La formazione come risorsa organizzativa

Massimo Marchisio (*), Danilo Panico (**)


1. Introduzione

La formazione sta assumendo un ruolo sempre più centrale in ambito organizzativo, non solo nelle aziende private, ma anche nella Pubblica Amministrazione. Termini come: “educazione degli adulti”, “formazione permanente”, “formazione manageriale”, “formazione integrata”, “formazione ai formatori”, “obiettivi formativi”, ecc. …sono entrati a far parte del vocabolario anche dei non addetti ai lavori. Ma tra gli esperti c’è già chi comincia a chiedersi se la formazione aziendale e degli adulti non sia diventata anche una moda, una strada per non affrontare problemi che meriterebbero probabilmente interventi molto più radicali e “fastidiosi”, o in alcuni casi addirittura un business.
Nelle stesse Forze Armate, dove comunque l’attenzione per la preparazione e l’addestramento delle persone non è certo una novità, si assiste ad un fiorire di corsi, di attività e di interventi formativi, che spesso, anche con una certa disinvoltura, vengono affidati ad istituti di formazione esterni. C’è in effetti, a nostro avviso, il rischio, da un lato, di una eccessiva semplificazione e banalizzazione dell’uso della formazione e, dall’altro, che su di essa venga scaricata la responsabilità della soluzione di problemi che non sono di sua competenza e che probabilmente hanno radici in altre variabili organizzative (risorse, strutture, meccanismi operativi). Ma in realtà che cosa vuol dire fare formazione? Che cosa c’è o, meglio, ci dovrebbe essere, dietro un corso formativo? Quale deve essere il ruolo del formatore? E quello dei frequentatori?
In questo articolo cercheremo di dare una risposta a queste domande al fine di chiarire alcuni dubbi e stimolare una riflessione su una questione con cui prima o poi tutti, o nella veste di frequentatori di corsi, o di docenti o di committenti, dovremo confrontarci.


2. Formazione: una definizione

La formazione può essere definita come un processo pianificato, organizzato e finalizzato al presidio della cultura professionale, di individui e gruppi, mediante metodologie di apprendimento consapevole, integrato e distintivo. Più in dettaglio i concetti contenuti nella definizione possono essere così esplicitati:
- processo pianificato, organizzato e finalizzato, inteso come una strategia definita sia per rinsaldare una comune identità, sia per consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissati. In tal senso la formazione non può essere qualcosa di episodico, occasionale, settoriale, bensì un processo integrato e permanente, di ampio respiro e di marcato valore strategico. Ed è per questo che i processi di formazione non possono essere totalmente delegati ai livelli bassi o a formatori esterni;
- cultura, intesa non come semplice orientamento al “sapere” ed al “saper fare”. Cultura è soprattutto conoscenza e condivisione di valori, significati, scopi, atteggiamenti;
- individui e gruppi, in quanto la formazione si pone l’obiettivo di valorizzare ogni singola potenzialità, ma all’interno di un gruppo amalgamato e fortemente motivato a collaborare;
- apprendimento consapevole, integrato e distintivo all’interno del quale i destinatari della formazione rivestono un ruolo attivo e coerente con i concetti di responsabilità e di “leadership diffusa”. Con ciò si intende affermare che la formazione non si limita a trasmettere contenuti o abilità specifiche. Si pone l’obiettivo di favorire una condivisione allargata ed una partecipazione attiva in modo che le risorse umane siano poste nella condizione di “comprendere” (nel senso di “prendere dentro”, capire le cause, gli effetti e le logiche di base) in merito a cosa fare, come farlo e perché farlo. Comprende anche il concetto di distintivo. In altri termini, il “fare, il come farlo ed il perché farlo” tipico ad esempio di un Carabiniere deve distinguersi dal “fare, dal come farlo e dal perché farlo” di un appartenente ad altra F.A. o Forza di Polizia. Ciò significa immettere “valore aggiunto in ciò che si fa ed in ciò che si è” per presidiare un principio etico e per assicurare un vantaggio competitivo in favore della propria Istituzione, delle altre Istituzioni e del Paese intero. Da queste premesse si deduce che qualsiasi docente può insegnare “sapere” (conoscenze teoriche) e “saper fare” (abilità strumentali) relativamente ad un computer o ad un motore. Al contrario, il “saper essere” e quindi l’identità individuale (chi sono) e collettiva (l’appartenenza e il “senso del noi”) possono essere trasmessi solamente da un docente che ha condiviso e vissuto, in prima persona, con sacrificio ma con orgoglio, quei valori, significati, atteggiamenti e comportamenti che ora dovrà positivamente trasmettere alle nuove generazioni.
Quindi, la formazione si distingue dal semplice indottrinamento, che poggia essenzialmente su: sapere, conoscenze, cosa fare, compiti, nozioni, ed è qualcosa di diverso anche dell’addestramento, che rimanda più a concetti come: saper fare, capacità, come fare, autorità, comportamenti:

