente essere contemplate nelle norme minime le lesioni alla persona, fisiche e psicologiche, che determinino un pregiudizio grave o quantomeno rilevante. Appare quindi corretto ipotizzare una normativa minima che copra quantomeno i reati dolosi che causino lesioni personali. Per poter richiedere il risarcimento, la vittima deve offrire la prova del danno subito e del nesso di causalità tra la condotta penalmente illecita e lo stesso. Il danno coperto dall’indennizzo deve quantomeno consistere nei danni materiali per spese mediche, comprensive dell’assistenza psicologica e le terapie psichiatriche, e di assistenza ospedaliera, così come il lucro cessante, i danni materiali a beni di proprietà danneggiati in occasione del reato e la perdita di redditi.

Nel caso di persone a carico, il danno deve comprendere le spese funebri e la perdita del mantenimento. I danni non materiali debbono risarcire il dolore, la sofferenza fisica emotiva e mentale, nonché i profili biologici di violazione dell’integrità personale, l’invalidità permanente, la perdita della qualità della vita (cd. danno esistenziale) e la perdita di aspettativa di vita. Si tratta di danni di estrema importanza, giacché gli effetti psicologici del reato possono essere assai più persistenti di quelli fisici e causare gravi sofferenze: per tali motivi, debbono necessariamente essere ricompresi nella normativa minima. Per quanto attiene alla quantificazione dei danni biologici, un utile rinvio può essere fatto alla valutazione dei danni nel campo della responsabilità civile, pur con tutte le diversità che si pongono in materia tra le differenti legislazioni europee. Obiettivo primario del risarcimento dei danni materiali è la restitutio in integrum, consistente nel riportare la vittima alla medesima situazione finanziaria in cui si sarebbe trovata in assenza del reato, criterio particolarmente efficace nei casi transfrontalieri. Ove peraltro ciò non sia possibile, può risultare utile prevedere tariffe che comprendano le effettive spese mediche e di ricovero ospedaliero.

Nella determinazione del danno non pare corretto introdurre, nella normativa minima, una condizione legata alle condizioni finanziarie della vittima, che potrebbe determinare ingiustificate disparità di trattamento, specie nei casi transfrontalieri. Piuttosto potrebbe probabilmente ipotizzarsi un livello minimo ed uno massimo di risarcimento. Sotto il profilo della normativa minima, va ribadito il principio dell’applicazione sussidiaria del risarcimento statuale e il divieto del doppio risarcimento. Peraltro è necessario individuare in concreto, quale sia la soglia degli sforzi che la vittima deve fare per ottenere il risarcimento dal reo, prima di poter adire la compensation dello Stato. La valutazione può essere assai delicata, per diversità di procedure e tempi giudiziari, nei casi di vittime transfrontaliere che paradossalmente potrebbero trovarsi in posizione più comoda se l’autore del reato restasse ignoto, senza che la stessa debba attendere i tempi per l’accertamento giudiziario delle responsabilità e l’esecuzione della sentenza, ovvero debba escutere assicurazioni private.

Pare congruo stabilire che la vittima debba preventivamente esperire, prima del risarcimento statuale, gli altri mezzi in misura ragionevole e, quanto al divieto di doppio risarcimento, prevedere che debbano essere dedotti i risarcimenti erogati nell’ambito di assicurazioni obbligatorie o prestazioni sociali, e non invece quelli erogati da assicurazioni private, poiché diversamente ragionando la vittima sarebbe penalizzata per la sua prudenza nello stipulare una polizza di assicurazione, in sostanza per nulla. La surrogazione dello Stato nelle ragioni della vittima, dopo l’erogazione del risarcimento, non ha dato significativi risultati in termini di recupero effettivo, quindi non pare necessario prevederla in una normativa minima, mentre l’obbligo di presentare tempestiva denuncia del reato all’autorità di pubblica sicurezza è certamente da contemplare, corrispondendo anche all’interesse della vittima, oltre a quello pubblico di accertamento dei fatti. La domanda, che dovrebbe seguire formulari armonizzati, disponibili in tutte le lingue comunitarie, va redatta per iscritto, corredata di ogni documentazione di prova del danno e i relativi termini debbono essere piuttosto ampi.

Per evitare che i tempi di accertamento del diritto determinino un pregiudizio secondario, particolarmente in caso di vittime transfrontaliere, pare necessario prevedere la possibilità di pagamenti anticipati di provvisionali. Infine, pare opportuno stabilire che le norme minime introducano alcune ipotesi di esclusione o riduzione del risarcimento: - in base alla condotta della vittima, prima, durante e dopo il reato; ovvero - al suo coinvolgimento nella criminalità organizzata, per quanto tale criterio introduca dubbi, specie nei casi di situazioni transfrontaliere; e da ultimo - in tutti i casi in cui il riconoscimento dell’indennizzo sia contrario al senso di giustizia o all’ordine pubblico. Alcune considerazioni a parte si pongono per le vittime transfrontaliere, cioè quei cittadini dell’U.E. che rimangono vittime di un reato in uno Stato membro diverso da quello in cui risiedono stabilmente. È coerente con i principi comunitari che le opportunità offerte da uno Stato ai propri cittadini si estendano a tutti i cittadini dell’Unione. Ciò solo garantirebbe una sufficiente tutela alle vittime transfrontaliere, senonchè le sensibili differenze che esistono tra le diverse legislazioni possono determinare distorsioni ed effetti ingiusti, quindi è necessario prevedere meccanismi specifici per agevolare l’accesso all’indennizzo statuale in favore di questa particolare categoria di vittime, eliminando tre ordini di ostacoli che le stesse possono frequentemente incontrare.

1°. Anzitutto, si pongono ostacoli relativi all’informazione sulle possibilità di ottenere un indennizzo statuale. Ciò in quanto, sovente, tali vittime sono turisti, che si trattengono pochissimo tempo sul posto dopo il reato, hanno conoscenze linguistiche limitate e possono reperire con difficoltà le notizie sui meccanismi risarcitori; e al ritorno nel paese di provenienza, risulta ancor più difficile accedere a dette informazioni.

2°. Quand’anche avesse potuto informarsi adeguatamente, la vittima può incontrare difficoltà linguistiche nel redigere la domanda, difficoltà aggravate ove una delle due legislazioni frontaliere preveda termini brevi per la presentazione. Altri ostacoli possono inerire la necessità di attendere l’esito di un procedimento penale, qualora ciò costituisca in una delle legislazioni presupposto per la domanda, la possibilità di essere sentita personalmente e di avere assistenza e attenzione nell’ordinamento giuridico che deve trattare la richiesta di indennizzo.

