Capitolo XIII - La valutazione del personale militare

1. Il sistema di valutazione del personale militare: profili generali

La valutazione del personale costituisce un momento cruciale nella gestione delle risorse umane di qualsiasi organizzazione, pubblica o privata, in relazione soprattutto alle capacità di razionale utilizzazione delle stesse. Un’organizzazione, poi, che si articola in strutture gerarchicamente ordinate ha costante bisogno di selezionare il personale, per collocare nelle posizioni direttive e di comando i soggetti ritenuti più idonei. In questo contesto l’organizzazione militare ha da sempre avvertito la necessità di elaborare strumenti di selezione e valutazione del personale adeguati all’esigenza di far progredire nella carriera gli elementi migliori e, successivamente, di codificare dei parametri valutativi con i quali classificare tutto il personale militare, ai fini del suo impiego più opportuno e redditizio. La valutazione, quindi, ha finalità sostanzialmente operative, contribuendo al più corretto ed efficace governo del personale di cui vengono evidenziate, attitudini, capacità, competenze e requisiti. L’aspetto connesso con le diverse applicazioni dei risultati della valutazione è divenuto nel tempo sempre più importante e costituisce tutt’oggi un sistema di selezione professionale essenziale in molti settori attinenti al personale, tant’è che la valutazione è ormai un istituto strumentale ed in quest’ottica deve essere analizzato(1).

In questo senso, la locuzione “valutazione caratteristica” identifica per un verso il momento procedimentale di tale attività, per un altro il risultato concreto della stessa attività. D’altra parte, la valutazione caratteristica presuppone l’individuazione dell’autorità investita del potere di valutare, perché sia un’attività efficace (idonea cioè a raggiungere concretamente il suo obiettivo) ed effettiva (abbia cioè un valore applicativo e la forza di incidere nei rapporti interpersonali verso cui si orienta). Nell’ambito militare, l’autorità competente è tradizionalmente il superiore gerarchico che viene per l’appunto investito del potere di valutare(2). Il potere di valutazione, se implicito nell’ordinamento militare, quando lo stesso si considerava autonomo ordinamento giuridico con proprie basi di legittimazione, costituisce oggi una specifica attribuzione legislativa all’autorità militare predesignata, nel rispetto del principio di legalità dell’azione amministrativa che sottende oramai tutti gli aspetti delle istituzioni militari. La fonte di legittimazione della valutazione caratteristica del personale militare è la legge 5 novembre 1962, n. 1695, recante le disposizioni sui documenti caratteristici degli ufficiali, dei sottufficiali e dei militari di truppa dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e della Guardia di finanza(3).

La legge costituisce un strumento normativo quadro che sancisce legalmente il potere di valutazione in ambito militare, i tempi, i documenti che devono registrare i giudizi dei superiori e la loro graduazione, la comunicazione agli interessati, il rimedio avverso i documenti ritenuti illegittimi. La legge, comunque, non prefigura un ben preciso sistema di valutazione, definendo unicamente le coordinate legislative entro cui deve svolgersi questa attività, disciplinata nel dettaglio da appositi regolamenti delegati, ai sensi dell’art. 5, l. n. 1695/1962. La moderna sociologia definisce tre tipi differenti di valutazione, o meglio ancora tre diversi oggetti che possono essere valutati, sempre in relazione all’impiego del personale: la posizione, la prestazione e il potenziale(4). La valutazione di posizione ha carattere strategico e finalità di organizzazione delle strutture, nel senso di definizione delle posizioni di impiego con i relativi parametri di ruolo, competenze e standard produttivi, cioè tutto ciò che in ambito militare è di competenza dell’organica (con particolare riguardo al compito ordinativo di ripartizione delle forze).

La valutazione di prestazione ha carattere gestionale e finalità di verifica di quanto prodotto o realizzato dal dipendente, secondo parametri di giudizio applicati al passato. La valutazione del potenziale ha carattere previsionale e finalità di investimento delle risorse umane nei settori ritenuti via via più congrui e strategicamente vincenti, con parametri di giudizio proiettati nel futuro. Il sistema di valutazione del personale militare viene definito dai regolamenti delegati che sono stati approvati con D.P.R. 15 giugno 1965, n. 1431, per gli ufficiali, i sottufficiali e i militari di truppa dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, e con D.P.R. 13 febbraio 1967, n. 429, per gli ufficiali, i sottufficiali e i militari di truppa della Guardia di finanza. I predetti regolamenti hanno prefigurato un sistema di valutazione focalizzato principalmente sull’analisi della prestazione e del rendimento dell’interessato (quindi, una valutazione di prestazione), con l’orientamento a valutare anche le qualità dell’interessato, cioè le attitudini personali e professionali, utili ai fini dell’impiego futuro e dell’eventuale conferimento degli incarichi più adeguati (allora, anche una valutazione del potenziale).

Il parametro di valutazione viene indicato nel giudizio “personale, diretto ed obiettivo” dei superiori cui compete il relativo potere, in sostanza i criteri attraverso i quali procedere alla classificazione del personale nelle qualifiche prestabilite dall’art. 2, l. n. 1695/1962, sono essenzialmente soggettivi. I regolamenti non vincolano il superiore all’analisi di alcun tipo di documentazione che registri prestazioni e rendimento, come invece avviene per le commissioni di avanzamento che basano il loro giudizio su documentazione già prodotta, quindi, esplicano attività di discrezionalità tecnica. Il superiore nel procedere alla valutazione caratteristica applicherà il classico modello della discrezionalità amministrativa, con il rischio di fare ampio ricorso a giudizi di merito, sostanzialmente liberi in quanto basati su criteri di mera opportunità(5). La discrezionalità amministrativa, per essere legittima e razionale, comporta, invece, giudizi di ragionevolezza e proporzionalità, vincolati alla finalità prestabilita dalla legge. In definitiva, se il sistema di valutazione del personale militare che si può ricavare dalle predette norme di legge e di regolamento è orientato a valutare prestazioni e potenziale (una valutazione, quindi, ampia e completa del personale), il parametro di giudizio viene interamente delegato al superiore gerarchico, secondo una logica coerente con il principio di autorità, cardine dell’organizzazione delle Forze armate, come ordinamento eminentemente disciplinare(6).

In questo quadro, l’obiettività del giudizio diventa un elemento difficilmente controllabile, affidato in definitiva alla deontologia professionale e all’etica militare del superiore. I rischi di eccessiva soggettivazione dei giudizi, quindi di travisamento degli elementi di fatto posti a base della valutazione, e, di conseguenza, la possibilità di risultati valutativi contraddittori, illogici o, addirittura, manifestamente ingiusti, non è un’ipotesi remota, ma un concreto sintomo di eccesso di potere variamente riscontrato dalla giurisprudenza amministrativa. E una valutazione non obiettiva, che potrebbe falsificare il reale valore delle prestazioni e del rendimento offerto dall’interessato, se non proprio una sottovalutazione/sopravalutazione delle qualità possedute, è tanto più perniciosa per l’organizzazione nel suo complesso, quanto più è riferita al personale in posizione direttiva e di comando. Questi punti critici hanno indotto a rinnovare completamente il sistema, ultimamente ridisciplinato da un nuovo regolamento, approvato con D.P.R. 8 agosto 2002, n. 213(7). Ma prima di procedere all’analisi della recente normativa e per capire esattamente il “peso” della valutazione caratteristica in tutti i settori attinenti al personale è necessario esaminare tutti gli ambiti in cui la stessa è rilevante.