INDOTTRINAMENTOADDESTRAMENTOFORMAZIONE
saperesaper faresaper essere
conoscenzecapacitàvalori
cosa farecome fareperchè fare
compitiautoritàresponsabilità
nozionicomportamentiatteggiamenti

La formazione, come segmento che logicamente si posiziona ad un livello superiore rispetto al “sapere” ed al “saper fare”, tende soprattutto a valorizzare le relazioni interpersonali, con particolare riferimento a comunicazione, leadership, costruzione del consenso, diffusione dei valori, lavoro di gruppo, composizione costruttiva della conflittualità.


3. I "sentieri" dell'attività formativa e il ruolo del formatore

Ogni attività formativa si snoda fondamentalmente secondo tre percorsi o sentieri:

  • il “sentiero orizzontale”, costituito dalla successione logica dei vari argomenti, partendo da una situazione iniziale (start line) sino a raggiungere quella futura desiderata (end state);
  • il “sentiero verticale”, nel quale si dà spazio agli approfondimenti necessari in merito alle questioni ritenute rilevanti per il raggiungimento ottimale degli obiettivi prefissati. Non tutti gli argomenti pianificati a livello didattico ovviamente hanno la stessa valenza o rilevanza. Quelli ritenuti accessori possono essere affrontati sul piano delle informazioni generali. Gli altri, che al contrario includono l’essenza stessa del corso, necessitano di approfondimenti. Vanno adeguatamente commentati a livello teorico e soprattutto devono tendere a potenziare abilità specifiche, personali, concretamente spendibili, al fine di migliorare la performance attuale o al fine di preparare i frequentatori a nuove tipologie di performance, in altri contesti o in più elevati livelli di responsabilità;
  • il “sentiero trasversale”, finalizzato a far rielaborare criticamente e consapevolmente quanto appreso e che offre al frequentatore la possibilità di giocare un ruolo attivo. Ogni frequentatore deve cioè essere posto nella condizione di comprendere le logiche, le coerenze, i significati, le finalità, i valori collettivi che sono alla base di quel “sapere” e di quel “saper fare”. Fare formazione, in quest’ottica, equivale a considerare il frequentatore non come un “recipiente da riempire”, ma come una preziosa risorsa che sa e pretende di pensare, di capire, di partecipare, di condividere, di appartenere e non ultimo di contribuire attivamente al raggiungimento dell’obiettivo, mettendo in gioco tutto il proprio bagaglio valoriale, culturale ed esperienziale. Attraverso questa specifica modalità il frequentatore costruisce la propria identità professionale (responsabile/esecutore), la propria identità individuale (valgo/non valgo) e la propria identità sociale (sono accettato/non sono accettato dagli altri). Per tale motivo, chi ha l’onere di gestire tale specifico aspetto non può essere solo un docente. Deve essere soprattutto un “trainer”, cioè formatore addestrato a motivare, a coinvolgere, a generare consenso e forte appartenenza, a gestire in senso positivo la presenza di eventuale dissenso.


4. I livelli di responsabilità

Prima però di dare avvio ad un’attività formativa vera e propria, essa va attentamente e preventivamente pianificata nel rispetto dei diversi e specifici livelli di responsabilità.
In primo luogo del “livello politico”, con il diretto coinvolgimento del vertice istituzionale/aziendale cui compete la definizione dell’“intento”, che include contesto, strategie, obiettivi attuali, a medio e lungo termine. Sarebbe infatti inopportuno fare formazione slegata alla mission istituzionale/aziendale o ancorata eccessivamente al presente o al passato.
Successivamente del “livello teorico”, a cura dell’area personale che, sulla base degli input ricevuti dal livello politico, trasforma un’idea generica in un progetto definito. Nel concreto individua e definisce:

