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12. Conclusioni

Il vile attentato terroristico alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 e la crisi che ne è derivata hanno inevitabilmente determinato una impasse al dialogo internazionale sviluppato attorno al tema della ratifica dello Statuto.
Ma una previsione ottimistica dello sviluppo degli eventi potrebbe indurre a valutare abbastanza realisticamente che, una volta superata l’attuale situazione di emergenza, gli Stati vengano chiamati a riflettere più incisivamente sulle regole da darsi per definire un nuovo ordine internazionale.
In tale ottica è possibile ipotizzare che lo Statuto di Roma torni a riassumere quel valore simbolico di sistema di giustizia internazionale, che potrà avere portata rivoluzionaria e aprire un più ampio e responsabile dibattito sulla dinamica delle relazioni internazionali del terzo millennio. Perciò è necessario sollecitare sin da ora maggiori occasioni di riflessione sull’argomento, attorno al quale - non è il caso di sottacerlo - nello stesso ambito dello studio del diritto (238) permane un atteggiamento di scetticismo e sufficienza che dovrà ancora incidere a lungo sulle concrete possibilità di attuazione dell’idea di giustizia universale, che evidentemente dovrà maturare anche attraverso una «presa di coscienza» delle giovani generazioni.
Probabilmente, la prospettiva del diritto internazionale che abbiamo qui rappresentato in una chiave di lettura tutta incentrata sulla responsabilità penale internazionale potrà sollevare non pochi dubbi e indurre a porsi ancora tanti quesiti irrisolti, soprattutto da parte di chi consapevolmente pensa che la realpolitik finirà col prevalere su ogni principio di diritto. E allora forse può essere utile sintetizzare in alcune linee-guida il significato delle riflessioni che sono state poste all’attenzione. Non possono essere certamente date risposte in termini generali ed universali a tutti i casi giudiziari di possibile interesse della Corte, ma sicuramente è possibile avere chiaro il metodo e l’ approccio giuridico(239) per valutare in concreto il nuovo quadro giuridico di riferimento. Queste linee-guida possono essere così tracciate secondo due priorità.

In primo luogo le norme sostanziali dello Statuto di Roma sanciscono definitivamente una codificazione universalizzata del «diritto umanitario(240); questo non va confuso con l’«umanitarismo», un sistema ideologico, etico-filosofico che può solo “orientare” le coscienze, ma è un «diritto», un complesso di norme di diritto positivo, direttamente efficaci e vincolanti, ormai definitivamente evolute in un sistema di giurisdizione internazionale penale.
In secondo luogo le regole di diritto umanitario sono numerose e vanno riferite ognuna ad un determinato contesto, ad una specifica situazione su cui possono incidere tante variabili; ma tutte poggiano su alcuni principi generali che debbono essere sempre tenuti presenti; soprattutto i Capi di Stato e di Governo, ma anche i loro consiglieri giuridici, i diplomatici e i Capi militari, debbono adoperarsi perché l’azione da intraprendere - in ogni situazione di crisi - sia “calibrata” nei mezzi e nei metodi seguendo le regole che è loro imposto di rispettare: l’uso proporzionato della forza, il divieto della tortura, di mezzi disumani e degradanti, di armi che provocano ingiustificate e prolungate sofferenze; la tutela della popolazione e dei beni civili, il rispetto del nemico soccombente, la tutela dei feriti, dei naufraghi e dei prigionieri, il rispetto e la protezione imparziali del personale e dei mezzi destinati al soccorso o all’aiuto umanitario; la tutela dei beni civili, culturali e dell’ambiente, non perché patrimonio delle parti contrapposte, ma in quanto patrimonio «universale» di tutta l’umanità e delle future generazioni, e così via...

Osservare e mettere in pratica queste regole può apparire impegnativo soprattutto quando oggi si è chiamati a combattere un nemico subdolo e vile. Ma se non si accettano le regole del diritto umanitario, si finirebbe col rinnegare l’evoluzione stessa dell’umanità, la differenza fra un’orda barbarica, una banda di mercenari, terroristi o criminali di guerra, e le forze di pace di una «società civile».
In questa ottica, nessun uomo che possa definirsi tale può rimanere inerme di fronte alle responsabilità dei propri simili che hanno praticato vili attentati terroristici, hanno costretto intere popolazioni ad esodi forzati, a persecuzioni, stermini deliberati di comunità etniche e religiose, violenze di massa a colpi di machete, a sistematici reclutamenti di soldati-bambini soggiogati da indicibili riti tribali. Non si può consentire che sussistano dubbi sulla necessità di punire ed evitare nel futuro atti che è fin troppo mite qualificare criminali, di inciviltà e di barbarie.

Per tali ragioni, i contenuti, estremamente diretti ed essenziali dello Statuto di Roma possono oggi costituire il patrimonio comune di ideali, l’humus culturale su cui dovranno necessariamente riflettere e coagularsi le nuove generazioni di tutti i Paesi del Mondo. Solo su questi valori si può assicurare fattivamente il mantenimento della pace e promuovere la riscoperta di quel Nuovo Umanesimo che acutamente Rita Levi Montalcini ha indicato come l’unica risposta possibile per contrastare i pericoli di disgregazione insiti nella società post-moderna. Probabilmente è anche con queste considerazioni che si può cogliere il significato del monito che ci ha rivolto il grande filosofo della razionalità e della libertà Karl Popper:«Tutti siamo partecipi dell’eredità umana. Tutti possiamo aiutare a preservarla. E tutti possiamo dare il nostro modesto contributo in questo senso. Non dobbiamo chiedere niente di più»(241).


(238) - Si provi a chiedere ad uno studente di giurisprudenza qualche elemento di conoscenza sullo Statuto di Roma.
(239) - V. in Parte I, i riferimenti alla necessità di una impostazione rigorosa di una teoria generale del diritto internazionale, umanitario in particolare, nei termini dei contributi di H. Kelsen e J. Rawls.
(240) - Inteso nell’espressione latu sensu delle violazioni al diritto dei conflitti armati e al sistema di tutela dei diritti umani.
(241) - K. Popper, La razionalità e la libertà in Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza, il Mulino, Bologna, 2000, p.121.