Capitolo XVI - Il rapporto di servizio e disciplinare

1. Generalità sul rapporto di servizio

Con “rapporto di servizio” si intende normalmente la relazione intercorrente tra lo Stato e le persone fisiche che operano nei rispettivi apparati. Nell’ambito del pubblico impiego la nozione ha progressivamente perso la sua funzione identificativa, a causa della trasformazione dello stesso rapporto di pubblico impiego in rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, quindi all’attrazione di questo settore lavorativo alle regole del diritto comune(1). Per quel che riguarda i militari la situazione invece non è cambiata e il rapporto di servizio, obbligatorio o volontario, svolge ancora la sua funzione identificativa della relazione tra militari e rispettiva amministrazione di appartenenza.

Per i volontari abbiamo visto come si possa descrivere una situazione giuridica di rapporto di impiego, speciale in molti suoi aspetti, che costituisce l’involucro esterno in cui si sviluppa il rapporto di servizio militare vero e proprio, comune anche a coloro che lo assolvono obbligatoriamente. La normativa di reclutamento, stato giuridico ed avanzamento disciplina i momenti significativi di questo rapporto di impiego militare: la sua costituzione, le vicende modificative, in cui assume particolare rilevanza l’avanzamento, per la stessa struttura gerarchica piramidale dell’organizzazione militare, e le vicende estintive. I contenuti di questo rapporto sono propriamente espressi dal rapporto di servizio e in particolar modo dal rapporto disciplinare. Questa interpretazione del rapporto di servizio è stata anche recentemente avvallata dalla Corte costituzionale che, con sentenza n. 449 del 1999, ha ritenuto prevalente il rapporto di servizio dei militari rispetto al rapporto di impiego.

La Corte, infatti, pur affermando che sia fuori discussione il riconoscimento ai singoli militari dei diritti fondamentali, che loro competono al pari degli altri cittadini della Repubblica, aggiunge che in questa materia non si deve considerare soltanto il rapporto di impiego del militare con la sua amministrazione e, quindi, l’insieme dei diritti e dei doveri che lo contraddistinguono e delle garanzie (anche di ordine giurisdizionale) apprestate dall’ordinamento. In questa materia, secondo la Corte, rileva nel suo carattere assorbente il servizio reso in un ambito speciale come quello militare (art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione). Per tale motivo, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8, l. n. 382/1978 nella parte in cui vieta al militare di costituire od aderire ad associazioni sindacali, quindi la piena equiparazione del rapporto di impiego dei militari con il rapporto di lavoro degli altri pubblici dipendenti, aprirebbe inevitabilmente la via a organizzazioni la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione interna e neutralità dell’ordinamento militare. Il concetto di rapporto di servizio in ambito militare vede riconfermata la sua funzione identificativa delle relazioni tra i soggetti appartenenti alle Forze armate e lo Stato, con la particolarità che il rapporto di servizio de quo è principalmente un rapporto disciplinare.

La disciplina militare ha da sempre rappresentato i concreti contenuti del servizio militare, costituito appunto dalle regole disciplinari che attenevano ad ogni singolo aspetto delle vita del militare all’interno dei vari corpi. La disciplina militare riguardava tutto: i doveri fondamentali, le norme di comportamento, le relazioni gerarchiche, gli orari e i turni di servizio, lo svolgimento dello stesso, i periodi di assenza autorizzati (libera uscita, pernottamenti all’esterno delle caserme, permessi, licenze), le sanzioni conseguenti alle infrazioni alle stesse regole disciplinari. Con il tempo il rapporto di servizio dei militari si è arricchito dei contenuti derivanti delle procedure di concertazione, che hanno sottratto alla disciplina militare alcuni importanti ambiti del servizio (orari e turni di servizio, licenze ed altro ancora). Il rapporto di servizio dei militari non è più, quindi, una esclusiva questione disciplinare, anche se gran parte delle relazioni che legano il militare alla sua amministrazione sono attinenti alla disciplina militare. È perciò opportuno procedere all’illustrazione delle regole della disciplina militare che, ancor oggi, compongono in modo preponderante il contenuto del rapporto di impiego militare, per poi analizzare, in altra sede, le innovazioni introdotte dalla concertazione e trattare delle eventuali conseguenze sanzionatorie disciplinari in apposito capitolo, con l’avvertenza che non verrà illustrato nella sua completezza il diritto disciplinare militare che costituisce una particolare branca dell’ordinamento militare(2).

2. I doveri della disciplina militare

La disciplina militare è l’insieme dei doveri del militare e reca i limiti all’esercizio di alcuni diritti fondamentali riconosciuti a tutti i cittadini. Le principali regole della disciplina militare sono contenute nella l. 11 luglio 1978, n. 382, recante norme di principio sulla disciplina militare, e nel Regolamento di disciplina militare (R.D.M.), approvato con d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545. Il Regolamento elenca e dettaglia tutti i doveri del militare, suddividendoli in fondamentali, generali, propri dei superiori, riguardanti gli inferiori, relativi al comportamento individuale ed al servizio. La disciplina militare è connaturata all’organizzazione gerarchica delle Forze armate, dove i rapporti intersoggettivi si basano sulla subordinazione (e sulla correlativa sovraordinazione) identificata dal grado gerarchico rivestito da ogni appartenente all’istituzione. Gerarchia e subordinazione costituiscono i due aspetti, rispettivamente oggettivo e soggettivo, della disciplina militare e fondano il dovere di obbedienza di ogni singolo militare. L’obbedienza del militare consiste nell’esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina(3).