  • i destinatari della formazione;
  • i relativi bisogni formativi in rapporto ad eventuali carenze professionali sulle competenze richieste e possedute allo stato attuale, o che potrebbero verificarsi a seguito di innovazioni organizzative e tecnologiche o a seguito di ristrutturazioni e riconversioni, o, infine, per un diverso impiego delle risorse in altri settori o a livelli più elevati di responsabilità;
  • disponibilità economiche e componenti logistiche;
  • i target dai quali far scaturire i contenuti teorici-pratici da inserire nel programma ed i docenti da contattare;
  • gli indicatori che consentono di definire, a livello quantitativo e qualitativo, da dove si parte, come si procede, dove si vuole arrivare, se si arriva proprio dove era stato pianificato.

Il livello teorico, sulla base di quanto sopra esposto, elabora poi una serie di documenti. In particolare, formalizza:

  • gli obiettivi didattici da raggiungere, in termini di conoscenze, abilità e di atteggiamenti (rispettivamente aree del sapere, saper fare, saper essere). Obiettivi iniziali, intermedi e finali, che devono possedere caratteristiche di pertinenza, logica, precisione, realizzabilità, osservabilità e, soprattutto, misurabilità;
  • una descrizione sintetica del percorso formativo che include: organizzazione, metodi, didattica, logiche, tempi, luoghi, attrezzature;
  • una descrizione dettagliata di ciascun ciclo, modulo, unità didattica;
  • strumenti in grado di misurare la rispondenza con le coerenze verso l’interno, l’esterno e nei confronti del progetto.

È da sottolineare che, per difetto di progettazione, in questo ambito si possono correre due rischi. Il primo è quello di fare una formazione cieca in cui le finalità non sono dichiarate e il corso diventa un misto di lezioni, o qualcosa di simile alla generica “assunzione di vitamine che comunque male non fanno”. Il secondo è quello di fare una formazione vuota, carente cioè di metodo o di contenuti: si capisce e si condivide tutto ma poi non si riesce ad applicarlo alla realtà lavorativa. E, infine, l’attività formativa va attentamente e preventivamente pianificata nel rispetto del “livello applicativo” che, in concreto, prende avvio con l’attività di docenza in aula, di fronte ai frequentatori. E qui è indispensabile che lezioni e docenti siano ben integrati in termini di finalità, di metodi, di progressione. Spesso ciò non si verifica proprio per carenze nelle fasi di pianificazione e progettazione, con conseguenti effetti negativi sull’efficacia formativa.


5. Formazione e ciclo di vita

Una formazione, perché risulti aderente, efficace, e soprattutto “né vuota né cieca”, va progettata e realizzata tenendo conto delle variabili di contesto e di quelle che sono le caratteristiche strutturali, funzionali ed umane, tipiche della fase di sviluppo che l’organizzazione sta attraversando o della fase in cui l’organizzazione è in procinto di passare.

a. Caratteristiche strumentali

Molto schematicamente la vita di un’organizzazione può essere rappresentata come una curva in cui si individuano fondamentalmente cinque fasi evolutive: nascita, crescita, espansione, maturità, declino.

Molto schematicamente la vita di un'organizzazione può essere rappresentata come una curva in cui si individuano fondamentalmente cinque fasi evolutive: nascita, crescita, espansione, maturità, declino

Ogni fase del ciclo di vita dell’organizzazione richiede tipologie formative diverse e coerenti con le esigenze proprie di quel momento. Possiamo distinguere quattro tipi di intervento formativo (in sigla G/R/C/S): G= formazione gestionale; R= formazione al ruolo; C= formazione al comportamento organizzativo; S= formazione-intervento di sviluppo organizzativo. Nella fig. 3 è visualizzato il rapporto tra formazione e ciclo di vita utilizzando le sigle (G/R/C/S/) in ogni tappa di sviluppo. È indicato con la lettera maiuscola quando il bisogno formativo è rilevante, con la lettera minuscola quando il bisogno formativo esiste ma è poco sentito, con il trattino si sottolinea l’assenza di bisogni formativi.

Nella figura è visualizzato il rapporto tra formazione e ciclo di vita utilizzando le sigle (G/R/C/S/) in ogni tappa di sviluppo. È indicato con la lettera maiuscola quando il bisogno formativo è rilevante, con la lettera minuscola quando il bisogno formativo esiste ma è poco sentito, con il trattino si sottolinea l'assenza di bisogni formativi.