2. La rilevanza della valutazione caratteristica nella gestione del personale militare

La documentazione caratteristica è rilevante nelle più diverse vicende, giuridiche ed economiche, del rapporto di impiego del personale militare (avanzamento, trasferimenti e destinazioni, disciplina militare di corpo, qualificazione professionale, specializzazione negli incarichi, cessazione dal servizio permanente, attribuzione di scatti aggiuntivi, emolumenti vari e qualifiche superiori). In alcuni settori (trasferimenti e destinazioni, qualificazione professionale, specializzazione negli incarichi) la documentazione caratteristica assume rilevanza in quanto l’amministrazione militare la include discrezionalmente (secondo il principio dell’autolimitazione del potere amministrativo) tra i criteri di ragionevolezza e proporzionalità con i quali indirizza ed orienta la sua attività discrezionale, per cui il mancato rispetto delle direttive che sanciscono un particolare valore vincolante alle classifiche finali dei giudizi valutativi (il possedere, ad esempio, una certa qualifica per ottenere un trasferimento a domanda o una particolare qualificazione professionale o specializzazione), costituisce il classico sintomo del vizio di eccesso di potere dell’atto amministrativo per violazione di circolare.

Per altri settori, invece, la documentazione caratteristica viene direttamente invocata da norme di legge e regolamenti, costituendo così parametro di riferimento vincolante nell’esplicazione dell’azione amministrativa e, in caso di sua violazione, parametro di legittimità per evidenziare un’eventuale vizio di violazione di legge da parte della giurisprudenza amministrativa o anche in sede di autotutela. Per queste ipotesi, volendo procedere ad una sommaria disamina dei diversi settori, è opportuno iniziare con l’avanzamento, per il quale la normativa di riferimento stabilisce che gli elementi di giudizio devono essere tratti, tra l’altro, esclusivamente dalla documentazione caratteristica(8). La documentazione caratteristica, in questo contesto, è rilevante e, in un certo qual modo, vincolante - per motivi di legittimità del procedimento - per le commissioni di avanzamento, sia in sede di giudizio di idoneità all’avanzamento(9), sia in materia di attribuzione del punteggio di merito(10).

In materia disciplinare militare di corpo i documenti caratteristici assumono rilevanza nel momento in cui l’autorità competente a definire il procedimento disciplinare deve tener conto, nell’irrogare la sanzione disciplinare, anche dei precedenti di servizio, ai sensi dell’art. 60, comma 2, R.D.M., graduando così l’entità e la durata della sanzione anche in relazione alla valutazione caratteristica dell’incolpato. In tema di cessazione dal servizio permanente (analoga normativa esiste in caso di cessazione dalla ferma volontaria o dalla rafferma(11)) la documentazione caratteristica assume particolare rilevanza per valutare l’eventuale scarso rendimento del personale o l’inidoneità alle funzioni del grado(12). In questo contesto, l’attribuzione delle qualifiche di minor livello(13) potrebbe costituire valido presupposto giuridico per l’attivazione di un procedimento - paradisciplinare - finalizzato all’allontanamento d’autorità dell’interessato. Per quanto concerne l’attribuzione di scatti aggiuntivi agli appartenenti ai gradi apicali dei differenti ruoli del personale militare non dirigente e non direttivo( 14), o anche l’attribuzione di emolumenti pensionabili(15) o di trattamenti economici superiori a favore di alcune categorie di militari(16), secondo le previsioni di una recente normativa, si tiene anche conto delle qualifiche ottenute in sede di valutazione caratteristica (per l’attribuzione dei predetti benefici è necessario ottenere almeno la qualifica di “nella media”).

La possibilità di ottenere l’inquadramento economico più favorevole dipende, quindi, anche dal giudizio espresso dai superiori nei documenti caratteristici (e questa è sicuramente una peculiarità dell’ordinamento militare). Stesso discorso vale anche per l’attribuzione della qualifica di luogotenente ai marescialli aiutanti sostituti ufficiali di pubblica sicurezza dell’Arma dei Carabinieri, o ai marescialli aiutanti della Guardia di finanza o ai primi marescialli delle altre Forze armate(17).

3. La nuova normativa regolamentare e il problema dell’obiettività del giudizio

Il D.P.R. n. 213/2002 non muta sostanzialmente il sistema di valutazione del personale militare, confermando come in fondo esso sia un sistema misto, basato sulla valutazione delle prestazioni e delle potenzialità(18). Il problema cruciale, quello della obiettività del giudizio (giudizio che permane “personale, diretto ed obiettivo” da parte dei superiori), viene affrontato da un lato con una più dettagliata disciplina delle autorità competenti alla redazione dei documenti caratteristici, ipotizzando tutti i possibili casi di astensione e di esclusione della competenza, onde evitare giudizi da parte di autorità che non conoscono perfettamente il valutando o siano ritenute non idonee ad esprimere giudizi nei confronti dei dipendenti (con particolare attenzione, quindi, alla realizzazione del “giudizio diretto ed obiettivo”). Dall’altro lato, si è introdotta una tecnica di redazione che tenta di ovviare alle soluzioni stereotipate, ripetitive o eccessivamente rigide, coinvolgendo l’autorità che valuta, da una parte, attraverso un percorso di compilazione che impegna ad elaborare giudizi ragionati(19), con la possibilità di formulare eventuali note aggiuntive (con particolare attenzione, in questo caso, alla realizzazione del “giudizio personale”), dall’altra, per mezzo di campi predefiniti nella scelta di determinate qualità personali dell’interessato e nella scelta obbligata di una prestabilita gamma di valori (con particolare attenzione, infine, alla realizzazione del “giudizio obiettivo”).

I casi di esclusione della competenza, contemplati dall’art. 3, D.P.R. n. 213/2002, sono dettati in sostanza da motivi di opportunità e di incompatibilità( 20) che potrebbero minare l’oggettività del giudizio valutativo, per peculiari vicende inerenti all’autorità che valuta(21), per un’anomala posizione gerarchica degli interessati(22), o, addirittura, perché potrebbero costituire sintomi di una incapacità stessa a giudicare i dipendenti(23). Queste ipotesi, minuziosamente regolate, sono tuttavia eccezionali, mentre maggiori perplessità suscita l’indicazione dell’obbligo di astensione, contemplato dall’art. 2, comma 2, D.P.R. n. 213/2002 (una novità dell’attuale normativa(24)), nella parte in cui si prevede che il superiore si astiene dal giudizio, facendone menzione nel documento caratteristico( 25), quando manchi l’essenziale condizione dell’effettiva esistenza del rapporto di servizio lungo la linea ordinativa, tale da consentire appunto il giudizio personale, diretto ed obiettivo, e non sia possibile richiedere elementi di informazione, ai sensi dell’art. 6, D.P.R. n. 213/2002(26).

L’ipotesi in verità è troppo generica, se non proprio superflua, e non sembra idonea a legittimare un atto di astensione del superiore, perché non indica alcun dato obiettivo (come accade invece per i periodi di tempo minimi necessari), da cui si possa desumere che manchi l’effettiva esistenza del rapporto di servizio, nella considerazione che una simile constatazione non può essere rimessa alla discrezionale valutazione del superiore, pena l’incertezza stessa dei rapporti gerarchici. In sostanza il disposto regolamentare in questione legittimerebbe a superare il principio della competenza (senza, peraltro, indicare quale autorità debba sostituire l’astenuto nella specifica attività), in base a valutazione soggettive, tanto più esiziali quanto più si consideri che possono riguardare non solo il revisore della documentazione ma anche il compilatore (cioè il primo redattore). La norma, inoltre, si pone in latente contrasto con la fondamentale regola disciplinare espressa dall’art. 21, comma2, lett. c), R.D.M., che obbliga il superiore ad approfondire la conoscenza dei dipendenti e a “valutarne le precipue qualità individuali”. Sempre per la finalità di ottenere giudizi diretti ed obiettivi la normativa disciplina minutamente anche i limiti agli interventi nella redazione della documentazione caratteristica, sanciti dagli artt. 11, per gli ufficiali(27), 13, commi 3 e 4, per gli appartenenti ai ruoli marescialli/ispettori(28), 14, commi 3 e 4, per gli appartenenti ai ruoli sergenti/sovrintendenti(29), D.P.R. n. 213/2002 (per gli appartenenti ai ruoli iniziali l’art. 15, comma 3, D.P.R. n. 213/2002, rinvia sul punto alla normativa riguardante i sergenti/sovrintendenti).

