Rilevanza dell'elaborazione giurisprudenziale nei procedimenti amministrativi dell'Arma dei Carabinieri

Relazione del Dottor Vito Tenore (*)

Prima di entrare nel vivo della tematica oggetto del mio intervento, mi sia consentito, stimolato dagli interessanti spunti dei relatori che mi hanno preceduto, di esprimere qualche breve considerazione sull’autonomia del diritto militare nel vigente ordinamento giuridico.
Osservo in primo luogo che il rivendicare un’autonomia scientifica del diritto militare nell’attuale momento storico potrebbe apparire come una singolare pretesa “controcorrente”, in quanto viviamo un’epoca in cui le grandi ripartizioni del diritto, ovvero quello civile, penale ed amministrativo, attraversano una fase di profondo mutamento, che ha portato ad attenuare le ontologiche differenze che caratterizzavano questi basilari “rami” del diritto.

Il riferimento è, tra i tanti, alla progressiva attenuazione nel diritto civile del centrale principio dell’autonomia negoziale delle parti, a seguito dell’introduzione di forti limiti pubblicistici al se contrarre (es. responsabilità civile obbligatoria; assunzioni obbligatorie), al come contrarre (es. contratti standard per moduli e formulari), al contenuto del contratto (es. contratti per adesione a condizioni generali), alla forma contrattuale da utilizzare (es. forma scritta ad substantiam per la stipula di alcuni negozi), alla libertà di scelta del contraente (es. forme di monopolio o oligopolio per alcuni negozi), alla limitazione nella possibilità di apporre clausole termini e condizioni in alcuni negozi. Accanto a tale “pubblicizzazione” del diritto civile si assiste, quasi specularmente, alla “privatizzazione” di molti istituti del diritto amministrativo: si pensi alla progressiva emersione nei rapporti tra la p.a. ed il cittadino di moduli consensuali-negoziali che si affiancano o, addirittura, si sostituiscono, al preesistente strumento unilaterale e pubblicistico del provvedimento amministrativo (es. accordi integrativi e sostitutivi di provvedimento ex art. 11, l. 7 agosto 1990 n.241; conferenze di servizi ex art. 14, l. n.241 cit.; contratti di natura privatistica; convenzioni, accordi etc.), o alla vera e propria “depubblicizzazione” di interi settori oggi regolati quasi esclusivamente da fonti contrattuali (es. il pubblico impiego privatizzato, che ha oggi come fonte basilare i contratti collettivi di comparto e non più il t.u. 10 gennaio 1957 n. 3).

Lo stesso diritto penale, in conseguenza della depenalizzazione di molti reati e della introduzione, sul piano processuale, di moduli consensuali di applicazione della pena, ha subito attenuazioni dei suoi caratteri distintivi, taluni dei quali sono stati invece recepiti nella regolamentazione del sistema sanzionatorio amministrativo.
In estrema sintesi, la distinzione, un tempo assai netta, tra i vari rami dell’ordinamento giuridico, appare oggi in crisi perché meno netti sono gli elementi caratterizzanti delle varie articolazioni dell’ordinamento stesso. Nel contempo si assiste però, dalla semplice lettura delle locandine pubblicitarie (la dizione è da intendersi ormai in senso tecnico stante l’esasperato regime concorrenziale seguito negli ultimi anni dalle università) delle nostre facoltà di giurisprudenza, ad una crescita esponenziale di microinsegnamenti (ergo di cattedre universitarie) afferenti settori specifici del diritto, talvolta oltremodo singolari, asseritamene bisognevoli di un autonomo corso annuale. Tale evoluzione didattica, talvolta giustificata dalla tecnicizzazione e specializzazione di alcuni settori dei grandi rami del diritto (si pensi al diritto bancario rispetto al diritto commerciale, al diritto di famiglia rispetto al diritto privato, al diritto comunitario rispetto al diritto internazionale), in altri casi appare come una proliferazione dettata da mere esigenze baronali, tendenti a creare cattedre per allievi di autorevoli docenti capo-scuola.