In fase iniziale, con un sistema ancora semplice, dove l’importante è produrre, “fare più che pensare”, i bisogni formativi sono pochi o poco sentiti.
L’unico tipo di formazione sentita è quella tecnica ed è svolta prevalentemente sul campo.
Successivamente, nella fase di sviluppo, compare l’esigenza di potenziare gli skills operativi e quindi la formazione va indirizzata alle aree “g” ed “r” (formazione gestionale, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti di interpretazione del ruolo).
In fase di espansione aumenta notevolmente la complessità con la presenza di nuove funzioni o con l’erogazione di ulteriori prodotti/servizi.
La formazione comincia a richiedere caratteristiche di integrazione con forte presenza di “G” ed “R”. In altri termini, compare l’esigenza della demoltiplica delle responsabilità (“G” presenza di manager) e della formazione al ruolo.
Le persone che lavorano non sono più esecutori di compiti ma gestori di un ruolo.
A loro viene richiesto di andare oltre l’esecuzione passiva delle mansioni assegnate. Da questo punto in poi inizia ad apparire la formazione “C”, come comportamento organizzativo volto alla gestione delle relazioni interpersonali, con particolare riferimento alla conflittualità e alla modifica degli atteggiamenti. Infine appare prepotentemente “S”, come sviluppo organizzativo, ovvero come capacità di snellire la struttura dal peso delle regole, delle norme, delle procedure prodotte in modo autoreferenziale da un sistema che tende a diventare fortemente burocratizzato.
Oltrepassato il punto di culmine, la struttura istituzionale/aziendale è appesantita in eccesso e quindi l’unica formazione possibile in questa fase è quella legata al cambio di management e ad una marcata ristrutturazione del sistema.

b. Caratteristiche funzionali ed umane

La formazione non deve essere coerente solo con il ciclo di vita dell’organizzazione ma anche con la specifica funzione da svolgere e il grado di maturità raggiunto dalle persone che operano nella struttura.
Questo concetto può essere ben espresso graficamente con questo schema:

La formazione non deve essere coerente solo con il ciclo di vita dell'organizzazione ma anche con la specifica funzione da svolgere e il grado di maturità raggiunto dalle persone che operano nella struttura.

Nel quadrante “S1” c’è forte attenzione alle attività da svolgere. La professionalità specifica e la maturità psicologica delle persone è modesta (“M1”). Prevalgono le logiche dell’indottrinamento che coincidono con la frase “si fa così perché te lo dico io”.
Il quadrante “S2” enfatizza sia gli obiettivi lavorativi da raggiungere sia le positive potenzialità professionali e psicologiche delle persone (“M2”). Nei processi formativi compare il principio del “saper essere” e la logica “ti coinvolgo e ti offro strumenti operativi adeguati per fare in modo che tu possa collaborare al massimo con me”.
Il quadrante “S3” indica la presenza di responsabilizzazione diffusa attraverso un uso mirato della delega. Si investe sulle potenzialità psicologiche delle persone (“M3”) nella convinzione che i compiti e gli obiettivi saranno meglio raggiunti. In questo quadrante si impone la formazione come processo sostenuto da esercitazioni coinvolgenti, prevalentemente rivolte a comunicazione, motivazione, creatività, assertività all’interno del team. Il concetto è sintetizzato nella frase: “vi offro motivazioni valide e sono certo che tutti vi impegnerete autonomamente come gruppo affiatato”.
Il quadrante “S4”/“M4” indica che tutti “debbono remare in modo appropriato, autonomo e nella stessa direzione”. I capi non devono intervenire costantemente per controllare ciò che viene fatto e non devono neppure intervenire frequentemente per sostenere e motivare collaboratori che sono sia preparati sul versante professionale sia maturi sul versante psicologico. In questa fase la formazione acquisisce componenti di meta-livello. Vengono proposte simulazioni volte a gestire lo stress e ad allargare le potenzialità cognitive ed emotive. Il motto è “realizzati come persona in modo che tu possa presidiare, in modo autonomo ed arricchito, il tuo ruolo e le tue responsabilità lavorative”.
Appare evidente che il quadrante “S1”/“M1” è quello meno coerente con la formazione. In tale ambito si impiegano tecniche di indottrinamento o di addestramento, imposte dall’alto e con caratteristiche di elevata passività da parte dei discenti.
I quadranti “S3”/“M3” e “S4”/“M4” sono quelli più favorevoli per realizzare una formazione permanente, integrata e distintiva, nel senso che ad essa partecipano attivamente tutti, con forte orientamento al “saper essere”, alla consapevolezza degli atteggiamenti, alla condivisione dei valori, alla diffusa responsabilizzazione individuale.


