• >
  • Media & Comunicazione
    >
  • Rassegna dell'Arma
    >
  • La Rassegna
    >
  • Anno 2002
    >
  • Supplemento al N.2
    >
  • Parte Prima
    >

1. Premessa

« …noi crediamo che questo tribunale, agendo come noi sappiamo che agirà con completa obiettività giuridica, anche se è stato nominato dalle Potenze vittoriose, saprà dare insieme una pietra di paragone ed un documento autorevole e imparziale a cui gli storici futuri possano volgersi per averne la verità, e i politici futuri per trarne un ammonimento…»(1):
Alla vigilia di quella che sembra essere l’inevitabile clash of civilisation preconizzata da Samuel Huntigton, le accorate parole pronunciate nel discorso di apertura del processo di Norimberga dal giudice accusatore britannico, Sir Harly Shawcross, sembrano oggi suonare come un grave monito inascoltato nella coscienza di chi tiene a cuore le sorti dell’umanità e si interroga sulle drammatiche conseguenze che potrebbe avere l’escalation della conflittualità internazionale di questo esordio di millennio.

È su questa semplice e diretta riflessione sulle atrocità delle nuove guerre e sulla gravità della crisi internazionale che stiamo vivendo, che ci accingiamo a trattare lo Statuto di Roma, con una doverosa precisazione a premessa : è una riflessione che vuole essere rivolta unicamente ad evidenziare i tratti salienti di un processo storico, ancora in fieri, la cui importanza ci sembra debba essere maggiormente compresa da un uditorio più vasto di quello degli “addetti ai lavori”, studiosi di quel diritto internazionale in cui gli stessi contributi dottrinali non sono facilitati nel seguire la sua progressiva estensione nemmeno nell’ “accesso alle fonti” (2).
Eppure l’idea dei Tribunali Internazionali ha sempre esercitato una fortissima suggestione non solo nella autorevole e sofferta riflessione dei maggiori giuristi di questo secolo, ma anche nel sentire comune dei giovani studenti che nell’approccio al diritto penale, al diritto internazionale e alla filosofia del diritto continuano a percepire la problematica ricerca di un archè presocratico, di un indiscusso fondamento giuridico degli strumenti di giustizia internazionale(3).

Invero, senza avere la pretesa di dilungarci oltre su questi aspetti che richiederebbero un approccio più analitico, può comunque evidenziarsi che con lo Statuto di Roma si possono dire superati almeno i punti principali delle tradizionali contrapposizioni tra scuola giusnaturalistica e giusposistivista, tra sistemi di Common Law e di Civil Law, tra “internazionalizzazione” del diritto e sovranità nazionale, tra responsabilità internazionale degli Stati e responsabilità penale individuale. Su questi temi, difatti, si è condizionato il dibattito sulla costituzione dei tribunali internazionali e, in generale, l’affermazione di un diritto internazionale penale: per lungo tempo si è diffusa una cultura, politica e giuridica, piuttosto scettica sulle reali possibilità di armonizzare scuole di pensiero e sistemi giuridici così differenti, e soprattutto è sempre risultato arduo scalfire l’idea-guida del dominio riservato sulla giurisdizione penale degli Stati(4).

Per queste ragioni appena accennate - ma che un comune cultore di studi giuridici è bene in grado di sviscerare nella loro profonda incidenza sull’evoluzione del diritto nel suo complesso - intendiamo subito rimarcare l’identificazione dello Statuto della Corte Penale Internazionale come lo Statuto di Roma (5), collocandoci tra quanti intendono sottolineare, senza timori di retorica, una indiscussa paternità morale della tradizione giuridica italiana nella più importante opera di codificazione del diritto internazionale dell’era contemporanea.