In questo contesto l’ordine gerarchico militare, rappresenta il principale strumento di concretizzazione dei doveri, attinenti al rapporto di servizio e disciplinare, indicati dal superiore gerarchico e per tale motivo riceve espressa tutela anche penale (militare). Il rapporto di servizio e disciplinare non si riduce però esclusivamente all’esecuzione di ordini gerarchici, perché nella moderna evoluzione degli ordinamenti militari la disciplina è innanzitutto osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali affidati alle Forze armate(4). In questo senso, è significativa l’indicazione normativa della l. n. 382/1978 la quale, all’art. 4, 1° comma, stabilisce che l’assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane costituisce il fondamento dei doveri del militare. Fedeltà consacrata dal dovere di prestare il giuramento secondo la formula dettata dall’art. 2, l. n. 382/1978, in attuazione del disposto costituzionale di cui all’art. 54 Cost.

L’adempimento dei doveri attinenti al giuramento rappresenta il nucleo essenziale della disciplina militare, impegnando solennemente il militare alla fedeltà, all’osservanza dell’ordinamento giuridico statale (ormai pienamente sovraordinato all’ordinamento militare), all’assolvimento, con disciplina ed onore, di tutti i doveri connessi con lo stato di militare per la difesa della Patria e l’adempimento dei compiti istituzionali(5). L’importanza dei doveri attinenti al giuramento rileva soprattutto nel momento patologico dell’inadempimento da parte del militare, le cui conseguenze sanzionatorie sono radicali e comportano la stessa perdita del grado per rimozione, con relativa cessazione dal servizio permanente(6). I doveri connessi, poi, con lo stato di militare derivano innanzitutto dal grado gerarchico rivestito, per il quale sono fissati i doveri attinenti alla dipendenza gerarchica e, anche al di fuori del servizio, il dovere di astenersi da comportamenti che possano comunque condizionare l’esercizio delle funzioni istituzionali, ledere il prestigio delle Forze armate e pregiudicare l’estraneità della stessa istituzione militare alle competizioni politiche(7). In positivo, il militare rivestito di un grado deve essere d’esempio nel compimento dei doveri, per orientare lo stesso comportamento dei propri dipendenti e degli inferiori in grado in genere(8).

È evidente come la moderna disciplina militare si richiami costantemente ad uno spirito di consapevole partecipazione del militare ai doveri del proprio stato, il quale comporta, da una parte, l’obbligo dell’amministrazione militare di adoperarsi per una specifica formazione morale nel senso, dall’altra nel preciso dovere di ogni militare di applicarsi nell’adempimento dei doveri del servizio con senso di responsabilità, in relazione alla realizzazione dei compiti istituzionali(9). Il senso di responsabilità, che vuole sottolineare come il militare non sia più da considerare un soggetto passivo di ordini e disposizioni, deve pervadere ogni attività comunque connessa con lo stato di militare al punto tale che anche quando non sussistano le condizioni di applicabilità del Regolamento di disciplina militare(10), il militare deve sempre osservare i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado rivestito, alla tutela del segreto e al dovere di riservatezza sulle questioni militari(11). Il senso di responsabilità assume una particolare pregnanza anche in relazione ai doveri inerenti alla tenuta e alla sicurezza delle armi, dei materiali e delle installazioni militari, per i quali il militare non solo deve esercitare le necessarie cautele, ma deve anche adoperarsi per impedirne la messa in pericolo o il danno da parte di terzi(12).

Inoltre, il senso di responsabilità pervade anche il tema della formazione militare: il militare, infatti, ha il dovere di conservare e migliorare le proprie conoscenze professionali e le capacità fisiche e psichiche per poter disimpegnare con competenza ed efficacia gli incarichi a lui affidati e in genere le prestazioni funzionali a lui richieste(13). Di tradizionale evidenza risultano i doveri relativi alla cura dell’uniforme e della persona e il saluto da parte del militare, mentre particolarmente accurata è la disciplina dei doveri conseguenti all’adempimento dei due principali strumenti del servizio: l’ordine gerarchico militare e la consegna. In particolare, il Regolamento di disciplina militare stabilisce le norme per l’emanazione e per l’esecuzione degli ordini, rivolte rispettivamente al superiore emanante e all’inferiore esecutore(14).

La tematica dell’ordine gerarchico militare ha diretta attinenza non solo con gli aspetti disciplinari, ma anche con quelli penali (militari) e in generale con il problema dell’efficacia scriminante dell’ordine in relazione all’adempimento di un dovere, di cui all’art. 51 c.p. Come bilanciamento al dovere di obbedienza assoluta all’ordine e di scrupolosa osservanza della consegna ricevuta per l’espletamento di servizi particolari, la moderna disciplina militare contrappone il dovere di iniziativa che si attiva in capo al militare non solo quando manchino gli ordini o si sia nell’impossibilità di richiederli o di riceverli, ma anche quando, in presenza di ordini già impartiti, la situazione contingente e le mutate circostanze fattuali, valutate discrezionalmente dal militare esecutore nell’ambito delle facoltà decisionali a lui conferite, rendono quegli stessi ordini non più idonei allo scopo o adeguati alla situazione, quindi ineseguibili(15). Stessa prospettiva troviamo per le consegne che sono vincolanti solo quando non lascino spazi di discrezionalità, aperti all’iniziativa del militare che deve osservarle. Infine, particolarmente dettagliati sono i doveri stabiliti per qualunque superiore gerarchico e per quella speciale autorità militare che è il comandante di corpo(16).

