8. Il terzo nel procedimento di prevenzione e nei provvedimenti interdittivi e decadenziali

I poteri di indagine del Procuratore della Repubblica e del Questore si estendono anche nei confronti del coniuge, dei figli, dei conviventi nell’ultimo quinquennio ed inoltre nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, associazioni ed enti del cui patrimonio le persone indicate dall’art. 2 bis, comma 1, L. 575/65, risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente. La norma, certamente innovativa, consente qualsiasi tipo di investigazione sul conto dell’indiziato e del prestanome, e mira a frustrare gli espedienti interpositivi praticati dalla criminalità. In definitiva, con l’utilizzo di tali strumenti, è possibile procedere ad una completa ricostruzione storica del fluttuare e del modificarsi del patrimonio di soggetti e imprese e quantificare, altresì, gli investimenti.

Va, però, puntualizzato che l’accertamento deve comunque dirigersi verso l’indiziato, l’unico ad essere coinvolto personalmente nella procedura. E difatti, la stessa previsione di un’efficacia nei confronti dei terzi delle misure patrimoniali suddette - anch’essa riferibile alle indicazioni della Commissione Parlamentare antimafia - trova il proprio fondamento logico nella constatazione che un tratto caratteristico e ricorrente del modello comportamentale del soggetto mafioso o, in genere, socialmente pericoloso, è costituito dalla intestazione fittizia dei propri beni a terzi, finalizzata sia a svuotare di contenuto probatorio i sospetti dell’Autorità su anomali arricchimenti sia a sottrarre a questa ed ai suoi eventuali provvedimenti restrittivi il patrimonio, ricavato dalle attività illecite o destinate ad esse(179). La fondatezza della norma va ricercata nel riconoscimento del fatto che le cosiddette imprese mafiose hanno intessuto rapporti economici con realtà nazionali ed estere, affinando le proprie capacità e ridistribuendo ingenti capitali.

Sarebbe quindi non proficua una indagine limitata al singolo individuo, che offrirebbe una visuale ristretta della realtà effettiva. Tutto ciò va messo in sistema con la constatazione che mai i beni della mafia vengono immobilizzati o tesaurizzati, ma vengono sempre reinvestiti in attività lecite o paralecite. Prima di affrontare la problematica dell’ingerenza delle misure nella sfera dei terzi, occorre chiarire se la confisca abbia natura essenzialmente preventiva. A rigore non occorre travolgere i diritti dei terzi sul bene, ma è sufficiente impedire che il prevenuto commetta con esso una serie di reati, separandolo dallo stesso. Tuttavia, tale orientamento potrebbe non apparire condivisibile, in quanto la confisca non presuppone la pericolosità né del bene né del soggetto, tanto da difettare di quel carattere preventivo tipico delle misure di sicurezza. Se al provvedimento di confisca si attribuisce, invece, natura sanzionatoria, qualsiasi diritto del terzo, diverso dalla proprietà, verrà travolto dall’acquisto da parte dello Stato, anche se sorto prima della misura di prevenzione.

Al di là di tali considerazioni, si può ora esaminare la normativa vigente che, innanzitutto, per evitare che la disciplina in materia di prevenzione venga elusa, stabilisce che chiunque trasferisca fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di beni al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di tali misure patrimoniali, è punito con la reclusione da due a sei anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato (art.12 quinquies, comma 1 L.356/92). La fattispecie richiede che il soggetto attivo risulti avere la disponibilità del bene e sia assoggettato a procedimento preventivo. Il precetto, che è di natura monosoggettiva, presuppone evidentemente la condotta criminosa del terzo prestanome, che prima poteva essere punito ex art.12 quinquies, 2° comma, e oggi può incorrere invece nei rigori dell’art.12 sexies, se ne ricorrano gli estremi(180).

