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Corte dei Conti

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Sentenze tratte dal sito www.corteconti.it (Massime a cura della Redazione)

Illecito comportamento di pubblici dipendenti - False attestazioni di presenza in ufficio - Condanna penale con sentenza patteggiata - Danno all’erario - Danno all’immagine - Danno da disservizio - Sussistenza.

Corte dei conti - Sez. Giuris. per la Regione Liguria - 13 giugno 2003 - Pres. D’Antino, Rel. M. Riolo

La divulgazione di fatti illeciti commessi da pubblici dipendenti, generando nei cittadini un inevitabile senso di sfiducia sulla efficienza e serietà di un Ufficio pubblico, determina una lesione del prestigio dell’amministrazione. Il danno per la perdita di credibilità ed affidabilità di una amministrazione pubblica è configurabile non soltanto nei casi di posizione rappresentativa dell’autore dell’illecito all’interno dell’Amministrazione, ma anche avuto riguardo alla tipologia dell’illecito e all’impatto che la notizia provoca nell’opinione pubblica. (Nel caso di specie, si è trattato di comportamento illecito coinvolgente ben tre unità dello stesso ufficio, nell’ambito di un’azione che ha avuto come presupposto l’esistenza di un disegno criminoso convenuto tra i predetti soggetti. In altri termini, se si fosse trattato di un episodio di assenteismo individualmente realizzato da un solo dipendente, la credibilità dell’amministrazione sarebbe stata meno compressa di quanto in concreto lo è stata a causa dei fatti in questione). La ha da sempre precisato che il danno all’immagine ed al prestigio consiste nella lesione di beni immateriali inidonei a costituire oggetto di scambio e privi di valore di mercato, ma economicamente valutabili. La Corte di Cassazione, nel riconoscere la giurisdizione della in materia di danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, ha evidenziato che non vanno considerati esclusivamente i costi sostenuti ma anche quelli futuri ed eventuali, senza che sia necessario fornire la prova concreta delle spese effettuate. Le Sezioni Riunite della hanno affermato che il danno all’immagine deve essere individuato nell’ambito dei danni non patrimoniali come danno-evento e non come danno-conseguenza. In punto di quantificazione del danno le Sezioni Riunite hanno ritenuto che si può fare riferimento, oltre che alle spese di ripristino già sostenute, anche a quelle ancora da sostenere. La sussistenza del danno da disservizio è configurabile sia per l’atteggiamento intimidatorio e minaccioso adottato da un convenuto, creando un’insostenibile situazione di tensione tale da deteriorare il buon andamento dell’Ufficio, sia per lo svolgimento di indagini penali, come esposto dallo stesso P.M., che hanno inciso nello svolgimento dell’attività dell’ufficio, con le perquisizioni della P.G., le acquisizioni documentali, ecc. In siffatto contesto, la regolarità dei servizi è stata inevitabilmente compromessa con conseguente calo della produttività, che non può essere provato nel suo preciso ammontare, ma va quantificato in via equitativa (1).