3°. La vittima transfrontaliera deve sovente corredare la propria domanda con documenti provenienti da Stati diversi, il verbale di polizia e il primo referto medico nel paese in cui è avvenuto il reato, e le successive certificazioni di danno (mediche, professionali, fiscali ecc.) nel paese di residenza. Ciò determina oneri di traduzione e formalità connesse alle diverse normative in cui i certificati devono valere, anche in relazione ad eventuali atti giudiziari da allegare alla domanda. È necessario quindi introdurre una normativa minima per facilitare la posizione delle vittime transfrontaliere ed evitare che le difficoltà specifiche, gli oneri di traduzione ecc. costituiscano fonte di una rivittimizzazione o comunque di un pregiudizio secondario in danno delle stesse, in quanto il mero principio di non discriminazione (pur interpretato estensivamente dalla sentenza Cowan), non garantisce una soluzione semplice, trasparente e pratica, da potersi applicare in modo uniforme in tutta l’Unione. Per conseguire tale obiettivo è necessario realizzare un modello di assistenza reciproca, che garantisca alle vittime il diritto all’assistenza nel proprio Stato membro di residenza.

Un tale modello deve poi adottare il principio di territorialità, per cui ogni Stato membro in cui si è verificato il reato è responsabile per il risarcimento ed esamina la domanda alla luce della sua normativa interna, fermo restando che la vittima può presentare la domanda ad una autorità dello Stato di residenza, senza pertanto ostacoli di tipo linguistico. Si realizza così una collaborazione tra l’autorità-mittente (quella della residenza della vittima) e quella competente ad erogare l’indennizzo (quella del luogo ove si è verificato il reato), cd. Autorità-ricevente, simile alla cooperazione giudiziaria, che potrebbe essere utilmente disciplinata mediante la fissazione di termini temporali precisi, l’uso di determinate lingue e formulari uniformi. In capo all’autorità mittente, va previsto l’obbligo di informare la vittima sulle normative inerenti il risarcimento statuale del Paese in cui si è verificato il reato, di aiutarla nella redazione della domanda e nell’allegazione dei documenti, ed infine di predisporre tutte le traduzioni necessarie affinchè l’istanza venga esaminata dall’autorità-ricevente. Nessun obbligo invece può essere previsto in relazione ad esami o valutazioni preliminari della fondatezza della domanda.

In relazione all’autorità-ricevente, è necessario chiarire in termini generali e uniformi quale tipo di ente debba trattare tali istanze, fermo restando che deve avere un livello elevato di conoscenza di tutte le normative dell’Unione in materia di risarcimento alle vittime e disporre dell’elenco di tutte le autorità europee preposte a tale fine e delle loro procedure. È auspicabile la costituzione a livello comunitario di un repertorio, costantemente aggiornato, che contenga tutte tali informazioni. È inoltre indispensabile prevedere il diritto della vittima di essere sentita personalmente, eventualmente mediante video-conferenza organizzata dall’autorità- mittente; pare logico pertanto prevedere lo spostamento degli oneri amministrativi connessi alla presentazione della domanda in favore di tale ultima autorità. Per le vittime transfrontaliere, potrebbe prevedersi addirittura il modello della doppia responsabilità, con facoltà della vittima di optare per quello dei due sistemi di risarcimento statuale sia per lei più conveniente, un sistema assai efficace anche sotto il profilo della rapidità, assai importante per le vittime, in quanto elimina passaggi burocratici tra autorità diverse.

Alcune specifiche considerazioni per questo tipo di vittime si pongono anche in relazione al livello di risarcimento, essendo sovente assai diversi i tenori di vita dei diversi Paesi e con il modello di doppia responsabilità il rischio è quello del “forum-shopping”, ma è l’unico in grado di soddisfare sotto un profilo sostanziale ed effettivo le esigenze e gli oneri sopportati dalla vittima. Peraltro, allo stato attuale delle legislazioni europee, il modello dell’assistenza reciproca è quello generalmente applicato, e potrebbe essere implementato, con riferimento alle vittime transfrontaliere, da quello della doppia responsabilità. In ogni caso è necessario prevedere formulari armonizzati e regole procedurali minime comuni, oltre ad un livello elevato di informazione alle vittime e l’incremento delle risorse amministrative e di bilancio in favore delle stesse. Le indicazioni del Libro Verde si sono concretizzate in un documento normativo preciso, presentato dalla Commissione delle C.E. il 17 ottobre 2002, che, in estrema sintesi, concretizza in 29 punti, principi ed obiettivi per la tutela dei diritti umani della vittima:

1. La “Proposta di direttiva del Consiglio relativa al risarcimento delle vittime” fissa le norme minime auspicate dal Libro Verde, sia in relazione alle vittime in genere sia a quelle transfrontaliere, esplicitando le determinazioni operative della Commissione in relazione alle diverse opzioni espresse dal Libro Verde.

2. Viene sancito che la tutela è riconosciuta alle vittime di reati intenzionali contro la vita, la salute o l’integrità personale, rimanendo così esclusi i reati colposi e quelli determinanti solo danni a cose. La nozione di vittima corrisponde a quella individuata nella decisione-quadro 15 marzo 2001 del Consiglio.

3. In base al principio di territorialità, il risarcimento va erogato dallo Stato membro nel cui territorio avviene il reato, in favore di cittadini dell’Unione ovvero di soggetto legalmente residente, senza discriminazione alcuna.

4. Circa la determinazione del danno, la proposta di direttiva lascia ampio spazio alle legislazioni nazionali, con l’obiettivo di garantire alle vittime un pieno risarcimento dei danni, anche non materiali, sofferti dalle stesse, quantificati in base alle norme sulla responsabilità civile vigenti in ogni Paese membro, con esclusione peraltro dei danni a cose. Viene peraltro prevista la possibilità di una determinazione forfettaria a tariffa. In ogni caso, è fatta salva la possibilità di fissare un tetto massimo all’indennizzo, per evitare impatti gravosi di bilancio.

5. Viene prevista la possibilità di erogazione di provvisionali, concorrendo quattro presupposti, costituiti dal fumus boni iuris, la difficoltà finanziaria della vittima, l’impossibilità di una decisione rapida e quella di porre il risarcimento a carico del reo.