Questi limiti sono dettati dall’opportunità di evitare che i superiori, troppo distanti dal livello gerarchico del valutando, esprimano giudizi non basati su elementi di conoscenza approfonditi e diretti, con la possibilità, quindi, che venga minata la stessa oggettività del giudizio. Nonostante questi accorgimenti tecnico-giuridici, il giudizio espresso nella valutazione caratteristica del personale è sostanzialmente soggettivo e la tensione verso l’obiettività non può far a meno (e non potrebbe essere altrimenti per l’ordinamento militare) dei principi etici e deontologici che guidano il superiore nella sua attività di servizio, considerando che il documento caratteristico è sicuramente un atto amministrativo, ma è anche uno strumento dell’azione di comando. In definitiva, all’autorità militare sono fisiologicamente riconosciuti anche in questo settore ampi margini di discrezionalità ed apprezzamenti di merito, insindacabile in sede di contenzioso giurisdizionale.

4. I documenti caratteristici: schede valutative e rapporti informativi

La concreta traduzione dell’attività di valutazione in documenti amministrativi che registrino i giudizi e costituiscano documentazione personale (e storica) dell’interessato, viene dettagliatamente disciplinata dal regolamento, sia in via generale per tutto il personale militare, sia con specifiche disposizioni per ogni singola categoria. L’art. 4, D.P.R. n. 213/2002, stabilisce i presupposti giuridici al verificarsi dei quali si procede alla redazione della documentazione in argomento(30), senza alcuna apprezzabile variazione rispetto alla precedente disciplina regolamentare. Il successivo art. 5, D.P.R. n. 213/2002, stabilisce quali siano i documenti caratteristici da utilizzare: la scheda valutativa e il rapporto informativo (non è più previsto lo specchio valutativo che riguardava solo alcune categorie di militari)( 31). Per ogni tipo di documento sono previsti i presupposti normativi che ne legittimano l’uso, in termini di periodi minimi da valutare, di corsi di istruzioni, di particolari servizi o dipendenze(32). Qualche perplessità suscita la regolamentazione della valutazione dei corsi di istruzione, in relazione ad un affastellarsi di disposizioni che sembrano contraddirsi.

L’art. 4, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 213/2002, stabilisce che i documenti caratteristici sono compilati al termine di un corso di istruzione o di eventuali periodi di esperimento, tenuto conto dei periodi di tempo stabiliti dal successivo art. 5. L’art. 5, comma 1, lett. b), numero 2), D.P.R. n. 213/2002, sancisce che per i corsi di istruzione (nulla più si dice sugli eventuali periodi di esperimento) di durata non inferiore a sessanta giorni si redige un apposito rapporto informativo. Il successivo comma 2 dello stesso articolo specifica che qualora il rapporto informativo riferito, tra l’altro, all’ipotesi dei corsi di istruzione non inferiori a sessanta giorni, riguardi un periodo di tempo superiore a centottanta giorni (ma, si badi bene, sempre non inferiore a sessanta), la valutazione può essere estesa anche a quelle qualità, previste sì nel documento, ma non contrassegnate con la sigla RI (che sta per rapporto informativo), senza però alcuna attribuzione di qualifica finale.

Completa il quadro normativo specifico l’art. 5, comma 3, D.P.R. n. 213/2002, il quale stabilisce che per periodi di tempo inferiori a sessanta giorni si compila una dichiarazione di mancata redazione della documentazione caratteristica, sempre che non si tratti di corsi di istruzione. In definitiva, nonostante la contraddittorietà delle norme (in particolare il contrasto tra quanto si evince dall’art. 5, comma 1, lett. b), numero 2) e l’art. 5, comma 3, D.P.R. n. 213/2002), è possibile ricostruire per i corsi di istruzione il seguente quadro, evidenziando alcune lacune: - per i corsi di istruzione è sempre e comunque previsto esclusivamente il rapporto informativo anche per i corsi di durata inferiore ai sessanta giorni(33); - per i corsi superiori a centottanta giorni il giudizio può riguardare ulteriori elementi, come indicato dall’art. 5, comma 2, D.P.R. n. 213/2002. È evidente che il sistema sopra descritto dipende dalla qualificazione di corso di istruzione che viene data da ogni singola Forza armata o Corpo armato ai periodi di attività addestrativi.

Un’ultima notazione riguarda i periodi di esperimento pratico, per i quali nulla viene specificato, e per i quali si devono ritenere rilevanti le norme generali (con i limiti temporali di sessanta e centottanta giorni), anche se è difficile pensare a periodi di esperimento superiori a sessanta giorni (forse per queste circostanze sarebbe stata utile la stessa disciplina dei corsi di istruzione). Inoltre, il D.P.R. n. 213/2002, all’art. 7, riporta la disposizione, già precedentemente stabilita, del divieto di formulare, all’interno dei documenti, riferimenti a procedimenti penali e disciplinari (ed ovviamente alle eventuali conseguenti sanzioni), disciplinando anche i casi del militare sospeso dall’impiego. L’art. 8, comma 1, D.P.R. n. 213/2002, prevede l’accesso alla documentazione caratteristica, rimandando alle disposizioni dettate dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (la cosiddetta legge sulla trasparenza amministrativa), e dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675 (la cosiddetta legge sulla privacy). Sostanzialmente superfluo il richiamo operato da questo primo comma (al di là di questa disposizione, non c’è dubbio che quelle leggi si applichino anche a questo settore), mentre più interessanti sono le disposizioni dei commi successivi, dove viene rispettivamente sancito il dovere del rilascio di copie di documenti caratteristici da parte del Ministero della difesa (competente è la Direzione Generale per il personale militare, 5° Reparto, documentazione) qualora vengano richieste dagli organi giurisdizionali, dal Consiglio di Stato in sede consultiva o dalla Corte dei conti in sede di controllo.

Il terzo comma dell’art. 8, D.P.R. n. 213/2002, stabilisce molto opportunamente la possibilità di presa visione dei documenti caratteristici da parte degli organi centrali delle Forze armate e dei soggetti preventivamente autorizzati dal Ministero della difesa, inquadrando queste attività in quelle relative al trattamento dei dati personali da parte dei soggetti pubblici, ai sensi dell’art. 27, comma 2, l. n. 675/1996. In questo contesto specifiche norme disciplinano la custodia dei documenti caratteristici, distinguendo tra le diverse categorie di militari(34). Infine, sono previste norme particolari in tempo di guerra, riguardanti in particolare la redazione dei rapporti informativi e la conservazione della documentazione caratteristica(35).

5. Il problema del vizio dell’eccesso di potere rilevato dalla giurisprudenza e le tecniche di redazione

Un’ulteriore rilevante problematica è quella relativa al recente contenzioso giurisdizionale, sviluppatosi a seguito del superamento dell’istituto del reclamo, della completa accessibilità della documentazione caratteristica e delle immediate soluzioni giurisprudenziali che hanno contribuito alla elaborazione di principi direttivi nella materia, ritenuti ormai vincolanti per chi deve effettuare la valutazione (anche in questo settore abbiamo una chiara applicazione di principi di diritto giurisprudenziale). In particolare, i principali aspetti patologici della documentazione caratteristica sono stati rilevati soprattutto in tema di vizio di eccesso di potere, con specifico riferimento ai sintomi di difetto di motivazione, di insufficienza della motivazione, di contraddittorietà, di ingiustizia manifesta, di erroneità dei presupposti, di travisamento dei fatti, di illogicità.

La possibilità poi che si verifichino ipotesi di illegittimità per eccesso di potere, oltre all’eventuale “cattivo uso” del potere discrezionale di valutazione, che riguarda sempre e comunque la singola concreta vicenda, è riconnessa anche alla struttura della stessa documentazione caratteristica (ci riferiamo ovviamente ai documenti previsti nella precedente normativa, per i quali sono numerosi i riferimenti giurisprudenziali(36)). La scheda o lo specchio valutativo, in particolare, erano articolati in tre parti fondamentali: l’una contenente un determinato numero di qualità, per le quali i redattori potevano utilizzare esclusivamente aggettivazioni prestabilite, l’altra, a schema libero, dove il superiore esprimeva un giudizio sintetico che condensava l’intera valutazione delle prestazioni e delle potenzialità, l’ultima contenente soltanto la qualifica finale, da scegliere esclusivamente tra quelle predefinite dalla l n. 1695/1962.