6. Le metodologie didattiche

Gli strumenti che permettono il trasferimento di conoscenze, abilità, atteggiamenti dai docenti ai discenti sono le metodologie didattiche.
Volendo fare una classificazione essenziale delle metodologie a disposizione dei docenti/formatori possiamo raggrupparle in quattro grosse categorie:

  • la lezione (che comprende la relazione, la lettura, il dibattito);
  • la ricerca d’aula (con griglie di analisi, check-list, autocasi);
  • il metodo di analisi dei casi (casi, incident);
  • le simulazioni (esercitazioni, role playing, T-group, out door).

Oltre che per il diverso grado di partecipazione attiva richiesto ai discenti, esse si differenziano per le peculiari finalità di apprendimento che perseguono (vedi schema in fig. 5). La metodologia della lezione opera nel campo dell’acquisizione di conoscenze. È lo strumento privilegiato quando la finalità prevalente del momento formativo è costituita dalla trasmissione di concetti, informazioni e modelli cognitivi da parte di chi li possiede (docente) rispetto a chi non li possiede (discente). La metodologia della ricerca d’aula ha come obiettivo generale l’organizzazione delle esperienze già vissute da parte dei partecipanti. “Si tratta di raccogliere ed organizzare attraverso griglie di analisi, check-list, percorsi euristici, degli itinerari induttivi in grado di dare visibilità, ordine e metafore comuni a storie ed esperienze personali e lavorative apparentemente diverse per via della casualità e del “disordine” che improntano buona parte delle esperienze quotidiane” (Vaccani). La metodologia dell’analisi dei casi è finalizzata a sviluppare capacità di dominio razionale di situazioni e problemi complessi. “Il caso mette in ginnastica la mente proponendo situazioni emblematiche e metafore realistiche, proponendo una palestra atta a cogliere gli elementi più significativi di una problematica concreta, le loro relazioni e le possibili strategie di soluzione” (Vaccani). La metodologia delle simulazioni è suggeribile quando si intende lavorare sui comportamenti delle persone, quando si vogliono sviluppare capacità logiche e razionali per esaminare situazioni complesse, per valutare varie alternative comportamentali e per sviluppare capacità inerenti ai comportamenti interpersonali, al controllo delle emozioni. È una metodologia molto ricca che richiede un coinvolgimento completo della persona sia razionale che emotivo.

METODOLOGIAFINALITA' DI APPRENDIMENTO
LezioneLettura, racconti, relazioniAcquisizione di conoscenze
Ricerca d'aulaGriglie, questionari, check-listOrganizzazione delle esperienze già fatte
Analisi di casiCasi, autocasiDominio razionale di situazioni e problemi complessi
SimulazioniRole-playing, out door
Esercitazioni
Acquisire la capacità di agire (comportamenti) in tempo reale
Acquisire capacità di gestire strumenti in tempo reale

La scelta degli strumenti didattici, comunque, non può essere casuale, né può essere fatta dai docenti per simpatia ideologica o per ragioni di tendenza, deve tener sempre conto dei principi dell’apprendimento ed essere coerente e funzionale agli obiettivi didattici che si vogliono raggiungere.


7. Finalità, coerenze e peculiarità

Sulla base delle considerazioni fin qui espresse appare evidente come la formazione svolga un ruolo strategico soprattutto per:

  • definire e sostenere cultura e stili propri;
  • potenziare le politiche di gestione del personale;
  • dare risposte tempestive alle nuove richieste esterne;
  • fornire strumenti di aggiornamento tempestivi e specifici;
  • supportare le politiche di sviluppo;
  • superare le resistenze al cambiamento.