(1) - Discorso di Sir Harley Shawcross, in Lord Russel, Il flagello della svastica, Milano, 1955, p.7.
(2) - Cfr.: Luzzato-Pocar in Presentazione di Codice di Diritto Pubblico Internazionale, Giappichelli, 1998, p.IX.
(3) - Cfr.: Vassalli, La Giustizia Penale Internazionale in Introduzione Giuffrè, 1995, p.2.
(4) - Sul punto - per il quale saranno comunque ricorrenti altri riferimenti in questo studio - si sono sviluppati i capitoli principali della Filosofia del Diritto e del Diritto Pubblico Comparato. Per una indicazione bibliografica di massima cfr.voci Giusnaturalismo, Positivismo giuridico, Ordinamento giuridico (dir.int.) in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, 1980. In una sintesi, necessariamente non esaustiva, si può ricordare che il positivismo giuridico sorge come problema epistemologico per conferire una connotazione di scientificità al diritto; esso per assumere piena validità deve imporsi sulla base della norma positiva, scevra da ogni condizionamento dello jus naturae che, per i caratteri teleologici e moralistici insiti nella concezione originaria, non può rispondere a criteri logico-formali. Invero, l’esigenza era stata già sentita nel momento in cui si cominciò a passare dallo jus gentium, di Grozio e Francisco de Victoria, allo jus publicum europeum dell’ italiano Alberico Gentili, e, più marcatamente, alla prima definizione, ad opera del Bentham, dell’ international law, che diverrà predominante. L’impostazione più avvincente ed attuale, a nostro avviso, rimane l’efficace idea della Grundnorm nella dottrina pura del diritto di Hans Kelsen (Reine Rechtslehere 1934), il quale, successivamente, sostenne l’affermazione dell’ordinamento giuridico, anche di quello internazionale, sulla base del principio di effettività (General Theory of Law and State,1945), desumibile comunque sull’evoluzione di un diritto primitivo che diventa imperante nel comune sentire cfr.: H. Kelsen, Teoria generale del Diritto e dello Stato, Milano, Comunità 1966. Alcune tesi d’ispirazione giusnaturalista, come si dirà più avanti, hanno trovato una successiva riaffermazione, seppure con chiavi di lettura differenti, in molti giuristi, sia di formazione laica che cattolica, che si rifanno all’idea di una legge di natura, o di una legge dell’umanità , che “s’ impone di forza propria” al disopra di ogni norma positiva. Il richiamo alle leggi dell’umanità trova riferimenti anche nell’opera di codificazione del Diritto Internazionale Umanitario, ad esempio nella Dichiarazione di Pietroburgo del 1868, nelle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907, nella c.d. clausola de Martens. Cfr.: G. Vassalli, La Giustizia Internazionale Penale, Giuffrè 1999 pag.12, J. Joblin Sj, Alle origini del diritto umanitario in Supplemento a L'Osservatore Romano n.184 del 12 agosto 1999.
Sulla problematica della compatibilità tra sistemi di Common Law e di Civil Law cfr.: A. Gambaro e R. Sacco, Trattato di Diritto Comparato, UTET, rist. 1999; aa.vv., Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, Giappichelli, 2000; voce Diritto Comparato in cit. Enciclopedia del Diritto, mentre per gli aspetti più propriamente penalistici della comparazione cfr.: E. Amodio e M.C. Bassiouni, Il processo penale negli Stati Uniti d’America, Giuffrè, 1988.
Quanto ai temi su sovranità nazionale e diritto internazionale, responsabilità degli Stati e responsabilità penale, ancora si dirà più avanti. Per un punto di situazione recente cfr.: Atti del Congresso Internazionale organizzato dall’ Istituto di Diritto Internazionale Umanitario di San Remo sul tema Azione Umanitaria e Sovranità degli Stati, 31 agosto-2 settembre 2000; G. Vassalli, op. cit.; C.Pinelli, Sul fondamento degli interventi armati a fini umanitari in Diritto Pubblico n.1/1999, e Il Diritto Internazionale Umanitario nel 50° Anniversario delle Convenzioni di Ginevra in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n.4/1999.
(5) - Il testo originale in lingua inglese adottato dall’Assemblea delle Nazioni Unite reca il titolo “Rome Statute of the International Court”.