6. Viene prevista la possibilità di escludere dal risarcimento i danni di minima entità.

7. Gli Stati membri possono negare o ridurre il risarcimento se la vittima ha concorso a cagionare il danno.

8. Gli Stati membri possono applicare il principio di applicazione sussidiaria e quindi porre il risarcimento statuale come ultima opportunità per la vittima che deve aver perseguito con uno sforzo ragionevole l’autore del reato. Il principio di applicazione sussidiaria si applica solo alla vittima diretta e non invece ai parenti stretti o persone a carico.

9. In modo parzialmente difforme da quanto previsto nel Libro Verde, si prevede l’applicazione integrale del principio del divieto del doppio risarcimento.

10. Lo Stato gode di surrogazione sui diritti della vittima, nei confronti dei responsabili del fatto illecito.

11. Gli Stati membri possono prevedere l’obbligo di denunciare il fatto alla polizia quale condizione per invocare il risarcimento statuale, salvo i casi di denuncia alla criminalità organizzata o di violenza a donne e minori.

12. Gli Stati membri possono disciplinare i rapporti tra procedura di indennizzo e procedimento penale per l’accertamento del reato, avuto riguardo alla posizione della vittima e salvo il riconoscimento di provvisionali.

13. Il termine per inoltrare la domanda deve essere di due anni, con eccezioni legate a situazioni particolari, nei casi di vittime minori o transfrontaliere.

14. Gli Stati membri, nel disciplinare le procedure di esame delle domande, devono ispirarsi ai principi di massima semplicità e rapidità, di flessibilità e disponibilità in relazione alla lingua utilizzata, e devono riconoscere la possibilità di proporre appello avverso una decisione di rigetto.

15. Devono essere assicurati, con estremo rigore ed efficienza, pieni diritti di informazione alle vittime in relazione alle possibilità di invocare risarcimenti a carico dello Stato.

16. Deve assicurarsi alle vittime transfrontaliere un particolare regime di assistenza e tutela con il modello dell’assistenza reciproca, di cui al Libro Verde.

17. Deve essere assicurata la possibilità della vittima di redigere la domanda nel proprio paese di residenza, con l’ausilio di una autorità di assistenza (la cd. autorità-mittente del Libro Verde), che non deve fornire consigli dettagliati né pareri preliminari sui contenuti della domanda ma deve supportare la vittima nella redazione della stessa e nel corredarla di documenti e certificati, anche utilizzando formulari uniformi.

18. È fatto obbligo all’autorità di assistenza di inviare la domanda in modo corretto all’autorità di decisione (la cd. autorità-ricevente del Libro Verde).

19. L’autorità ricevente deve rilasciare attestato di ricevimento della domanda ed indicare un responsabile del procedimento.

20. L’autorità di assistenza deve trasmettere ogni informazione integrativa che l’autorità di decisione le dovesse richiedere per completare la propria istruttoria.

21.Deve essere prevista la facoltà della vittima di essere sentita e dell’autorità di decisione di sentirla, ove necessario, avvalendosi se del caso di strumenti di video-conferenza.

22. È fatto obbligo all’autorità di decisione di trasmettere all’autorità di assistenza la propria decisione.

23. L’uso della lingua nella compilazione dei formulari spetta alla vittima, ferma peraltro la necessità di utilizzare lingue ufficiali dell’Unione.

24. È prevista la redazione di un manuale, a cura della Commissione, contenente le informazioni essenziali sulle diverse autorità di decisione, sulle lingue e sui formulari utilizzabili, sulle diverse normative applicabili.

25.Devono essere creati punti di contatto centrali per favorire la cooperazione transfrontaliera tra Stati membri.

26. Possono essere previste dagli Stati membri disposizioni più favorevoli alla vittima rispetto alle norme minime.

27. È previsto a carico degli Stati membri un termine di ratifica della normativa entro il 30 giugno 2005.

28-29. Prevedono l’entrata in vigore e i destinatari della emanata Direttiva.


2. Le riforme normative nell’ordinamento italiano

In prospettiva generale, il legislatore italiano, sull’impulso di quello comunitario, pare aver finalmente maturato - a livello di principio - la necessità di un radicale intervento normativo a tutela delle vittime dei reati, tema purtroppo gravemente trascurato a livello sia legislativo sia istituzionale e giudiziario. Tuttavia ad oggi non si possono dire concretizzate norme e misure efficaci a tutela della vittima. La previsione di attuazione della decisione-quadro del Consiglio dell’U.E. 15 aprile 2001 assegnava ai legislatori nazionali un termine (con talune eccezioni, legate a specifici aspetti normativi) al 22 marzo 2002, già ampiamente spirato. Incalzato da tale scadenza, e dalla pubblicazione del Libro Verde e dalla Proposta di Direttiva sul risarcimento alle Vittime del reato, il legislatore nazionale ha redatto la proposta di legge sui problemi e sul sostegno delle vittime di reati, avvertendo, sull’impulso di quello comunitario, la necessità di un radicale intervento normativo a tutela delle vittime dei reati, tema purtroppo gravemente trascurato sia a livello legislativo che istituzionale e giudiziario.

