La politica estera e di sicurezza comune e la politica europea di sicurezza e difesa dell'Unione Europea

Antonio Bandiera

1. Premessa

All’indomani della seconda guerra mondiale numerosi sono stati i tentativi di creare istituzioni per garantire una difesa comune dell’Europa Occidentale. Con incredibile rapidità, sull’onda emotiva del successo della CECA, il 27 maggio 1952 sei Paesi europei firmarono il Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED) che mirava a creare un esercito europeo, sintesi di quelli nazionali, sotto il comando di un “Commissariato”. Tale Trattato prevedeva che in breve tempo alla CED subentrassero strutture di tipo federale nella convinzione che l’unificazione del potere politico in una struttura federale fosse la reale garanzia di una unificazione economica e dovesse anche precederla. All’Assemblea della CECA venne quindi demandato il compito di predisporre un progetto di Trattato Istitutivo di una Comunità Politica Europea (CPE).

Nell’elaborazione del testo si ritenne opportuno precisare che la CPE sarebbe entrata in vigore dopo la CED; purtroppo, la decisione contraria dell’Assemblea Nazionale Francese bloccò il processo di ratifica del trattato CED decretando anche il fallimento della CPE. Nazionalismo, egoismo e minor timore della possibilità dell’espansionismo comunista a ovest (dopo la morte di Stalin) sarebbero tra le principali cause del veto francese. A tale insuccesso seguì l’idea del Funzionalismo economico che contrapponeva una necessaria e graduale integrazione delle economie dei Paesi europei alla unione politica. D’altro canto gli altri sforzi di istituzionalizzare la cooperazione intergovernativa in materia di sicurezza hanno portato alla creazione nel 1949 dell’Organizzazione del trattato Atlantico del Nord (NATO)(1) e, nel 1954, della Unione Europea Occidentale(2); entrambe nate per assicurare la difesa e la sicurezza dell’Europa occidentale, hanno avuto larghi settori di sovrapposizione in assenza di una funzionale azione di coordinamento. Sebbene contraddistinte da significative differenze, il conflitto di competenza era facilmente ipotizzabile ed ha condotto ad un graduale trasferimento di compiti dell’UEO alla NATO, con una contestuale perdita di peso politico della prima. In realtà tale passaggio di competenze è avvenuto in presenza dei seguenti fattori:
- consolidamento del sistema di difesa atlantico e non di quello europeo;
- necessità di evitare, tra i partner della Nato, la creazione di monopoli decisionali;
- ricerca, all’interno della Nato, di un “sistema difensivo europeo”;
- tendenza, sempre più accentuata, alla creazione di una precisa politica comunitaria in materia di sicurezza e difesa.

Con riguardo propriamente alla materia della “difesa europea”, a partire dagli anni Ottanta, si riscontra la presenza di competenze comunitarie in tale settore, come nel caso della cooperazione industriale negli armamenti aeronautici, navali, ed elettronici e dell’attività di ricerca in materia di tecnologia militare. I problemi della sicurezza in Europa vanno invece inquadrati nell’alveo della cooperazione politica tra i Paesi membri della Comunità europea, essendo sottratti alla competenza comunitaria ed individuabili nel quadro delineato dall’Atto Unico e sancito dal trattato di Maastricht. Ciò significa che, in concreto, la politica di sicurezza in Europa è sottratta alla volontà degli Stati muovendosi quindi nell’ambito intergovernativo. Basti pensare, a tal proposito, all’iniziativa anglo-francese che, dal 1998, ha portato ad una accelerazione inaspettata nell’elaborazione di una precisa dottrina di Politica europea di Sicurezza e Difesa (PESD).

2. La cooperazione politica europea e la normativa introdotta dall’Atto Unico Europeo

Considerata l’interdipendenza tra processi economici e realtà politiche, negli anni Settanta si sentì l’esigenza di avviare un processo di cooperazione politica tra quei Paesi europei ormai avviati verso un serio processo di liberalizzazione commerciale. Prese piede quindi l’idea che, per rendere efficace e consolidare l’integrazione economica, occorresse un livello minimo di cooperazione politica tra gli Stati membri, nel quadro della “Unione Europea”, nozione in cui vennero comprese sia le Comunità Europee ed il loro processo di integrazione economica, sia una forma di cooperazione politica in particolar modo nel settore della politica estera e di difesa. Ecco quindi l’adozione di specifiche procedure che mal nascondono lo sforzo di conciliare le preoccupazioni degli Stati membri per il mantenimento del loro potere sovrano con il contestuale accoglimento di embrioni di federalismo europeistico. Tali procedure, diverse da quelle stabilite dai trattati istitutivi, troveranno una propria sede nelle riunioni periodiche dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri che, dal 1974 con il vertice di Parigi, si trasformeranno in riunioni quadrimestrali del Consiglio Europeo.
Tale Cooperazione “al vertice” traspare da una lunga serie di rapporti sull’Unione Europea preparati con cura da personalità politiche di rilievo ma messi da parte dagli stessi capi di governo perché ritenuti su posizioni eccessivamente avanzate(3).

Dopo un lungo dibattito, finalmente, nel 1987, le citate prassi procedurali vennero ufficialmente sancite nell’Atto Unico Europeo (AUE) suddiviso in tre parti: nella prima veniva ufficialmente introdotto il Concetto di Unione Europea; nella seconda si apportavano modifiche ai tre trattati comunitari; nella terza venivano gettate le fondamenta per la cooperazione tra gli stati membri nel settore della politica estera (intesa PESC, politica estera e di sicurezza comune).
Quanto delineato in tale settore dall’art. 30 del titolo III dell’AUE, avviene in un quadro giuridico proprio della cooperazione intergovernativa e non, quindi, nell’alveo del metodo comunitario(4), stabilendo il ricorso alla regola della deliberazione unanime ed escludendo quanto deciso in sede di Cooperazione politica Europea dalla giurisdizione della Corte di Giustizia della Comunità europea.
In sintesi, al fine di attuare una vera e propria “politica estera europea”, l’AUE stabiliva:
- che gli Stati membri si consultassero obbligatoriamente tra loro per ogni problematica di politica estera di portata generale per poter assicurare “azioni comuni”;
- che l’adozione di posizioni comuni nei temi di politica estera non fosse solo un punto di riferimento verso le rispettive politiche nazionali ma anche per l’azione compiuta dagli Stati membri nei fori multilaterali.
Relativamente alla struttura ed all’organizzazione della Cooperazione Politica Europea l’AUE prevedeva:
- una Presidenza, responsabile in materia di iniziativa, coordinamento e rappresentanza degli stati membri nei confronti dei paesi terzi per le attività oggetto della CPE(5);
- un Comitato politico, con compiti di coordinamento generale ed esecutivi, composto dai direttori degli affari politici dei ministeri degli affari esteri(6);
- riunioni trimestrali dei ministri degli affari esteri dei Paesi membri.