L’art.2 bis pone il problema di individuare chi siano realmente i terzi cui si fa riferimento; innanzitutto si potrebbe affermare che la legge abbia una pura valenza processuale e serva a consentire la chiamata del terzo; per il resto, la normativa concentrerebbe il proprio interesse sul concetto di disponibilità del bene che, se risulta da indizi sufficienti insieme al presupposto dell’appartenenza ad associazione mafiosa, giustifica l’applicazione della misura preventiva. Se, invece, si ritiene che la norma abbia una valenza sostanziale, occorre identificare il concetto di terzo, in quanto gli effetti delle misure preventive si atteggiano diversamente a seconda che questi sia titolare di un diritto di proprietà, di un diritto reale di godimento sul bene o di credito. Il terzo proprietario o titolare di un diritto di godimento sul bene viene comunque salvaguardato, salvo la prova che il bene stesso sia nella realtà del prevenuto ed abbia origine illecita. Questi ultimi profili, per quanto interessanti sul piano dottrinale, non verranno ulteriormente approfonditi perché esulano dalle finalità del presente lavoro, non coinvolgendo direttamente gli operatori di polizia e gli organismi che in genere si occupano delle attività connesse all’accertamento dei presupposti per l’irrogazione delle misure di prevenzione patrimoniali(181).

Per ciò che concerne la tutela dei creditori, ci limitiamo a rilevare che la ratio della confisca, consistente nel sottrarre al mafioso quei beni di provenienza illecita che, utilizzati da costui, possano provocare ulteriore danno, non esclude l’ammissibilità di tale tutela(182). Riguardo, invece, all’influenza degli stessi accertamenti nella sfera giuridica dei terzi, occorre fare una distinzione tra i soggetti indicati dall’art. 2 bis, comma 3, L. 575/65, finora esaminati, e quelli previsti dall’art. 10 comma 4 della stessa legge. Quest’ultima sancisce che “Il tribunale dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva(183) con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni(184)”. Gli istituti interdittivi e decadenziali sono diffusamente illustrati nel capitolo relativo agli effetti sanzionatori dei provvedimenti preventivi.

Occorre soltanto annotare che, sebbene le indagini siano strumentali anche all’adozione di tali misure, non vi è perfetta coincidenza tra i soggetti menzionati dalle due norme. Difatti, mentre l’art. 2 bis comprende coloro che hanno convissuto nell’ultimo quinquennio con i soggetti elencati nel primo comma, nonché i coniugi e i figli, l’art. 10 esclude i non conviventi. Altra peculiarità rileva dalla circostanza che i provvedimenti patrimoniali o amministrativi possono essere adottati persino nei confronti di soggetti non sottoponibili ad indagini, indicati nell’art. 18 L. 152/75 e nell’art. 1 n. 1 e 2 L. 1423/56. Nessun problema particolare sembra invece rinvenirsi in ordine alla individuazione dei soggetti destinatari delle misure in esame che, come si è visto, vengono chiaramente indicati dalla legge. Qualche questione nasce, invero, per la presenza della categoria dei conviventi, che non possono essere intesi generalmente come tutti coloro che condividono con l’interessato l’abitazione, con esclusione solo dei coabitanti meramente occasionali derivanti da rapporti di ospitalità.

Si deve piuttosto trattare soltanto di coloro che contribuiscono con il prevenuto a mettere in comune il reddito da lavoro o parte di esso e, sembra opportuno, si deve trattare anche di soggetti che contribuiscono a determinare quella situazione di pericolosità per la quale si ritiene di applicare le misure in esame. Inoltre, riguardo ad essi, l’interdizione opera automaticamente, presumendosi la pericolosità, anche se è osservato il contraddittorio. I divieti e le decadenze menzionate dalla norma sono quelle introdotte dal legislatore per far fronte alla forte influenza esercitata dalla criminalità organizzata nella realtà imprenditoriale(185). Spesso, infatti, l’imprenditoria si trova a dover fare i conti con le pressioni esercitate dalla criminalità, particolarmente evidente nelle gare d’appalto. Per impedire in via preventiva che i soggetti privi di requisiti possano accedere a provvedimenti amministrativi favorevoli o che li conservino anche dopo aver perso le condizioni necessarie, il legislatore ha introdotto le misure interdittive. Tali misure esplicano i loro effetti nell’ambito dell’ordinamento amministrativo, quali espressioni di supremazia speciale che compete all’amministrazione nel corso del rapporto di autorizzazione o concessione.

