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Corte di Cassazione

a cura di Giovanni Pioletti

Lavoro - Prevenzione infortuni - Sul Lavoro - Reato previsto dall’art. 115 D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547 - Natura di reato permanente - Sussistenza - Momento di cessazione della permanenza - Individuazione.
(D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 115 e 389)

Sez. 3, 22 giugno 2001, n. 43292. Pres. Toriello, Rel. Mannino, P.M. De Nunzio (conf.), ric. Costigliola

In tema di prevenzione infortuni l’inosservanza delle prescrizioni di cui all’art. 115 del D. P. R. 27 aprile 1955 n. 547, volto ad assicurare che i macchinari siano dotati di dispositivi idonei ad evitare che le mani o altre parti del corpo del lavoratore entrino in contatto con le parti mobili dei detti macchinari, configura un reato omissivo proprio, di natura permanente, la cui permanenza termina o con la cessazione della condotta omissiva del datore di lavoro o con la pronuncia della sentenza di primo grado, atteso che il perdurare della omissione continua a ledere l’interesse tutelato dal precetto penale (la tutela della salute ed integrità fisica del lavoratore) anche dopo che il fatto costituente reato si è perfezionato in tutti i suoi elementi.


Prove - Chiamata di correo - Plurime chiamate - Criteri di valutazione - Indicazione - Necessità di riscontri esterni individualizzanti - Condizioni - Fattispecie.
(Nuovo cod. proc. pen., art. 192)

Sez. 1, 25 ottobre 2001, n. 43928. Pres. Sossi, Rel. Silvestri, P.M. Favalli (parz. diff.), ric. Annaloro e altri.

La valutazione di plurime chiamate in correità, quantunque convergenti, deve essere compiuta dal giudice di merito caso per caso, con un prudente grado di flessibilità correlato alla consistenza delle chiamate stesse, tenendo conto sia della solidità della loro riconosciuta attendibilità intrinseca, sia della loro compatibilità all’interno dell’intero quadro probatorio acquisito. Solo all’esito di tale operazione il giudice può stabilire se le chiamate siano autosufficienti, nel senso che l’una costituisce riscontro individualizzante dell’altra, ovvero se, per raggiungere il livello della prova, esse necessitino di un ulteriore elemento confermativo esterno che renda riferibile il fatto di reato al chiamato. (Nella specie la Corte ha censurato il ragionamento del giudice di merito che aveva ritenuto due convergenti chiamate “de relato” di per sé sole sufficienti ad integrare la prova di colpevolezza del chiamato, indipendentemente dalla disamina dei restanti dati probatori e dalla ricerca di riscontri individualizzanti, imprescindibile a fronte di accuse non aventi natura diretta).


Reati contro la moralità pubblica e il buon costume - Prostituzione - Induzione o lenocinio - Organizzazione di viaggi a sfondo sessuale - Attività di procacciamento di clienti a prostitute - Configurabilità del reato di lenocinio
(Cod. pen., art. 600 quinquies; L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3 co. n. 5 e 4 co. n. 7; L. 3 agosto 1998, n. 269, art. 5)

Sez. 3, 19 ottobre 2001, n. 44153. Pres. Toriello, Rel. Novarese, P.M. De Nunzio (conf.), ric. Bertoni.

Integra il reato di lenocinio aggravato, ai sensi dell’art. 4 n. 7) della legge 20 febbraio 1958, n. 75, - eventualmente concorrente con il delitto di organizzazione di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile di cui all’art. 600 quinquies cod. pen. - la condotta di chi, attraverso l’organizzazione di viaggi a sfondo sessuale, realizzi una intermediazione diretta a procurare clienti a varie prostitute individuabili, in quanto fotografate in un album, anche se non compiutamente identificate.