Al fine di “legare” la CPE alle istituzioni comunitarie si prevedeva che un membro della Commissione partecipasse alle richiamate riunioni trimestrali dei ministri degli Affari Esteri e che la Presidenza avesse l’obbligo di informare con regolarità il Parlamento europeo dei temi di politica estera esaminati nell’ambito dei lavori della CPE e di dover considerare quanto a proposito fosse stato osservato dall’Assemblea.
Veniva infine sottolineata la necessaria convergenza tra le politiche esterne della Comunità Europea e quelle concordate in ambito CPE, la cui osservanza doveva essere assicurata dalla Commissione e dalla Presidenza della CPE.

Ecco quindi che, grazie anche all’impegno degli stati membri di coordinare in modo concreto le diverse posizioni sugli aspetti politici ed economici della sicurezza, veniva delimitata la strada per una vera e propria Politica europea di sicurezza e difesa(7) anche se con le limitazioni proprie della cooperazione intergovernativa e del ristretto ambito individuato.
Ad ogni modo, la portata innovativa dell’AUE non va affatto sottovalutata in quanto la CPE, fino alla metà degli anni ’90, ha condotto a posizioni convergenti e coerenti degli Stati europei su problematiche fondamentali per la stabilità internazionale.

3. La disciplina giuridica della PESC introdotta dal Trattato sull’Unione Europea

Le nuove dimensioni politiche emerse alla fine della guerra fredda nell’ambito di uno scenario internazionale in cui gravi crisi facevano emergere i limiti della CPE introdotta dall’AUE (vedasi la crisi Jugoslava e la guerra del Golfo), portarono sia ad un rafforzamento dell’UEO, sia ad una sostanziale riforma del sistema della CPE ancor prima della sua prevista revisione obbligatoria(8). Ecco che il 7 febbraio 1992, veniva firmato, dai dodici Stati in quel momento membri della CE, il Trattato di Maastricht, ovvero il Trattato sull’Unione Europea (TUE), articolato in tre diversi gruppi di norme che si inizieranno a chiamare i tre “Pilastri” dell’Unione Europea: il primo composto dalle normative dei tre trattati Istitutivi delle tre Comunità (modificate dal TUE), il secondo dalle disposizioni sulla PESC ed il terzo da quelle relative alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni.

Il titolo V del TUE, abrogando così il titolo III dell’Atto Unico Europeo, confermava l’ambito intergovernativo della dimensione politica (l’azione degli Stati membri restava soggetta alla regola del consenso ed estranea al controllo giurisdizionale della Corte di giustizia) ed introduceva significative innovazioni nel settore normativo riguardanti la determinazione degli obiettivi, i doveri di informazione e di consultazione gravanti sugli Stati, il coordinamento delle posizioni nazionali e le correlate modalità d’azione.
A tale riguardo il TUE delinea in modo più vincolante gli obblighi assunti dai Paesi membri (non più “Alte parti Contraenti” come nell’AUE) e abolisce formalmente la distinzione tra gli incarichi dei ministri degli affari esteri in sede di CPE e le riunioni del Consiglio dei ministri che muta la propria denominazione in “Consiglio dell’Unione Europea”.

Gli obiettivi che il trattato di Maastricht attribuiva alla PESC, in conformità ai principi della Carta della Nazioni Unite, si proponevano di:
- difendere i valori comuni, gli interessi fondamentali, l’indipendenza dell’Unione Europea;
- rafforzare la sicurezza dell’Unione;
- mantenere la pace e rafforzare la sicurezza internazionale;
- promuovere la cooperazione internazionale;
- sviluppare e consolidare la democrazia, lo Stato di diritto ed il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali(9).

A tali obiettivi si aggiungeva la definizione progressiva di una Politica di difesa comune che poteva condurre ad una vera e propria Difesa comune.
Nella cornice normativa che prevedeva per gli Stati membri l’obbligo di sostenere concretamente la PESC astenendosi da qualsiasi azione contraria agli interessi dell’Unione va anche inquadrata la “cooperazione sistematica” prevista dal TUE che si esplicava nell’obbligo dei Paesi membri di consultarsi e informarsi reciprocamente (in sede di Consiglio dell’Unione) in relazione ad ogni problematica di politica estera e di sicurezza di portata generale al fine di far convergere le politiche nazionali. Alla fase della concertazione potevano quindi seguire, se prese all’unanimità dal Consiglio dell’Unione, “posizioni comuni” ed eventualmente anche “azioni comuni”(10). Queste ultime, dalla natura chiaramente operativa rispetto invece all’approccio geografico o tematico delle posizioni comuni, venivano strutturate come il mezzo privilegiato per far sì che l’Unione ponesse in essere una linea d’intervento operativa in una specifica problematica di politica estera o di sicurezza comune in conformità con gli obiettivi del trattato di Maastricht. Le azioni comuni, che comunque non trovavano applicazione nel settore della difesa, avevano una notevole efficacia vincolante tanto che gli Stati membri non solo dovevano conformare le loro posizioni ma erano anche obbligati a comunicare al Consiglio ogni azione nazionale decisa in applicazione della stessa azione comune.

Venendo alle Istituzioni indicate dal TUE quali responsabili dell’attuazione del nuovo quadro normativo, va anzitutto indicato il Consiglio Europeo a cui veniva demandato il compito di decidere principi, orientamenti e strategie in ambito PESC incaricando il Consiglio comunitario di darvi attuazione e di assicurare la coerenza dell’azione dell’Unione nell’ambito delle sue relazioni esterne(11). Il criterio di votazione in seno al Consiglio dell’Unione Europea era, di regola, quello dell’unanimità e, quindi, l’astensione di uno Stato non pregiudicava l’adozione di una certa delibera. Faceva eccezione il ricorso alla maggioranza qualificata nel caso di strategie comuni già decise dal Consiglio Europeo anche se il ricorso a tale criterio non era ammesso per le decisioni relative al settore militare o della difesa.
Alla Commissione veniva invece demandato un potere di iniziativa nonché la facoltà di chiedere, in caso d’emergenza, una riunione straordinaria del Consiglio.
Al Parlamento spettava invece un potere consultivo per le fondamentali scelte della PESC ed un potere di controllo potendo formulare raccomandazioni e presentare interrogazioni al Consiglio(12).