3. Le norme di comportamento e di servizio

Le norme di comportamento sono speciali doveri che deve assolvere il militare, collocati nell’ambito del Regolamento di disciplina militare in un’altra parte rispetto ai doveri dei militari esclusivamente in ossequio ad una consolidata tradizione regolamentare. In effetti, non esistono sostanziali diversità tra questi speciali doveri e, ad esempio, quello del saluto o della cura della persona e dell’uniforme, che comunque attengono al contegno formale del militare. Senza voler operare una risistemazione della materia, seguiremo per motivi di comodità la suddivisione adottata dal Regolamento. Particolarmente significative, in questo contesto, sono le norme di contegno e di tratto che riproducono il contenuto di alcuni obblighi generali (alcuni anche di rilevanza penale), secondo la tipica finalità pedagogica propria dei regolamenti di disciplina militare.

Norme, però, che non sono meramente ripetitive e, quindi, prive di concreta rilevanza, in quanto spostano anche sul piano disciplinare l’efficacia di quei doveri, il cui inadempimento può dar luogo all’applicazione delle specifiche sanzioni previste dal Regolamento(17). In tale quadro sono inserite peculiari regole disciplinari circa il senso dell’ordine, le relazioni con i superiori, la presentazione e le visite all’atto dell’assunzione o della cessione di un comando o di un incarico, le qualifiche militari apposte al nome e le sottoscrizioni e le spese collettive. Di maggior significato istituzionale sono, invece, le norme riguardanti il servizio, cioè: la lingua da usare in servizio, gli orari e i turni di servizio(18), la libera uscita(19), le licenze e i permessi(20), il rientro immediato al reparto, l’alloggiamento e i pernottamenti(21), le detenzione e l’uso di cose di proprietà privata nei luoghi militari, l’uso dell’abito civile, la dipendenza dei militari in particolari condizioni(22), le comunicazioni(23), il sanitario di fiducia, il decesso di un militare e i militari prigionieri di guerra.

Alcuni di questi istituti, come già indicato, sono stati profondamente modificati dalla legislazione successiva, mentre per altri la loro concreta disciplina è confluita nelle procedure di concertazione. In generale la minuta elencazione delle norme di comportamento e di servizio nonchè il loro contenuto particolarmente vincolante e dettagliato, rendono l’espletamento dei doveri del militare, quello che abbiamo identificato come rapporto di servizio (e soprattutto rapporto di servizio disciplinare), del tutto peculiare, in relazione allo stesso rapporto di impiego che, pur presentando alcuni tratti speciali, è costruito sulla falsariga del rapporto di pubblico impiego precedente alla cosiddetta riforma della privatizzazione.

4. La problematica dei diritti costituzionali dei militari

Speculare alla problematica dei doveri della disciplina militare è quella dei diritti dei militari. Da una prospettiva di disconoscimento di qualsiasi diritto in capo ai militari, si è passati nel tempo al progressivo riconoscimento dei diritti fondamentali, con le sole limitazioni al loro esercizio, stabilite espressamente dalla legge. In questo contesto, già la Costituzione ha introdotto alcuni principi in merito. In effetti, la nostra Carta fondamentale non si occupa soltanto degli aspetti organizzativi e funzionali delle Forze armate, ma rivolge la sua attenzione anche al singolo componente dell’ordinamento militare, la cui particolare posizione soggettiva è oggetto di diverse norme costituzionali. Passando in rapida rassegna il Testo costituzionale, oltre ai principi comuni a tutti i pubblici dipendenti contemplati negli artt. 28 (responsabilità), 54, comma 2 (adempimento qualificato dei propri doveri e giuramento) e 98, comma 1 (esclusività del servizio) Cost., per i militari sono state introdotte norme particolari riguardanti: la riserva di legge per il servizio militare obbligatorio, la salvaguardia della posizione di lavoro e dell’esercizio dei diritti politici per i militari di leva (art. 52, comma 2, Cost.); la possibilità di stabilire con legge limitazioni al diritto d’iscrizione ai partiti politici per i militari di carriera in servizio attivo (art. 98, comma 2, Cost.); la sottoponibilità alla giurisdizione militare, anche in tempo di pace, relativamente alla commissione di reati militari (art. 103, comma 3, Cost.).

L’esame sistematico delle norme sopra richiamate non consente di ricavare dalle stesse un principio di diritto che possa fondare una generale situazione soggettiva di deminutio per i militari nel godimento dei diritti e delle libertà costituzionalmente previste: in sintesi la Costituzione non contiene espressamente un limite generale per i militari in merito alla titolarità o all’esercizio dei diritti fondamentali che essa stessa riconosce e garantisce. Piuttosto quegli articoli vogliono ancor più evidenziare uno sforzo di tutela e salvaguardia nei confronti dei militari proprio in ragione della loro particolare posizione di diritto e di fatto all’interno dell’ordinamento generale dello Stato. È evidente la fondatezza della precedente notazione con riguardo all’art. 52, comma 2, Cost. (il cui valore politico subirà un netto ridimensionamento con la sospensione del servizio militare obbligatorio), che sino ad ora ha rappresentato un valido presidio giuridico contro eventuali forme di minor considerazione politica, sociale ed economica del cittadino in servizio - obbligatorio - alle armi. Meno evidente, ma altrettanto importante, la garanzia di legalità sottesa alla possibilità (peraltro non attuata dal legislatore) di stabilire limiti al diritto d’iscrizione ai partiti politici; limiti, quindi, che possono essere introdotti soltanto con legge e che, per di più, non sono ricollegabili esclusivamente alla qualifica militare del cittadino, ben potendo essere posti anche per i magistrati, i funzionari e gli agenti di polizia e i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero.