In realtà, l’attribuzione dell’autonomia scientifica ad un insegnamento dovrebbe essere conseguenziale, a nostro avviso, alla riscontrata presenza di molteplici caratteri peculiari della materia oggetto del corso, che, per la loro rilevanza qualitativa e quantitativa, giustificano un distacco dell’insegnamento da un ramo-madre. Tale evenienza è riscontrabile, in verità, assai raramente: non ogni qual volta alcuni settori dell’ordinamento presentino settoriali ed occasionali varianti rispetto alla disciplina-tipo fissata in generale a livello legislativo, può dirsi che sia “nato” un nuovo ramo del diritto. Così come l’atipicità negoziale è rivendicabile dai soli contratti che presentino, rispetto alle figure tipizzate nel codice civile o in leggi speciali, varianti notevoli sotto il profilo quantitativo e qualitativo, allo stesso modo un nuovo ramo del diritto può atteggiarsi come autonomo insegnamento solo se si connoti per caratteri e regole assai diverse da quelle generali.

Per quanto concerne il diritto militare, è innegabile che i destinatari di questo peculiare complesso normativo, di cui si rivendica da più parti l’autonomia, siano soggetti, gli appartenenti alle forze armate, caratterizzati da uno status assai peculiare nel nostro ordinamento, che ha portato costantemente il legislatore a riservare loro discipline giuridiche differenziate rispetto al restante personale civile o al restante pubblico impiego. Gli esempi sul punto potrebbero moltiplicarsi: si pensi al regime sanzionatorio penale, a quello disciplinare, al reclutamento, agli avanzamenti di carriera, alla contrattualistica pubblica militare, etc.
È tuttavia parimenti innegabile che alcune peculiarità normative caratterizzano decine di altri soggetti o settori del nostro ordinamento, che potrebbero così legittimamente invocare la specificità del proprio status o del proprio regime per giustificare la creazione di un autonomo corpus normativo e di un connesso insegnamento universitario: si giungerebbe così (e si è in parte giunti) alla creazione di cattedre di diritto scolastico per le peculiarità del settore scuola, di diritto sanitario per le peculiarità del settore sanitario, di diritto dell’ordinamento giudiziario per le peculiarità del settore giudiziario, di diritto delle assicurazioni per le peculiarità del settore assicurativo, di diritto minerario per le specificità del settore, di esegesi delle fonti del diritto romano per le peculiarità della materia, etc.

Ed allora, con maggior pragmatismo, potrebbe a nostro avviso giustificarsi la creazione di cattedre afferenti a specifici settori dell’ordinamento o specifiche categorie professionali non tanto in base ad una asserita autonomia dogmatica del relativo complesso normativo (che sovente non presenta un corpus normativo organico, ma delle mere specifiche ed occasionali deroghe alla disciplina generale), ma più semplicemente, in considerazione della storica presenza, per alcune categorie professionali o per taluni settori dell’economia, di una serie considerevole di previsioni normative, primarie e secondarie, che apportano significative e diffuse deroghe o modifiche alla disciplina generale vigente per le restanti categorie o settori.
È il caso proprio del diritto militare, che potrebbe senz’altro avere, se non una sua autonomia “ontologica” (come corpus normativo autonomo ed originale), senza dubbio una sua autonomia didattica, in quanto il personale militare e, più in generale, l’amministrazione militare, hanno sempre avuto una regolamentazione, sia sotto il profilo pubblicistico che lavoristico, assai divergente rispetto al personale civile ed alle restanti amministrazioni.

Tali peculiarità, è bene rimarcarlo, non riguardano il solo profilo penale, quello più noto ai giuristi che si sono interessati del diritto militare, ma toccano anche i profili lavoristici (ergo lo status di dipendente pubblico-militare) e quelli amministrativi (ovvero di gestione dei procedimenti amministrativi tipici delle forze armate).
I tradizionali studi sul diritto militare, e i relativi corsi di formazione ed aggiornamento, si sono storicamente incentrati sui profili penali e ordinamentali del diritto militare, con qualche apertura alla materia dei procedimenti disciplinari (troppo pomposamente definita “diritto disciplinare” in qualche insegnamento accademico) e solo in tempi relativamente recenti sono stati valorizzati gli ulteriori e centrali aspetti basilari dell’azione delle forze armate, quali la gestione dei procedimenti amministrativi nella loro fisiologia e nella loro patologia giudiziaria (reclutamento, avanzamento, accesso agli atti, trasferimenti, sospensioni cautelari, stipula dei contratti, gestione del contenzioso etc.), quali la cura del contenzioso amministrativo e giurisdizionale, quali i rapporti con altri organi istituzionali (avvocatura dello Stato, Corte dei Conti etc.)(1).