Va precisato che tali poteri erano in realtà offuscati dall’attività del Comitato politico e del Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) che vigilava sull’attuazione delle politiche concordate.
Era infine previsto che la Presidenza del Consiglio rappresentasse all’esterno la posizione dell’Unione in ambito PESC, venendo assistita sia dallo Stato che aveva esercitato la presidenza precedente che dal subentrante(13). Relativamente ai rapporti tra gli Stati membri e le organizzazioni internazionali va detto che i primi erano obbligati a tenere informati gli altri Paesi membri di questioni di portata generale e, se membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, erano obbligati in quel contesto a difendere l’interesse dell’Unione.

Il TUE stabiliva anche che le disposizioni concernenti i profili organizzativi delle istituzioni comunitarie fossero applicabili ai settori compresi nell’ambito PESC, cioè che disposizioni comunitarie transitassero nel secondo pilastro.
Sta di fatto che una certa “comunitarizzazione” nell’attività di politica estera dell’Unione è oggi una realtà:
- nell’approvazione, esecuzione e controllo delle spese;
- nell’adozione, da parte del Consiglio, dei cosiddetti “Modèles d’emploi”, strumenti attraverso i quali nel marzo e nel giugno 1995 vennero indicate le modalità affinché posizioni e azioni comuni potessero prevedere anche attività comunitarie a sostegno dell’azione intergovernativa;
- nell’esposizione delle competenze della Comunità Europea allorché l’attività della PESC contempli lo svolgimento di un’ulteriore attività in sede comunitaria o quando attribuisca poteri specifici ad una istituzione della Comunità (è il caso del Regolamento del Consiglio n.1080/2000 del 22/5/2000 con cui la Comunità ha delineato il contesto normativo essenziale per contribuire economicamente all’insediamento ed al funzionamento degli organismi creati in ambito internazionale per esercitare le funzioni di amministrazione civile transitoria e di attuazione degli accordi di pace relativi ai conflitti in Kosovo e Bosnia; tali poteri sono stati attribuiti alla Commissione incaricata di concludere una convenzione a nome della Comunità europea).

Con riguardo alla Politica di difesa comune, il trattato di Maastricht escludeva l’utilizzo dell’azione comune prevedendo che fosse l’UEO il perno centrale dell’Unione in tale settore(14). Rilevante sotto tale profilo era la Dichiarazione sull’Unione dell’Europa occidentale allegata all’atto finale del TUE nella quale tutti gli Stati membri di entrambe le organizzazioni convergevano sull’esigenza di creare un’identità europea in materia di sicurezza e di difesa. Ciò si sarebbe potuto realizzare con un rafforzamento dell’UEO sia come componente di difesa dell’Unione che quale baluardo europeo della Nato. All’UEO quindi il compito di elaborare una politica di difesa comune sviluppando il suo ruolo operativo attribuendole anche compiti inquadrati nelle missioni di Petersberg [a tal proposito, circa gli interventi “fuori area” dell’UEO, si esprimeva la dichiarazione del Consiglio ministeriale dell’UEO, tenutasi a Boon nel giugno 1992 - conosciuta come Dichiarazione di Petersberg -, comprendendo con tale formula le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di mantenimento della pace - (peace Keeping) - e quelle di unità di combattimento nella gestione di crisi, tra cui quelle di ristabilimento della pace (peace enforcing)].

Il TUE d’altronde specificava che sviluppare una Politica europea di difesa comune propedeutica ad una difesa comune vera e propria non significava che gli Stati membri dovessero venir meno agli obblighi loro derivanti in ambito NATO ma che una loro più incisiva partecipazione in ambito UEO e NATO fosse auspicabile purché compatibile con le disposizioni sulla PESC. Appare evidente quindi la necessità, sotto tale ottica, che tutti gli Stati membri dell’Unione facessero anche parte dell’UEO; ecco quindi nel 1992 l’invito a Grecia, Danimarca e Irlanda, di entrare a far parte dell’UEO.

4. Le novità introdotte dai Trattati di Amsterdam e di Nizza

Già il Trattato di Maastricht prevedeva che nell’ambito della Conferenza Intergovernativa (CIG)(15) del 1996 si dovesse valutare la possibilità di apportare modifiche alle disposizione del Titolo V del TUE; in realtà tale esigenza si era fatta ancor più pressante in vista dell’ampliamento dell’Unione ai Paesi dell’Europa centro orientale.
Ecco che il 1° maggio 1999 entra in vigore il Trattato di Amsterdam che, pur non apportando modifiche sostanziali alla Politica estera di sicurezza comune, tenta di migliorarne il funzionamento.

In sintesi si hanno modifiche attraverso:
- la definizione di una disciplina meglio articolata con il nuovo Titolo V che passa da dodici a diciotto articoli (art. 11-28 TUE);
- una più attenta definizione degli atti adottati nella PESC con un ruolo più incisivo del Consiglio Europeo;
- il rafforzamento del Segretario Generale del Consiglio;
- l’introduzione della norma che permette la conclusione di accordi internazionali, nel settore della PESC, da parte dell’Unione.
Da sottolineare anche che con tale trattato la PESC diventa competenza esclusiva dell’Unione e non più di pertinenza anche degli Stati Membri.
Certamente con Amsterdam si hanno modifiche incisive alla Politica di difesa comune; in particolare la nuova normativa è favorevole ad un graduale passaggio da una politica di difesa comune ad una difesa comune vera e propria purché tale decisione venga adottata dagli Stati membri secondo i rispettivi principi costituzionali. Vengono inoltre comprese tra le competenze dell’Unione le richiamate missioni di Petersberg che, non avendo natura offensiva, consentiranno a tutti i Paesi membri la partecipazione ad una definizione di una difesa comune europea. Il Trattato è anche innovativo nel definire i rapporti tra l’Unione e l’UEO definita “parte integrante dello sviluppo dell’Unione” con cui è invitata a collaborare.

