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Giustizia Militare

a cura di Renato Maggiore

Impugnazione - Eccezione solo implicata nella motivazione del gravame - Può essere presa in esame - Incompatibilità del giudice - Condizioni determinate da atti compiuti nel procedimento - Ma può essere motivo solo di ricusazione.

(C.p.m.p., art. 261; C.p.p., artt. 592, 605)

Corte Militare di Appello, 12 gennaio 2001. Pres. Monica, est. Flamini, P.M. Capuano (conf.) in c. S.

Se, nell’impugnazione si contrasta un’intervenuta declaratoria di incompetenza, della quale però manca qualche traccia nei verbali, il gravame è infondato; nondimeno può venire però raccolta l’eccezione, da leggersi anche solo come implicata, di incompatibilità di componenti del Collegio successiva al “patteggiamento” per un coimputato; ma in tale esame va rilevato che la questione relativa a siffatta incompatibilità avrebbe dovuto essere proposta tempestivamente solo con lo strumento della ricusazione (1).

(1) Si legge quanto appresso nel testo della sentenza:
««Nel procedimento penale a carico di S.F., nato il 23 settembre 1976 a Pagani (SA), ivi residente in via San Domenico n. 129, imputato del reato di: Lesioni Personali (art. 223 c.p.m.p.) “perché militare in servizio presso i1 Comando Brigata Paracadutisti “Folgore” in Livorno, la sera del 22.3.1998 all’interno delle camerate del Reparto Comando Supporti Tattici Paracadutisti, dapprima colpiva il militare So.G. con dei pugni alternati al fianco destro e a quello sinistro, quindi lo colpiva con dei pugni contemporaneamente su entrambi i fianchi, in modo tale da cagionargli una lesione diagnosticata come “ecchimosi lati tronco” giudicata guaribile in tre giorni”.
Dopo che all’udienza del 23 settembre 1999 il coimputato Sc.M. aveva definito la propria posizione mediante richiesta di applicazione della pena, all’udienza del 30 marzo 2000 S.F., in epigrafe individuato, veniva dichiarato dal Tribunale militare della Spezia responsabile del reato di lesioni personali di cui alla suestesa imputazione e, per l’effetto, concesse le attenuanti generiche, veniva condannato, con i doppi benefici, alla pena di mesi quattro di reclusione militare.
Il primo giudice riteneva dimostrata la colpevolezza del S. sulla base delle concordi dichiarazioni della persona offesa, So.G. del teste C.G. e dell’ufficiale medico L.C.
In particolare, il Tribunale rilevava che l’accertata condotta del S. era stata dettata dalla deprecabile consuetudine d’infliggere sofferenze ai militari meno anziani nel servizio detta comunemente “nonnismo” e rilevava, altresì, che il So. aveva chiarito di aver in origine fornito una diversa versione dei fatti per timore di subire più gravi ritorsioni dai militari con maggiore anzianità di servizio.
Avverso la sentenza proponeva appello il difensore dell’imputato lamentando la nullità del giudizio e della sentenza per violazione del diritto di difesa in quanto il giudizio sarebbe stato celebrato in palese violazione delle norme che regolano l’intervento dell’imputato.
L’atto di gravame è così testualmente motivato: “Il Tribunale, nel disporre lo stralcio della posizione del concorrente e, quindi, nel dichiarare la propria incompetenza a decidere sulla posizione dell’attuale appellante, aveva rimesso gli atti a un giudice diverso che, per l’instaurazione del contraddittorio, doveva essere, preliminarmente, conosciuto dall’imputato, previa rinnovazione degli atti preliminari al giudizio. La dichiarazione di contumacia, quindi, in assenza di citazione per il rinnovato giudizio, è assolutamente inconferente e, pertanto, l’intero giudizio e la conseguente sentenza sono inficiati da nullità insanabile. La nullità del giudizio si estende, infine, alla mancata applicazione della pena su richiesta delle parti, dal momento che, erroneamente, il Tribunale ha ritenuto validamente instaurato il contraddittorio”.
All’odierna udienza, celebrata nella contumacia dell’imputato, il pubblico ministero ha chiesto la conferma dell’impugnata sentenza; il difensore ha chiesto l’accoglimento dei motivi d’appello. L’impugnata sentenza deve essere confermata.
L’appello, infatti, muove da un presupposto (un’intervenuta declaratoria di “incompetenza” del Tribunale militare a decidere sulla posizione del S. di cui non v’è traccia nei verbali delle udienze dibattimentali.
Ciò rende le argomentazioni ivi contenute non pertinenti alla specifica vicenda processuale e, dunque, infondate le censure fatte alla sentenza.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche interpretando il gravame nel senso che con esso si sia voluto, seppure implicitamente, eccepire una sopravvenuta situazione di incompatibilità dei componenti del Tribunale militare dopo che essi avevano definito il processo nei confronti del coimputato Sc., mediante il rito del cosiddetto “patteggiamento”.
È infatti principio pacifico in giurisprudenza (ex plurimis, Cass., Sez I, 9 settembre 1993, Santamaria ed altri; Cass., Sez. III, 13 gennaio 2000, D’Angeli) che eventuali questioni relative a condizioni di incompatibilità del giudice determinate da atti compiuti nel procedimento non possono essere fatte oggetto di motivi d’impugnazione ma devono essere tempestivamente proposte con lo strumento della richiesta di reclusione.
Tale constatazione d’ordine processuale assorbe ogni ulteriore considerazione nel merito ed impone anche sotto questo profilo la conferma della sentenza di primo grado di cui questa Corte, comunque, condivide pienamente le valutazioni.
Alla reiezione dell’appello consegue la condanna del S. al pagamento delle ulteriori spese processuali.

P. Q. M.

Visti ed applicati gli artt. 261 C.p.m.p.; 3 Legge 180/81; 592, e 605 C.p.p.,

Conferma

l’impugnata sentenza,

Condanna

il S.F. al pagamento delle ulteriori spese di giustizia»».