Questa articolazione implicava una preliminare difficoltà logica nel processo di valutazione: la necessità di prestabilire, almeno concettualmente, la qualifica finale (che doveva essere invece un momento successivo e, appunto, finale del giudizio) per rendere l’intera compilazione coerente e consequenziale. In questo modo la scelta delle aggettivazioni si orientava necessariamente verso quelle assimilabili alla qualifica predefinita (che, d’altra parte, proprio perché fissate rigidamente non sempre esprimevano i reali contenuti delle singole qualità), così come il giudizio sintetico veniva formulato con espressioni verbali quanto più possibile omogenee alla stessa qualifica finale. Per evitare, quindi, contraddizioni, incoerenze, illogicità, con conseguente difetto di motivazione o insufficienza della stessa, nella redazione della documentazione caratteristica doveva essere prestabilito il parametro valutativo, all’interno del quale utilizzare le aggettivazioni e formulare i giudizi corrispondenti, senza scostamenti significativi che potevano inficiare la ragionevolezza della stessa valutazione(37).

Connessa con questa problematica interna è l’altra, relativa alla possibilità del riscontro dei giudizi espressi nei documenti caratteristici con dati di fatto obiettivi, desumibili aliunde, la cui mancanza o contraddittorietà, anche tuttora, potrebbe condurre alla rilevazioni di sintomi di illegittimità, quali l’erroneità dei presupposti, il travisamento dei fatti e, conseguentemente, il difetto di motivazione o la sua insufficienza, con carattere - in questo caso - estrinseco(38). Altro punto critico, strettamente legato a quello precedente, è sempre stato la possibile diversità di giudizi tra due differenti momenti valutativi, in relazione - ovviamente - ad un’eventuale successiva minor qualificazione delle prestazione e delle potenzialità del giudicando(39). Qui il problema fondamentale è l’adeguata motivazione del giudizio meno favorevole per l’interessato, con la necessità di fare riferimento ad adeguati riscontri oggettivi esterni, idonei a supportare obiettivamente il giudizio sfavorevole( 40). Differente, e già disciplinata dalla precedente normativa, la tematica dell’eventuale dissenso dell’autorità che revisiona il documento dal giudizio espresso da quella inferiore: per questa specifica ipotesi un’apposita norma prescrive la necessità della motivazione da parte di chi esprime il giudizio di non concordanza(41).

Gli organi di giustizia amministrativa, alla luce delle problematiche applicative che ineriscono all’uso del potere discrezionale, hanno elaborato alcuni principi di diritto giurisprudenziale, validi anche con l’attuale sistema di valutazione, perché principi generali di buona amministrazione. Innanzitutto, per quanto riguarda l’oggetto del sindacato giurisdizionale, è costante l’affermazione che lo stesso è necessariamente circoscritto alla logicità intrinseca dei giudizi complessivi, alla loro congruità reciproca, all’aderenza e alla consequenzialità rispetto ai giudizi analitici, in quanto è espressione del generale sindacato di legittimità che non può ingerirsi nelle questioni attinenti al merito della valutazione caratteristica(42). Altro importante principio è la necessità che la valutazione del servizio prestato deve essere globale, e prescindere da fatti specifici, sia che questi risultino pienamente legittimi, sia che, al contrario, si accompagnino, ad esempio, a mancanze disciplinarmente rilevanti, quindi non può risultare un dettagliato resoconto dell’attività del giudicando(43). Ancora, costante è l’affermazione giurisprudenziale dell’autonomia delle valutazioni caratteristiche, per le quali l’Amministrazione militare, per ciascun periodo di tempo considerato e tenuto conto del servizio svolto, può pervenire a valutazioni diverse da quelle anteriori, in quanto il carattere, le attitudini ed i risultati del lavoro compiuto dal medesimo soggetto, lungo il corso degli anni, non sono necessariamente uniformi. e sono, pertanto, suscettibili di diversa valutazione nel corso del tempo(44).

Interessante, infine, il principio della riferibilità dei giudizi - prioritariamente - alle “prestazioni istituzionali”, previste per ogni singola Forza armata o Corpo armato e riferite all’incarico assolto, che devono costituire il principale oggetto di valutazione e che non possono essere surrogate da prestazioni collaterali o secondarie(45). Il sommario quadro giurisprudenziale appena tracciato pone all’attenzione il tema di come la nuova tecnica di redazione dei documenti caratteristici abbia, o meno, contribuito ad apportare soluzioni o, anche solo a perfezionare il sistema, cercando di ridurre il ricorso al contenzioso (sempre esiziale per l’amministrazione, che deve impegnarvi tempo e risorse) e i margini di illegittimità dell’utilizzo del potere discrezionale. In particolare dobbiamo distinguere le modalità di compilazione dei nuovi modelli C, D ed E, relativi a tutto il personale militare non dirigente e non direttivo da quelle relative al personale ufficiali, tra i quali dobbiamo ulteriormente distinguere gli ufficiali generali. Solo per quest’ultima categoria di militari la tecnica di redazione è sostanzialmente libera, in quanto si traduce in sintetiche relazioni riferite a gruppi omogenei di qualità (fisiche, morali e di carattere, culturali ed intellettuali, professionali). È evidente che l’alta posizione del giudicando e delle autorità giudicatrici ha consigliato opportunamente di lasciare ampio spazio a giudizi discrezionali non vincolati da formulazioni predefinite, non sempre idonee a far risaltare quelle peculiarità necessarie a costituire un giusto discrimine ai massimi livelli di professionalità e dirigenza.

Per tutti gli altri ufficiali il modello di riferimento, il B, prevede due sezioni: la sezione A, con la quale il giudizio viene formulato barrando caselle con valori predefiniti, disposti casualmente (cioè senza una graduazione ordinata), e che si riferiscono a singole qualità del giudicando; la sezione B, con la quale, invece, la valutazione delle attitudini si effettua mediante l’utilizzazione di una gamma di valori prefissati(46), accompagnati da una nota di commento, obbligatoria nel caso di attribuzione dei valori estremi (pregevole/insufficiente), facoltativa negli altri casi. Per i modelli C, D ed E il metodo di redazione è quello già previsto nel modello B, alla sezione A. Quanto queste tecniche di redazione, estremamente semplificate, siano in grado non solo di contribuire ad una valutazione utile, efficace ed obiettiva, ma anche ad evitare il contenzioso che i difetti tecnico-giuridici del precedente sistema avevano acuito, non è possibile al momento valutarlo.

Alcune considerazioni sono però opportune: - la mancanza di giudizi sintetici non consente più di graduare la massima qualifica, con le cosiddette espressioni elogiative che costituivano un importante discrimine ed evitavano un certo appiattimento verso l’alto; - la disposizione casuale dei valori postula una assoluta concordanza sul loro significato descrittivo e ascrittivo, non sempre ottenibile per la variabilità del loro significato socio-culturale, in relazione al contesto storico, ambientale e sociale; - l’utilizzazione di modelli, in larga parte predefiniti, non sviluppa la capacità creativa nell’attività di valutazione, potendo comportare nel tempo l’acquisizione di un abito mentale estremamente schematizzato e rigido, non idoneo a cogliere sfumature e peculiarità; - il sistema di valutazione, per il livello dirigenziale, non consente assolutamente la possibilità di misurare le prestazione secondo standard prefissati, in analogia a quanto avviene per la dirigenza pubblica, per la quale esiste un apposito sistema di controllo e l’istituto della responsabilità dirigenziale; - non può affermarsi che l’eventuale contraddittorietà intrinseca sia superata dall’attuale sistema (forse solo un valutazione di tipo numerico con punteggio finale, costituito dalla sommatoria di punteggi parziali per gruppi di qualità potrebbe ovviare a questo inconveniente).