Per realizzare in modo concreto le finalità pianificate è opportuno impostare preventivamente una logica di base, da diffondere agli aventi causa e che si snoda attraverso i passi graficamente riportati in fig. 6:

NECESSITA'far capire il perchè
PERTINENZAdove, quando, chi, cosa, come, perchè
EVIDENZAla lezione fa capire, l'esercizio perfeziona, l'esperienza insegna
VANTAGGIapplicabilità, efficienza, efficacia, per l'organizzazione e per il soggetto

In particolare vanno sottolineati gli ultimi due passi per meglio evidenziare che:
- lezioni teoriche, esercizio pratico ed esperienza sono indissolubilmente legati e trascurare uno solo di questi elementi equivale a trasmettere una formazione incompleta.
Solitamente in aula si affronta l’aspetto teorico. Andrebbe dedicato tempo sufficiente anche per effettuare esercizi pratici, volti ad integrare il sapere al saper fare. È, infine, indispensabile coinvolgere il frequentatore al fine di fargli trasferire il sapere e il saper fare, ormai acquisiti, all’interno della sua personale e concreta dimensione umana (atteggiamenti, esperienze, finalità, risorse, limiti posseduti);
- per motivare ogni frequentatore ad impegnarsi attivamente ed a superare le resistenze al cambiamento, occorre far vedere anche “che cosa ci guadagna a livello personale”, in termini di crescita personale, di risparmio di energie, di minore conflittualità con i colleghi.
I passi metodologici da seguire durante ogni singola fase didattica sono espressi nel grafico che segue:

FASICONTENUTICOERENZE LOGICHE
INTRODUZIONE
(premesse - generalità)
...
...
- Scomporre le idee complesse in unità semplici
- Presentarle in sequenza logica
TRATTAZIONE
(argomento da trattare)
...
...
- Ricapitolare e riformularle in termini generali
-Creare un collegamento con il prima e dopo
RICAPITOLAZIONE
(sintesi conclusiva)
...
...
- Concentrarsi su una priorità alla volta

Al fine di porre le condizioni ideali per un apprendimento arricchito è estremamente vantaggioso sostenere le questioni più rilevanti attraverso esempi concreti, visualizzandone i passaggi, favorendo il confronto diretto fra frequentatori e fra frequentatori e docente.
Per rendere più coinvolgente la trattazione è utile disporre di sussidi didattici pertinenti, efficaci, esteticamente attraenti.
È opportuno precisare che all’interno di un contesto definito come “formativo”, il supporto didattico ha una funzione di appoggio, volta quindi a sostenere i “concetti chiave”.
L’esposizione deve restare fluida anche se spesso è opportuno seguire un sentiero parzialmente diverso da quello pianificato. In tale ottica va ribadito, a chiare lettere, che deve essere lo strumento a piegarsi all’esigenza didattica e non “mortificare e spalmare” i concetti e le idee sui lucidi precedentemente preparati.
I sussidi audiovisivi svolgono principalmente, nei confronti dei frequentatori (in alto) e del docente (in basso), le seguenti funzioni:

Movimenta la scena

Attira l'attenzione

FAcilita la memorizzazione


SUSSIDIO AUDIOVISIVO

Aiuta chi è più lento

Valorizza i concetti

Facilita il prendere appunti


Favorisce il ricordo e
l'esposizione del docente
Evita che il docente sia costantemente
al centro dell'attenzione

In sintesi quindi possiamo dire che i fattori di successo in un corso di formazione sono:

  • preventiva e chiara conoscenza dei valori, mission, vision istituzionale/aziendale;
  • elevata strutturazione didattico-concettuale da realizzarsi tuttavia con un percorso flessibile;
  • presidio sui contenuti;
  • atteggiamento mentale positivo;
  • valorizzazione costante della novità e della differenza (anche della critica);
  • semplicità e chiarezza espositiva;
  • empatia relazionale;
  • comunicazione, verbale e non verbale, ricca, diversificata e coerente con la situazione.

Per meglio definire le peculiarità che caratterizzano la formazione vanno presi in esame ancora tre elementi che fanno riferimento a:

  1. apprendimento per feedback negativo o per feedback positivo;
  2. insegnare soluzioni o far apprendere mappe;
  3. rapporto tra manager e formatori.

1. L’apprendimento per feedback negativo o per feedback positivo

La prima concezione è assimilabile ad una struttura cibernetica con un regolatore di minimo e di massimo. Il termostato del riscaldamento evidenzia bene il concetto. La sua funzione è quella di impedire che la temperatura esca da limiti predefiniti e quindi vengano commessi “errori”. L’apprendimento per feedback positivo, al contrario, individua un sistema che consente la sperimentazione protetta di errori pianificati, per vedere cosa succede e per poter quindi migliorare il sistema. La differenza tra le due tipologie di apprendimento è sottile ma sostanziale. I Boscimani hanno privilegiato il primo modello e, a distanza di secoli, continuano a costruire capanne con gli stessi criteri, metodi, materiali, perché non hanno accettato il rischio di commettere un “errore”. Nei paesi occidentali sono stati costruiti persino grattacieli. Tale conquista ha richiesto costi, in termini economici, scientifici, di vite umane. Sono, tuttavia, esempio concreto di crescita, di evoluzione, di progresso.