Un - eventuale - limite, quindi, che non vuol colpire una particolare categoria di cittadini a causa del loro peculiare status, ma vuole contribuire ad indirizzare l’attività funzionale di queste particolari categorie di dipendenti dello Stato ad una più accentuata attuazione del principio di imparzialità, massima garanzia (per tutti i cittadini) della cura dei pubblici interessi nello svolgimento dell’azione amministrativa. È chiaro quindi che l’imposizione di questo eventuale limite (se ritenuta necessaria) contribuisce anche a costituire quella garanzia per il militare di non diventare mero strumento di parte o mezzo di attuazione di particolari ideologie politiche. Non minor funzione di garanzia ha l’art. 103, comma 3, Cost., nel momento in cui, in tempo di pace, circoscrive la giurisdizione dei tribunali militari, nei limiti cognitivi dei reati militari e della condizione di appartenenza alle Forze armate dei soggetti sottoponibili. Se qui la garanzia è massima per i cittadini non appartenenti alle Forze armate, anche per questi ultimi vale il principio della eccezionalità della giurisdizione militare in relazione alla commissione dei soli fatti costituenti reato militare: per gli altri fatti suscettibili di sanzione penale (cioè tutti i reati non militari) la competenza sarà, anche per i militari, degli organi di giustizia ordinari. Se poi si considera, assieme al contenuto di questi articoli che stabiliscono limiti negativi allo stesso legislatore (dove, in che modo, con quale intensità può incidere sulle posizioni soggettive del militare), il “limite positivo” rappresentato dall’art. 52, comma 3, Cost., per cui la dignità della persona umana va sempre e comunque salvaguardata (nonché sviluppata), ci si rende conto che la Costituzione non ha voluto né porre, né prefigurare per l’interprete, né lasciare uno spazio di discrezionalità creativa al legislatore in tema di limiti generali ai diritti e alle libertà dei militari.

Il punto è, invece, che il Costituente, al di là delle teorie giuridiche sull’ordinamento militare, ha trovato e tutto sommato conservato un peculiare ordinamento di settore, in cui il singolo componente subiva limitazioni connesse proprio con quell’appartenenza, in funzione sempre con i delicati ed apicali compiti istituzionali che quell’ordinamento doveva (e deve) perseguire. Invece di porre nell’immediatezza le basi di un nuovo ordinamento militare (ipotesi - peraltro - che, se ideologicamente era auspicata da larghi settori dell’Assemblea, nella pratica incontrava difficoltà di non poco conto), il Costituente, con senso di grande equilibrio ed una buona dose di opportunismo politico, dettata soprattutto dalla situazione internazionale, non volle incidere più di tanto negli assetti interni dell’ordinamento delle Forze armate(24). Lo stesso si è limitato, da una parte, a porre limiti di garanzia e di tutela dello stesso militare (nei confronti, si è visto, di tutti i poteri dello Stato), dall’altra, parte a tracciare un percorso giuridico istituzionale (l’ordinamento delle Forze armate s’informerà allo spirito democratico della Repubblica) che dovrà essere percorso, con la dovuta sensibilità politica, da tutti gli organi costituzionali capaci di dettare l’indirizzo politico - militare dello Stato e sul quale la Corte costituzionale, con una prudente attività di interpretazione evolutiva, vigilerà attentamente(25).

E così è stato, sia pur con difficoltà e ritardi talvolta ingiustificati: dalla completa riscrizione della regolamentazione disciplinare, sulla quale il legislatore ha inciso profondamente con la legge n. 382 del 1978, alle parziali riforme del sistema penale militare(26); dall’interpretazione estensiva, adeguatrice, evolutiva dalla giustizia amministrativa che ha riconosciuto sempre più spazi di tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi del militare, nei confronti degli atti della rispettiva amministrazione(27), al complesso ed equilibrato bilanciamento tra valori ed interessi confliggenti (la democraticità dell’ordinamento militare e le necessità della disciplina e della gerarchia) operato dalla Corte costituzionale( 28); dall’attuazione del sistema delle rappresentanze militari ai procedimenti di concertazione, in cui filtra un surrogato di attività contrattuale collettiva svolta dai militari, tramite sempre le loro rappresentanze. È significativo, d’altra parte, che la legge n. 382 del 1978 abbia voluto introdurre un apposito articolo (art. 3) che, a trent’anni dalla Costituzione, ribadisse (non pensiamo assolutamente che l’articolo volesse stabilire ex novo un principio di diritto) la spettanza anche ai militari dei diritti che vengono riconosciuti a tutti i cittadini; con l’avvertenza (questa sì che vuole introdurre un principio chiarificatore del problema) che la legge può imporre limitazioni all’esercizio dei diritti stessi, esclusivamente per garantire l’assolvimento dei compiti istituzionali(29).