6. I rimedi avverso la documentazione caratteristica e il problema del “reclamo”

La legge 5 novembre 1962, n. 1695, prevedeva un particolare rimedio avverso la documentazione caratteristica, consistente nel reclamo, disciplinato all’art. 4. L’istituto del reclamo era strutturato come esclusivo rimedio di legittimità, limitato peraltro ai soli vizi di incompetenza e violazione di legge, deducibili per di più soltanto dal contenuto della rituale comunicazione al militare interessato del giudizio valutativo, documentata con appositi modelli previsti dal d.p.r. 15 giugno 1965, n. 1431. D’altra parte il reclamo poteva considerarsi un istituto generale dell’ordinamento militare: unico rimedio esperibile dal “militare che si crede[va] leso nei propri diritti, disciplinarmente od amministrativamente”, secondo la formula contenuta nel Regolamento di disciplina (n. 123) che, al tempo dell’entrata in vigore della legge n. 1695/1962, era ancora quello del 1929.Il rimedio del reclamo, d’altronde, era circondato da tali cautele disciplinari e procedurali (dal n. 123 al n. 138), che ben difficilmente poteva costituire un valido strumento dialettico interno o veicolo di legittime aspettative del personale, potendo anzi essere eventualmente fonte di responsabilità disciplinari(47), se non addirittura penali militari, se presentato in forma collettiva(48).

L’istituto del reclamo, pur senza le incrostazioni verbali e ideologiche sottese alla regolamentazione del 1929, trasmigra nel Regolamento di disciplina militare del 1964 che contiene un capo, il IV, dedicato esclusivamente ai reclami e al modo di presentarli. L’istituto del reclamo scompare con il Regolamento di disciplina militare del 1986, il quale, avverso le sanzioni disciplinari di corpo, prevede i rimedi dell’istanza di riesame e del ricorso gerarchico, sul quale, ai sensi dell’art. 16 l. n. 382/1978, è competente a decidere l’autorità militare gerarchicamente superiore a quella che ha emesso il provvedimento sanzionatorio. La ragione per cui la l. n. 1695/1962 parlasse originariamente di reclamo (e non più correttamente di ricorso) era coerentemente connessa con la generale disciplina dell’istituto in ambito militare, poiché il reclamo di cui all’art. 4 l. n. 1695/1962 poteva considerarsi istituto giuridico complementare (e speciale) rispetto alla normativa generale.

Venendo a mancare proprio la normativa generale, nel tempo si sono evidenziate le discrasie dell’istituto de quo, anche se già l’emanazione del d.p.r. n. 1199/1971 mette in crisi il reclamo come peculiare rimedio avverso la documentazione caratteristica. La difficoltà di inquadrare esattamente il reclamo ex art. 4 l. n. 1695/1962 all’interno della categoria generale dei ricorsi amministrativi viene alla luce già all’indomani dell’entrata in vigore del d.p.r. n. 1199/1971, quando il Consiglio di Stato, con parere n. 115/1973 del 28 marzo 1973, precisò che il termine di presentazione dei reclami non dovesse essere quello previsto dalla norma, ex art. 4 l. n. 1695/1962, cioè di 60 giorni, ma il più breve termine di 30 giorni stabilito dall’art. 2 d.p.r. n. 1199/1971, per tutti i ricorsi amministrativi gerarchici. Tenendo conto che il ricorso gerarchico ai sensi dell’art. 1 del predetto d.p.r. può essere ammesso anche per motivi di merito e che, quindi, ai sensi del successivo art. 5, può essere deciso nel merito, con ciò sindacando l’opportunità delle scelte dell’amministrazione, nulla disse il Consiglio di Stato in merito ai vizi deducibili né in ordine all’autorità competente, anche se al tempo il riferimento al Ministero della difesa poteva efficacemente soddisfare l’esigenza dettata dallo stesso art. 1, per cui il ricorso va presentato all’organo sovraordinato a quello che ha emesso il provvedimento impugnato. In questo modo gli aspetti procedurali relativi al ricorso gerarchico e gli aspetti sostanziali propri del reclamo convivono in una disciplina ibrida e foriera di incertezze interpretative e perplessità applicative.

L’erompere dei principi di pubblicità e trasparenza amministrativa, introdotti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e, soprattutto, la trasposizione di detti principi in ambito difesa, principalmente con d.m. 14 giugno 1995, n. 519, hanno dissolto il fragile adeguamento ricostruttivo operato per l’istituto del reclamo. Nel momento in cui l’accesso alla documentazione amministrativa diviene la regola e la segretazione degli atti amministrativi l’eccezione, peraltro possibile solo quando espressamente prevista da una norma di legge o di regolamento, per i documenti caratteristici vengono meno i limiti di deducibilità dei vizi, sotto il profilo della conoscenza degli stessi. Non si ha più soltanto cognizione del “foglio di comunicazione”, ma l’intero documento diventa perfettamente conoscibile e tutto può diventare impugnabile, nonostante l’originaria formulazione del n. 10, allegato 3, d.m. n. 519/1995, che continuava a porre severi limiti all’accesso ai documenti caratteristici. La giurisprudenza amministrativa portata a conoscenza dei dinieghi di accesso alla documentazione caratteristica da parte dell’Amministrazione della difesa ha costantemente disapplicato la norma regolamentare(49), concedendo l’accesso pieno e costringendo l’Amministrazione de qua a tornare in argomento, novellando il Regolamento del 1995, con d.m. 3 novembre 1999, n. 486, con il quale si è alfine specificato che la sottrazione all’accesso, per un periodo di 50 anni, riguarda “i terzi” e non l’interessato alla valutazione caratteristica.

Ancor più decisa è divenuta, quindi, in materia di reclamo, la giurisprudenza amministrativa che già nel 1994(50), e successivamente con un indirizzo interpretativo diventato subito prevalente e costante, ha affermato l’abrogazione tacita, per incompatibilità della materia (art. 15 preleggi), dell’art. 4 l. n. 1695/1962, in virtù del combinato disposto degli artt. 1 e 17 d.p.r. n. 1199/1971(51). Allo stato, quindi, la disciplina del reclamo, come regolata dalla legge n. 1695/1962, non deve considerarsi più in vigore. Posto il principio di diritto che avverso la documentazione caratteristica è esperibile il ricorso gerarchico, previsto dal d.p. r. n. 1199/1971, artt. 1-6, e sgombrato il campo da ogni riferimento al reclamo ex art. 4 l. n. 1695/1962, non tutti i nodi problematici possono dirsi risolti. In particolare bisogna esaminare attentamente la soluzione, antecedentemente adottata in via di prassi, ma ormai codificata nel nuovo d.p.r. 8 agosto 2002, n. 213, per la quale l’autorità competente a decidere il ricorso gerarchico debba essere la Direzione generale per il personale militare del Ministero della difesa (telegraficamente “Persomil”). Quest’ultimo d.p.r. non contiene alcuna norma specifica riguardante il ricorso gerarchico, ma nei modelli dei documenti caratteristici, allegati al Regolamento e costituenti parte integrante dello stesso, subito dopo l’informativa ai sensi della legge sulla privacy(52), viene riportato apposito spazio in cui viene indicata l’autorità alla quale può essere inoltrato il ricorso gerarchico, cioè Persomil.

L’indicazione dell’autorità competente nella Direzione generale de qua, suscita sostanzialmente due interrogativi: - l’uno è relativo alla stessa definizione della predetta Direzione generale come “organo sovraordinato”, di cui all’art. 1 d.p.r. n. 1199/1971, rispetto alle autorità che redigono i documenti caratteristici, in virtù del principio della separazione tra politica e amministrazione, espresso attualmente dal d.lg. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni; - l’altro è connesso con la possibilità di ricorrere e di decidere anche per motivi di merito, nella considerazione che il giudizio di merito potrebbe comportare una riqualificazione del ricorrente opportunamente motivata(53). Sul primo punto si deve immediatamente rilevare come l’ordinamento militare sia informato al principio organizzativo della gerarchia in senso stretto (o modello gerarchico-funzionale) che riconnette autorità e responsabilità, e si esprime nei necessari poteri amministrativi di ordine, sostituzione e controllo, che sottendono quelli di direzione, coordinamento e avocazione, propri anche della gerarchia in senso lato(54).