Reati contro la pubblica amministrazione - Delitti - Dei pubblici ufficiali - Abuso di ufficio in casi non preveduti specificamente dalla legge - Violazione di norme di legge o di regolamento - Nozione - Indicazione - Fattispecie in tema di accettazione e spedizione di una raccomandata oltre l’orario di lavoro da parte di un agente postale.
(Cod.pen., art. 323, D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 13 e 14; D.P.C.M. 28 novembre 2000, art. 8; L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17)
Sez. 6, 24 settembre 2001, n. 45261. Pres. Romano, Rel. Fulgenzi, P.M. Hinna Danesi (conf.), ric. Nicita.

In materia di abuso di ufficio, la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che risulti lesiva del buon funzionamento e della imparzialità dell’azione amministrativa rileva alla duplice condizione che contrasti con norme specificamente mirate ad inibire o prescrivere la condotta stessa (non potendosi annettere rilevanza, a tale proposito, a disposizioni genericamente strumentali alla regolarità del servizio), e che dette norme presentino i caratteri formali ed il regime giuridico della legge o del regolamento (fattispecie nella quale è stata esclusa la sussistenza del reato per il fatto dell’agente postale che aveva accettato e spedito una raccomandata oltre l’orario di lavoro: la Corte ha escluso la pertinenza delle norme generali di cui agli artt. 13 e 14 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 sul rispetto dell’orario di lavoro e sull’interesse dell’Amministrazione per il pubblico bene, nel contempo rilevando come il “Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, formalizzato con D.P.C.M. 28 novembre 2000 e specificamente preclusivo di prestazioni non accordate alla generalità degli utenti, non sia stato emanato nelle forme previste per i regolamenti governativi dall’art. 17 della l. 23 agosto 1988 n. 400).


Reati militari - Reati contro il servizio militare - Mancanza alla chiamata - Affissione del pubblico manifesto non seguito dalla notifica della cartolina precetto - Configurabilità del reato - Sussistenza.
(Cod.pen.mil. pace art. 151)

Sez. 1, 15 novembre 2001, n. 4461. Pres. Fazzioli, Rel. Silvestri, P.M. Gentile (conf.), ric. Ventimiglia.

In tema di reati militari, ai fini della sussistenza del delitto di mancanza alla chiamata, quest’ultima diventa efficace con l’affissione del pubblico manifesto, che è forma legalmente prevista, e l’obbligo della presentazione sussiste anche quando il manifesto non sia seguito dalla notifica della cartolina precetto.


Reato - Elemento soggettivo - Colpa - Impianti - Obbligo di collaudo e manutenzione - Responsabilità del soggetto incaricato - Limiti - Fattispecie.
(Cod. pen. art. 40; Cod.pen. art. 589)

Sez. 4, 6 dicembre 2001, n. 4699. Pres. Pioletti, Rel. Brusco, P.M. Iannelli (conf.), ric. Stobbia e altri.

In tema di responsabilità per colpa, risponde dell’evento secondo le Regole ordinarie sulla causalità omissiva il soggetto cui incombe, anche contrattualmente, l’obbligo della verifica periodica di funzionalità o della manutenzione di impianto (nella fattispecie, una giostra) la cui rottura risulti dovuta a difetti di progettazione e costruzione macroscopici (o comunque evidenti a chi sia in possesso di cognizioni tecniche), atteso che, in questo caso, egli ha l’obbligo, adempiendo alle regole di diligenza e di perizia richieste dall’attività svolta, di non autorizzare (o consentire, ove sia nei suoi poteri) l’uso dell’impianto pericoloso.


Sanità pubblica - Inquinamento atmosferico - Mancata osservanza delle prescrizioni formali contenute nell’autorizzazione alle immissioni (art. 13 D.L.G. n. 372 del 1999) - Esclusione sul rilievo della mancanza di offesa concreta all’ambiente - Negazione.
(D. lgs. 4 agosto 1999, n. 372, art. 13)

Sez. 3, 23 ottobre 2001, n. 44161. Pres. Toriello, Rel. Novarese, P.M. Di Zenzo (conf.), ric. Zucchini.

