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Premeditazione e vizio parziale di mente

Magg. CC Stefano Lupi

Nell’esaminare un evento delittuoso bisogna innanzitutto esaminare le caratteristiche della personalità di colui che si è reso responsabile del fatto: questo perché non si può pensare di applicare una pena senza conoscere le modalità di funzionamento del pensiero del reo. Punto di partenza dell’esame dello svolgimento del fenomeno delittuoso sarà certamente l’imputabilità così come indicata dall’articolo 85 del c.p. (“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”). Imputabilità è quindi l’espressione che adoperiamo per indicare la capacità di intendere e di volere. Capacità di intendere significa capacita di avvertire, valutare e scegliere i motivi delle proprie condotte e quindi di tener presente, prima di decidere di agire, del comando contenuto nel precetto della norma incriminatrice. Capacità di volere significa capacità di azionare le proprie energie fisiche; agire come si è deciso di agire. Può darsi che un soggetto sia in possesso della capacità di intendere ma non di quella di volere. Si noti però che un individuo in grado di intendere e di volere può trovarsi momentaneamente in condizioni di relativa incapacità. Tutto quanto premesso si dovrà passare ad esaminare l’atteggiamento del responsabile del fatto: più specificatamente si dovrà esaminare il proposito del reo nel portare a compimento il proprio disegno criminale. Bisognerà, cioè, analizzare la costanza nel tempo del proposito: la premeditazione. La premeditazione presuppone due elementi: quello cronologico, costituito da un apprezzabile lasso di tempo tra l’insorgenza dei proposito criminoso e l’attuazione di questo, e quello ideologico, consistente nella ferma risoluzione criminosa perdurante nell’animo dell’agente senza soluzioni di continuità fino alla commissione del crimine.

In tema di omicidio, ad esempio, l’eventuale sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 577 co. I n. 3 c.p. deve essere concretamente desunta con riferimento alla causale del fatto, alla preordinazione dei mezzi per porre in essere il delitto, alla ricerca dell’occasione più favorevole per realizzarla e alle modalità della sua esecuzione, pertanto la premeditazione deve essere desunta da fatti anteriori il delitto dotati di sicuro valore sintomatico.
Compatibile con la premeditazione è l’occasionalità del momento di consumazione tutte le volte che l’esecuzione si presenti come momento di realizzazione di un crimine da tempo ideato e preparato con fredda ed ininterrotta determinazione, eventualmente desumibile anche dalla causale di esso.
Al contrario, la sola preordinazione di un agguato che concerne le modalità di esecuzione del disegno criminoso non è da sola sufficiente alla configurazione della premeditazione, qualora risulti che sia stata deliberata poco prima della sua attuazione e non in un tempo apprezzabilmente anteriore con la ferma persistenza del proposito.

Rimane da verificare se la succitata aggravante sia compatibile con il vizio parziale di mente, in altri termini se essa possa ravvisarsi in colui che è ritenuto seminfermo ai sensi dell’art. 89 c.p. (“Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tal stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita”).
Escludono la compatibilità il Manzini (Trattato v. II n. 333, pag. 134) il De Marsico, il Vannini e l’Altavilla, l’ammette invece il Maggiore (Dir. Pen. v. II, pag. 745).
Vale la pena di fare un breve cenno sulla tesi dell’incompatibilità. A titolo esemplificativo viene riportato quanto sostenuto da Vannini nel testo il delitto di omicidio, cit. pag. 77-78 ove l’autore fermamente sostiene che l’imputabilità e la colpevolezza sono concetti assolutamente inscindibili che non godono di una loro autonomia ma si richiamano costantemente. Lo stesso ritiene infondata l’asserzione secondo la quale la premeditazione non può rispecchiare il carattere, la personalità e la maggiore pericolosità del reo ... Ma la pericolosità non c’entra, dato che il delitto è già stato commesso e che quindi si tratta di criminosità. Che la premeditazione poi non possa rispecchiare il carattere e la personalità del seminfermo di mente è evidentemente asserzione gratuita ed ingiustificata. Non è inoltre fondata l’osservazione che il dolo nulla abbia a che fare con la semi infermità che attiene all’imputato e non alla colpevolezza. Imputabilità e colpevolezza sono indivisibili che nessuna sottigliezza riuscirà mai a scindere, dato che non v’è colpevolezza senza imputabilità e che la colpevolezza si giudica dall’imputabilità. Se anche si potesse ammettere l’assurdo, che la semi infermità nulla ha da fare con il dolo, rimarrebbe il fatto che la premeditazione che “guarda la maggiore intensità del dolo è inammissibile in chi è meno imputabile per infermità parziale di mente”.

La giurisprudenza della Cassazione in passato ha sposato la tesi dell’incompatibilità; successivamente si è spostata sulla tesi della c.d. “compatibilità in astratto”. Vi è di fatto un’inversione di tendenza conseguente alla raggiunta convinzione che la premeditazione ed il vizio parziale di mente operano su due piani completamente differenti: il primo riguarda il piano dei dolo mentre il vizio parziale quello della imputabilità, due concetti ontologicamente diversi (Cass. En. Sez. 16 dicembre 1993, Passaro, Cass. En. Sez. I, 3 ottobre 1997 n. 8972, Pirozzi). Tuttavia, dopo una generica affermazione di principio, la Corte Suprema evidenzia che in concreto possono esistere dei casi in cui viene necessariamente meno la succitata compatibilità e più specificatamente quando “il proposito criminoso coincide con un’idea fissa ossessiva, facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità” (Cass. Pen., Sez. 1, 26.1.1994) quando dunque “si riscontri in concreto identità tra la premeditazione e l’assenza dell’infermità di mente, poiché, in questo caso, non si realizza quel conflitto interiore tra spinte e controspinte che costituisce il fondamento dell’aggravante” (Cass. Pen., Sez. 1, 4 dicembre 1987).
In conclusione il vizio parziale di mente esclude la premeditazione qualora, in seguito alla disamina ed alla valutazione critica della perizia psichiatrica esperita nei confronti dei soggetto imputato e di tutti gli elementi in suo possesso, si accerti che la diminuita capacità di intendere e di volere dell’agente abbia decisamente influito sul modo di essere dei suo atteggiamento psicologico sotto il profilo della consapevole e voluta persistenza nel tempo della volontà criminosa e della sua capacità di comprendere il significato dei propri atti e di superare, attraverso la revisione critica e la riflessione, le spinte criminogene che si identificano con i caratteri e l’essenza dell’infermità, debitamente accertati (Cass. Pen., Sez. 1, 13 novembre 1991).