Non si può negare che la valutazione caratteristica sia un momento importante nel rapporto gerarchico-funzionale, avendo lo scopo, ai sensi dell’art. 1 l. n. 1695/1962, “di registrare tempestivamente il giudizio personale, diretto ed obiettivo dei superiori sui servizi prestati e sul rendimento” del militare, “rilevando le qualità da questo dimostrate” (il principio enunciato è ripreso quasi pedissequamente dal d.p.r. n. 213/2002, dove alla rilevazione delle qualità si sostituisce quella relativa alle “capacità e attitudini dimostrate ed [a]i risultati conseguiti”). D’altra parte, il principio della separazione tra politica ed amministrazione, introdotto già con d.lg. 3 febbraio 1993, n. 29, ha reso il vertice amministrativo, che si sostanzia negli uffici dirigenziali generali, parzialmente autonomo dal vertice politico, cioè i Ministri, con l’importante conseguenza che gli atti e i provvedimenti amministrativi emanati dai titolari di uffici dirigenziali generali sono definitivi e non più soggetti a ricorsi gerarchici, atteso che il dirigente generale si assume la piena responsabilità dei suoi atti di gestione.

Ciò è valido anche in ambito difesa, più precisamente nell’area tecnicoamministrativa della difesa, anche se la legge 18 febbraio 1997, n. 25, continua a definire il Ministro della difesa massimo organo gerarchico e disciplinare dell’Amministrazione militare e civile della difesa (il punto è problematico e talvolta solleva seri dubbi). Infatti, ai Ministri, per l’attività amministrativa, è demandato un limitato potere di intervento (art. 14, comma 3, d.lg. n. 165/2001) e la verifica dei risultati dei dirigenti, con la possibilità di azionare la peculiare responsabilità dirigenziale. Questo sistema, come noto, non si applica al personale, anche con qualifiche dirigenziali, delle Forze armate, per il quale lo strumento di valutazione principale rimane la documentazione caratteristica (tranne che per i tenenti generali e gradi corrispondenti, come indicato dall’art. 1, comma 2, d.p.r. n. 213/2002). In tale contesto Persomil non può ritenersi organo sovraordinato alle autorità competenti alla redazione dei documenti caratteristici, né tantomeno alle singole Forze armate, nel momento in cui la valutazione caratteristica ancora è espressione del rapporto gerarchico-funzionale (diverse sono le vicende relative al rapporto d’impiego militare, o meglio allo stato giuridico del personale militare).

Persomil poteva ritenersi organo sovraordinato quando, come articolazione del vertice politico-amministrativo, rappresentato dal Ministro della difesa, decideva, eventualmente se conferita, per delega (di firma), e non per propria competenza. Maggiori perplessità suscita la questione relativa ai motivi di merito che possono essere dedotti in sede di ricorso e possono, quindi, costituire motivo di decisione nel merito, con eventuale annullamento del documento caratteristico, che non può essere riformato dall’autorità decidente il ricorso, stante la tassativa indicazione normativa delle autorità competenti alla compilazione e revisione dei documenti caratteristici. Che il ricorso gerarchico avverso la documentazione caratteristica possa anche coinvolgere il merito delle scelte valutative è fuor di dubbio, in base alla normativa generale introdotta dal d.p.r n. 1199/1971. Il problema fondamentale è se l’autorità individuata in sede di decisione del ricorso gerarchico, cioè Persomil, sia in grado di decidere nel merito, sindacando l’opportunità del giudizio valutativo, oltre alla sua legittimità - estesa oltre che ai vizi di incompetenza e violazione di legge anche a quelli ben più pregnanti dell’eccesso di potere -, con elementi di fatto idonei a suffragare una decisione giusta ed imparziale. E ciò è tanto più importante quanto più si consideri che proprio il recente intervento di Persomil (circolare n. DPGM/V/1696/D9-1/G.L. del 26 luglio 2002) mira proprio ad ovviare ad una situazione di concreta gestione amministrativa che potrebbe qualificare l’Amministrazione della difesa “come insensibile alle legittime esigenze dei propri amministrati”. D’altra parte, la valutazione caratteristica in ambito militare non è una verifica di risultati, né è assimilabile al controllo dirigenziale, per i quali è possibile stabilire parametri di valutazione certi ed obiettivi.

Nel momento in cui i documenti caratteristici hanno lo scopo di registrare “il giudizio personale diretto ed obiettivo dei superiori”, riesce difficile capire come Persomil possa sostituirsi in sede di decisione di ricorso gerarchico ad un tale tipo di giudizio, fondando un eventuale annullamento per vizi di merito su una propria valutazione “diretta ed obiettiva” del ricorrente. Inoltre, si deve considerare che l’intervento di riforma della normativa secondaria riguardante la documentazione caratteristica (il D.P.R. del 1965) è stato tra l’altro motivato con la necessità di evitare incongruenze della procedura valutativa, tra le quali assume un ruolo preponderante la conoscenza diretta e personale del militare da valutare. Il parere del Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, n. 160/97 del 17 novembre 1997, sottolinea un passaggio della relazione del Ministero della difesa sullo schema di regolamento, divenuto poi testo definitivo, dove appunto l’esigenza di riforma risulta anche condizionata dalla rilevata circostanza “che in molti casi il giudizio è espresso da soggetti che non hanno conoscenza diretta dell’interessato e che in veste di revisori intervengono superiori estranei ad un rapporto di servizio diretto”.

In sostanza il sistema come congegnato ridurrebbe il ricorso gerarchico ad una mera valutazione di legittimità del documento caratteristico, senza alcuna differenza dal ricorso giurisdizionale (questo sì esperibile soltanto per motivi di legittimità) di cui costituirebbe un inutile doppione, con evidenti profili di illegittimità dello stesso sistema.