In tal senso è stata istituita in data 2 aprile 2001 e ricostituita in data 7 marzo 2002, presso il Ministero della Giustizia, una Commissione sui problemi e sul sostegno delle vittime dei reati, presieduta da Giorgio Santacroce, il cui comitato ristretto ha elaborato una articolata proposta di legge ad hoc, diffusa informalmente nel 2002 e presentata al Ministro Guardasigilli il 13 marzo 2003. Il testo normativo, che si articola in 15 articoli, fa proprie le considerazioni svolte dagli organi dell’U.E., peraltro integrandole in modo opportuno con gli appropriati riferimenti all’ordinamento giuridico italiano. L’art. 1 infatti, completa la nozione di vittima richiamando quella di persona offesa dal reato e, qualora la stessa sia deceduta, i suoi prossimi congiunti, i parenti adottivi e i conviventi stabili. Gli obiettivi fondamentali della tutela della vittima e i diritti di informazione in favore della stessa (artt. 3-4), negati per troppo tempo alla vittima, si sviluppano attraverso una serie di opportune modifiche del c.p.p., talune delle quali intervengono in frangenti procedimentali assai frustranti, su cui era improcrastinabile una modifica normativa in senso vittimologico: - l’art. 5 del testo, di contenuto rigorosamente processual-penalistico, estende anzitutto i diritti spettanti alla persona offesa anche a coloro che con la stessa siano legati da vincolo di adozione e di convivenza e prevede anche in favore della persona offesa stessa il patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti; - si stabilisce che il deposito delle ordinanze in materia cautelare venga notificato anche al difensore dell’offeso ed in particolare quelle che dispongono la liberazione dell’indagato e dell’imputato siano comunicate alla persona offesa, ove sussistano seri pericoli per la sua incolumità; il testo, francamente, lascia perplessi nella misura in cui non pare fondatamente concepibile una scarcerazione del reo che possa mettere in pericolo la vittima, risultando sufficiente tale motivo proprio per negare tale evenienza; - prevede maggiori poteri probatori in favore dell’offeso, attribuendogli in modo diretto la possibilità di richiedere l’incidente probatorio; - modifica le rigide regole di inammissibilità dell’opposizione alla richiesta d’archiviazione, che costituiscono una sconcertante frustrazione dei diritti della vittima: oltre a prevedere un termine più ampio, finalmente ragionevole, per la presentazione dell’opposizione (venti giorni invece di dieci), la proposta interviene sull’aberrazione di ritenere inammissibile l’opposizione ove non contenga indicazione di nuove prove; l’attuale formulazione e prevalente interpretazione giurisprudenziale della norma, infatti, legittima l’inerzia di pubblici ministeri che, esperite indagini, non ritengano di esercitare l’azione penale, impedendo una censura delle valutazioni degli stessi sull’idoneità del materiale processuale già raccolto a giustificare l’esercizio dell’azione penale.

Giova ricordare che, a tale interpretazione lesiva dei diritti della vittima, si è già opposta la Corte Costituzionale(1), a fronte della giurisprudenza prevalente di legittimità, che aveva sostenuto che l’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione dovesse contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione di investigazioni suppletive, da svolgersi a cura del P.M. procedente, con specificazione del loro oggetto, nonché dei relativi elementi di prova. La Corte, infatti, anticipando in modo quasi profetico la nuova ipotesi di formulazione della norma in esame, ha rilevato che la persona offesa può presentare l’opposizione non solo in presenza di indagini incomplete, ma anche nell’ipotesi in cui intenda dimostrare la non infondatezza della notizia di reato. Ha dichiarato, inoltre che la disciplina apprestata dalla disposizione di cui all’art. 410 c.p.p. è idonea a tutelare le ragioni della persona offesa, sia nel caso in cui questa intenda contrastare carenze e lacune investigative, sia quando l’opposizione sia basata su una valutazione dei fatti ovvero su ragioni di diritto diverse da quelle poste a base della richiesta di archiviazione del P.M.

In sostanza, concludeva la Corte “dal sistema del codice emerge chiaramente che in sede di opposizione la persona offesa, nei casi in cui si trovi nell’impossibilità di chiedere la prosecuzione delle indagini preliminari, può comunque fare valere le ragioni volte a contrastare la richiesta di archiviazione, in accordo del resto con la facoltà, riconosciuta in via generale dall’art. 90 c.p.p., di presentare memorie al giudice: ove le argomentazioni della persona offesa siano fondate e convincenti, il giudice non accoglierà la richiesta di archiviazione, ma fisserà a norma dell’art. 409 comma 2 c.p.p. l’udienza in camera di consiglio, così pervenendo ad un risultato analogo a quello previsto dalla specifica disciplina apprestata dai primi tre commi dell’art. 410 c.p.p.”. La Corte Costituzionale ha, in tal modo, accolto l’opinione manifestata da quella autorevole Dottrina la quale ritiene ammissibile, anche con l’attuale assetto normativo, l’opposizione anche in presenza di una semplice censura nei confronti dell’inerzia del P.M., ovvero quando si tratti della prospettazione di “pure questioni giuridiche” quali ad esempio la ritenuta irrilevanza penale del fatto da parte del P.M.(2).

Parimenti si è ritenuta ammissibile l’opposizione dell’offeso che chieda al giudice di rigettare la richiesta di archiviazione “anche per motivi di puro diritto”(3). In ogni caso, si era osservato che nell’ipotesi in cui il GIP ritenga inammissibile l’opposizione, ma abbia qualche dubbio in merito alla infondatezza della notitia criminis, doveva comunque, fissare l’udienza camerale secondo la disciplina prevista dall’art. 409, come sembra dedursi dal comma 3 della norma in esame(4). Finalmente la nuova formulazione proposta per l’art. 410 c.p.p. conforta l’autorevole opinione della Corte Giudice delle Leggi e della Dottrina, a dispetto di una giurisprudenza anche attualmente alquanto limitativa delle prerogative della vittima; - si è previsto l’obbligo di notifica dell’avviso di chiusura delle indagini, ex art. 415 bis c.p.p., e dell’avviso di deposito di sentenze depositate oltre i termini di legge anche in favore della persona offesa nonché quello di notificare al Comitato per l’assistenza alle vittime una serie di ipotesi di interesse per la vittima che possa accedere al fondo di assistenza per le vittime di reati ed infine di notiziare la stessa in relazione all’udienza di esecuzione per l’eventuale liberazione condizionale del reo.

Assai innovativa e pregevole l’istituzione di un Fondo di assistenza alle vittime di reati gravi, che garantisce, nei limiti delle sue possibilità finanziarie, il risarcimento del danno e la rifusione di spese, nel caso in cui il condannato sia deceduto o insolvente, ed altresì nei casi di reati commessi da ignoti, recependo, seppur in modo sintetico, le indicazioni del Libro Verde; come pure appare assai interessante, sia sotto il profilo operativo che scientifico, la costituzione di un Comitato per l’assistenza e il sostegno delle vittime dei reati, presieduto dal Ministro della Giustizia e composto da rappresentanti ministeriali, professori universitari in materie giuridiche, psicologiche e vittimologiche, esponenti della società civile e delle associazioni a tutela delle vittime. Al fine di meglio articolare sul territorio nazionale un’efficace tutela della vittimalità, è prevista la realizzazione, presso ogni Ufficio Territoriale del Governo, di uno Sportello per le vittime di reati, che attua le linee operative del Comitato e coordina le attività di tutte le istituzioni al fine di fornire adeguata assistenza e informazione alle vittime, ivi comprese le richieste di elargizioni a carico del Fondo.