(1) Si legge quanto appresso nel testo della sentenza: “… Passando alla trattazione del merito, e considerate le eccezioni mosse dal difensore della C. e dal difensore di I. in ordine alla valenza probatoria della sentenza di patteggiamento, va in primo luogo chiarita la rilevanza di tale sentenza penale nell’ambito del giudizio di responsabilità contabile. La sentenza pronunciata nel giudizio penale ex art. 444 c.p.p., pur non facendo stato nei giudizi civili ed amministrativi (art. 445 c.p.p.), costituisce una fonte di cognizione soggetta al libero apprezzamento del Giudice. Gli elementi raccolti nel procedimento penale ben possono essere oggetto di autonoma valutazione nel giudizio innanzi alla , alla stregua di tutti gli altri elementi di prova di cui il giudice dispone. Il giudice contabile, pertanto, valuta la sentenza penale di patteggiamento, non perché abbia valore probatorio in sé, ma perché non può sottrarsi dal valutare i fatti e gli atti addotti dall’attore ed emergenti dal materiale probatorio contenuto nel fascicolo penale. In tal senso è il costante e consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte (Cfr.: Sez. Giurisdiz. Campania, sent. n. 15 del 5/10/1992; Sez. Giurisdiz. Puglia, sent. n. 48 del 26/7/1993; Sez. Giurisdiz. Piemonte, sent. n. 308 del 21/5/1998; Sez. App. II, sent. n. 32 del 23/10/1995; Sez. Giurisdiz. Liguria, sent. n. 89 del 17/10/1995; Sez. App. I, sent. n. 34 del 21/12/1995; Sez. Giurisdiz. Lombardia, sent. n. 1028 del 6/5/1996; Sezioni Riunite, sent. n. 68 del 2/10/1997; Sez. Giurisdiz. Fr. Ven. Giu., sent. n. 435 del 29/12/1998; Sez. Giurisdiz. Molise, sent. n. 34 del 12/4/2000; Sez. Giurisdiz. Lazio, sent. n. 3087 del 12/11/2002; Sez. Giurisdiz. Abruzzi, sent. n. 756 del 28/10/2002). Si osserva, inoltre, che se il consenso prestato dall’imputato al patteggiamento della pena non può assumere, come sostenuto dai difensori, valore confessorio in senso tecnico, e non può, pertanto, costituire di per sé elemento di prova della sua colpevolezza, va, tuttavia, evidenziato che la sentenza patteggiata in tanto può essere emessa in quanto il giudice penale non abbia riscontrato elementi a favore del proscioglimento dell’imputato (art. 129 c.p.p.). Nel caso di specie, il GIP, con il decreto che disponeva il rinvio a giudizio di C.M. e di I.C., riscontrava elementi di reità emergenti dalle s.i.t. rese dagli altri dipendenti e dai responsabili della Direzione Provinciale del tesoro, con specifico riferimento a quanto da loro direttamente osservato e alle proposte da loro ricevute in merito al coinvolgimento nella condotta criminosa, e dal riscontro effettuato al termine delle presenze in data 21/8/1997, dai relativi tabulati e dai fogli di presenza. I gravi indizi di colpevolezza emersi a carico dei convenuti, portavano il G.I.P. a disporre nei confronti degli stessi l’applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio dei rispettivi pubblici uffici per mesi due (l’ordinanza del G.I.P. è stata annullata in sede di gravame). Premesso tutto ciò, il Collegio, previa valutazione degli elementi di prova prodotti dall’attore, deve pronunciarsi in ordine alla fondatezza o meno della domanda contenuta nell’atto di citazione.
A) I signori G., C., I., sono stati citati davanti a questo giudice per essersi scambiati vicendevolmente i cartellini magnetici vidimandoli in modo da far risultare falsi orari di entrata e di uscita, con danno per l’Amministrazione del Tesoro loro datrice di lavoro dell’indebita percezione di quote di retribuzione relative a prestazioni ed ore di lavoro non prestato. In relazione a tale fattispecie il P.M. ha contestato una responsabilità di tipo solidale.
B) Al signor G. sono stati contestati fatti dannosi posti in essere singolarmente.
C) Alla signora C. è stato contestato il danno derivante dall’indebita percezione dell’assegno per il proprio nucleo familiare. In relazione alla fattispecie di danno di cui al punto A), le indagini penali sono scaturite dalla denuncia effettuata dalla signora R. M. che, all’epoca dei fatti, sostituiva il funzionario dirigente dell’Ufficio quando questi si allontanava per lavoro, malattia o periodi di vacanza. Nella denuncia, sporta dalla R. in data 27/8/1997, vengono esposti i seguenti fatti. In seguito alle lamentele che alcuni dipendenti avevano rappresentato circa lo scambio di cartellini magnetici tra alcuni dipendenti al fine di fare risultare orari di permanenza in ufficio non corrispondenti alla reale presenza, la R., in data 21/8/1997, effettuava dei controlli per verificare la fondatezza o meno delle riferite illiceità. Venivano constatati i seguenti elementi. La Signora C.M. alle ore 8.41 non era in ufficio e nell’apposito foglio delle entrate-uscite non risultava né l’orario di entrata né la sigla della stessa; nel pomeriggio alle ore 17 la C. non era presente in ufficio e sul foglio delle entrate-uscite, in corrispondenza del suo nome vi era apposto l’orario 17.00. Dall’esame dei tabulati relativi ai movimenti di ingresso e uscita la R., il giorno successivo, constatava che la signora C. in data 21/8/1997 risultava avere vidimato il cartellino alle ore 7.50, mentre alle ore 8.41 non era presente in ufficio; l’uscita serale risultava alle ore 17.27, quando alle ore 17.00 la stessa non era più in ufficio. Nello stesso giorno alle ore 14.29 la R. non trovava in Ufficio il signor I.C. e non riscontrava alcuna firma in rientro nell’apposito foglio. Alle ore 15.30 lo incontrava all’interno dell’Ufficio e constatava nel predetto foglio l’avvenuta apposizione di uno “scarabocchio” accanto al nome dello stesso (senza indicazione alcuna dell’orario di entrata). Dal tabulato dei movimenti di ingresso e uscita risultava che il suo cartellino era stato vidimato