Le ragioni di tale apertura scientifica e didattica a settori non penali dell’attività delle forze armate vanno ricercate nella circostanza che gli anni novanta rappresentano un momento di grande fermento normativo per l’amministrazione pubblica e per quella militare in particolare, toccata da profonde modifiche strutturali-organizzative (ristrutturazione delle forze armate e del ministero) e “bombardata” (qui d’uopo è l’espressione militaresca) da un complesso di norme che hanno radicalmente inciso sulla quotidiana gestione dei propri procedimenti amministrativi tipici.
La formazione giuridica di tendenziale matrice “pan-penalistica” o comunque “militaresca” (nel senso restrittivo del termine) degli appartenenti alle forze armate ha condotto talvolta ad un tardivo recepimento dei principi innovatori apportati dalla più recente normativa (e, in via interpretativa, anche dalla giurisprudenza) al funzionamento dell’amministrazione militare ed alla gestione dei relativi procedimenti e, in qualche caso, ad un tardivo adeguamento delle forze armate a tali sopravvenienze legislative ed interpretative.
Di tale situazione è sintomatica la lettura delle numerose sentenze della magistratura amministrativa contenute nei repertori giurisprudenziali dell’ultimo decennio, da cui si evince la non infrequente soccombenza dell’amministrazione militare.

Tra le più rilevanti novità introdotte dalla legislazione degli anni ’90 al concreto funzionamento della pubblica amministrazione, e, dunque, anche di quella militare, un ruolo centrale assume la legge 7 agosto 1990 n.241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che ha fissato, anche sulla scorta di una vasta produzione giurisprudenziale, regole certe su profili centrali e nevralgici dell’azione pubblica: motivazione degli atti, rispetto di tempi determinati per la chiusura dei procedimenti amministrativi, contraddittorio con il cittadino, accesso agli atti dell’amministrazione, semplificazione istruttoria e documentale, valorizzazione di moduli convenzionali in luogo di moduli provvedimentali unilaterali, etc.
Tali regole hanno profondamente inciso sulla gestione dei più tradizionali procedimenti facenti capo alle forze armate: trasferimenti, sanzioni disciplinari, avanzamenti, sospensioni cautelari, reclutamenti, avanzamenti etc., in passato gestiti con un certo empirismo (leggasi sulla scorta di prassi d’ufficio tramandate di militare in militare titolare dell’ufficio o di circolari esplicative etc.) da parte di ufficiali e sottufficiali talvolta “esordienti” in compiti amministrativi e spesso soggetti, dopo essersi faticosamente impadroniti di conoscenze giuridico-amministrative adeguate ai compiti gestionali da svolgere, ai tradizionali e frequenti mutamenti di mansioni e di sedi nel corso della ascesa nella gerarchia militare.

Oltre a tale normativa del 1990, altri interventi legislativi hanno inciso profondamente sull’azione amministrativa delle forze armate: si pensi al t.u. n.445 del 2000 sulla documentazione amministrativa, alle leggi Bassanini n.59 e n.127 del 1997, alla l. n.675 del 1996 sulla tutela della privacy, alla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro etc.
Le ragioni del segnalato tardivo recepimento da parte delle forze armate di tale normativa “amministrativa” vanno forse ricercate, come anticipato, nella tradizionale preminenza data, nella formazione e nell’aggiornamento del relativo personale (ufficiali e sottufficiali), ai profili penalistici e a quelli lato sensu militari (attività di sicurezza e difesa nazionale, attività investigativa, di repressione e prevenzione della criminalità etc.).
A ciò potrebbe aggiungersi che la forte gerachizzazione della struttura militare e la peculiarità dei compiti dalla stessa assolti hanno portato, almeno inizialmente, a ritenere che una normativa, quale la legge n.241 del 1990, ispirata a valori partecipativi e di trasparenza dell’azione amministrativa e tesa ad una sensibile attenuazione dell’autoritarietà ed unilateralità delle scelte della p.a., non potesse incidere sull’azione delle forze armate, storicamente retta da principi antitetici rispetto alla legge 241, quali quello della generalizzata segretazione documentale, della scarsa rilevanza del ruolo del destinatario del provvedimento amministrativo, della sintetica motivazione delle scelte operate.