Una disciplina particolare, anche sotto il profilo economico, è riconosciuta alle cd. vittime a tutela rafforzata, cioè a quelle già tutelate da particolari previsioni di legge, che restano ovviamente salve, se più favorevoli alle vittime stesse: si tratta, come ricorda il Libro Verde, delle Vittime del terrorismo e della criminalità organizzata(5). Infine, la proposta di legge suggerisce l’introduzione di una giornata della memoria, destinata alla riflessione e alla commemorazione di ogni situazione di vittimizzazione, da celebrarsi il 12 dicembre di ogni anno, ricorrenza della strage di piazza Fontana. La proposta di legge segna una svolta significativa nella acquisita consapevolezza della necessità di tutelare le vittime di reati a livello sia normativo sia istituzionale, e con taluni interventi migliorativi potrà senz’altro costituire un efficace fondamento su cui edificare una società civile attenta ai diritti delle vittime. Il testo normativo fa proprie le considerazioni svolte dagli organi dell’U.E., peraltro integrandole in modo opportuno con appropriati riferimenti all’ordinamento giuridico italiano ed è stato richiamato integralmente nel disegno di “Legge quadro per l’assistenza, il sostegno e la tutela di vittime di reati” n. 2464, presentato il 1 agosto 2003 alla Presidenza del Senato.

Il disegno di legge, importante a livello di principio, in quanto segna una svolta significativa nella acquisita consapevolezza della necessità di tutelare le vittime di reati sia a livello normativo che istituzionale, con taluni interventi migliorativi potrebbe senz’altro costituire un efficace fondamento su cui edificare una società civile attenta ai diritti delle vittime, ma a tutt’oggi non ha avuto alcuna concretizzazione, né purtroppo sono prevedibili i tempi di approvazione parlamentare.


3. Le vittime della criminalità stradale

Il problema della sicurezza stradale e delle stragi che ogni giorno si perpetrano sulle nostre strade costituisce, in termini di costi umani e sociali, uno dei fenomeni più gravi e inquietanti della civiltà contemporanea, percepito con un’ingiustificata rassegnazione da parte della società civile che tollera un’ecatombe di migliaia di morti ogni anno come una sorta di ineludibile scotto da pagare alla modernizzazione e alla diffusione dei trasporti su veicoli a motore, e con un senso di disattenzione se non di fastidio nei confronti delle vittime di tale grave realtà. La figura del criminale stradale non subisce quella stigmatizzazione sociale che dovrebbe costituire il fondamento di una reazione risolutiva al problema, e il sinistro viene visto come una tragica fatalità e non come un fatto di vera e propria criminalità colposa, quale invece è realmente, con la conseguenza che la vittima viene quasi “reificata”, trasformata cioè da persona qual è, in una mera porzione di realtà su cui si riversa l’azione del criminale, priva dei connotati di umanità: i cittadini, in una prospettiva sovente inconscia, sono portati a giustificare o quantomeno accettare l’illegalità stradale e la responsabilità in incidenti spesso anche gravi, in un specie di identificazione con il reo, ritenendo di potersi potenzialmente trovare nella medesima situazione e di conseguenza ipostatizzando una sorta di autolegittimazione anticipata che annichila la grave situazione personale ed esistenziale della vittima dell’evento dannoso.

Come più volte ho avuto modo di scrivere(6), si tratta di un fenomeno pericolosissimo, perché attenua enormemente la reazione sociale a tali gravissimi illeciti, della quale si fanno carico prevalentemente le associazioni a tutela delle vittime della strada e le associazioni degli operatori professionali del settore, e determina una reazione inefficace e poco incisiva da parte dell’ordinamento giuridico, tanto da un punto di vista normativo che giurisprudenziale, a tutto pregiudizio delle vittime della strada. A mio giudizio, un sistema di sanzioni appropriate al fenomeno in esame, per esplicare anche una funzione educativa sulla società civile nel suo complesso, deve incentrarsi in modo particolare sul concetto di effettività, che a sua volta presuppone il concetto di certezza e quello di tempestività della pena, nonché sulla tutela più assoluta della posizione della vittima, sotto un profilo personaleesistenziale, medico, psicologico, giudiziario e risarcitorio. In effetti, appare eticamente equo che il reo venga perseguito con una sanzione che venga effettivamente scontata e come tale eserciti sullo stesso una funzione non solo punitiva ma anche rieducativa: è certo preferibile una sanzione modesta concretamente espiata piuttosto che una sanzione altisonante che, con meccanismi procedurali o cavilli di vario genere, resti lettera morta, offendendo le vittime del fatto criminoso al punto da rivittimizzarle.

La certezza e l’effettività della sanzione determinano un effetto di prevenzione generale assolutamente benefico per tutta la società civile, contribuendo alla creazione di una cultura della sicurezza stradale, obiettivo da perseguire per intervenire efficacemente e risolutivamente sul problema, al pari del garantire alla vittima del fatto un adeguato ristoro dei danni subiti. È necessario quindi intervenire normativamente per assicurare al sistema sanzionatorio connotati di certezza ed effettività, che si realizzano anche mediante l’introduzione di tutta una serie di sanzioni specificamente mirate per la criminalità colposa connessa alla circolazione stradale, cui deve associarsi una forte vigilanza sulle strade ad opera delle forze di polizia. Il tema dell’effettività della risposta sanzionatoria dell’ordinamento giuridico ad una condotta illecita costituisce punto cruciale di ogni teoria generale del diritto e si arricchisce di una molteplicità di problematiche allorquando ci si ponga dall’angolo di visuale delle vittime di reati.

Le vittime che hanno subito gravi danni alla persona in incidenti stradali e i parenti delle vittime decedute, essi pure drammaticamente vittime di un evento così frequente e tragico nella nostra società contemporanea, percepiscono questo tema con esasperata sensibilità, giacché rilevano come la loro tragedia umana, che ha compromesso il bene fondamentale, la salute ovvero la vita di un congiunto, viene sovente assimilato nella percezione della società ad una questione burocratica, connotata da tempi giudiziari lunghissimi e da procedure risarcitorie aride e talvolta torbide, sempre inadeguate a fronte delle esigenze di solidarietà di cui è ansioso portatore chi ha perduto improvvisamente una persona cara. La frustrazione che consegue agli usuali patteggiamenti con cui si concludono i procedimenti per omicidio colposo, con irrogazione di pene esigue e oltretutto condizionalmente sospese, senza alcun risarcimento in sede penale ai parenti della vittima, che devono solitamente attivare interminabili procedimenti civili, genera in capo agli stessi una frustrazione tanto grave da costituire, come ben afferma la dottrina vittimologica, una “seconda vittimizzazione”(7).

