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Corte dei Conti

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Sentenza tratte dal sito www.cortedeiconti.it

Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, 10 luglio 2002. Pres. Simonetti, Est. Pensa.

Ritenuto in fatto:
Con atto di citazione notificato il 30.03.2000, la Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Campania conveniva in giudizio i sigg. C.P. e G.A., all’epoca dei fatti, rispettivamente, militare in servizio di leva ed ufficiale con compiti di capitano d’ispezione presso la Caserma Libroia di Nocera Inferiore (SA), per sentirli condannare al pagamento della somma complessiva di lire 265.678.175, oltre a interessi legali e spese di giustizia, in favore del Ministero della Difesa.
I fatti posti a fondamento della domanda sono i seguenti.

In data 14.9.1984, nella mensa della Caserma Libroia di Nocera Inferiore (SA), era nata una discussione fra i soldati L.G. e C.P. durante la quale il primo, per scherzo, aveva lanciato un panino verso il secondo. Quest’ultimo glielo rilanciava, ma il G. si scansava, sicché il panino proseguiva la traiettoria colpendo il commilitone A.A. che in quel momento entrava nella sala mensa, procurandogli la “lussazione del cristallino e la rottura della coroide per contusione bulbare” con successiva perdita di visus dell’occhio sinistro.
Seguiva una causa civile nei confronti dell’Amministrazione della Difesa che si concludeva con la sentenza n.6687 del 15 febbraio 1994 della Suprema Corte di Cassazione, confermativa della sentenza resa dalla Corte di appello di Salerno in data 21 gennaio 1992, che riconosceva la responsabilità del Ministero della difesa, in solido con il P., sicché, dopo la notifica dell’atto di precetto in data 28 luglio 1994, veniva emesso in data 18 novembre 1994 un mandato di pagamento per lire 262.545.575, quale risarcimento danni e rimborso spese di giudizio, cui seguiva in data 20 giugno 1995 un secondo mandato per lire 3.132.600, a titolo di rimborso spese successive alla sentenza.
Costituitosi in giudizio avanti alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Campania, il P. eccepiva, in via pregiudiziale, l’intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità, sostenendo che il dies a quo da prendersi in considerazione non era quello della data di emissione dei mandati di pagamento (18.11.1994 e 20.06.1995), bensì quello di passaggio in giudicato della sentenza della Corte di cassazione (15.2.1994); nel merito, sosteneva la mancanza di comportamento connotato da colpa grave.
Con la sentenza appellata, la Sezione giurisdizionale per la Campania, previa reiezione dell’eccezione di prescrizione, ha riconosciuto la responsabilità per colpa grave del P., condannandolo al pagamento in favore del Ministero della Difesa della somma di lire 20.000.000 comprensiva della rivalutazione monetaria, oltre gli interessi legali e le spese di giudizio, mentre ha assolto l’A., al quale era stata contestata la culpa in vigilando, per mancanza di colpa grave.
Per la quantificazione del risarcimento, la Sezione territoriale teneva conto che il danno inizialmente contestato in sede civile era enormemente lievitato in considerazione della durata del processo civile ed esercitava il potere di riduzione dell’addebito, tenuto conto della giovane età del P. all’epoca dei fatti e del comportamento irreprensibile da lui tenuto in caserma al di fuori dell’episodio contestato.