A tal fine la legge attribuisce particolare importanza al provvedimento definitivo che applica la misura della sorveglianza speciale di P.S., semplice o qualificata, e sulla base di esso attiva tutti gli organi pubblici interessati affinché diano attuazione alle misure interdittive e decadenziali previste dalla normativa. Il D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modifiche dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, integrando con il comma 5 bis il citato art. 10 della legge 575/1965, ha ulteriormente rafforzato il novero delle preclusioni e delle interdizioni tratteggiate, disponendo che, salvo i casi di semplice rinnovo, l’emanazione dei provvedimenti innanzi esaminati e la stipulazione dei contratti con la P.A. da parte di soggetti sottoposti a procedimenti di prevenzione, non può essere consentita senza preventiva comunicazione all’Autorità Giudiziaria, la quale può disporre opportuni divieti o sospensioni. All’uopo, i relativi procedimenti sono ipso jure congelati fino a quando il giudice non provvede e comunque per un periodo non superiore a venti giorni dalla data in cui la P.A. ha proceduto alla comunicazione.

È evidente l’anticipazione temporale dell’intervento preventivo giurisdizionale, caratterizzato dalla possibilità di coartare qualunque tipo di iniziativa economico-imprenditoriale sulla base del solo presupposto dell’ipotetica appartenenza ad un’associazione mafiosa. L’area coperta non riguarda più, quindi, i classici comportamenti ante delictum, così come concepiti dal legislatore del 1956 e del 1965, ma impinge su atteggiamenti che, del tutto pregiudizialmente si teme abbiano matrice mafiosa(186). Detto arretramento della soglia del controllo preventivo è compensato dalla valvola di sfogo in forza della quale, decorso un certo periodo di tempo (venti giorni) dalla comunicazione dell’autorità amministrativa a quella giurisdizionale, l’interessato può intraprendere l’attività economica ripromessa, senza essere vincolato da un’ulteriore attesa dell’espresso pronunciamento del giudice competente. Ne deriva la spericolata traslazione in ambito giudiziario di un istituto tipicamente amministrativo, come quello del silenzio assenso, surrettiziamente riproposto proprio in un settore di confine qual’è quello delle misure di prevenzione(187).

È bene precisare, comunque, che siccome in tali casi la sottoposizione a misura preventiva costituisce il presupposto per l’adozione di un provvedimento di divieto e decadenza, operano, per quanto concerne quest’ultima, gli stessi limiti temporali della misura di prevenzione, con la conseguenza che devono ritenersi illegittimi i provvedimenti adottati allorché la misura di prevenzione che ne costituiva il presupposto abbia già esaurito i suoi effetti(188). In un quadro così delineato, con il coinvolgimento dei terzi, la legge vuole colpire il prevenuto oltre che come intestatario anche come dominus delle attività a lui ricollegabili, immobilizzando anche il nucleo di soggetti che gli ruota intorno ed estendendo l’operatività della norma finanche ai conviventi. Ciò comporta la legittimità della decadenza del diritto a carico dei familiari anche con riguardo agli atti emanati prima della decadenza a carico del sottoposto a misura di prevenzione. È stato in merito superato, con l’art.3, comma quarto, legge 55/90, l’orientamento secondo il quale ciò non era consentito(189), se non nei casi in cui l’Amministrazione avesse verificato elementi precisi di sospetto di partecipazione all’attività della persona pericolosa.