Inoltre il colpevole si disinteressa completamente delle problematiche risarcitorie, gestite da compagnie assicuratrici che spesso trasformano l’evento luttuoso in una mera pratica burocratica e utilizzano ad arte procedure giudiziarie oltremodo lente, superate e ferraginose, con un effetto quindi di totale deresponsabilizzazione del criminale della strada. Il fatto è particolarmente grave ove si tenga conto che l’atteggiamento psicologico del criminale stradale è tale da integrare sovente la colpa cosciente, che consiste nella previsione del verificarsi dell’evento associata alla consapevolezza di poterlo evitare per capacità o attitudini proprie. In tali casi, il reato è aggravato a norma dell’art. 61 n. 3 c.p. e talvolta sfiora addirittura il reato doloso, connotato da dolo eventuale, che si ha allorquando l’agente pone in essere la condotta rappresentandosi le possibili conseguenze e accollandosi il rischio che esse si possano verificare. Tuttavia è un dato inoppugnabile quello per cui l’Autorità Giudiziaria liquida la criminalità colposa connessa alla circolazione stradale con trattamenti sanzionatori assai modesti, a differenza di quanto avviene per gli infortuni sul lavoro.

È necessario rivedere radicalmente la normativa sul punto, come peraltro previsto da numerosi disegni di legge di cui in seguito si dirà. Un profilo di effettiva valenza sanzionatoria nella materia che ci occupa è legato alla operatività delle sanzioni amministrative, già ampiamente presenti nel nostro codice della strada. Senza dubbio, il ritiro della patente costituisce la sanzione più specifica ed efficace a fronte delle violazioni al codice della strada, sia per la necessità pratica di disporre dell’autovettura, sia perché provoca un effetto sociale particolarmente utile alla luce di quanto in precedenza osservato, rendendo subito palese a familiari ed amici l’avvenuta violazione(8). Da un punto di vista criminologico, poi, tale sanzione colpisce il criminale inibendo o comunque ostacolando l’acting-out. De iure condendo, è interessante osservare come oltre alle sanzioni tradizionali si siano ipotizzate nuove pene, quali il ritiro programmato della patente (per esempio durante i fine-settimana o le vacanze) o il lavoro socialmente utile, che ben ricollega la trasgressione agli interessi della collettività particolarmente lesa dal comportamento del delinquente stradale(9)e potrebbe trovare modalità di svolgimento particolarmente significative nell’obbligo di assistere vittime della strada che hanno subito danni a persona di particolare rilievo.

Questa nuova tipologia di sanzioni potrebbe consentire una serie di effetti altamente positivi per la sua limpida valenza vittimologica, consistenti anzitutto in una corretta sensibilizzazione e comprensione della gravità degli effetti della condotta illecita perpetrata in danno alla vittima: infatti i giovani, nel porsi alla guida, talvolta vivono la sensazione irrealistica di giocare con un video-game, e non sono consapevoli dei gravi pericoli che conseguono a condotte spregiudicate, per la salute propria e altrui. La stessa condotta di guida si ispira piuttosto ad un’attività virtuale che ad una condotta concreta e altamente pericolosa. Si tratta di sanzioni alternative rispetto alle pene tradizionali, con una elevata potenzialità ad incidere sullo specifico fenomeno e che non possano essere vanificate dalla concessione della sospensione condizionale della pena; tale ultimo istituto opera solo per le pene in senso stretto, quindi pare opportuno fare leva soprattutto su sanzioni amministrative, da inserire nel corpo del codice della strada, che consentano un massimo utilizzo della sospensione della patente, articolabile anche nei soli fine-settimana, in modo da contrastare in modo diretto le cd. “stragi del sabato sera”, analogamente a quanto è avvenuto in Francia.

Come pure appare opportuno prevedere due sanzioni di tipo rieducativo, a contenuto altamente vittimologico, quali l’obbligo di prestare lavoro socialmente utile per la sicurezza stradale e l’obbligo di assistere le vittime della strada: un contatto diretto con gli effetti rovinosi dell’incoscienza nella guida può consentire una presa di coscienza della gravità di siffatte condotte, non scevra da positivi riflessi civili e giuridici. Inoltre un’attività assistenziale favorisce la riconciliazione tra il criminale e la vittima, anche allorquando non venga esplicata direttamente nei confronti della stessa bensì di altre e diverse vittime della strada. Ciò consente infatti al reo di comprendere la drammatica situazione umana in cui versa la vittima di gravi sinistri e di porsi nei confronti della stessa in termini sensibili e solidali, obiettivo questo che viene considerato di enorme rilevanza da tutti i criminologi al fine di riparare il danno da reato. Un tale triste status quo genera costellazioni di associazioni no-profit che si ribellano a tale logica e cercano di offrire ai parenti delle vittime solidarietà personale e sociale, ausili ed informazioni di natura medica, tecnica e legale, e cercano infine di promuovere modifiche normative verso una giustizia vera per le vittime, che passa attraverso una sanzione effettiva del responsabile e un effettivo, completo e sollecito risarcimento del danno.

Il problema fondamentale quindi è quello di tradurre in concreto e rendere operative le finalità della legge, a partire dalle norme sovranazionali e costituzionali che tutelano la vita, l’integrità fisica e la salute, evitando che possano rimanere lettera morta, ovvero pure petizioni di principio con esecuzione di fatto nulla o comunque limitata: solo in questo modo si rende giustizia alle vittime. È necessario un nuovo approccio nell’analisi al delicato problema della sicurezza e della criminalità colposa nella circolazione stradale, fondato su una imprescindibile valorizzazione del valore etico fondamentale del bene della vita, attribuendo finalmente centralità alla figura della vittima, utilizzando altresì categorie di natura sociologica, criminologica e vittimologica, che consentano una più precisa individuazione delle caratteristiche del criminale della strada, dei rapporti tra criminale e vittima e delle delicate problematiche di cui quest’ultima si fa portatrice: appare di tutta evidenza come la tematica del risarcimento del danno assuma rilevanza essenziale.