Avverso detta sentenza ha proposto appello l’ex militare P., allegando i seguenti motivi:
1) violazione di legge - eccesso di potere - mancanza di motivazione.
Nonostante la titolazione, con detto motivo l’appellante si duole del mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione già sollevata in primo grado e respinta dal giudice di prime cure.
A giudizio dell’appellante, erroneamente la Sezione ha ritenuto dover individuare il dies a quo, ai fini del calcolo del termine quinquennale di prescrizione, nella data (18 novembre 1994) di emissione da parte dell’amministrazione della difesa del mandato di pagamento di lire 262.545.575. Viceversa, secondo il P., avrebbe dovuto tenersi conto della data del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di cassazione (15.2.1994), non potendosi utilizzare, onde dilatare nel tempo il termine di prescrizione, la diversa data dell’effettivo pagamento il cui prolungamento nel tempo è ascrivibile all’inerzia della stessa P.A. danneggiata.
2) mancanza di colpa grave.
In secondo luogo l’appellante si duole dell’avere la Sezione riconosciuto la sussistenza della colpa grave nella sua condotta, apparendo il gesto da lui compiuto durante la refezione (lancio di un panino) del tutto conforme alla condotta “da caserma” radicata nell’orario di mensa della scuola militare e tollerata dal personale di vigilanza cui incombeva la sorveglianza dei militari.
Pertanto, con l’appello si conclude per l’annullamento della sentenza di primo grado o, in subordine, per l’applicazione del potere riduttivo in misura maggiore, con vittoria di spese, diritti ed onorari del giudizio.
Il Procuratore generale, a sua volta, con proprie conclusioni scritte depositate l’11 maggio 2002, ritiene che, correttamente, in ipotesi di danno indiretto, la Sezione territoriale abbia, in conformità di giurisprudenza ormai consolidata, riconosciuto che il dies a quo debba essere individuato nella data dell’effettivo pagamento da parte dell’amministrazione, solo a fronte del quale il danno erariale diviene concreto ed attuale, costituendo la sentenza un titolo esecutivo solo astrattamente idoneo a provocare la diminuzione patrimoniale che diverrà effettiva con il pagamento; diversamente opinando, si riterrebbe il P.M. contabile legittimato ad agire prima ancora che il danno nella sua ontologica esistenza si sia verificato, non potendosi a priori escludere che dopo la formazione di un titolo esecutivo giudiziale (sentenza) o stragiudiziale intervengano fatti impeditivi del pagamento e quindi del nocumento patrimoniale effettivo (es.: ricorso per revocazione avverso la sentenza, opposizione a precetto...).

Quanto alle considerazioni secondo cui il creditore non può invocare l’inerzia a sé addebitabile per dilazionare nel tempo il termine di prescrizione, l’Organo requirente osserva che ai fini del computo della prescrizione ordinaria ciò che esclusivamente rileva è il “fatto” del verificarsi del danno, potendosi la condotta negligente della P.A. (nella specie del tutto insussistente) valutare semmai a diversi fini e cioè della correttezza nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie.
In ordine all’elemento psicologico della responsabilità, il P.G. evidenzia che i fatti nella loro materialità sono stati accuratamente ricostruiti in sede civile in ben tre gradi di giudizio e da essi emerge che l’evento dannoso (infortunio del commilitone militare di leva) sia avvenuto a causa di una condotta gravemente negligente dell’appellante, contrastante sia con le ordinarie regole di civiltà che disciplinano la civile convivenza, sia con quelle, ancor più severe, imposte ai militari di leva (obbligo di astenersi dal compiere azioni non confacenti al decoro ed alla dignità), sicché conclude per il rigetto dell’interposto appello, con conseguente integrale conferma della sentenza impugnata ed ogni conseguenza in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
Nella pubblica udienza, l’avv. Cr., per delega dell’avv. M., richiamando i motivi di gravame, ha insistito sulle circostanze che hanno determinato l’evento, di per sé molto grave, ma generato da un fatto di scarsa rilevanza e di comune esperienza nella vita di caserma, che non può essere qualificato oltre il limite della colpa, per cui ha concluso per l’accoglimento dell’appello, mentre il rappresentante del P.M., ribadite le argomentazioni scritte in ordine alla decorrenza della prescrizione nelle ipotesi di danno indiretto, ha posto in luce gli aspetti della vicenda che farebbero propendere per la piena responsabilità dell’appellante ed ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il Collegio deve preliminarmente pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione dell’azione di responsabilità sollevata dal convenuto in prime cure e ribadita in appello.