Per stabilire invece quando ricorrono i presupposti per estendere le misure in questione alle società, imprese, etc., occorre aver riguardo, oltre all’eventuale carica ricoperta nella loro organizzazione, anche alla reale funzione esercitata dal soggetto nell’ambito della struttura sociale, imprenditoriale o consortile per cogliere l’eventuale influenza dominante, in grado di condizionare pesantemente le scelte della persona giuridica. Comunque, la sanzione consistente nella decadenza di diritto delle licenze, concessioni etc. è talmente grave che non può non essere espressamente prevista dalla legge; pertanto il venir meno, in capo al legale rappresentante di una società, del requisito consistente nell’assenza di misure di prevenzione, comporta l’apertura del procedimento di cancellazione dell’interessato dal registro camerale, non anche l’automatica cancellazione della società, potendo questa provvedere a regolarizzare tempestivamente la propria posizione con legali rappresentanti provvisti dei prescritti requisiti(190).

Approfondimenti

(179) - VII Legislatura, Proposta 3358, in Atti Parlamentari, 137.
(180) - IANNIZZOTTO, Mafia e Antimafia nella legislazione italiana, 1995, 296.
(181) -Per un approfondimento dell’argomento, cfr.: MONTELEONE, Effetti ultra partes delle misure patrimoniali antimafia, in RIV. TRIM. DIR. PROC. CIV., 1988, 576.
(182) -Se, però, si ammette la natura originaria dell’acquisto da parte dello Stato, si ricava, conseguenzialmente, che tutti i diritti dei creditori vengono travolti.
(183) -Per incidens, va sottolineata l’importanza della normativa di cui trattasi dal punto di vista del riconoscimento, pur se con effetti nella specie negativi, dell’equiparazione della famiglia di fatto, anche non accompagnata dalla procreazione, a quella legale. Quanto all’estensione degli effetti decadenziali, va precisato che il terzo comma, art. 10, L. 31 maggio 1965, n. 575, nel disporre la revoca di diritto dei provvedimenti amministrativi rilasciati ai familiari o ai conviventi di soggetti colpiti da misure di prevenzione, presuppone la misura caducatoria già prevista dal 1° comma nei confronti di questi ultimi; di conseguenza, il divieto di rilascio e la revoca di diritto operano soltanto con riferimento ai familiari e conviventi i quali richiedano il rilascio di quegli stessi provvedimenti abilitativi intestati al soggetto (familiare o convivente) nei cui confronti si sia già verificata la decadenza (T.A.R. Sicilia, 3 marzo 1986, n. 282, in FORO AMM., 1986, 2550).
(184) - Cons. giust. amm. Ssc., 23 febbraio 1987, n. 31, in CONS. STATO, 1987, I, 237, secondo cui alla luce della espressa previsione di limiti temporali degli effetti delle misure di prevenzione per soggetti terzi, deve concludersi che “per le persone direttamente colpite da tali misure, viene contemplata una situazione giuridica caratterizzata da effetti permanenti che si riflettono sullo status giuridico della persona senza alcuna limitazione di carattere temporale”. Contra, però, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent.19.7.1988, n.7, in FORO IT., 1989, III, 71, nota Caruso), la quale ha osservato che gli effetti preclusivi e decadenziali indotti dall’applicazione di una misura di prevenzione personale non hanno carattere ultrattivo, né tanto meno perpetuo, dovendo cessare automaticamente in coincidenza con lo spirare dell’efficacia della misura personale presupposta.
(185) -Sulla natura delle misure inibitorio-interdittive, CARINGELLA, in Atti del Convegno di Bari, 14-16 febbraio 1997. Le misure di prevenzione patrimoniali. Teoria e prassi applicativa. Inediti. Egli cita sia la tesi di chi ne sostiene la natura sanzionatoria, sia l’opinione di coloro per i quali si tratta di un effetto amministrativo delle misure di prevenzione personali.
(186) -CURI, Commento all’art 3 della legge 55/1990, in LEG. PEN., 1991
(187) -CURI, op. cit, pag. 403.
(188) -Cons. Stato, a. plen., 18.7.1988 n.7, in CONS. STATO, 1988, I, 793.
(189) -T.A.R. Campania, Sez. III, Napoli, 22.5.1986, FORO AMM., 1986, 2292.
(190) - Cons. Giust. amm. sic., 23.2.1987, in CONS. STATO, 1987, I, 234.