Ecco quindi invertito il rapporto tra le due Organizzazioni: si stabilisce infatti che è l’Unione a potersi avvalere dell’UEO per elaborare ed attuare decisioni nel settore della difesa e l’UEO dovrà conferire all’Unione “l’accesso ad una capacità operativa di difesa” nel quadro delle missioni di Petersberg.
È inoltre demandato al Consiglio dell’Unione il potere di formulare “orientamenti generali della PESC” anche nei riguardi dell’UEO. Purtroppo tali novità lasciavano aperti problemi di non lieve entità: da un lato la mancanza di norme sulla legittima difesa collettiva(16), dall’altro l’irrisolta questione delle relazioni con la Nato. In definitiva il Trattato rimandava all’iniziativa del Consiglio Europeo ogni decisione sull’eventuale integrazione dell’UEO all’Unione.
Tale quadro normativo è peraltro destinato a scomparire con l’entrata in vigore, prevista per la fine dell’anno, del Trattato di Nizza firmato il 26.02.2001 che elimina dal Titolo V del Trattato di Maastricht quasi tutti i riferimenti all’UEO che perde la qualificazione di “parte integrante dello sviluppo dell’Unione”.

La nuova normativa delineata a Nizza individua inoltre nel “Comitato politico e di sicurezza” l’Istituzione competente per il controllo politico e la direzione strategica delle operazioni di gestione delle crisi. Il Trattato di Nizza mantiene invece in vigore la clausola di compatibilità della disciplina sulla PESC con le peculiarità della politica di sicurezza e difesa di alcuni Stati dell’Unione e con gli obblighi a loro carico derivanti dall’appartenere alla NATO; viene anche fatta salva la facoltà degli Stati membri di sviluppare una stretta cooperazione bilaterale nell’ambito della Nato e dell’UEO purché compatibile con le disposizioni sulla PESC (è l’unico caso in cui il TUE, modificato dal nuovo accordo, si riferisce all’UEO). Ormai appare dunque inevitabile il declino dell’UEO anche in considerazione della scadenza del trattato istitutivo di tale Organizzazione e delle decisioni del suo Consiglio ministeriale di cessare ogni attività operativa a partire dal 1° luglio 2001, senza però procedere allo scioglimento dell’Organizzazione medesima(17).

Come anticipato, con Amsterdam, si ha una migliore definizione degli strumenti d’azione della PESC tra i quali è ora possibile individuare una gerarchia (principi ed orientamenti generali, strategie comuni, azioni comuni; posizioni comuni; cooperazione sistematica tra Paesi membri).
Con l’introduzione delle “Strategie comuni” adottate dal Consiglio Europeo(18), vengono fissati gli obiettivi dell’Unione e degli Stati membri nei settori in cui questi ultimi hanno rilevanti interessi in comune, definendo anche durata e mezzi da mettere a disposizione. Alle strategie comuni viene poi data attuazione attraverso azioni e posizioni comuni la cui portata viene precisata dal trattato di Amsterdam. Le azioni comuni vengono adottate laddove siano necessari interventi operativi dell’Unione, per i quali vanno indicati gli obiettivi, i mezzi, la durata, le condizioni di attuazione; resta ferma la norma che già prevedeva che le azioni comuni fossero vincolanti per gli Stati membri obbligati anche di informare preventivamente il Consiglio circa l’attività da intraprendere per procedere alla loro applicazione.

Le posizioni comuni delineano invece la visione dell’Unione su particolari problematiche di carattere geografico e tematico. Con riguardo alla cooperazione sistematica tra gli Stati membri ed ai loro obblighi di reciproca informazione, consultazione e solidarietà politica così come per gli obblighi posti a carico degli Stati membri che partecipano a fori multilaterali o che siano membri temporanei o permanenti dell’ONU, il trattato di Amsterdam non fa che confermare e ribadire quanto già previsto dal TUE.
Un’innovazione normativa si ha invece con la riconosciuta possibilità per l’Unione di stipulare accordi con Stati terzi ed organizzazioni internazionali nell’ambito della PESC, anche se tali accordi appaiono riconducibili agli Stati e non all’Unione perché conclusi su procedure di stampo intergovernativo e non vincolanti per quegli Stati i cui rappresentanti in sede di Consiglio dichiarino che essi debbano essere ratificati in conformità alle loro procedure costituzionali. I relativi negoziati sono affidati alla Presidenza che può essere assistita dalla Commissione previa autorizzazione del Consiglio; quest’ultimo poi, all’unanimità, conclude l’accordo. Peraltro, con l’entrata in vigore del Trattato di Nizza il criterio deliberativo unanime sarà riservato esclusivamente ai casi in cui l’accordo internazionale attenga a questioni per cui il diritto comunitario richiede l’unanimità prevedendo invece la maggioranza qualificata per azioni comuni e posizioni comuni(19). Con riguardo alle Istituzioni competenti nel settore della PESC, ad un accentuato ruolo del Consiglio Europeo fa comunque eco la conferma della centralità del Consiglio dell’Unione nell’assicurare l’unità, la coerenza e l’applicazione dell’azione dell’Unione, avvalendosi del Comitato Politico.

Il trattato di Amsterdam conferma anche il ruolo della Presidenza del Consiglio a cui è demandata la rappresentanza dell’Unione e la responsabilità nell’attuare quanto deciso nel settore della PESC; viene però messo da parte il meccanismo definito Troika, per cui la Presidenza in carica è solo assistita dallo Stato che eserciterà la Presidenza successiva, dalla Commissione e dal Segretario Generale. Quest’ultimo, con funzioni di “Alto rappresentante per la PESC”(20) sulla scena internazionale, ha il compito:
- di assistere il Consiglio, fornendo il suo contributo al concepimento ed alla attuazione delle decisioni politiche;
- di condurre relazioni politiche con gli Stati terzi a nome del Consiglio, su richiesta della Presidenza;
- di presiedere la “Cellula di programmazione politica e tempestivo allarme”, creata per potenziare le capacità della PESC, analizzando le maggiori problematiche internazionali, redigendo studi e rapporti e fornendo raccomandazioni e strategie.
Il trattato di Amsterdam non apporta sostanziali modifiche al ruolo della Commissione (che può sottoporre al consiglio proposte per attuare un’azione comune) e del Parlamento che continua ad essere sia consultato che informato dalla Presidenza in materia di PESC(21).

Al Parlamento è attribuito anche un potere di controllo in sede di approvazione del bilancio per le spese governative della PESC; il trattato di Amsterdam, oltre alle spese amministrative, pone a carico del bilancio della Comunità Europea anche le spese operative salvo quelle in ambito militare e difesa per le quali il Consiglio si pronunci in modo unanime nel loro mantenimento a carico degli Stati. In tale caso la ripartizione delle spese si effettua sulla base del prodotto nazionale lordo, purché non vi sia una differente deliberazione unanime del Consiglio e tenendo conto dei Paesi che si siano astenuti in base all’art. 23, par. 1, comma 2, del TUE (astensione costruttiva).