alle ore 14.15, mentre alle ore 14.29 egli non era stato trovato in ufficio e non aveva firmato il foglio delle entrate-uscite. La R. notava, nella stessa data, il signor G.C. allontanarsi dall’ufficio alle ore 17.00 e riscontrava, successivamente, che sul foglio delle entrate-uscite in corrispondenza del suo nome vi era apposto l’orario 17.28 e non 17.00. Dal tabulato dei movimenti di ingresso e uscita risultava che il G. aveva timbrato in uscita alle ore 17.27, mentre in realtà alle ore 17.00 si era allontanato dall’ufficio. A questo punto la R. nella denuncia racconta di avere contattato i predetti soggetti al fine di ricevere spiegazioni circa le constatate irregolarità: la C. ammetteva le proprie responsabilità dichiarando che un’altra persona, della quale preferiva tenere nascoste le generalità, aveva vidimato il suo cartellino magnetico; anche il signor G. ammetteva che il proprio cartellino era stato vidimato da un’altra persona, che indicava in quella di I.C.. Il signor I., interpellato successivamente, negava ogni addebito. Le indagini condotte dalla Stazione dei Carabinieri di Imperia hanno portato all’acquisizione delle sommarie informazioni testimoniali rese dal personale dipendente in servizio nel predetto ufficio del Tesoro di Imperia. Il Direttore dell’ufficio D. A., già in data 21/10/1996, rilevava che il G. aveva abbandonato l’ufficio alle ore 14.10 omettendo di effettuare la transazione di uscita per poi provvedervi al momento del suo rientro, alle successive 14.53, in modo tale da far risultare che l’uscita dall’ufficio era da attribuirsi a tale orario come risultava dal rilevatore delle presenze. Di ciò dava comunicazione allo stesso G., con lettera del 23/10/1996, avvertendolo che, in caso di reiterazione di analogo episodio, lo avrebbe denunciato all’A.G. Dalle sommarie informazioni testimoniali dei dipendenti B. A., G. M., P. F., P. S., A. A., è emerso che più di un dipendente aveva ricevuto da G.C. e da I.C. la proposta di diventare complici dello stratagemma di lasciarsi vicendevolmente in carico i rispettivi cartellini magnetici. … Secondo quanto accertato dai Carabinieri di Imperia, anomalie venivano riscontrate sui fogli di presenza, in corrispondenza dei nominativi di I. di G. e della C.. Una persona non identificata, inoltre, aveva manomesso l’apparecchio in modo tale che lo stesso non potesse più trasmettere i dati al terminale collocato nell’ufficio segreteria. Tale manomissione veniva riscontrata dal tecnico incaricato della riparazione di quanto in un primo tempo sembrava essere un semplice guasto (comunicazione fatta dal Direttore D. ai Carabinieri in data 7/7/1997). Nell’interrogatorio presso la Procura della Repubblica, la C. e l’I. hanno negato di avere posto in essere comportamenti illeciti; il G. si è avvalso della facoltà di non rispondere. Le molteplici dichiarazioni rese da un numero consistente di dipendenti (circa 10) riferiscono tutte elementi e circostanze che confermano il comportamento illecito tenuto dai convenuti i quali, non soltanto in data 21/8/1997 (come provato dai puntuali accertamenti eseguiti dalla R.), ma anche in altre occasioni si sono illecitamente scambiati il cartellino magnetico delle presenze al fine di fare figurare prestazioni lavorative non realmente effettuate. … La condotta illecita fonte di danno erariale è stata adeguatamente provata dall’attore e il Collegio deve affermare la responsabilità dei convenuti. Trattasi di danno che, certo nell’an, non può essere quantificato nel suo preciso ammontare, ma va determinato in via equitativa ex art. 1226 c.c. Al riguardo, il Giudice reputa che la quantificazione del danno effettuata dal P.M. (in complessive euro 5.401,29), in ragione di un’ora di lavoro non prestato per ogni giorno di presenza in ufficio per ciascun dei convenuti nel periodo da settembre 1996 all’agosto 1997, non sia supportata da sufficienti elementi di riscontro. Certamente non soltanto il 21/8/1997, ma anche in altre occasioni i predetti soggetti si sono scambiati i cartellini magnetici; tuttavia, avuto riguardo anche alle dichiarazioni rese in sede penale dalla signora V. (s.i.t. rese il 2/9/1997) e dalla signora A. M. (verbale del 12/9/1997), le quali hanno riferito di un ricorso a tale fenomeno soprattutto nei periodi in cui era assente il Direttore dell’Ufficio signor D., il Collegio ritiene di dovere equitativamente quantificare il danno in complessivi euro 2.700,00, oltre rivalutazione monetaria dal 21/8/1997. Tale somma dovrà essere risarcita in solido da C., G., I. Parimenti fondata è la domanda di risarcimento del danno all’immagine. La notizia dei comportamenti illeciti tenuti dai convenuti ha avuto un’ampia diffusione nel pubblico, essendo stata riportata sul Secolo XIX, in diverse date e con riferimento agli sviluppi del procedimento penale. La divulgazione dei fatti in argomento con la configurazione di una “congrega dell’assenteismo”, generando nei cittadini un inevitabile senso di sfiducia sulla efficienza e serietà dell’Ufficio di riferimento, ha determinato una lesione del prestigio dell’amministrazione. Il danno per la perdita di credibilità ed affidabilità di una amministrazione pubblica è configurabile non soltanto nei casi di posizione rappresentativa dell’autore dell’illecito all’interno dell’Amministrazione - come vorrebbe la difesa dell’I. - , ma anche avuto riguardo alla tipologia dell’illecito e all’impatto che la notizia provoca nell’opinione pubblica. Nel caso di specie, si è trattato di comportamento illecito coinvolgente ben tre unità dello stesso ufficio, nell’ambito di un’azione che ha avuto come presupposto l’esistenza di un disegno criminoso convenuto tra i predetti soggetti. In altri termini, se si fosse trattato di un episodio di assenteismo