A tal fine, giova ricordare che il problema della decorrenza della prescrizione è stato affrontato dalla SS.RR. di questa Corte nella sentenza n. 7/QM del 24 maggio 2000, nella quale si afferma che gli artt. 1 della legge n. 19 del 1994 e successive modificazioni e 58 della legge n. 142 del 1990 vanno intesi entrambi nel senso che il “fatto” che consente l’esercizio dell’azione di responsabilità è costituito dal binomio condotta - evento e che la fattispecie dannosa si perfeziona con il verificarsi di quest’ultimo; qualora, poi, la situazione antigiuridica viene fatta perdurare nel tempo, essa è continuamente produttiva di altro e autonomo danno, per cui in relazione alla scansione temporale del sorgere del medesimo ed in base all’art. 2935 c.c. il dies a quo decorre da ciascun giorno rispetto al danno verificatosi. Ed al riguardo la giurisprudenza della Corte di cassazione (sent. 15 marzo 1989, n.1306) insegna che il concetto di fatto da cui decorre il termine di prescrizione non deve considerarsi ristretto all’azione od omissione, ma deve essere esteso all’evento.
Ciò posto, nel caso in cui il danno erariale si sia concretizzato nel pagamento di somme di denaro, il dies a quo del termine prescrizionale va individuato nel momento dell’esborso della somma stessa, attraverso l’estinzione del relativo titolo di spesa, giacché solo allora assume le caratteristiche di certezza, attualità e concretezza necessarie per costituire danno risarcibile (Sez. 2^ giurisdizionale centrale 3 febbraio 1999, n.13, Sez. 1^ giurisdizionale centrale 18 marzo 1998, n.72; Sez. Molise 26 novembre 1997, n.515; SS.RR. 13 febbraio 1997, n.23; Sez. Umbria 13 settembre 1996, n.357).

Nella fattispecie, l’esborso di lire 262.545.575, quale risarcimento danni e rimborso spese di giudizio, è avvenuto in data 18 novembre 1994, mentre l’atto di citazione è stato notificato il 30 marzo 2000, preceduto dalla costituzione in mora da parte del Ministero della difesa, notificato il 9 novembre 1999, e dall’invito a dedurre del P.R., notificato il 17 novembre 1999, contenente esplicito riferimento agli artt. 1219 e 2943 del codice civile. Stante l’intervenuto effetto interruttivo della costituzione in mora, l’eccezione avente ad oggetto la prescrizione dell’azione di responsabilità è infondata.
Passando al merito della questione, per affermare la responsabilità amministrativa è da escludere che possa utilizzarsi un modello individuale ed astratto di comportamento, essendo necessario, invece, l’accertamento in concreto del comportamento del soggetto, ritenuto responsabile, in tutte le situazioni oggettive e soggettive che hanno determinato l’evento dannoso, stante la duplice esigenza della personalizzazione di detta responsabilità e della sua graduazione psicologica. In realtà, è difficile, se non impossibile, enucleare una definizione unitaria della colpa grave e tutti i criteri individuati dalla giurisprudenza appaiono come semplici figure sintomatiche di grave comportamento anomalo, nella infinita varietà delle regole di condotta da rispettarsi.

Al fine della individuazione della colpa grave, si è ritenuto (Sez. Molise, sentenza n.89/2001) che possa farsi riferimento alle norme che precisano questo livello di colpevolezza, quali l’art. 5 del d.lvo 472/97 (sulle sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie), nel testo sostituito dall’art. 2 del d.lvo 203/98, secondo il quale “la colpa è grave quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari”, oppure l’art.2 della legge 117/88 (sulla responsabilità dei magistrati) che definisce grave la violazione di legge “determinata da negligenza inescusabile”. Ed in quest’ambito normativo più determinato si giustificano le varie specificazioni della gravità della colpa proposte dalla giurisprudenza, quali: l’inosservanza del minimo di diligenza; la prevedibilità e prevenibilità dell’evento dannoso; la cura sconsiderata e arbitraria degli interessi pubblici; il grave disinteresse nell’espletamento delle funzioni; la totale negligenza nella fase dell’esame del fatto e dell’applicazione del diritto; la macroscopica deviazione dal modello di condotta connesso alla funzione; la sprezzante trascuratezza dei doveri di ufficio resa ostensiva attraverso un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza ovvero ad una particolare noncuranza degli interessi pubblici (SS.RR. 14 settembre 1982, n.313; 22 febbraio 1997, n.27/A).