Solo attraverso un siffatto percorso gnoseologico, infatti, è possibile pervenire ad un sistema normativo, anche sanzionatorio, efficiente e adeguato, nonché ad una corretta prevenzione del fenomeno che insanguina le strade di tutti i paesi occidentali determinando decessi e lesioni gravi dal costo civile e sociale rilevantissimo. La sicurezza stradale costituisce peraltro un obiettivo “sistemico”, al cui raggiungimento devono contribuire numerose scienze umane, di natura sia tecnica, sia di natura medica e psicologica, sia infine di natura sociologica e giuridica. Se è vero infatti che, sotto un profilo penalistico dogmatico, la responsabilità del criminale colposo è meno grave di quella del criminale doloso, ciò nondimeno il primo è spesso più socialmente pericoloso, anche per la sua attitudine ad offendere vittime cd. “fungibili”, cioè orientato a porre in essere i suoi illeciti nei confronti di una pluralità indifferenziata di vittime, con un effetto “mina vagante”. Ne consegue che la risposta del nostro sistema penalistico all’accertata pericolosità sociale è l’irrogazione di misure di sicurezza, le cui finalità sono terapeutiche e rieducative, e possono avere una durata potenzialmente indefinita.

È però soprattutto sulle misure di sicurezza che bisogna fare leva al fine di sanzionare appropriatamente i pirati della strada, contrastando una certa crisi in cui lo stesso concetto di pericolosità sociale è da alcuni decenni purtroppo caduto: questa è la soluzione più efficace e perfettamente coerente col sistema con cui fronteggiare la criminalità colposa connessa alla circolazione stradale, specie sotto il profilo della sua effettività: una volta accertata la pericolosità sociale ad opera del giudice, infatti, l’irrogazione e la concreta applicazione della misura sono doverosi ed ineludibili. Peraltro, l’attuale stato normativo delle misure di sicurezza necessita di essere novellato e rivitalizzato, ma a fronte di una tipologia davvero arcaica e praticamente desueta (per es. in relazione all’istituto della colonia agricola), non appare certo troppo complicato individuare nuove modalità appropriate a fronteggiare il fenomeno della pirateria stradale, rivitalizzando un istituto ben presente nel nostro codice che tuttavia va cadendo in desuetudine. Indagando infatti sulla natura preventiva e terapeutica della misura di sicurezza, potrebbe essere interessante valutare la trasformazione in questa direzione della sanzione costituita dalla revoca o dalla sospensione della patente di guida, per periodi di tempo potenzialmente anche assai ampi e comunque condizionati all’effettivo recupero in capo al reo delle condizioni complessive necessarie per la titolarità di tale documento, che di fatto costituisce generalmente il presupposto per l’utilizzo degli autoveicoli.

Tuttavia, se è vero, come abbiamo cercato di dimostrare, che la criminalità della strada consegue essenzialmente ad un atteggiamento culturale negativo del conducente, diviene indispensabile che gli indirizzi di politica criminale godano di adeguata pubblicizzazione, al fine di influire sui modelli di condotta degli utenti della strada in senso evolutivo e responsabile. È fondamentale inoltre una effettiva applicazione delle norme, ed in tal senso è fondamentale il ruolo degli organi di polizia, il cd. “law enforcement”, perché senza vigilanza concreta ed efficace anche le normative più evolute restano lettera morta. Tuttavia la vera soluzione del problema non sta nella sola repressione bensì in una parallela opera di prevenzione che educhi i cittadini al rispetto dei diritti del prossimo e della persona. Decisivo, in tale contesto, finalizzato ad evidenziare i valori della sicurezza e del rispetto della vita in contrapposizione a quelli di morte, appare encomiabile la rilevanza sociale dell’operato delle Associazioni di tutela della vittime della strada.

Una educazione e formazione corretta e approfondita, associata ad un’appropriata attività di prevenzione e vigilanza, a sanzioni eque ed effettive a fronte delle violazioni e soprattutto alla tutela della vittima, da un punto di vista personale, giuridico e risarcitorio possono avvicinarci all’obiettivo fondamentale, la costituzione di un diritto della circolazione stradale incentrato sulla vittima, espressione di una cultura della sicurezza, che sola potrà portare alla risoluzione del problema delle tante vittime della circolazione stradale nella realtà contemporanea. Oltre alla rieducazione del reo, infatti, la creazione di una nuova cultura civile della sicurezza stradale impone un nuovo approccio educativo-informativo, perseguibile mediante una modifica dell’art. 230 del C.d.S., che imponga l’obbligo di istituire corsi sulla sicurezza stradale in ogni grado della scuola dell’obbligo, rivitalizzando la trita materia dell’educazione civica attraverso l’educazione stradale, che persegue il rispetto della vita e dell’integrità fisica del cittadino.

Il fenomeno è talmente grave che dovrebbe logicamente occupare una centralità assoluta nella attenzione delle Autorità Istituzionali, giacché genera, nonostante i sensibili miglioramenti della qualità e tempestività dei soccorsi, circa 300.000 feriti di cui 20.000 disabili gravi ogni anno, e circa 9.000 morti, con costi sociali enormi, stimati in non meno di 42.000 miliardi di vecchie lire, molti dei quali solo per indennizzi erogati da assicurazioni per danni a persona. Le sofferenze delle vittime della strada, i riflessi sotto il profilo dei postumi invalidanti e delle inabilità temporanee, che incidono fortemente anche sulle occupazioni professionali e sulle esigenze produttive, le conseguenze di natura psicologica e i danni morali riportati in occasione di gravi sinistri con morti e feriti, rendono l’infortunistica stradale letale al pari di una guerra civile, al punto che ogni fine settimana diviene una battaglia dalle infauste conseguenze. Si aggiunga poi il contenzioso risarcitorio che si apre tra infortunati e assicurazioni, che ha costi, in termini finanziari e di risorse sociali e giudiziarie, a dir poco rilevantissimi e sovente frustra la vittima in conseguenza dell’inadeguato sistema che connota l’ordinamento giuridico italiano in materia di danno a persona.

La Giurisprudenza del Supremo Collegio e della Corte Costituzionale vanno faticosamente tentando di offrire risposte più soddisfacenti alle domande delle vittime (cfr. le sentenze nn. 7281, 7282 e 7283 del 2003 e 8827-8828 del 2003 della Cassazione; la sentenza n. 233 del 2003 della Corte Costituzionale). Lo sforzo interpretativo del Supremo Collegio in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale appare assolutamente rilevante sul tema che ci occupa: da un lato, infatti, con la prima triade di sentenze la Corte di Cassazione ha affermato che il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore del danno non osta, qualora la colpa debba presumersi in base a norme di legge (per es. art. 2054 c.c., nel caso di responsabilità colposa connessa alla circolazione stradale), alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p. e se, ricorrendo la colpa, il fatto è qualificabile come reato; dall’altro, con la coppia di più recenti sentenze, la Cassazione ha precisato una interpretazione costituzionalmente orientata della riserva di legge ex art. 2059 c.c., per cui il limite alla risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge non opera se la lesione riguarda interessi costituzionalmente garantiti.