individualmente realizzato da un solo dipendente, la credibilità dell’amministrazione sarebbe stata meno compromessa di quanto in concreto lo è stata a causa dei fatti in questione. Quanto alle eccezioni mosse dalla difesa C. sulla inesistenza di pregiudizio patrimoniale connesso con l’asserito danno all’immagine, il Collegio osserva che la di questa Corte ha precisato che il danno all’immagine ed al prestigio consiste nella lesione di beni immateriali inidonei a costituire oggetto di scambio e privi di valore di mercato, ma economicamente valutabili. La Corte di Cassazione, nel riconoscere la giurisdizione della in materia di danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, ha evidenziato che non vanno considerati esclusivamente i costi sostenuti ma anche quelli futuri ed eventuali, senza che sia necessario fornire la prova concreta delle spese effettuate (Cfr., per i riferimenti giurisprudenziali in essa contenuti, Sezione Giurisdizionale Liguria, sent. n. 30 del 14/1/2003). Le Sezioni Riunite di questa Corte nella recente sentenza n. 10/2003/QM, peraltro richiamata dalla difesa C., nel rispondere al quesito se l’an del danno all’immagine debba essere individuato nell’ambito dei danni non patrimoniali o in quello del danno-conseguenza (patrimoniale riflesso), hanno affermato che il danno all’immagine deve essere individuato nell’ambito dei danni non patrimoniali come danno-evento e non come dannoconseguenza. In punto di quantificazione del danno le Sezioni Riunite hanno ritenuto che si può fare riferimento, oltre che alle spese di ripristino già sostenute, anche a quelle ancora da sostenere. In quest’ultimo caso, la valutazione equitativa, ex art.. 1226 c.c., potrà fondarsi su prove anche presuntive od indiziarie. Con riferimento alle considerazioni svolte, il Collegio, discostandosi dalla quantificazione del P.M. (euro 5.164,57), ritiene di dovere equitativamente determinare il danno all’immagine in euro 1.500,00. Condanna i convenuti, ciascuno al pagamento di 1/3 della complessiva somma di euro 1.500,00 e tutti e tre in solido per l’intero. La sussistenza del danno da disservizio, anch’esso oggetto di domanda giudiziale, è stata ampiamente provata dal P.M. con gli elementi evidenziati nell’atto di citazione e trova conferma negli atti del fascicolo penale. Gli impiegati che avevano testimoniato sugli illeciti in argomento, con atto del 30/10/1997, denunciavano ai Carabinieri l’atteggiamento provocatorio e minaccioso che era stato assunto soprattutto dal G.. In particolare denunciavano: minacce contro le persone; minacce rivolte al lavoro (“G. controlla, o fa controllare da colleghi di sua fiducia, il comportamento degli impiegati nell’ambito dell’ufficio. Ogni rimprovero effettuato dal Direttore alla sua persona viene riversato sugli altri colleghi”). Il Direttore dell’Ufficio con lettera del 3/11/1997 comunicava ai Carabinieri che l’atteggiamento intimidatorio e minaccioso adottato soprattutto dal G. aveva creato “un’insostenibile situazione di tensione che sta deteriorando il buon andamento dell’Ufficio.” Le indagini penali, come ha esposto il P.M., hanno inciso nello svolgimento dell’attività dell’ufficio, con le perquisizioni della P.G., le acquisizioni documentali, ecc. In siffatto contesto, la regolarità dei servizi è stata inevitabilmente compromessa con conseguente calo della produttività, che non può essere provato nel suo preciso ammontare, ma va quantificato in via equitativa. Il Collegio, discostandosi dalla quantificazione del P.M. (euro 5.164,57), determina in euro 1.000,00 il danno da disservizio. Per tale danno condanna G. al pagamento di euro 500,00; C. e I. al pagamento ciascuno di euro 250,00 e tutti e tre in solido per l’intera somma di euro 1.000,00. B) I fatti dannosi contestati individualmente al signor G. trovano ampio riscontro negli atti del fascicolo penale, e non sono stati, peraltro, contestati dall’interessato, il quale non si è costituito in giudizio. 1) L’episodio della presentazione del certificato medico falso da parte del G. al fine del conseguimento di un giorno di assenza per malattia, è provato dal disconoscimento effettuato dal dott. F. (“smentisco nel modo più categorico che la scrittura impressa sul referto possa appartenere alla mia persona…” s.i.t. rese dal medico in data 21/9/1997). 2) Anche l’episodio del danneggiamento da parte del G. di una sedia e dello schedario dell’ufficio, risulta adeguatamente provato in sede penale (s.i.t. rese da P. Maria Teresa il 25/9/1997 e da M. Maria Antonietta in data 27/9/1997). 3) Il G., inoltre, in data 21/10/1996 ha vidimato il proprio tesserino magnetico segnapresenze in uscita alle ore 14,53 (orario del suo effettivo rientro pomeridiano) anziché alla reale ora in cui si era allontanato dall’ufficio (ore 14,10) apponendo contestualmente un falso orario sul foglio delle presenze, e così procurando un danno all’Amministrazione corrispondente alla retribuzione relativa al lavoro non prestato. Il G., in seguito all’avvertimento del Direttore dell’Ufficio in data 23/10/1996 e nonostante avesse riconosciuto di avere sbagliato, proponendosi di non farlo più, ricorse anche allo stratagemma dello scambio del tesserino magnetico, continuando a disattendere gli obblighi inerenti all’osservanza dell’orario di servizio e ponendo in essere la fattispecie dannosa di cui alla precedente lettera A). Il Collegio, pertanto, condanna il G. al pagamento di euro 58,89 per l’episodio di cui al suddetto n. 1), ad euro 103,29 per l’episodio di cui al n. 2) e ad euro 7.03 per l’episodio di cui al n. 3), per un totale di euro 169,21, oltre rivalutazione monetaria dal mese di giugno del 1997. … In conclusione i convenuti vanno condannati nei termini di cui alle predette lettere A, B, C.