(1) - L’aspetto strumentale è di primaria importanza in tutti i settori dell’impiego pubblico e privato che utilizzano un sistema di valutazione del personale dipendente. Per tutti: A. MANTERO (1991), “Qualifiche e rapporti informativi dei pubblici dipendenti”, 1.
(2) - Il sistema di valutazione in ambito militare prevede - normalmente - che intervengano ad esprimere giudizi almeno tre superiori gerarchici posti ai tre superiori livelli ordinativi del giudicando nella stessa linea di comando: si tratta del compilatore, il superiore diretto del giudicando che esprime il primo giudizio; del primo revisore, superiore diretto del compilatore, che esprime un giudizio di secondo grado; del secondo revisore, superiore diretto del primo revisore, che esprime un giudizio di terzo grado.
(3) - La legge in argomento ha abrogato il precedente sistema di valutazione introdotto dalla legge 22 gennaio 1942, n. 92.
(4) - Per una recente ed ampia analisi: M. BORTOLETTI (2002), “La gestione e la valutazione delle risorse umane nell’impresa”, 7. Per maggiori approfondimenti: L. BORGOGNI (1998), Valutazioni e motivazione delle risorse umane nelle organizzazioni, 1.
(5) - Sulla natura giuridica dei giudizi valutativi come espressione di un giudizio tecnico - discrezionale, connotato da un’ineliminabile caratterizzazione soggettiva: T.A.R. Puglia, sezione prima, 9 ottobre 2002. Per una lata discrezionalità in materia da parte dell’amministrazione militare: T.A.R. Veneto, prima sezione, 14 aprile 2000; T.A.R. Lombardia, sezione prima, 26 giugno 2002; T.A.R. Piemonte, sezione prima, 16 ottobre 2002.
(6) - Secondo questa impostazione la documentazione caratteristica avrebbe anche una funzione educativa, nel senso di incentivare gli interessati verso “una più coscienziosa e profonda elevazione”. Così: N. IMBRIANI (1966), “Funzione educativa della documentazione caratteristica”, 775.
(7) - Per una sintetica illustrazione delle novità introdotte dal D.P.R. n. 213/2002, si veda: B. LABELLA - G. CARDUCCI (2003), “La nuova documentazione caratteristica del personale militare delle Forze armate”, 45.
(8) - Cfr.: art. 33, l. 10 maggio 1983, n. 212, relativo all’avanzamento dei sottufficiali delle Forze armate; art. 15, d. lg. 30 dicembre 1997, n. 490, relativo all’avanzamento degli ufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica; art. 15 d. lg. 5 ottobre 2000, n. 298, relativo all’avanzamento degli ufficiali dell’Arma dei Carabinieri; art. 19, d. lg. 19 marzo 2001, n. 69, relativo all’avanzamento degli ufficiali della Guardia di finanza. Si veda in generale anche il d. m. 2 novembre 1993, n. 571, recante il regolamento concernente modalità e criteri applicativi delle norme contenute negli articoli 25 e 26 della legge 12 novembre 1955, n, 1137, riguardante le procedure e i punteggi per l’avanzamento a scelta degli ufficiali delle Forze armate. Sull’importanza della documentazione caratteristica in tema di avanzamento, anche in un contesto di diritto comparato, vedi: C. SCHWARZENBERG (1993), “L’importanza in Italia e all’estero della documentazione caratteristica, con particolare riguardo ai problemi dell’avanzamento”, 48.
(9) - Cfr.: art. 5, comma 3, D. M. n. 571/1993, in tema di ragionevoli indici di non idoneità all’avanzamento.
(10) - Cfr.: artt. 8, 9, 11 e 11-bis, D. M. n. 571/1993, così come modificato dal D. M. 22 novembre 2002, n. 299.
(11) - Cfr.: art. 40, 1° comma, lett. b), l. n. 599/1954, art. 26, 1° comma, lett. b), l. n. 1168/1961, art. 34, 1° comma, lett. b), l. n. 833/1961.
(12) - La normativa di riferimento per lo scarso rendimento è la seguente: art. 26, 1° comma, lett. c), l. 31 luglio 1954, n. 599, per i sottufficiali delle Forze armate (e della Guardia di finanza, ai sensi dell’art. 1, l. n. 260/1957), che parla indifferentemente di non idoneità alle attribuzioni del grado o scarso rendimento; art. 12, 1° comma, lett. c), l. 18 ottobre 1961, n. 1168, per gli appartenenti al ruolo appuntati e carabinieri, che parla di scarso rendimento, nonché gravi e reiterate mancanze disciplinari che siano state oggetto di consegna di rigore, così come l’art. 15, 1° comma, lett. c), l. 3 agosto 1961, n. 833, relativo agli appartenenti al ruolo appuntati e finanzieri; art. 27, comma 1, lett. g), d. lg. n. 196/1995, per i volontari di truppa delle Forze armate. La normativa di riferimento per la non idoneità agli uffici del grado è la seguente: artt. 33, 1° comma, lett. c), e 40-42, l. 10 aprile 1954, n. 113.
(13) - L’art. 2, l. n. 1695/1962, prevede coma qualifica più bassa quella di “insufficiente”.
(14) - Per le norme di riferimento, cfr.: artt. 4-bis, 5-bis e 6-bis, d. lg. n. 196/1995, introdotti dal d. lg. n. 82/2001, per il personale dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica; artt. 37-bis, 37-ter e 38-ter, d. lg. n. 198/1995, introdotti dal d. lg. n. 83/2001, per il personale dell’Arma dei Carabinieri; artt. 58-ter, 73-bis e 73-ter, d. lg. n. 199/1995, introdotti dal d. lg. n. 67/2001, per il personale della Guardia di finanza.
(15) - Per le norme di riferimento, cfr.: artt. 31-bis, 31-ter e 31-quater, d. lg. n. 196/1995, introdotti dal d. lg. n. 82/2001, per il personale dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica; artt. 54-ter, 54-quater e 54-quinquies, d. lg. n. 198/1995, introdotti dal d. lg. n. 83/2001, per il personale dell’Arma dei Carabinieri; artt. 73-bis e 73-ter e 73-quater, d. lg. n. 199/1995, introdotti dal d. lg. n. 67/2001, per il personale della Guardia di finanza.
(16) - Cfr.: art. 31-sexies, d. lg. n. 196/1995, introdotto dal d. lg. n. 82/2001, riguardante alcuni sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica.
(17) - Cfr., rispettivamente: art. 38-ter, d. lg. n. 198/1995, introdotto dal d. lg. n. 83/2001; art. 58- quater, d. lg. n. 199/1995, introdotto dal d. lg. n. 67/2001; art. 6-bis, d. lg. n. 196/1995, introdotto dal d. lg. n. 82/2001.
(18) - La diversa formulazione dell’art. 1 D.P.R. n. 213/2002, rispetto a quella dell’art. 1, D.P.R. n. 1431/1965, risiede più nel differente stile linguistico che nella sostanza delle cose: nel precedente decreto si parla di giudizio “sui servizi prestati e sul rendimento dato dall’ufficiale, rilevando le qualità da questo dimostrate”, nell’attuale di giudizio “sui servizi prestati e sul rendimento fornito dal militare, rilevando le capacità e attitudini dimostrate ed i risultati conseguiti”.
(19) - Questo obiettivo viene perseguito attraverso la disposizione casuale.
(20) - L’ipotesi di incompatibilità è quella del superiore che deve valutare un inferiore sottoposto ad inchiesta formale e che può, a giudizio dell’autorità che ha ordinato l’inchiesta, essere comunque interessato all’esito del procedimento.
(21) - È il caso delle ipotesi del superiore sospeso dall’impiego, del superiore privato dell’incarico, del comando o della direzione di un ufficio, perché sottoposto ad inchiesta formale ovvero per fatti che potrebbero comportare l’adozione di sanzioni disciplinari di stato.
(22) - È il caso del militare che rispetto al giudicando sia meno elevato in grado ovvero, a parità di grado, meno anziano (la circostanza non è rilevante se il predetto militare sia un ufficiale in servizio di stato maggiore dell’esercito), considerando che ai sensi dell’art. 12 R.D.M. l’ipotesi è prevista ed eccezionalmente compatibile nell’ambito dei rapporti gerarchici e di subordinazione dettati dalla disciplina militare.
(23) - È il caso del superiore dichiarato non idoneo agli uffici del grado.
(24) - Si consideri che nel precedente sistema la norma corrispondente recitava nel seguente modo: “In mancanza di sufficienti elementi, il superiore si astiene dal giudizio, dandone motivazione nel documento caratteristico” (art. 6, 12° comma, D.P.R. 1431/1965.
(25) - È significativo che la corrispondente norma abrogata prevedeva la motivazione dell’astensione.
(26) - Quest’ultima norma disciplina casi prestabiliti che costituiscono un elenco tassativo, difficilmente superabili anche attraverso un procedimento analogico. L’unico “caso elastico” è quello contemplato dall’art. 6, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 213/2002, che parla di “contemporaneo assolvimento di un secondo incarico alle dipendenze di autorità militare diversa.