Nel progetto costituzionale, mirabilmente condensato negli artt. 2 e 3 Cost., non poteva mancare una sistemazione, seppur approssimativa, della problematica connessa con la posizione soggettiva del militare all’interno dell’ordinamento giuridico generale. Non c’é all’interno della Carta fondamentale (né, forse, secondo i Costituenti del tempo sarebbe stato opportuno) un vero e proprio statuto costituzionale del militare, ma non c’è neanche irrilevanza (quindi, indifferenza) dello status militis del cittadino, quasi che questo problema non fosse di spettanza dell’ordinamento generale, ma riguardasse gli “affari interni” di un settore separato ed autonomo dello Stato. La Costituzione ha però lasciato prefigurare l’esistenza e la non irragionevolezza di limitazioni ai diritti dei militari (i limiti peraltro sono connaturati a tutti i diritti), ponendo alcune garanzie contro eventuali “eccessi di limitazione” e lasciando per il resto alla futura sensibilità politica e giuridica il compito di “limitare i limiti”(30). Quali in sostanza siano questi limiti, la loro legittimità, la loro concreta incidenza, quali, poi, siano e come agiscano i controlimiti, se esista, infine, un limite massimo, sono tutti problemi che possono essere affrontati solo con un esame sistematico delle singole libertà e diritti costituzionali. Il problema delle limitazioni all’esercizio dei diritti nei confronti dei militari è in sostanza una questione dogmatica che si risolve sul piano esegetico, attraverso le singole disposizioni riguardanti i vari diritti costituzionali; non sembra invece del tutto corretta un’impostazione di teoria generale che necessariamente deve far appello ad una delle tante teorie giuridiche sull’ordinamento militare.