Stante, quindi, la duplice esigenza della personalizzazione della responsabilità e della sua graduazione psicologica, va considerato, preliminarmente che, dalla dinamica dei fatti che hanno determinato l’evento traumatico, quale accertata nel giudizio civile, si evince che il panino era diretto a colpire il commilitone G., in replica ad un precedente lancio di quest’ultimo, ed invece colpiva l’A. nel momento in cui questi entrava in sala mensa, a causa della schivata effettuata dal destinatario del lancio, sicché l’evento dannoso verificatosi non solo non era voluto, ma non era nemmeno prevedibile, essendo stato condizionato da una serie di circostanze indipendenti dalla volontà dell’autore del lancio.
Non va poi trascurato che la personalizzazione della responsabilità comporta la valutazione delle circostanze in cui si è verificato l’evento, giacché il comportamento del militare di leva, anche se è coattivamente improntato all’osservanza del codice deontologico imposto dalla disciplina cui è soggetta la prestazione del servizio, risente necessariamente della giovane età dei protagonisti, del cameratismo proprio della vita di gruppo e dell’ambiente tipico della caserma. E nell’individuare la responsabilità del soggetto agente, quindi, non può non considerarsi la natura dell’azione posta in essere ed il fine prefissatosi nell’agire, per cui la gravità del comportamento va desunta con un giudizio ex ante e non dalla gravità dell’evento prodotto.

Ne consegue che non può dirsi connotato da particolare disinteresse, se non addirittura da spregio di detto codice deontologico, il comportamento che, lungi dall’essere estraneo alla vita militare e del tutto eccezionale, rappresentava invece, secondo alcune testimonianze acquisite nel corso del giudizio civile, un’abitudine dei commensali di leva molto radicata e tollerata dai superiori gerarchici.
Alla luce delle considerazioni che precedono, non può dirsi provata la colpa grave dell’appellante nel determinismo dell’evento traumatico subito dal commilitone A. e, pertanto, va assolto da ogni addebito.
L’accoglimento dell’appello comporta l’esonero dalle spese di giustizia di entrambi i gradi di giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dei Conti - Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, definitivamente pronunciando, accoglie il gravame in epigrafe e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata ed assolve l’appellante C.P. da ogni addebito riferito al danno procurato al commilitone A.A.
Nulla per le spese di entrambi i gradi di giudizio.


Sezione giurisdizionale per la regione Siciliana, 27 maggio 2002. Pres. Topi, Est. Cultrera.

Fatto:
Dagli atti acquisiti al fascicolo di causa emerge che il sottufficiale della Marina militare, capo 1^ classe F.G., avrebbe chiesto ed ottenuto dalla amministrazione militare il rimborso di £.3.473.545 per spese sostenute per trasporto di mobili e masserizie che sarebbe stato effettuato nel 1992. A giustificazione e supporto dell’istanza di rimborso il sottufficiale avrebbe presentato la fattura n.51/92 del 15 maggio 1992, emessa dalla ditta di autotrasporti “Di X”, per servizio di trasporto allo stesso reso da Catania a Salerno, corredata da certificato di pesa pubblica rilasciato dal pesatore pubblico tale A. Salvatore. Dagli accertamenti condotti dalla Guardia di finanza di Catania sarebbe risultato che sia la fattura che il certificato di pesa pubblica, presentati dal predetto sottufficiale per ottenere il rimborso, erano falsi e che in buona sostanza nella specie sarebbe stata congegnata una operazione fittizia di trasporto di mobili e masserizie al solo scopo di carpire un indebito rimborso di denaro. Per tali fatti il F. è stato rinviato a giudizio dalla Procura della Repubblica di Catania per i reati previsti e puniti dagli artt. 416, 479, 234 del codice penale.
Il procuratore regionale ha ravvisato nella specie un’ipotesi di danno erariale, costituito dalla perdita ingiusta patita dall’amministrazione della difesa, della somma di £.3.473.545 illecitamente riscossa dal F. per trasporto di mobilia e masserizie da Catania a Salerno in realtà mai avvenuto. Nei confronti del medesimo ha ritenuto sussistenti tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa in cui ha ravvisato, in particolare, e sotto il profilo soggettivo, il dolo d’intenzione nella consumazione della condotta illecita. Ne ha chiesto, pertanto, la condanna al pagamento della citata somma di £.3.473.545 in favore del Ministero della difesa, amministrazione d’appartenenza del convenuto, danneggiata, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali.
All’odierna udienza il pubblico ministero ha insistito sulle conclusioni dell’atto di citazione onde ha ribadito la richiesta di condanna.