2. Insegnare soluzioni o far apprendere mappe

Questo concetto può essere chiarito con un esempio algebrico. Qualche anno fa veniva insegnato che il quadrato di un binomio (a + b)2 ha una specifica soluzione. Oggi nelle nostre scuole i ragazzi seguono un sentiero “formativo sulle mappe” che non si limita a fornire la soluzione. I docenti pretendono che i loro alunni la scoprano da soli all’interno di condizioni metodologiche facilitanti.
Fanno disegnare due segmenti diversi che vengono definiti “a” e “b” e poi chiedono di sommare “a” + “b” e di costruire il quadrato di “a” + “b”. Ottengono così: a2 + b2 + 2ab. I risultato è lo stesso. La differenza è che chi apprende solo la soluzione non capisce il perché e tende a dimenticarla facilmente. Chi apprende per mappe capisce il perché, non lo dimentica e soprattutto riesce a trasferire questa logica anche in altri problemi algebrici.

3. I manager e/o formatori

Spesso un manager diventa, per scelta autonoma o imposta, docente/formatore. In altri casi un docente/formatore, un professional, diventa, anche lui per scelta autonoma o imposta, un manager, nel senso che assume la responsabilità gestionale della formazione. Entrambi possiedono logiche, coerenze, strumenti. Altrettanto spesso entrambi ritengono di poter presidiare la funzione formazione sia sul versante organizzativo sia su quello operativo della docenza. A queste condizioni il manager e il formatore generano cambiamenti formativi poco duraturi, instabili, casuali. Presidiare una competenza gestionale sulla formazione vuol dire saper definire da dove si parte, dove si vuole arrivare e come si fa per arrivarci. Solo così è possibile produrre un “consapevole avanzamento”. Pertanto, per costruire un sentiero formativo globale ed integrato è necessaria la presenza di forte sinergia tra:

  • la componente manageriale che, sul versante strategico e decisionale, definisce obiettivi, vincoli, criteri generali in rapporto ad un contesto che include l’ambiente esterno-interno, il ciclo di vita che si sta attraversando, la cultura, i valori, la mission e la vision istituzionale. Tale ruolo consente di rispettare le coerenze gestionali;
  • la componente didattica che, in funzione di scelte manageriali, realizza un percorso formativo. In questo ambito il formatore deve ottimizzare le coerenze didattiche in rapporto al programma, ai docenti, ai tempi, ai metodi, agli strumenti di verifica.

In altre parole, il manager conosce la realtà istituzionale/aziendale ed il gap fra situazione attuale e situazione futura/desiderata. Non conosce gli strumenti idonei per colmare tale divario e, pertanto, senza la stretta collaborazione con un formatore, corre il rischio di progettare una “formazione vuota”. Il formatore conosce bene strumenti, metodi, logiche didattiche ma non è pienamente consapevole della complessità sistemico-gestionale dell’istituzione/azienda, con particolare riferimento alle strategie attuali e alla vision futura. In questo caso, in assenza della collaborazione del manager, c’è il rischio di fare una “formazione cieca”, didatticamente perfetta, ma non utile e non coerente con le esigenze e le finalità generali. Va sottolineato come la presenza di un modesto 10% di Risorse Umane, non adeguatamente preparate e formate, generi, in tempi brevi, pesanti deprivazioni a tutti i livelli: da quelli economici a quelli psicologici, da quelli gestionali a quelli operativi. È stato dimostrato che carenze formative sul sapere, saper fare e saper essere, protrattesi per un biennio, generano ripercussioni negative sul 60% del personale. Per tale motivo la formazione, avendo una rilevanza strategicamente decisiva nel presidio del successo, va pianificata e condotta in stretta sinergia fra le due componenti: quella manageriale e quella specialistica.