(1) - Vedi: A. CORPACI (1992), “Servizio (rapporto di)”, 1.
(2) - Sulla disciplina militare in generale esiste una vasta letteratura, fiorita soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 382/1978. Solo per citare le opere generali si segnala la seguente bibliografia: E. BOURSIER NIUTTA - A. ESPOSITO (2002), Elementi di diritto disciplinare militare, 1; S. RIONDATO (1995), Il nuovo ordinamento disciplinare delle Forze armate, 1; C. MALINCONICO (1990), “Disciplina militare”, 279; D. BORTOLOTTI (1989), “Disciplina militare”, 1; V. GARINO (1980), “Disciplina militare”, 4. Fondamentale nella materia rimane ancora la lettura dell’opera di Vittorio Bachelet, con particolare riguardo a: V. BACHELET (1962), Disciplina militare e ordinamento giuridico statale, 1.
(3) - Cfr.: art. 5, comma 1, R.D.M.
(4) - Cfr.: art. 2, comma 1, R.D.M.
(5) - Cfr.: art. 9, comma 1, R.D.M.
(6) - Viene osservato come il contenuto dei doveri inerenti al giuramento prestato sia enunciato interamente dall’art. 9 R.D.M., che non specifica la semplice inosservanza di tutte le norme vigenti, ma soltanto quella correlativa ai compiti istituzionali delle Forze armate. L’evenienza di una qualsiasi violazione di legge da parte del militare non comporterebbe automaticamente una conseguenza sanzionatoria stabilita dal Regolamento di disciplina militare. Sul punto: E. BOURSIER NIUTTA - A. ESPOSITO (2002), Elementi di diritto disciplinare militare, 53.
(7) - Cfr.: art. 10, comma 2, R.D.M.
(8) - Cfr:. art. 10, comma 3, R.D.M.
(9) - Cfr.: art. 14, R.D.M. La dottrina più attenta ha rilevato come il senso di responsabilità del militare potrebbe configurarsi come clausola generale riguardante le modalità di svolgimento di tutte le prestazioni militari, in analogia a quanto prescritto da una parte dall’art. 1175 c.c. e dall’altra dall’art. 13 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Sul punto: D. BRUNELLI, (1995), “Art. 14 - Senso di responsabilità”, 134.
(10) - La legge di principio sulla disciplina militare ha voluto limitare l’applicazione delle regole della disciplina militare ad alcuni specifici momenti ritenuti funzionali alla stessa osservanza delle
predette regole. Per tale motivo il Regolamento di disciplina militare si applica soltanto quando sussista almeno una delle seguenti condizioni in cui può trovarsi il militare: essere in servizio, permanere in luoghi militari o comunque destinati al servizio, indossare l’uniforme, qualificarsi, in relazione ai compiti di servizio, come militare o rivolgersi ad altro militare in divisa o che si qualifica come tale. Ma la predetta impostazione funzionale non ha completamente laicizzato la disciplina militare, secondo una prospettiva interpretativa che da regola di vita del militare doveva esclusivamente rappresentare una specie di normativa deontologica nell’adempimento del servizio. La legge, infatti, ha previsto l’applicazione incondizionata di alcune regole disciplinari, per le quali lo stato di militare ha sempre e comunque rilevanza e in base alle quali può ancor oggi affermarsi che la disciplina militare costituisce, seppur parzialmente, una regola di vita per il militare. Su questi aspetti e sull’inversione di tendenza in materia di disciplina militare, manifestata dal Regolamento rispetto alla legge di principio, pensato ancora come codice deontologico dei militari, sulla sostanziale giuridicizzazione della materia, in contrapposto al valore di codice morale attribuito ai precedenti regolamenti di disciplina militare, vedi: D. BRUNELLI (1995), “Art. 2 - La disciplina militare”, 57.
(11) - Cfr.: art. 5, 4° comma, l. n. 382/1978.
(12) - Cfr.: art. 20, comma 1, R.D.M.
(13) - Cfr.: art. 15, comma 1, R.D.M.
(14) - Cfr., rispettivamente: artt. 23 e 24 R.D.M.
(15) - Cfr.: art. 13, R.D.M. L’importanza dell’iniziativa come dovere integrativo e sostitutivo è particolarmente significativo come “limite ontologico alla cogenza degli ordini militari”, articolandosi logicamente in due fasi: la prima di formazione del giudizio di impossibilità di fatto o di sopraggiunta incongruenza, riguardo l’esecuzione dell’ordine secondo le modalità impartite dal superiore; la seconda di determinazione del comportamento da tenere, in sostituzione di quello indicato dall’ordine, per il raggiungimento dello scopo sotteso all’adempimento dell’ordine stesso. Sul punto: D. BRUNELLI (1995), “Art. 13 - Iniziativa”, 127.
(16) - Cfr.: art. 21 R.D.M. per i doveri propri dei superiori e l’art. 22 R.D.M. per i doveri del comandante di corpo.
(17) - La norma di cui all’art. 36 R.D.M., dopo aver stabilito che il militare deve tenere condotta esemplare e rispettare le norme che regolano la civile convivenza elenca alcuni doveri particolari come quello di astenersi da un linguaggio poco consono alla dignità e al decoro dei militari, di prestare soccorso quando necessario, di consegnare alle autorità competenti qualunque cosa trovata o pervenutagli per errore, di astenersi dagli eccessi dell’uso di bevande alcoliche o di sostanze che possono alterare l’equilibrio psichico, di rispettare le religioni e di prestare il proprio ausilio agli appartenenti alla polizia giudiziaria, quando richiestone. Sulla rilevanza penale e disciplinare della violazione delle disposizioni di cui all’art. 36 R.D.M., vedi: F. UFILUGELLI (1995), “Art. 36 - Contegno del militare”, 268.
(18) - La durata massima dell’orario di lavoro settimanale è, ai sensi degli artt. 4, comma 1, lett. c), e 5, comma 1, lett. c), d. lg. 12 maggio 1995, n. 195, materia oggetto di concertazione.
(19) - L’istituto della libera uscita è stato profondamente modificato dall’art. 8, d. lg. 30 dicembre 1997, n. 505, che ha sostituito il 1° comma dell’art. 45 R.D.M., aggiungendo i commi 1-bis e 1-ter, con la conseguenza di restringere l’istituto della libera uscita, in precedenza di generale applicazione, a poche categorie di militari.
(20) - Le licenze e i permessi brevi per esigenze personali sono, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. d) ed f ) e 5, comma 1, lett. d) ed f ), d. lg. n. 195/1995, materia oggetto di concertazione.
(21) - Gli istituti dell’alloggiamento e dei pernottamenti sono stati profondamente modificati
dall’art. 7, d. lg. n. 505/1997, che ha sostituito l’art. 48 R.D.M., con la conseguenza, da una parte di limitare l’obbligo di alloggiamento in caserma a più ristrette categorie di militari e di consentire l’alloggiamento al di fuori della sede di servizio, su autorizzazione del comandante di corpo e in relazione alla situazione abitativa locale , agli ufficiali, ai sottufficiali, ai volontari in servizio permanente e in ferma volontaria da più di dieci mesi, nonché di consentire il pernottamento presso la famiglia abitante nella località sede di servizio a tutte le categorie di militari, sempre su autorizzazione del comandante di corpo.