Tale impostazione si è rivelata fallace, in quanto l’azione delle articolazioni centrali (direzioni generali del Ministero, Comandi generali) e periferiche (comandi regionali e provinciali, capitanerie, distaccamenti, reparti, caserme etc.) dell’amministrazione militare, al pari dell’azione di qualsiasi altra pubblica amministrazione, si sviluppa nei rapporti interni ed esterni attraverso un iter doverosamente procedimentalizzato, in cui si rinvengono i tre canonici momenti dell’iniziativa, dell’istruttoria e del provvedimento finale, ed al quale si applicano le generali regole codificate, con portata onnicomprensiva, nella ricordata legge n.241 del 1990. In altre parole, anche le forze armate, al pari delle restanti p.a., gestiscono quotidianamente migliaia di procedimenti amministrativi che si affiancano ai più tradizionali (ed esplorati scientificamente) compiti di istituto (repressione della criminalità, difesa della nazione, indagini giudiziarie etc.): tali procedimenti sono sottoposti, anche per le FF.AA. alle comuni regole che vincolano le restanti p.a.

Le frequenti soccombenze in giudizio e la necessità di consolidare il proprio patrimonio culturale giuridico per meglio gestire istruttorie occasionate da centinaia di richieste provenienti da militari, ormai poco timorosi di “ritorsioni gerarchiche” e assai “vogliosi” di sperimentare i nuovi strumenti giuridici approntati dalla legge n.241 del 1990 (si pensi alle numerose richieste di accesso ad atti del Ministero della difesa e delle finanze), hanno condotto i vertici delle forze armate e lo stesso Ministero (della difesa, ma anche delle finanze), da un lato, ad una capillare divulgazione dei principi portanti della suddetta legge e delle successive norme relative a procedimenti amministrativi (si pensi al potente impatto della semplificazione documentale ex d.P.R. n.445 del 2000), attraverso regolamenti e circolari, e, dall’altro, ad una opportuna valorizzazione nei percorsi formativi del personale militare dei principi fondamentali del diritto amministrativo e, in particolare, dell’attuale disciplina positiva del procedimento amministrativo e del diritto di accesso(2).
In tale attività di aggiornamento professionale una nota di merito va innegabilmente attribuita, vergin di servo encomio, proprio all’Arma dei Carabinieri, assai sensibile negli ultimi anni al completamento patrimonio professionale del proprio personale con l’ormai indefettibile formazione giuridico-amministrativa.

In ordine al “metodo” formativo, va sottolineato che il taglio di tale attività di aggiornamento “giuridico-amministrativo” del personale delle forze armate va doverosamente differenziato dal tradizionale approccio accademico seguito negli insegnamenti universitari tradizionali. Le peculiarità delle forze armate, unite alla pregressa e pluriennale esperienza lavorativa già acquisita da molti partecipanti a corsi e seminari di aggiornamento, richiedono un approccio didattico concreto, casistico e giurisprudenziale agli istituti giuridici quotidianamente gestiti da ufficiali e sottufficiali delle forze armate. Al rigoroso inquadramento dogmatico-accademico dei predetti istituti giuridici, va dunque coniugato un basilare richiamo alla realtà gestionale, che presuppone nei docenti una notevole conoscenza della realtà militare e delle specificità normative e giurisprudenziali che la caratterizzano.
Non a caso, dunque, le più blasonate Scuole ed accademie militari hanno coerentemente privilegiato, nella formazione giuridico-amministrativa del proprio personale (come storicamente avvenuto in parte anche per la formazione penalistica e processualistica), gli interventi didattici di operatori giuridici attenti all’applicazione della normativa (magistrati, avvocati) più che di accademici, tradizionalmente ancorati, con le dovute eccezioni, ad un approccio teorico agli istituti giuridici, prescindendo dalle innegabili peculiarità che caratterizzano l’ordinamento militare.

Tali percorsi formativi hanno valorizzato, per quanto concerne l’esperienza riscontrabile presso Scuole pubbliche e private promotrici di master, corsi e seminari in materia di diritto amministrativo militare, l’analisi del dato normativo alla luce della giurisprudenza intervenuta, basilare referente per ogni pubblica amministrazione e, dunque, anche di quella della difesa.
A tal proposito, è doveroso rimarcare che, in considerazione della finalità degli interventi formativi del personale delle forze armate (fornire nozioni giuridiche immediatamente spendibili nell’attività gestionale per prevenire errori e relativo contenzioso), il basilare punto di riferimento per docenti e discenti è stato (e dovrà essere) la giurisprudenza amministrativa, che ha interpretato le più recenti novità normative a cui si è in precedenza fatto cenno, adattando molto spesso i principi dalle stesse introdotti alla realtà militare: emblematica in tal senso è la vicenda della l. n.241 del 1990, che ha subìto varie attenuazioni giurisprudenziali in sede di applicazione dei suoi precetti alle forze armate (es. motivazione degli atti).
Lo stesso legislatore ha spesso attenuato la portata generalizzata di alcune norme in relazione all’applicazione delle stesse al peculiare personale militare (si pensi ai precetti della l. n.675 del 1996 sulla tutela della privacy).