Tale circostanza ci riporta ai criteri di votazione in ambito PESC che, ad eccezione delle questioni procedurali in cui si applica il criterio maggioritario, mantengono la regola dell’unanimità. Nel caso della richiamata astensione costruttiva, lo Stato deve motivare formalmente tale scelta e la decisione sarà comunque adottata dagli altri Stati ed impegnerà l’Unione ma non lo Stato astenuto. In mancanza della formulazione di una dichiarazione formale, l’astensione non è conteggiata e non impedisce l’adozione dell’atto che sarà vincolante anche per lo Stato astenuto(22). Ricorrere all’astensione costruttiva non è però possibile se le astensioni siano più di un terzo dei voti in seno al Consiglio. Il criterio della maggioranza qualificata, introdotto con Amsterdam per adottare posizioni ed azioni comuni sulla base di strategie comuni (queste ultime decise all’unanimità dal Consiglio Europeo), è temperato dalla possibilità per gli Stati di opporsi all’adozione di una decisione impedendo che si proceda alla votazione per precisi ed importanti motivi di politica nazionale. In tali circostanze il Consiglio può rimettere la decisione al Consiglio Europeo che si pronuncia all’unanimità. Importante a tale punto è sottolineare che, con l’entrata in vigore del Trattato di Nizza, i meccanismi della cooperazione rafforzata, introdotti dal Trattato di Amsterdam, verranno estesi alla PESC e non resteranno quindi limitati agli ambiti NATO e UEO(23).

Le cooperazioni rafforzate in ambito PESC, che nascono con una richiesta degli Stati interessati al Consiglio e che vengono trasmesse anche alla Commissione perché si pronunci sulla coerenza della medesima con le politiche dell’Unione, non possono estendersi alle questioni militari o al settore difesa. Tale modalità di Cooperazione tra due o più Stati, riguarda la concezione e l’attuazione di un’azione comune o di una posizione comune e deve essere compatibile con il quadro normativo generale introdotto con Maastricht. È l’Alto rappresentante per la PESC a dover informare la Commissione ed i membri del Consiglio dell’attuazione delle cooperazioni rafforzate.

5. La Politica Europea di Sicurezza e Difesa. I più recenti sviluppi

Nel quadro complessivo della PESC, negli ultimi tempi si è avuta un’inaspettata accelerazione nella definizione di una vera e propria Politica europea di sicurezza e di difesa (PESD).
Indubbiamente diversi sono i fattori che hanno determinato la spinta verso tali sensibili progressi:
- i conflitti balcanici, di fronte ai quali è emersa tutta la debolezza del ruolo dell’Unione Europea sulla scena internazionale;
- la dichiarazione di St. Malo del dicembre 1998 con cui Francia ed Inghilterra aggirano il loro annoso dissidio sui rapporti tra NATO e UE;
- i diversi Consigli europei tenutisi dal dicembre 1998 (Cons. di Vienna) ai nostri giorni (Consiglio di Barcellona marzo 2002) con cui sono state adottate precise misure nel settore. Nonostante l’incoraggiante sviluppo, restano comunque complesse questioni di fondo da superare tra cui i rapporti con la UEO e l’OSCE (organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), la condizione particolare dei Paesi Neutrali dell’Unione europea (Austria, Finlandia, Irlanda, Svezia), la difficoltà di definire puntuali rapporti con la NATO, la ritrosia dei Paesi europei membri della Nato ma non dell’UE (Norvegia, Irlanda e Turchia) timorosi di una minore coesione nell’Alleanza transatlantica e dei rischi derivanti dalla duplicazione di strutture politico-operative. Più in particolare si può citare: il vertice della NATO, tenutosi a Washington nell’Aprile del 1999, nel corso del quale si è auspicato il rafforzamento della IESD ovvero della Identità europea di sicurezza e difesa nell’ambito dell’Alleanza(24); il vertice dell’OSCE, tenutosi ad Instanbul nel novembre 1999, che ha portato all’adozione della Carta sulla sicurezza europea che auspica passi avanti nel ruolo politico-militare dell’Europa sollevando problemi di raccordo con la IESD; la creazione di forze militari comuni da parte di alcuni Stati europei. Analizzando poi il cammino dell’UEO il cui Segretario generale si identifica - dal novembre 1999 - con l’Alto rappresentante per la PESC, appare evidente che, realizzando quanto auspicato dal Consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 sul trasferimento all’Unione delle funzioni dell’UEO necessarie per attuare le missioni di Petersberg, l’UEO non avrebbe più motivo di esistere. Si potrebbe quindi incorporare l’organizzazione difensiva UEO nella UE tenendo però conto dei Paesi neutrali dell’Unione attraverso un adattamento nel TUE della clausola di assistenza militare reciproca contenuta nel Trattato istitutivo UEO.

In effetti, con i Consigli dei ministri dell’UEO tenutisi nel 2000 a Porto ed a Marsiglia si è iniziato il trasferimento di funzioni e strutture all’Unione (il Centro satellitare e l’Istituto di studi della sicurezza) e si è decisa sia la cessazione di ogni attività operativa dell’UEO dal 1° luglio 2001 che la sospensione delle modalità di consultazione con la UE e la NATO. Ad ogni modo, nel Vertice UEO di Marsiglia, i Paesi interessati hanno confermato la volontà di mantenere la clausola di assistenza militare reciproca e la redazione di un rapporto annuale del Consiglio all’Assemblea parlamentare dell’UEO. Quest’ultima Istituzione, al fine di assicurare una legittimazione democratica alla PESD(25), ha proposto la propria trasformazione in una “Assemblea europea interinale della sicurezza e difesa” e lo stesso Parlamento Europeo ha auspicato la creazione di un “organo interparlamentare europeo in materia di sicurezza e difesa”.

Malgrado quindi una situazione nel complesso piuttosto intricata, il consolidamento politico-militare della UE sulla scena mondiale è ormai in fieri, così come viene confermato dalle decisioni dei Consigli europei che si sono tenuti negli ultimi tre anni.
Già nel Consiglio europeo di Colonia (giugno 1999) si auspicava un rafforzamento del ruolo della UE dotandola di strumenti decisionali ed operativi per contribuire al mantenimento della pace e sicurezza nel mondo in conformità ai principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e senza entrare in contrasto con la NATO di cui veniva ribadito il ruolo fondamentale per la difesa collettiva dei Paesi membri dell’Unione.
In tale quadro il Consiglio di Colonia esprimeva la volontà di:
- rafforzare le capacità militari europee;
- trasferire alla UE le funzioni del’UEO necessarie per la realizzazione dei compiti previsti dal Trattato di Amsterdam;
- stabilire una reciproca e funzionale cooperazione con la NATO e con i Paesi europei non membri dell’Unione.
Il Consiglio europeo di Colonia dava quindi mandato alla subentrante presidenza finlandese di riferire al successivo Consiglio europeo sui progressi realizzati in ambito PESD ed incaricava il Consiglio affari generali ad un approfondimento dei lavori sui diversi aspetti della sicurezza e difesa anche con riferimento agli strumenti non militari di gestione delle crisi(26).