(22) - Cfr.: art. 51 R.D.M. La norma in argomento ha lo scopo di disciplinare le relazioni gerarchiche e di servizio concernenti i militari destinati a prestare servizio presso enti non militari oppure in enti dell’amministrazione della difesa retti da dirigenti civili e coloro che sono destinati presso comandi, unità od enti internazionali o multinazionali, nonché i militari in attesa di destinazione, in aspettativa o sospesi dall’impiego o dal servizio e coloro che sono ricoverati in luogo di cura.
(23) - Cfr.: art. 52 R.D.M. Particolarmente significativa ed espressione dello stesso vincolo disciplinare è la disposizione in argomento che obbliga il militare ad un’attività di informazione dei propri superiori gerarchici relativamente ad una serie di vicende che lo riguardano e che assume aspetti di maggiore incisività con riguardo al dovere di sollecita comunicazione degli eventi in cui il militare possa rimanere coinvolto e che possono avere riflessi sul servizio. Sull’interpretazione e i limiti di questo dovere, con particolare riferimento alla predetta ipotesi, disciplinata all’art. 52, comma 5, lett. b), R.D.M., vedi: B. ROCCHI (1995), “Art. 52 - Comunicazioni”, 340.
(24) - Sia consentito rinviare a: E. BOURSIER NIUTTA - F. BASSETTA (1997), “L’ordinamento militare come ordinamento giuridico”, 79.
(25) - Sulle indicazioni dell’art. 52, comma 3, Cost. in merito al riconoscimento ed alla garanzia delle libertà costituzionali anche per i militari, vedi, da ultimo: G. D’ELIA (2000), “Sotto le armi non tacciono le leggi: a proposito delle libertà sindacali dei militari”, 550. L’autore pone in evidenza come si possa accedere ad un’interpretazione “aperta” o “chiusa” della norma costituzionale in argomento, a seconda che si ritenga l’immediata operatività dei diritti costituzionali all’interno dell’ordinamento militare, salvo riconoscerne - legislativamente - la loro incompatibilità con le esigenze funzionali di quest’ultimo, o che si consideri l’art. 52, comma 3, Cost. come un filtro che impedisca l’ingresso ai diritti costituzionali all’interno dell’ordinamento delle Forze armate se non quando gli stessi non possano mai rappresentare un ostacolo alle predette esigenze funzionali. Con efficace sintesi, inoltre, l’autore espone la giurisprudenza costituzionale sul tema, come si è venuta articolando nel tempo, enucleando i principi interpretativi ormai consolidati che la stessa utilizza nelle questioni di legittimità che interessano comunque diritti costituzionali dei militari.
(26) - Ricordiamo, tra le altre, la legge 7 maggio 1981, n. 180, recante modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace, che ha conferito al militare la possibilità di esercitare in forma piena ed integrale le sue ragioni di difesa (doppio grado di giudizio e ricorso in Cassazione) e la legge 26 novembre 1985, n. 689, recante le riforma dei reati di insubordinazione e abuso di autorità.
(27) - Particolarmente significativa la giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di possibilità di proporre ricorso giurisdizionale avverso le sanzioni disciplinari di corpo. Per antica tradizione questo tipo di sanzioni disciplinari sono state considerate interna corporis, quindi prive di rilevanza giuridica esterna (esterna rispetto all’ordinamento militare) e di conseguenza non impugnabili di fronte ad una autorità giurisdizionale amministrativa (esterna anch’essa rispetto all’ordinamento militare), per le quali perciò erano esperibili soltanto i rimedi previsti dalla regolamentazione disciplinare (interna all’ordinamento militare). Sul punto: G. LANDI (1969), “Forze armate”, 35.
(28) - Come già notato in precedenza, a proposito dell’incidenza della norma sullo spirito democratico nell’ordinamento delle Forze armate, la Corte costituzionale, nel valutare come legittime o meno alcune limitazioni (molte delle quali di natura penale) ai diritti costituzionali dei militari, ha operato un bilanciamento tra esigenze di democraticità dell’ordinamento militare e necessità di coesione dei corpi militari espressa dai valori della gerarchia e della disciplina in funzione dei compiti istituzionali indicati dal comma 1 dell’art. 52 Cost. Per un rapida rassegna delle varie pronunce della Corte si vedano in particolare: sentenza n. 126 del 1985 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 180, comma 1, c. p. m. p. (reato militare di reclamo collettivo, previo accordo): “Anzitutto occorre ribadire la rilevanza centrale - emergente del resto dalla giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata - che la libertà di manifestazione del pensiero, anche e soprattutto in forma collettiva, assume ai fini dell’attuazione del principio democratico non solo del nostro ordinamento, che in relazione a tale principio solennemente si qualifica (art. 1 Cost.), ma nelle più significative espressioni della civiltà giuridico-politica che in esso trova la sua caratterizzazione di fondo. Per altro verso occorre considerare la portata generale del precetto espresso con l’art. 52 Cost. - norma in cui la suindicata protezione costituzionale si incentra - secondo il quale l’ordinamento delle Forze armate è informato allo spirito democratico della Repubblica. La valutazione coordinata dei due momenti normativi di rango costituzionale induce ad escludere che una libertà costituente cardine di democrazia nell’ordinamento generale possa subire una limitazione dell’ampiezza e gravità suindicate in relazione ad esigenze proprie dell’ordinamento militare. Al contrario è da ritenere che la pacifica manifestazione del dissenso dei militari nei confronti dell’autorità militare - anche e soprattutto in forma collettiva per l’espressione di esigenze collettive attinenti alla disciplina o al servizio - non soltanto concorra alla garanzia di pretese fondate o astrattamente formulabili sulla base della normativa vigente e quindi all’attuazione di questa, ma promuova lo sviluppo in senso democratico dell’ordinamento delle Forze armate e quindi concorra ad attuare i comandamenti della Costituzione. Ciò non importa obliterare quelle particolari esigenze di coesione dei corpi militari che si esprimono nei valori della disciplina e della gerarchia; ma importa negare che tali valori si avvantaggino di un eccesso di tutela in danno di libertà fondamentali e della stessa democraticità dell’ordinamento delle Forze armate. In realtà l’incriminazione del reclamo collettivo, introdotta dal c. p. m. p. ora in vigore col munire di sanzione penale un divieto espresso dal previgente regolamento di disciplina (che considerava il reclamo collettivo come ‘grave mancanza contro la subordinazione), costituì un voluto incremento