Ciò implica, quale conseguenza logica necessaria, una ricostruzione della tutela risarcitoria della persona su base bipolare, costituita dal danno patrimoniale da un lato e a danno non patrimoniale dall’altro: nel primo rientra il danno alla capacità lavorativa specifica, e i riflessi patrimoniali negativi per danno emergente e lucro cessante conseguenti alla lesione alla salute.; nel secondo, invece, rientra il danno biologico in senso stretto (come delineato dalla Corte Cost. 356/91), il danno morale in senso soggettivo e i pregiudizi diversi ed ulteriori, in cui si ritiene debba essere ricompreso anche il danno esistenziale, cioè il pregiudizio alla qualità della vita conseguente all’illecito colposo. Tuttavia, fintantoché il danno biologico avrà un trattamento risarcitorio disomogeneo sul territorio nazionale, in assenza di tabellazione unica(10), la valutazione del danno non patrimoniale perverrà a criteri consolidati, anche in relazione al danno esistenziale, consistente nel degrado della qualità della vita conseguente al sinistro (sistematicamente negato in sede di transazioni con le imprese assicurative), da ultimo, non saranno introdotte parallele riforme processuali, il diritto al risarcimento in favore delle vittime della strada costituisce pura utopia.

Il disegno di legge n. 1885 della Camera dei Deputati, presentato il 30 ottobre 2001 dall’On. Misuraca, promosso dalla Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada, prevede sensibili inasprimenti di pena per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose connessi alla circolazione stradale, nonchè corsie privilegiate per una rapida trattazione dei relativi procedimenti penali. Lo stesso è stato peraltro assorbito nella proposta di legge 521 C della Camera dei Deputati, nel testo unificato dall’On. Perlini, che in estrema sintesi ha previsto: - l’inasprimento della sanzione amministrativa della sospensione della patente, nei casi di omicidio colposo (da due a sei anni), e di lesioni gravi o gravissime (da uno a tre anni); - l’aumento delle pene edittali nei casi di omicidio colposo connesso con la circolazione stradale (da tre a sette anni), di lesioni gravi (da sei mesi a un anno) e di lesioni gravissime (da due a cinque anni); - l’accelerazione delle cause civili in materia di risarcimento da incidenti stradali, con il divieto delle udienze di mero rinvio e con il limite massimo di due mesi per i rinvii tra udienze di trattazione; - l’abbreviazione dei termini delle indagini preliminari, limitate a tre mesi, prorogabili sino ad un massimo di dieci, con obbligo di emissione del decreto di citazione entro 30 giorni dalla chiusura delle indagini e di fissazione dell’udienza di comparizione entro 90 giorni dall’emissione del decreto; - la possibilità del giudice civile e di quello penale di liquidare, oltre ai casi previsti dall’art. 24 della l. 990/69, provvisionali esecutive di ammontare tra il 30 e il 50% dell’entità presumibile del risarcimento complessivo; - l’obbligo di irrogare, in caso di condanna per reati connessi con la circolazione stradale, la sanzione accessoria del lavoro di pubblica utilità.

Si tratta di riforme lodevolissime, seppur certamente perfettibili; tuttavia, nonostante le legittime pressioni da parte delle associazioni di tutela delle vittime, non se ne intravedono i tempi di approvazione parlamentare, che invece sarebbero urgentissimi, attese le proporzioni e la gravità del fenomeno. Le vittime, nel loro dolore e nello sconforto legato alla disattenzione riservata loro dalle istituzioni, attendono, ormai da anni ma non più senza far udire la propria voce, che l’ordinamento giuridico adotti le innovazioni che rispettino i diritti civili e le istanze etiche di cui esse si fanno portatrici: sarà vana speranza?


(*) - Avvocato. Cultore di Antropologia Criminale presso l’Università di Trieste.
(1) - Sentenza 11 aprile 1997 n. 95, Cass. pen. 1997, n. 2401.
(2) - CORDERO, Procedura Penale, pag. 413.
(3) - D. PULITANÒ, Chiusura delle indagini preliminari archiviazione ed esercizio dell’azione penale. Udienza preliminare imputato e indagato, in AA.VV., Lezioni sul nuovo processo penale, Giuffrè, 1990, pag. 112).
(4) - In tal senso, cfr. per tutti: A. BERNARDI, in Commento Chiavario, vol. IV, pag. 542.
(5) - Legge 29 ottobre 1990 n. 302, (legge 23 novembre 1998 n. 407), dell’usura (legge 7 marzo 1996 n. 108) e delle estorsioni (legge 23 febbraio 1999 n. 44).
(6) - Cfr.: D. RIPONTI, Criminalità colposa e circolazione stradale: l’effettività della sanzione tra applicazione e aumenti di pena, in RASSEGNA DELL’ARMA DEI CARABINIERI, 2002, n. 2, pagg. 25 ss.
(7) - Cfr.: M.M. CORRERA, D. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, Cedam, Padova, 1990, pagg. 62 ss.; cfr. anche: M.M. CORRERA, P. MARTUCCI, Elementi di Criminologia, Cedam, Padova, 1999, pagg. 325 ss.
(8) - W. MIDDENDORF, Criminological Aspects of road traffic offences, Council of Europe, Strasbourg, 1968.
(9) - Cfr.: M.M. CORRERA, P. MARTUCCI, C. PUTIGNANO, La criminalità colposa del traffico stradale, CEDAM, Padova, 1996.
(10) - Certo non può dirsi tale, se non in termini limitati alle microinvalidità, il D.M. 3 luglio 2003 del Ministero della Salute, in attuazione dell’art. 5 della legge 57/2001, mentre preoccupa alquanto il progetto di predisporre una rigorosa tabellazione dei danni a persona implicanti invalidità dal 10 al 100% di cui all’art. 23 c. 4 della legge 273/2002: specie per i danni rilevanti, il rifiuto di una personalizzazione dell’accertamento del danno biologico ad opera del medico-legale, in favore di un criterio meccanicistico-attuariale pare una stortura concettuale destinata a generare orrori inaccettabili sotto il profilo risarcitorio.