Ecco che effettivamente, al vertice di Helsinky (dicembre 1999), la presidenza finlandese, dando attuazione agli obiettivi indicati a Colonia, presentava due relazioni relative l’una agli aspetti militari e l’altra a quelli non militari della gestione delle situazioni di crisi.
In conformità ai principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Carta dell’OSCE sulla sicurezza europea si decideva:
- la creazione di una forza comune di intervento rapido che dal 2003 avrà il compito di realizzare le operazioni di mantenimento o realizzazione della pace decise dall’Unione Europea, nelle circostanze in cui la NATO non intervenga(27);
- l’istituzione di organi e strutture permanenti in seno al Consiglio, effettivamente creati il 1° febbraio 2000 (Comitato politico e di sicurezza, Comitato militare, Stato Maggiore)(28);
- la definizione di un “meccanismo di coordinamento” per la gestione civile delle situazioni di crisi.

Con riguardo poi agli orientamenti da seguire dalla subentrante presidenza portoghese venivano indicati: il rafforzamento delle modalità di cooperazione e consultazione con la Nato ed i Paesi europei membri della UE; la realizzazione di proposte sulla veste istituzionale dei nuovi organi creati in seno al Consiglio; la valutazione sulla necessità di modificare il Trattato. Nel marzo 2000, con il Consiglio europeo di Lisbona si auspicava la creazione di un Comitato per gli aspetti civili della gestione delle situazioni di crisi(29) e si stabiliva che al successivo Consiglio europeo di S. Maria de Feira (giugno 2000) fossero valutati nel loro complesso gli “orientamenti” indicati nelle conclusioni di Helsinky. Solo però con il Consiglio europeo tenutosi a Nizza nel dicembre 2000 e con l’insediamento degli organi politici e militari permanenti si sono avuti rilevanti progressi(30).

Ribadendo la necessità per l’Unione di realizzare rapidamente le proprie capacità operative con una decisione definitiva da adottare al Consiglio di Laeken del dicembre 2001, il Consiglio escludeva in tal modo che, per avere concreti sviluppi in ambito PESC, si dovesse attendere l’entrata in vigore del Trattato di Nizza. Inoltre il Consiglio europeo di Nizza approvava una relazione della Presidenza articolata su sette allegati:
- dichiarazione di impegno di capacità militari;
- rafforzamento delle capacità dell’Unione europea nel settore degli aspetti civili della gestione della crisi;
- l’organizzazione del Comitato politico e di sicurezza (COPS);
- l’organizzazione del Comitato militare dell’Unione Europea (EUMC);
- l’organizzazione dello Stato Maggiore dell’Unione Europea (EUMS);
- le disposizioni concernenti gli Stati europei membri della NATO non appartenenti all’Unione Europea ed altri Paesi candidati all’adesione all’Unione;
- le intese permanenti di consultazione e cooperazione UE/NATO.
In base quindi alle indicazioni fornite in tale relazione nell’estate del 2001 si aveva l’insediamento definitivo dei citati organi politici e militari permanenti.
Il Consiglio europeo di Nizza riconosce quindi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, precisando che l’Unione europea sarà in grado di assolvere tutti i compiti di Petersberg ove la Nato non sia impegnata nel suo complesso. Si precisa che ciò non comporterà la creazione di un esercito europeo e che il coinvolgimento di mezzi nazionali da parte degli Stati membri in tali operazioni si baserà sulla loro decisione sovrana. Viene quindi auspicato lo sviluppo della PESD per conferire vitalità al collegamento transatlantico che possa tradursi in un vero partenariato strategico tra l’UE e la NATO per la gestione delle crisi nel rispetto dell’autonomia decisionale delle due organizzazioni.

Nessun passo avanti si aveva con il successivo vertice di Stoccolma del marzo 2001 e, con il Consiglio europeo di Goteborg, del giugno 2001, si ribadivano i progressi di Colonia invitando la futura Presidenza belga a proseguire i lavori su tutti gli aspetti della PESD unitamente al Segretario Generale /Alto Rappresentante e a riferire sui progressi verso la realizzazione dell’obiettivo di rendere l’UE rapidamente operativa in questo settore.
Il 21/9/2001 il Consiglio europeo si riuniva in sessione straordinaria per analizzare la situazione internazionale in seguito agli attacchi terroristici sferrati negli Stati Uniti ed imprimere l’impulso necessario all’azione dell’Unione europea. Sostanzialmente si evidenziava la necessità che l’Unione partecipasse più attivamente agli sforzi della Comunità internazionale per prevenire e stabilizzare i conflitti regionali, sviluppando la politica estera e di sicurezza comune e rendendo al più presto operativa la politica europea di sicurezza e difesa.

Finalmente, con il Consiglio europeo di Laeken, in allegato alle conclusioni della Presidenza, si aveva la “Dichiarazione relativa all’operatività della PESD”.
Si tratta di un documento in cui si afferma solennemente che “grazie al proseguimento dello sviluppo della PESD, al rafforzamento delle sue capacità, sia civili che militari, e alla creazione nel suo ambito delle strutture appropriate, l’Unione è ormai capace di condurre operazioni di gestione delle crisi. Lo sviluppo dei mezzi e delle capacità di cui può disporre consentirà all’Unione di svolgere progressivamente operazioni sempre più complesse”.
Relativamente alle capacità civili e militari, la Dichiarazione, confermando che il loro sviluppo non implica la creazione di un esercito europeo, sottolinea che gli Stati membri hanno annunciato contributi volontari mediante decisioni nazionali mentre gli Stati europei membri della NATO ma non dell’UE hanno dato la loro disponibilità per contributi supplementari militari e di polizia di grande valore.