di tutela dei valori della disciplina, in relazione alla considerazione che ogni collettiva rimostranza o protesta, per il solo fatto di muovere da un ‘concerto’ e di essere collettiva, anche se limitata alle ‘cose del servizio militare, è, per se stessa, un ‘fenomeno contagioso’ da ‘tener lontano dalla milizia’, un pericolo per la disciplina da reprimere al fine di porre ‘un più rigido freno’ alla medesima (cfr. Relazione al progetto preliminare dei codice della reale Commissione per la riforma, nn. 125 e 126). Traspare evidente da tali norme l’autoritarismo dell’orientamento di politica criminale che vi è sotteso, caratterizzato dall’esigenza di conferire particolare rigore alla disciplina, di esaltarne il valore, di assicurarne l’osservanza mediante la penalizzazione di condotte in ragione della mera ‘pericolosità presunta’: in che consiste l’eccesso di tutela, desumibile indirettamente anche dallo sforzo sistematico impiegato per l’allargamento del concetto di ‘sedizione’ (esteso ad ipotesi pur contestualmente definite ‘forme minori o complementari’). Eccesso ad escludere il quale è vano ravvisare l’oggettività giuridica del reato nella garanzia della libertà dalle forme di manifestazione collettiva del pensiero, atteso che tale insidia non può senza pretestuosità (connessa ad autoritarismo) ravvisarsi al di fuori della ipotesi di pericolosità concreta: ipotesi riconoscibile, semmai, nelle forme di sedizione in senso stretto, e non già nella condotta oggetto della previsione impugnata.”; inoltre, di segno opposto, la sentenza n. 24 del 1989 che ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità dell’art. 184, comma 2, c. p. m. p. (reato di adunanza arbitraria di militari): “... La questione s’incentra, perciò, sulla compatibilità del divieto penale di arbitrarie riunioni di militari in luoghi militari con l’esercizio del diritto costituzionale di riunione previsto dall’art. 17 Cost. Un diritto questo effettivamente strumentale rispetto al perseguimento di determinati fini, ma che, proprio per ciò, resta condizionato dalla liceità o meno di essi, sicché non può esservi dubbio che l’ordinamento, ma anche la stessa Autorità militare, debbano poterli valutare per apprezzare la liceità della riunione. Non deve essere, infatti, trascurato che la questione si riferisce a riunioni ‘in luoghi miltari’ i quali, per loro natura, sono innanzitutto destinati al perseguimento delle finalità proprie delle Forze armate, nello spirito di cui all’art. 52, primo comma, Cost. Sembra evidente allora che il legislatore non possa indiscriminatamente consentire ai militari di riunirsi a loro libito in quei luoghi, senza pregiudicare quella disciplina, la quale pure rappresenta,nell’ordina mento militare, un bene giuridico degno di tutela. Proprio su di essa, infatti, si fonda l’efficienza delle Forze armate e quindi, in definitiva, il perseguimento di quei fini che la Costituzione solennemente tutela. È ben vero che ‘l’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica (art. 52, ultimo comma, Cost.); ma ‘informarsi allo spirito’ non vuol dire la ricezione pura e semplice di qualsiasi disposizione della Costituzione, senza alcun riguardo alla natura dell’ordinamento in parole ed alle finalità cui esso è ispirato, giusta la norma espressa dalla prima parte dello stesso articolo. Proprio di ciò si è dato carico il legislatore ordinario emanando le ‘Norme di principio sulla disciplina militare’ (legge 11 luglio 1978, n. 382), che all’art. 3 riconoscono bensì ai militari i diritti della Costituzione spettanti a tutti i cittadini, precisando, però, che ‘per garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate, la legge impone ai miliari limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l’osservanza di particolari doveri nell’ambito dei principi costituzionali’. Disposizione questa che è stata accolta con favore anche dalla dottrina, come quella che ragionevolmente contempera i diritti costituzionali del cittadino militare con le esigenze dei particolari doveri proprio di un’Istituzione intesa a perseguire finalità parimenti tutelate dalla Costituzione e concernenti l’interesse dell’intera collettività nazionale.”
(29) - La norma contenuta nell’art. 3 l. n. 382/1978, nonostante la solenne affermazione di principio e l’importanza “politica” degli enunciati da essa recati non ha avuto in dottrina univoche considerazioni. Si tratterebbe di un’affermazione pleonastica (potremo dire, addirittura, quasi dannosa, per aver spostato la problematica dei diritti dei militari da un piano costituzionale ad uno legislativo ordinario) in quanto nulla può togliere né aggiungere a quanto già proclamato in Costituzione: E. BOURSIER NIUTTA - A. ESPOSITO (2002), Elementi di diritto disciplinare militare, 71; A. MONTEROSSO (1994), “Militare”, 466. Quest’ultimo autore, oltre a rimarcare la superfluità della riserva di legge indicata dall’art. 3 l. n. 382 del 1978 in tema di limitazioni all’esercizio dei diritti dei militari, adombra il dubbio di legittimità di eventuali leggi che possano comprimere diritti costituzionalmente garantiti in base ai motivi indicati dalla stessa norma che appaiono espressi con termini di una portata troppo vasta e generica. Di norma non del tutto pleonastica, anche con riguardo alla sua ripetizione nella normativa secondaria, parla, invece, chi evidenzia una sua funzione positiva sia sul piano pratico (particolare capacità didattica della normativa regolamentare) che su quello teorico (conferma della totale sottomissione dell’ordinamento militare all’ordinamento statale); vedi: S. RIONDATO (1995), “Art. 28 - Servizi regolati da consegna”, 211; D. LIBERTINI (2000), “Sui limiti all’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti per i militari”, 705.
(30) - Il punto è molto delicato. Qualora si acceda alla distinzione tra limiti di esercizio dei diritti, come sembra prefigurare la legge n. 382 del 1978, e limiti di contenuto, che incidono invece sulla stessa titolarità dei diritti, sorgono non poche difficoltà nell’operare questa differenziazione nell’ambito dei diritti costituzionali di libertà che, consistendo in un agere licere, non consentono di distinguere un contenuto diverso dal loro esercizio, in quanto i due momenti sono necessariamente coincidenti. Anche l’affermata coesistenza di limiti ad ogni diritto, tesi consolidata nella giurisprudenza costituzionale già dalla sentenza n. 1 del 1956, deve essere specificata nella sua funzione esclusivamente descrittiva e non anche normativa; quest’ultima giustificherebbe altrimenti qualsiasi limite sol che ritenuto implicito. Per lo sviluppo dei precedenti punti, appena accennati, per tutti: A. PACE (1990), Problematica delle libertà costituzionali - parte generale, 146.