DIRITTO

Il collegio ritiene che sussistano nella vicenda oggetto del giudizio i presupposti per l’affermazione della responsabilità del sottufficiale F. G., in conseguenza della perdita ingiusta patita dalla amministrazione di appartenenza, costituita dalle somme pagate a titolo di rimborso di spese asseritamente sostenute per trasporto di mobili e masserizie. A prescindere dall’esito del procedimento penale citato in narrativa, deve rilevarsi che le acquisizioni probatorie provenienti da tale procedimento penale, che concerne la stessa vicenda fattuale di cui si discute nell’odierno giudizio, sono autonomamente valutabili da questo giudice quali utili elementi sottoposti alla sua cognizione, in ordine ai fatti posti in evidenza nell’atto di citazione, ai fini dell’accertamento della colpevolezza del convenuto. Ebbene, il materiale acquisito consente di affermare che risulta pienamente provato che la fattura n.51/92 del 15 maggio 1992 della ditta Di X, prodotta dal convenuto per ottenere il rimborso delle spese di trasporto, è un documento fittizio, avendo il titolare della ditta di autotrasporti stessa, signor Di X G., dichiarato nel verbale di interrogatorio del 18 gennaio 1994 reso alla Guardia di Finanza di Catania di avere cessato l’attività di autotrasporto sin dal 1988 e che il pesatore pubblico A.G. non ha effettuato alcuna pesa ufficiale di automezzi impiegati nel trasporto di cui trattasi (v.verbale di interrogatorio di persona sottoposta ad indagini preliminari reso il 20 ottobre 1994). Talché risulta sicuramente accertato che il convenuto abbia messo in atto un’operazione fittizia utilizzando una fattura ed un certificato di pesa falsi al fine di conseguire un indebito rimborso. Aggiungesi che, sotto il profilo soggettivo, il suo comportamento è da qualificarsi indubbiamente dolosa violazione dei doveri di fedeltà e correttezza che incombono su ogni pubblico dipendente verso la sua amministrazione. Conclusivamente ritiene questo giudice che il convenuto debba essere condannato a risarcire l’intero danno quantificato nell’atto di citazione oltre a rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT con decorrenza dalla data di liquidazione della spesa effettuata dall’amministrazione militare a titolo di rimborso, ed agli interessi legali sulle somme rivalutate dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino al soddisfo.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, afferma la responsabilità amministrativa del signor F.G. in conformità alle richieste contenute nell’atto di citazione;
agli effetti dell’affermata responsabilità lo condanna al pagamento in favore del Ministero della difesa della somma di £ 3.473.54 (euro 1793,94) oltre alla rivalutazione monetaria in base agli indici ISTAT su detta somma con decorrenza dalla data di liquidazione del rimborso delle spese di trasporti di mobilia e masserizie effettuato dall’amministrazione militare anzidetta ed agli interessi legali sulla somme rivalutate dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino al soddisfo.
Condanna il convenuto al pagamento delle spese di giudizio in favore dello Stato che si liquidano in euro 62,99 (Sessantadue/99).
Ordina che, ai sensi dell’art. 24 del RD 12 agosto 1933, n.1038, copia della presente sentenza sia trasmessa dalla Segreteria in forma esecutiva all’ufficio del Pubblico Ministero, affinché, quest’ultimo curi l’inoltro alle amministrazioni interessate per l’esecuzione in conformità a quanto disposto dal DPR n.260/1998.