In tema di inquinamento atmosferico il reato contravvenzionale di mancata osservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione alle immissioni nell’atmosfera (art. 13, comma 1, del D.L.G. 4 agosto 1999 n. 372), in particolare per omessa o irregolare tenuta del “registro di autocontrollo”, è configurabile anche se gli autocontrolli siano stati regolarmente effettuati alle date previste, atteso che allo stato attuale della legislazione, in specie in quella ambientale, non può farsi validamente richiamo al cd. principio di offensività per escludere la configurabilità del suddetto reato, sulla sola base del rilievo della mancanza di offesa concreta all’ambiente.


Sicurezza pubblica - Misure di prevenzione - Singole misure - Sorveglianza speciale - Reato di violazione degli obblighi del sorvegliato speciale - Reato di porto e detenzione di armi commesso da soggetto sottoposto a sorveglianza speciale - Concorso - Sussistenza.
(L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 9; L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 9)

Sez. 1, 20 dicembre 2001, n. 4490. Pres. Sossi, Rel. Bardovagni, P.M. Di Zenzo (conf.), ric. Lo Russo.

Il reato di violazione dell’obbligo gravante sul sorvegliato speciale di non possedere armi (art. 9 legge 27 dicembre 1956 n. 1423) concorre con il reato di detenzione e porto abusivo di armi aggravato dalla condizione di sorvegliato speciale (art. 9 legge 31 maggio 1965, n. 575).


Sicurezza pubblica - Stranieri - Impiego di lavoratori al fine di favorirne lo sfruttamento - Intervenuta abrogazione della relativa norma incriminatrice - Punibilità del fatto in base alla normativa vigente - Esclusione - Fondamento.
(L. 30 dicembre 1986, n. 943, art. 12, comma 1; D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 47, comma 2, lett. c e art. 12, comma 5)

Sez. 1, 20 novembre 2001, n. 6487. Pres. D’Urso, Rel. De Nardo, P.M. Cosentino (parz. diff.), ric. Boccia.

L’art. 12 comma 1 della legge 30 dicembre 1986, n. 943 che punisce l’impiego in condizioni illegali di lavoratori immigrati al fine di favorirne lo sfruttamento è stato espressamente abrogato dall’art. 47 comma 2, lett. c), del testo unico sulla disciplina dell’immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) e deve escludersi che la medesima fattispecie sia ricompresa nel delitto di cui all’art. 12 comma 5 del citato testo unico che sanziona la condotta di chi favorisce la permanenza dello straniero in condizioni di illegalità nel territorio dello Stato, in quanto diversa è la finalità della nuova norma incriminatrice funzionale a regolamentare i flussi di immigrazione nel territorio italiano, laddove la disposizione abrogata ha essenzialmente lo scopo di tutelare le condizioni dello straniero lavoratore.


Stampa - Diffamazione commessa col mezzo della stampa - Curatore di un libro antologico riportante componimenti di terzi - Uso di espressioni offensive dell’altrui reputazione - Intento dell’autore di dare informazione e divulgare la conoscenza di una certa realtà sociale e culturale - Scriminante del diritto di cronaca - Sussistenza - Presupposti.
(Cod.pen. artt. 595 e 51; L. 8 febbraio 1948, n. 47)

Sez. 5, 24 settembre 2001, n. 43451. Pres. Marrone, Rel. Fumo, P.M. Galasso (diff.), ric. Pg in proc. D’Orta.

In tema di diffamazione col mezzo della stampa, sussiste la scriminante del diritto di cronaca nell’ipotesi in cui il curatore di un libro antologico, allo scopo di rendere e descrivere fedelmente il contesto socio-culturale cui gli autori dei testi appartengono, riporti e divulghi espressioni forti e pungenti, anche obiettivamente offensive, a condizione che i predetti brani, secondo la motivata opinione del giudice di merito, siano espressivi del patrimonio culturale e delle modalità comunicative di una certa realtà sociale, la cui conoscenza sia di interesse per la collettività.
(Fattispecie relativa ad un raccolta di temi di bambini delle classi elementari, uno dei quali conteneva espressioni offensive nei confronti di un soggetto più volte apparso in programmi televisivi).