2. La definizione dei sodalizi

La legge 575, primo tassello di prevenzione antimafia, rimanda alla normativa generale per quanto concerne le misure di prevenzione personali, di cui essa prevede l’applicazione ai soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso (art. 1): la conseguenza che risalta per prima è quella che le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali sedimentate nel tempo, in relazione alla prevenzione generale, esprimono valenza anche riguardo alla prevenzione qualificata. La norma pone anzitutto dei problemi di direzione applicativa. Difatti, dalla lettera della norma, si individua la qualità del gravame richiesto, quello di indizio, e la categorizzazione dell’appartenenza, allorché viene indicata la tipologia di sodalizio, cui la stessa si indirizza. All’atto della emanazione della legge si assistette, con non poche difficoltà di prima applicazione, alla singolare ipotesi della indicazione del fenomeno da perseguire, senza che dello stesso si avesse una compiuta definizione. Difatti, la originale enunciazione della norma si limitava a prevedere la sua applicazione per gli “indiziati di appartenere ad associazioni mafiose”.

Nel tentativo di fornirne un’interpretazione, vi erano stati, in questa direzione, esclusivamente dei tentativi, operati più nell’ambito delle discipline storica e sociologica, che non nell’ambito della dottrina giuridica(76). Di fatto, si poteva procedere all’applicazione delle misure esclusivamente sulla base di un sospetto del sospetto, senza un ancoraggio di certezza minima(77). Il problema trovò superamento solo molti anni dopo, con la legge Rognoni-La Torre che, nell’introdurre l’art. 416 bis del c.p., provvedeva a fornire una definizione della delinquenza mafiosa(78). Con la stessa legge, all’art. 13, si provvedeva, infatti, ad un aggiustamento del tiro, stabilendosi che la stessa trovava applicazione nei confronti degli “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.

Si è pervenuti, quindi, alla netta definizione di un fenomeno, tanto più avvertita in sede penale, per adeguarne il contrasto, quanto più la sua spiegazio ne veniva trattata in consessi di altro tipo (letterario, sociologico, economico), che, per quanto apprezzabili, non riuscivano da soli a strutturare degli argini operativi per abbattere il fenomeno. Ed è altrettanto chiaro che la nuova definizione suggellata dall’art. 416 bis non riesce forse da sola a ricomprendere un fenomeno assai complesso come la mafia, che è una struttura criminale e delinquenziale, o meglio un insieme di organizzazioni, dotata di una particolare caratura politica: della capacità, cioè, di radicarsi in un territorio, di disporre di ingenti risorse economiche, di esercitare forme di controllo su porzioni crescenti della società locale, imponendosi con l’utilizzazione di un apparato militare(79).

Carattere fondamentale di tale forma di criminalità è sempre la disponibilità all’esercizio della violenza, sulla cui industria si basano processi di accumulazione economica e di mobilità sociale, che altrove sono incanalati in forme legittime di competizione e di mercato e di conflitto sociale. In tale contesto, la violenza viene utilizzata dai mafiosi per controllare risorse economiche, esercitare una diffusa egemonia sociale, presentarsi, quindi, sul mercato politico sia come forza sociale autonoma e specifica, sia come dispensatori di consenso elettorale, ottenendone un ulteriore rafforzamento. La dottrina ha poi sottolineato che la nozione di associazione mafiosa deve essere svincolata dalla sua matrice storico-geografica e riferita ormai ad ogni raggruppamento di persone che, con mezzi criminosi, si proponga come fine quello di assumere o mantenere il controllo di zone, gruppi o attività produttive, attraverso l’intimidazione sistematica e l’infiltrazione di propri membri, in modo da creare una situazione di assoggettamento e di omertà che rende impossibili o altamente difficili le normali forme di intervento dello Stato(80).

La giurisprudenza ha confermato l’interpretazione asserendo che: “la nozione di associazione mafiosa deve essere svincolata dalla sua matrice storico-geografica, in quanto il fenomeno investe da tempo tutto il territorio nazionale ed è individuabile attraverso caratteristiche proprie. Pertanto, per essa, deve intendersi ogni sodalizio di più persone che opera assumendo o mantenendo il controllo di attività economiche, attraverso l’intimidazione sistematica in modo da creare una situazione di assoggettamento e di omertà che renda impossibili o particolarmente difficili le normali forme di intervento punitivo dello Stato(81)”. Difatti “…non occorre che l’associazione debba avere origine mafiosa o essere ispirata o collegata necessariamente alla mafia: l’espressione legislativa significa soltanto “modello mafioso” come la camorra, o qualunque altra associazione, comunque localmente denominata, caratterizzata da metodi di intimidazione, di omertà e di sudditanza psicologica per via dell’uso sistematico della violenza fisica o morale in settori della vita socio-economica (82)”.

Approfondimenti

(76) - Per una attenta interpretazione storica del fenomeno mafioso, in connessione, specialmente, con le problematiche della questione meridionale, cfr.: HOBSBAWM, I ribelli,Forme primitive di rivolta sociale, Einaudi, Torino, 2002, pagg. 41-74.
(77) - TAGLIARINI, Le misure di prevenzione contro la mafia, in AA.VV., Le misure di prevenzione, Milano, Atti del Convegno di Alghero, 1975, pag. 373.
(78) - La definizione di mafia è fornita dal comma 3 dell’art. 416 bis c.p.: “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero, al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.
(79) - PEZZINO, Mafia, stato e società nella Sicilia contemporanea: secolo XIX e XX, in AA.VV., La mafia, le mafie, a cura di FIANDACA - COSTANTINO, Laterza, 1994, pag.10. (80) - MOLINARI - PAPADIA, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale e nelle leggi antimafia, Giuffrè, 1994, pag. 361.
(81) - Cass. Pen., Sez. I, 11 aprile 1983.
(82) - Cass. Pen., Sez. VI, 12 giugno 1984.