(27) - L’art. 11, D.P.R. n. 213/2002, detta limiti alla revisione dei documenti dei capitani, dei maggiori e dei tenenti colonnelli, commi 1 e 2, e limiti all’intervento dei Capi di stato maggiore e del Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri nella redazione dei documenti caratteristici, commi 3 e 4, nonché del Capo di Gabinetto o titolare di ufficio dirigenziale generale del Ministero della difesa, comma 5.
(28) - L’art. 13, comma 4, stabilisce che il limite gerarchico all’intervento dei superiori nella redazione dei documenti dei sottufficiali è costituito dal comandante di corpo o dal colonnello o da un dirigente civile, al di sopra dei quali non si procede a revisione. La norma specifica che, per i marescialli dell’Arma dei Carabinieri, non si procede a seconda revisione anche nel caso in cui il compilatore o il primo revisore sia il comandante di reparto ai fini disciplinari.
(29) - La norma prevede le stesse ipotesi previste per gli appartenenti ai ruoli marescialli/ispettori, ma nulla di particolare è previsto per i brigadieri dell’Arma dei Carabinieri, così come per il personale appartenente al ruolo appuntati e carabinieri.
(30) - Termine del servizio del giudicando. Variazione del rapporto di dipendenza dovuta, alternativamente, alla fine del servizio, al trasferimento o al cambio di incarico del giudicando o del compilatore e al trasferimento o alla cessazione del servizio del primo revisore, se il giudicando esercita il comando o le attribuzioni specifiche valide ai fini dell’avanzamento e il primo revisore lo ha avuto alle dipendenze per un periodo di almeno centottanta giorni senza averlo valutato (quest’ultima ipotesi è una novità). Inclusione nelle aliquote di ruolo per la formazione dei quadri di avanzamento. Termine di un corso di istruzione o di eventuali periodi di esperimento. Sospensione dall’impiego del giudicando. Compimento del periodo massimo di 12 mesi di servizio non documentato, previsto dalla stessa l. n. 1695/1962. Partecipazione a concorsi, se espressamente richiesto dai relativi bandi. Promozione al grado di tenente generale o grado corrispondente.
(31) - La normativa prevede cinque modelli (A, B, C, D, E) da utilizzare sia in sede di redazione della scheda valutativa - per cui la compilazione è completa - sia per quella del rapporto informativo - per cui la compilazione è parziale. Il modello A si riferisce agli ufficiali generali, sino al livello di maggior generale e gradi corrispondenti, il modello B si riferisce a tutti gli altri ufficiali, il modello C al personale dei ruoli marescialli/ispettori, il modello D al personale dei ruoli sergenti/sovrintendenti e il modello E al personale militare dei ruoli iniziali.
(32) - La scheda valutativa viene utilizzata esclusivamente per valutare servizi di durata non inferiore a 180 giorni (in precedenza i giorni erano 120). Il rapporto informativo viene utilizzato normalmente per valutare servizi di durata non inferiore a sessanta giorni ed inferiore a centottanta giorni. Inoltre, quest’ultimo documento, viene utilizzato per periodi di tempo non inferiori a sessanta giorni, ma che potrebbero essere anche superiori a centottanta, quando si tratti di corsi di istruzione o di servizi presso organismi nei quali il compilatore o uno dei revisori è un’autorità civile del Ministero della difesa. Infine, il rapporto informativo viene utilizzato anche per servizi di durata inferiore a sessanta giorni, in occasione di operazioni di carattere nazionale o internazionale previste da leggi speciali (?), secondo le direttive emanate dagli organismi di vertice delle Forze armate.
(33) - Ad avvalorare questa tesi contribuiscono, per quanto il loro valore giuridico sia discutibile, le sommarie istruzioni contenute nei modelli B - ufficiali - e C - marescialli/ispettori, mentre perplessità suscita la mancanza di analoghe istruzioni nei modelli relativi ai sergenti/sovrintendenti e volontari/appuntati e carabinieri.
(34) - Cfr.: art. 12, D.P.R. n. 213/2002, per gli ufficiali; art. 13, comma 2, D.P.R. n. 213/2002, per i marescialli del Corpo delle Capitanerie di porto; art. 14, comma 2, D.P.R. n. 213/2002, per i sergenti del Corpo delle Capitanerie di porto; art. 15, comma 2, per i volontari di truppa del Corpo delle Capitanerie di porto.
(35) - Cfr.: art. 9, D.P.R. n. 213/2002.
(36) - Per un esame sommario del problema della sindacabilità delle scelte espresse nei documenti caratteristici, in relazione ai precedenti modelli previsti dal D.P.R. n. 1431/1965, da ultimo, vedi: S. MARCOLINI (2002), “Il controllo del giudice amministrativo sulla documentazione caratteristica degli appartenenti alle forze armate tre principio di legalità e merito insindacabile delle scelte della p. a. militare”, 2854.
(37) - Sulla eventuale contraddittorietà intrinseca del documento caratteristico, cfr.: T.A.R. Puglia, prima sezione di Lecce, 10 gennaio 2002.
(38) - Cfr.: T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 15 luglio 2002.
(39) - In questo contesto il sindacato giurisdizionale si è esteso anche alle cosiddette espressioni elogiative (apprezzamenti e compiacimenti variamente graduati), eventuali ed aggiuntive dichiarazioni lusinghiere che vanno a corredare i giudizi sintetici e si accompagnano alla qualifica apicale. Cfr.: T.A.R. Puglia, prima sezione di Lecce, 10 gennaio 2002. (40) - Sul punto: T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 9 gennaio 1996, n. 61; T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 28 gennaio 2002; T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 15 luglio 2002.
(41) - Cfr.: art. 2, comma 6, D.P.R. n. 213/2002.
(42) - Tra le tante, cfr.: Cons. Stato, sez. IV, 5 maggio 1987, n. 271; Cons. Stato, sez. IV, 16 gennaio 2001; T.A.R. Trentino Alto Adige, sede di Trento, 25 ottobre 2001; T.A.R. Lombardia, sezione prima, 26 giugno 2002; T.A.R. Emilia-Romagna, sez. Parma, 6 marzo 2003, n. 132.
(43) - Cfr.: T.A.R. Lombardia, sezione prima, 26 giugno 2002; T.A.R. Puglia - sezione prima -, 9 ottobre 2002; T.A.R. Sardegna, 20 novembre 2002, n. 415.
(44) - Tra le tante, cfr.: Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 1994, n. 644; Cons. Stato, sez. IV, 16 gennaio 2001; Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2001, n. 991; T.A.R. Calabria, sezione prima, 23 maggio 2002; T.A.R. Lombardia, sezione prima, 26 giugno 2002; T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 18 novembre 2002; T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 10 marzo 2003, n. 3341.
(45) - Cfr.: T.A.R. Calabria - sezione distaccata di Reggio Calabria, 13 gennaio 2001, relativa all’impugnazione di una scheda valutativa sfavorevole, redatta nei confronti di un ufficiale della Guardia di finanza comandante di compagnia territoriale, impugnazione ritenuta infondata anche per gli aspetti inerenti al decremento dell’attività operativa istituzionale - accertamento delle evasioni fiscali e delle violazioni finanziarie - cui il ricorrente aveva tentato di opporre, in compensazione, l’incremento delle attività operative extratributarie.
(46) - Insufficiente / insoddisfacente / carente / sufficiente / soddisfacente / buono / molto buono / ottimo / pregevole.
(47) - Vedi nn. 126, 129, 133, 136, 137.
(48) - Art. 180 c.p.m.p., sul quale si è pronunciata la Corte costituzionale, con sentenza 29 aprile 1985, n. 181, che ha dichiarato incostituzionale il primo comma di detto articolo. Il secondo comma, tuttora vigente, punisce con la reclusione militare, da sei mesi a tre anni, coloro che, nel numero di quattro o più militari, presentano domanda, esposto o reclamo mediante pubblica manifestazione.
(49) - Per tutti: Cons. Stato, sez. IV, 17 giugno 1997, n. 1128, concedendo l’accesso pieno e costringendo l’Amministrazione de qua a tornare in argomento, novellando il Regolamento del 1995, con d.m. 3 novembre 1999, n. 486 (con tale decreto si è alfine specificato che la sottrazione all’accesso, per un periodo di 50 anni, riguarda “i terzi” e non l’interessato alla valutazione caratteristica).
(50) - Cons. Stat., IV sez., sentenza 19 ottobre 1994, n. 815.
(51) - Cons. Stat., IV sez., 31 luglio 2000, n. 4204; Cons. Stat., III sez., 28 maggio 1996, n. 773/96; Cons. Stat., IV sez., 20 maggio 1996, n. 623.
(52) - Legge 31 dicembre 1996, n. 675.
(53) - Sui ricorsi amministrativi e sulla problematica della deducibilità dei vizi di merito, vedi: F. CARINGELLA (2001), Giustizia amministrativa, 111; G. FERRARI (2000), “I ricorsi amministrativi”, 3143.
(54) - Per maggiori approfondimenti: V. CERULLI IRELLI (2000), Corso di diritto amministrativo, 107.