P.Q.M.

La , Sezione Giurisdizionale regionale per la Liguria, definitivamente pronunciando

CONDANNA

G.C., C.M., I.C., in solido e in parti uguali, al pagamento di euro 2.700,00 (duemilasettecento/00), oltre rivalutazione monetaria dal 21/8/1997. Sulla predetta somma dalla data del deposito della presente sentenza si applicano gli interessi legali. Per il danno all’immagine condanna i predetti, ciascuno al pagamento di 1/3 della somma complessiva di euro 1.500,00 (millecinquecento/00) e tutti e tre in solido per l’intero. Dalla data del deposito della presente sentenza si applicano gli interessi legali. Per il danno da disservizio condanna il G. al pagamento di euro 500,00 (cinquecento/00); C. e I. al pagamento ciascuno di euro 250,00 (duecentocinquanta/00) e tutti e tre in solido per l’intera somma di euro 1.000,00 (mille/00) Dalla data del deposito della presente sentenza si applicano gli interessi legali.

CONDANNA

G.C. al pagamento di euro 169,21 (centosessantanove/21), oltre rivalutazione monetaria dal mese di giugno del 1997. Gli interessi legali decorrono dalla data di deposito della presente sentenza.

CONDANNA

C.M. al pagamento della somma di euro 371,85 (trecentosettantuno/85) Dal deposito della presente sentenza si applicano gli interessi legali. Le spese di giudizio quantificate in euro incombono in parti uguali sui predetti soggetti. Così deciso in Genova, nella camera di consiglio del 13 giugno 2003.