8. La valutazione dei risultati

Il nodo veramente cruciale di ogni esperienza didattica si posiziona alla fine del percorso e coincide con la valutazione dei risultati conseguiti. Spesso questa specifica fase viene trascurata, con il rischio di concludere il processo nell’ottica di una “formazione cieca” (non so se ho raggiunto l’obiettivo). Ma chi non fa verifica non apprende. O non sa di aver appreso e non ha quindi la possibilità di correggersi.
La valutazione dei risultati (come schematizzato in fig. 9) può prendere in esame diversi livelli:

TIPO DI VERIFICAA CHI SERVESTRUMENTI
INDICE DI GRADIMENTOFormatori:
- per leggittimare il loro lavoro/ruolo
- per aggiustare il tiro su modelli, contenuti, stili
- Questionari
VERIFICA DELL'APPRENDIMENTO IN AULAFormatori:
- per capire se sono riusciti a trasferire
Partecipanti:
- per aggiustare il tiro su modelli, contenuti, stili
- Certificazione
- Esame
VERIFICA DEL TRASFERIMENTO IN ATTIVITA' LAVORATIVA Committente:
- verifica se i singoli corsi "ci hanno preso"
- Affiancamento sul lavoro
- Counseling da parte dei formatori
VERIFICA DELLA QUALITA' DEL PROCESSOCommittente:
- per verificare ad es. se il centro di formazione funziona bene rispetto alle sue richieste o fa solo corsi di routine
- è coerente la formazione rispetto allo sviluppo organizzativo?
- Analisi di tutto il processo (ad es. ISO 9000)
  • la valutazione dell’indice di gradimento, che misura la gradevolezza-disagio dell’attività di formazione nei confronti di alcuni aspetti particolari (aspetti logistici, metodologia applicata, stile di conduzione adottato, clima d’aula) e viene effettuata attraverso scale di reazione durante l’attività, questionari fine corso, analisi dello scostamento aspettative/risposte formative, valutazione a distanza con questionari o interviste;
  • la valutazione dell’apprendimento (dei modelli cognitivi acquisiti), che poggia sulla chiara definizione degli obiettivi didattici e viene effettuata attraverso i compiti in classe, i casi chiusi, le simulazioni-esame;
  • la valutazione dell’esportazione dell’apprendimento in ambito lavorativo; qui si tratta di cogliere quanto dell’attività di apprendimento si è tramutata, o ha avuto la possibilità di trasformarsi, in termini di prestazione organizzativa e lavorativa. Gli strumenti da adoperare non sono altro che l’applicazione degli indicatori di verifica dei risultati specifici precedentemente definiti;
  • la valutazione della qualità del processo, che è un’analisi dell’intero processo di formazione (analisi dei bisogni, progettazione, attuazione) per verificare che cosa è stato fatto, come è stato fatto, che cosa ha effettivamente funzionato e che cosa non ha funzionato. Questa valutazione serve fondamentalmente al committente per controllare se le sue richieste sono state infine soddisfatte.


9. Riflessioni conclusive

In definitiva ci sembra di poter concludere dicendo che mentre ormai è un dato acquisito che per le organizzazioni la formazione ha una valenza strategica, il problema di fondo che rimane è capire quando va veramente utilizzata, saperla utilizzare in maniera integrata (non deve limitarsi a dare solo informazioni, o a trasmettere “saper fare”, ma deve contenere anche “saper essere”), distinguere chiaramente gli interventi che possono essere delegati (anche ad istituti formativi esterni) da quelli che debbono essere necessariamente progettati e condotti in linea di comando, mediante ufficiali in possesso di competenza didattica integrata, capaci cioè di far capire, far apprendere e soprattutto interessare, motivare, coinvolgere e diffondere l’identità, i valori, i significati, la pregnanza, l’unicità della propria professione. Per fare questo bisogna puntare su una più precisa, puntuale ed attenta analisi dei bisogni e su una valutazione dei risultati che non si limiti solo ad esaminare le reazioni dei frequentatori e ad accertare l’avvenuto apprendimento in aula, ma verifichi la ricaduta dell’attività formativa, in termini di prestazioni lavorative, nella realtà organizzativa e proceda ad una valutazione complessiva, qualitativa, di tutto il processo di formazione in modo da verificare se le esigenze dell’organizzazione sono state alla fine veramente soddisfatte.

Approfondimenti:

(*) - Tenente Colonnello dell’Esercito in servizio presso il Reparto Affari Generali dello SME;
(**) - Capitano dei Carabinieri in servizio presso l’ISPGM della Scuola Ufficiali Carabinieri.