La giurisprudenza ha inoltre offerto un basilare contributo alla soluzione di quesiti nascenti, in sede applicativa, dalla complessa stratificazione normativa che caratterizza alcuni settori dell’azione amministrativa delle forze armate. Emblematico in tal senso appare l’apporto dato dalla magistratura amministrativa all’applicazione di diverse regole del procedimento disciplinare, il più complesso degli istituti lavoristici nel nostro sistema giuridico: il riferimento è, tra i tanti, ai problemi della motivazione della sanzione disciplinare, della natura (ordinatoria o perentoria) dei termini del procedimento, dei limiti alla restitutio in integrum retributiva del militare cautelarmente sospeso e poi non destituito in sede disciplinare, dell’incidenza della sentenza penale sul procedimento disciplinare, dell’efficacia della sentenza di patteggiamento sul giudizio disciplinare etc.
Fondamentale è stato, ed è tutt’oggi, il contributo della magistratura per la corretta applicazione delle norme concernenti altri procedimenti tipici delle forze armate: avanzamenti, sospensioni cautelari, trasferimenti, provvedimenti consequenziali all’assunzione di sostanze stupefacenti. Né può trascurarsi l’apporto dato dalla giurisprudenza, questa volta contabile (Corte dei conti), alla conoscenza dei diversi e complessi aspetti dell’illecito amministrativo-contabile, ovvero quello che si configura a fronte della commissione di un danno erariale da parte di un pubblico dipendente (militare o civile): anche tali profili del peculiare illecito sono stati di recente valorizzati nei percorsi formativi del personale militare, spesso protagonista della materia de qua, non solo - in negativo - come autore di danni erariali (si pensi ai danni da sinistri stradali, da sottrazioni di beni in dotazione, da indennità di trasferimenti gonfiate, da danni a terzi per l’uso improprio di armi, da appropriazioni di somme in cassa etc.), ma anche - in positivo - come accertatore, su incarico della magistratura contabile o nel corso di indagini penali, di danni erariali prodotti da altri dipendenti (basilare è il contributo delle forze armate per accertare e quantificare danni patrimoniali subiti dalla p.a. a seguito della commissione di fatti di valenza penale).

Si potrebbe dunque concludere, e questa è la nostra opinione, ribadendo che il diritto militare meriti senz’altro una sua autonomia didattica, sia in considerazione della specificità di numerosi precetti che caratterizzano il personale delle forze armate e molte delle attività dell’amministrazione della difesa, sia dei peculiari adattamenti giurisprudenziali di alcuni principi generali dell’ordinamento alla realtà militare. A ciò va però aggiunto che l’insegnamento di tale complesso normativo dovrà sempre connotarsi per un taglio “operativo”, che abbia come suo costante e basilare referente la norma(3) e l’interpretazione giurisprudenziale della stessa: l’illuminante faro della magistratura rappresenta e rappresenterà sempre la principale guida per ogni militare chiamato a risolvere quotidiani problemi, più o meno complessi, di natura gestionale.


(*) - Magistrato della Corte dei Conti e Professore ordinario presso la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze.
(1) - Ci sia consentito il richiamo al nostro Poli-Tenore, I procedimenti amministrativi tipici e il diritto di accesso nelle forze armate, (con presentazione del Capo di Stato Maggiore della Difesa), Milano, Giuffré, 2002.
(2) - Una meritoria iniziativa formativa del personale militare è quella da anni svolta dal noto Mastermil, Master di diritto amministrativo militare, curato dall’Istituto Prisma (www. prismaform.it) e seguito da ufficiali e sottufficiali di tutte le forze armate.
(3) - Il reperimento delle fonti normative (leggi, decreti, regolamenti etc.) è compito particolarmente arduo nel settore militare. Un recente sforzo di ricostruzione organica del quadro delle fonti è operato in Tenore-Poli, Codice di diritto amministrativo militare, Milano, Giuffré, 2002.