Sottolineando poi le concrete intese realizzate tra NATO e UE nella gestione delle crisi verificatesi nei balcani occidentali, la Dichiarazione annuncia che l’Unione ha iniziato a testare le sue strutture e procedure relative agli aspetti militari e civili delle operazioni di gestione delle crisi.
In particolare si punta sul rafforzamento delle capacità militari, in base al piano d’azione europeo volto a colmare le carenze individuate, soffermandosi sull’importanza dell’adozione di un meccanismo di sviluppo di tali capacità al fine di evitare inutili doppioni, tenendo in debito conto il processo di pianificazione della difesa della NATO e quello di riesame del partenariato per la pace (PARP).Viene quindi annunciato il massimo sforzo per realizzare il piano d’azione nel settore della polizia per conseguire rapidamente gli obiettivi individuati ed attuarli nei seguenti settori prioritari:
- stato di diritto;
- amministrazione civile;
- protezione civile.
Oltre quindi al citato sviluppo equilibrato delle capacità militari e civili, la Dichiarazione auspica la rapida conclusione di accordi tra l’Unione e la NATO relativamente alla garanzia di accesso alla pianificazione operativa dell’Alleanza, alla presunzione di disponibilità di mezzi e capacità preidentificati della NATO ed all’individuazione di una serie di opzioni di comando a disposizione dell’Unione.
Viene infine ribadita l’importanza dell’attuazione integrale degli accordi di Nizza, del contributo supplementare alle capacità civili e militari da parte degli Stati membri dell’Unione e della loro partecipazione ad un’operazione di gestione delle crisi conformemente a detti accordi (mediante la costituzione del Comitato dei contributori in caso di un’operazione).

6. Conclusioni

Evidente, quindi, una rapida innovazione normativa in favore della sicurezza e difesa europea che resta ancora una facciata dietro cui aleggia l’annoso contrasto tra la velleità di porre sul campo credibili forze europee per strappare la leadership agli americani in ambito NATO e l’indisponibilità a sostenere gli sforzi politici, militari ed economici che tale scelta comporta. Certo è che guardando all’impegno militare in Bosnia ed in Kosovo si registra una presenza militare europea sempre maggiore rispetto a quella americana così come suggellato con accordi NATO del 1994 e del 1999 in cui si è deciso che l’Europa, qualora voglia intervenire in proprio, potrà avere il massimo sostegno dalla NATO salvo che per le unità combattenti.

Di qui l’assoluta necessità di una maggiore standardizzazione degli armamenti europei (in special modo quelli terrestri ed aerei) e l’opportuna formazione di forze europee con una maggiore compatibilità operativa. Occorre peraltro notare che l’aumentare di impegni di mantenimento della pace (in cui l’Italia spende enormi risorse) può essere di ostacolo per la nascente sicurezza europea soprattutto per l’ormai continuo e routinario impegno delle forze militari interessate al di fuori del territorio nazionale per missioni di mantenimento della pace. La richiamata “Conferenza di impegno delle capacità” deve essere la base per la realistica razionale programmazione delle forze europee del futuro, stante la necessità di evitare l’accumularsi di impegni internazionali stabilendo in quale misura e quando l’Europa debba intervenire.

Fondamentale sarebbe quindi la definizione esatta dei livelli di intervento relativamente ai tipi di missione da realizzare ed alle aree d’intervento; di qui la necessità di individuare un livello europeo ed americano in ambito NATO ed uno esclusivamente riservato ai membri dell’Unione.
Alla luce quindi di un impegno USA in Europa destinato comunque nel tempo a decrescere ed alla Dichiarazione sull’operatività della PESD di Laeken, in attesa della ratifica del Trattato di Nizza, è auspicabile il massimo impegno nella ristrutturazione delle forze europee secondo un ragionevole equilibrio tra impegni, forze e risorse senza i soliti condizionamenti delle visioni corporative delle singole forze armate e le annose rivalità tra le diverse industrie della difesa che hanno determinato notevoli difformità di armamenti ed equipaggiamenti delle forze europee.


(*) Maggiore dei Carabinieri, Comandante della Compagnia Carabinieri di Roma Ostia.
(1) - La Nato è stata istituita con il Trattato di Washington del 04.04.1949. Ne fanno parte gli USA, il Canada, l’Islanda, la Norvegia, la Turchia ed i Paesi membri della Comunità europea salvo l’Austria, la Finlandia, l’Irlanda e la Svezia.
(2) - L’UEO viene istituita con gli accordi di Parigi del 23.10.1954. Di essa fanno oggi parte i Paesi membri della Comunità ad eccezione di Austria, Danimarca, Finlandia, Irlanda e Svezia che hanno lo status di osservatori. Tale organizzazione costituisce l’evoluzione del Patto di Dunkerque stipulato in funzione antitedesca da Francia e Regno Unito il 04.03.1947 e poi allargato a Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi con il Trattato di Bruxelles del 17.03.1948. Con Bruxelles, quindi, nasce l’Unione occidentale, patto di difesa collettiva in cui gli Stati membri aderivano ai principi fondamentali di democrazia e rispetto dei diritti umani. La vera UEO nascerà solo nel 1954 allorché le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale accetteranno la partecipazione di Italia e Germania alla difesa comune dell’Europa Occidentale.
(3) - Si ricorda il “Rapporto Davignon” del 1970, il “Rapporto Tindemans” del 1975, il “Rapporto Marjolin–Dell-Biesheuvel” del 1979, il “Rapporto Di Londra” del 1981, la Dichiarazione di Stoccarda sulla Unione Europea del 1983. Quale precursore dei richiamati documenti vi era stato il “Piano Fouchet” del 1962, messo da parte per il minor ruolo che prevedeva in Europa da parte degli USA e della NATO.
(4) - Le disposizioni dell’AUE sulla Cooperazione Politica europea non si rivolgono agli Stati membri ma alle “Alte Parti Contraenti”.
(5) - La Presidenza, assistita da un Segretariato per la cooperazione politica, era responsabile della gestione della CPE.
(6) - Al Comitato politico era demandato il compito di assicurare continuità alla CPE e di svolgere i lavori preparatori delle riunioni dei ministri degli esteri.
(7) - Cfr. il §4.
(8) - All’art. 30, par. 12 dell’AUE, si prevedeva la revisione delle disposizioni introdotte entro cinque anni dalla sua entrata in vigore (entro il 1° luglio 1992).
(9) - Tali obiettivi erano concorrenti con quelli che già il Trattato di Roma assegnava alla Comunità europea, relativamente alle relazioni economiche esterne ed alla cooperazione allo sviluppo.
(10) - In realtà il TUE enunciava soltanto l’esistenza delle “posizioni comuni” ed “azioni comuni” la cui natura veniva definita da due documenti informali del Consiglio (c.d. modes d’emploi) adottati nel marzo e giugno 1995.
(11) - Già l’art. 30, par. 5 dell’AUE, aveva formalizzato il principio di coerenza, attribuendo però alla Presidenza il compito di ricercare e mantenere tale coerenza. Circa il sindacato giurisdizionale della Corte di giustizia su tale principio si rinvia a C. Koenig, A. Haratsch e M. Bonini, Diritto Europeo, Milano, 2000, p. 323 e ss.
(12) - Alla Presidenza era comunque demandato il compito di far tenere in debita considerazione le opinioni espresse dall’Assemblea parlamentare (art.J.7, par. 1).
(13) - Formula della c.d. Troika.
(14) - In effetti, già il Consiglio dell’UEO, con la Dichiarazione ministeriale adottata nell’ottobre 1984 a Roma, aveva evidenziato la necessità di approfondire la cooperazione politica tra Paesi membri nell’ambito della Sicurezza e della difesa europea.
(15) - Era l’art.J.10 del Trattato a prevedere che, in occasione della CIG del 1996, si valutasse la possibilità di modificare le disposizioni del Titolo V del TUE. Relativamente al settore difesa, l’art.J.4, par. 6, prevedeva la necessità di apportare modifiche anche in relazione alla scadenza del Trattato di Bruxelles “modificato”, prevista nel 1988.
(16) - Durante la CIG, la posizione della Grecia di introdurre una clausola di mutua assistenza per la difesa dell’Unione, era rimasta isolata.
(17) - Nel 1996 il Consiglio dell’UEO, nel rispondere ad un’interrogazione dell’Assemblea parlamentare, aveva precisato che la scadenza del 25 agosto 1998 non avrebbe portato alla automatica estinzione del Trattato di Bruxelles “modificato”, ma avrebbe solo legittimato gli Stati membri dell’UEO a denunciare tale Accordo.
(18) - Attraverso le strategie comuni il Consiglio europeo non solo definisce gli orientamenti generali della PESC, ma può definire le linee guida dell’azione esterna con un ruolo, quindi, più operativo. In definitiva l’ambito di manovra lasciato al Consiglio dell’Unione per procedere all’esecuzione delle strategie comuni sarà commisurato al maggiore o minore livello di dettaglio con cui le stesse strategie verranno definite dal Consiglio europeo. Ad ogni modo il Consiglio dell’Unione può raccomandare al Consiglio europeo l’adozione di strategie comuni e comunque rimane competente ad assicurare l’unità, la coerenza e l’efficacia dell’azione dell’Unione.
(19) - Tale disciplina si applica anche alle disposizioni del TUE relative alla cooperazione giudiziaria penale e di polizia esistenti nel Titolo VI (c.d. Terzo pilastro).
(20) - Il Segretario generale è oggi coadiuvato da un vicesegretario generale che ha competenze amministrative generali (art. 207, Trattato di Roma).
(21) - Resta fermo il diritto del Parlamento di rivolgere al Consiglio interrogazioni a formulare raccomandazioni.
(22) - Tale Stato non deve però tenere comportamenti che contrastino in alcun modo con l’azione dell’Unione.
(23) - Con la cooperazione rafforzata gruppi di Stati membri, in diversi settori, possono dar vita a forme di cooperazione più stretta rispetto a quella delineata dal Trattato pur rimanendo nel quadro istituzionale dell’Unione europea. In tal modo si vuole evitare che quegli Stati che vogliono progredire più rapidamente verso l’integrazione vengano ostacolati da altri Paesi membri. Cfr., artt. 43-45, titolo VII del TUE. A riguardo si rinvia a G. Gaja, La cooperazione rafforzata, in Il diritto dell’Unione europea, 1998, p. 315 e ss.
(24) - Con la fine del bipolarismo, nel 1990 la NATO avviava un processo di revisione strategica ponendo in essere la IESD ed il Partenariato per la pace. La IESD, definita nel corso dei diversi vertici NATO tenutisi dal 1990 al 1997, è fondamentalmente rivolta ad evitare “doppioni” nelle strutture della difesa multilaterale in Europa rafforzando la cooperazione con l’UEO; in tale contesto sono stati introdotti i Gruppi Operativi interforze multinazionali in grado di poter operare sotto la direzione politico-strategica dell’UEO anche in assenza dell’intervento americano e canadese. I problemi di accesso alle tecnologie di informazione controllate dagli USA e gli attriti legati all’assegnazione dei comandi militari rappresentano le maggiori difficoltà operative della IESD.
(25) - Si rinvia a G. Edwards e S. Nuttal, Common Foreign and Security Policy, in A. Duff, J. Pinder e R. Pryce; Maastricht and Beyond.Bulding the European Union, London - New York, 1994, p. 84 e ss.
(26) - Il Parlamento europeo, nel febbraio 1999, aveva raccomandato al Consiglio di elaborare uno studio di fattibilità sulla possibilità di creare un Corpo di pace civile europeo (CPCE) nel quadro del contesto evolutivo della PESC.
(27) - Per tali operazioni il Consiglio europeo di Helsinky ha stabilito che l’Unione debba poter schierare entro 60 giorni e mantenere per almeno un anno, fino a 60.000 militari, sulla base di una cooperazione volontaria dei Paesi membri. Anche in tale caso si precisa che ciò non comporta la creazione di un esercito europeo.
(28) - Il Comitato politico e di Sicurezza (COPS), composto da alti funzionari delle rappresentanze permanenti degli Stati membri, analizza tutti gli aspetti relativi alla PESC ed alla PESD; il Comitato militare (CM), organo consultivo, è composto dai rappresentanti dei Capi di stato maggiore della difesa; lo Stato Maggiore (SM) è composto dagli esperti militari dei Paesi membri presso il Segretariato generale del Consiglio.
(29) - Tale Comitato è stato istituito con decisione del Consiglio n.2000/354 PESC del 22.05.2000 (vedasi GUCE n. L127 del 27.05.2000, P.1).
(30) - Si sottolinea l’importanza della “Conferenza di impegno delle capacità”, tenutasi a Bruxelles il 20.11.2000, con cui si è data concretezza agli obiettivi indicati ad Helsinky. In tale circostanza, il Consiglio “affari generali” ha adottato la Dichiarazione d’impegno delle capacità militari per la realizzazione dei mezzi e delle capacità civili e militari necessarie per realizzare i compiti di Petersberg. In definitiva con i contributi raccolti si giunge ad una forza di 100.000 soldati, 400 aerei e 100 unità navali. L’Italia dovrebbe partecipare con 12.000 soldati, 19 navi e 47 aerei, mentre la Danimarca, coerentemente con la propria posizione ufficialmente contenuta in un documento allegato al Trattato di Amsterdam, non fornirà alcun contributo.