Materiali per una storia dell'Arma

Magg. Dino Tabellini

RIVISTA DEI CARABINIERI REALI
Anno I - n. 1 - novembre - dicembre 1934

Il nuovo regolamento organico per l'arma dei carabinieri reali


La necessità di un primo coordinamento di tutte le disposizioni di contenuto organico riguardanti l’organizzazione ed il funzionamento della nostra Arma si manifestò fin dall’immediato dopo guerra. Occorreva dare, al più presto, al nostro istituto un assetto di pace adeguato al possente balzo in avanti cui la vittoria aveva portato la Nazione. Occorreva anche che il lauro della pace discendesse dalle bandiere vittoriose per adornare con le sue fronde le case dei soldati tornati cittadini: problema immane al quale purtroppo i governi di allora non parvero affatto preparati, tanto che si credette perfino di lasciarlo risolvere da se per andamento naturale di cose, come se si trattasse di una comune malattia a decorso benigno.

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Nel Tuttavia alla desiderata stabilità non fu possibile pervenire, ed ancor oggi essa non ci appare sicuramente raggiunta: come si poteva gettarne le basi definitive in un regolamento?
Ci si adoperò nondimeno e spessissimo; si compirono miracoli di celerità per venirne a capo nella speranza che una volta fissate queste fondamenta, più difficile sarebbe stato spostarle o alterarle, ma sempre invano. Ecco perché il nuovo regolamento organico ha impiegato tanti anni a vedere la luce; ecco perché appena pubblicato, già si preannunziano le prime necessarie modificazioni: la nuova legge di avanzamento per gli ufficiali del R. Esercito; le profonde innovazioni sullo stato dei sottufficiali e sul reclutamento dei nostri ufficiali; le nuove attribuzioni dei generali di divisione nel campo disciplinare e professionale, ecc., indicano altrettanti problemi che apporteranno sostanziali mutamenti all’ordine di cose appena raggiunto.

Ma non per ciò devono sorgere ombre o preoccupazioni; attraverso questo dinamismo pulsante, anche l’Arma si rinnova, si plasma sui tempi, li precorre talvolta per mantenere quel posto di avanguardia e quel primato morale che l’art. 1 del nuovo regolamento le riconferma ancora una volta non già per offuscare altrui glorie o altri primati, ma per dare ai suoi componenti tutti una visione sempre più alta dei rispettivi doveri.
E così quando nello stesso articolo si riconoscono all’Arma «speciali prerogative», queste debbono essere intese non come privilegi personali di ormai superata memoria bensì come condizioni peculiari connesse alla nobile missione sociale che le è stata affidata. Il rimanente testo del I° capitolo non è che un aggiornamento ed un completamento delle vecchie disposizioni: le ultime leggi di P.S. ed il recente «regolamento sul servizio territoriale» avevano già da tempo codificati nuovi compiti e precisati nuovi doveri che occorreva riunire e coordinare per togliere ogni possibile divagazione o perplessità.

Il 2° capitolo che segue, riporta integralmente l’attuale ordinamento dell’Arma che, come è noto, risale al luglio 1929 (R. decreto-legge 1430) e che non ha finora subìto alcuna sostanziale modificazione.
Non così può dirsi del 3° capitolo relativo al reclutamento: la materia ivi contenuta, specie per ciò che concerne gli ufficiali, è in questo momento in piena elaborazione e prestissimo ne vedremo le prime applicazioni.
Anche il 4° ed il 5° capitolo dovranno fra breve essere riadattati alle nuove norme che regolano l’avanzamento e che modificano le competenze del Comandante Generale e degli altri ufficiali generali dell’Arma. Gli studiosi che seguono passo passo i vari provvedimenti pubblicati in questi ultimi tempi nel giornale militare ufficiale, ne avranno già avvertita la portata.
Fino al capitolo 10° incluso, il testo riunisce e coordina poi con quello del vecchio regolamento, un complesso di disposizioni le quali, pur essendo, per quotidiana applicazione, a tutti noi ben note, nondimeno per la loro frammentarietà e dispersione in tanti decreti, testi unici, circolari di massima, ecc., creavano più di una difficoltà per la loro pronta consultazione.
Sull’undicesimo capitolo è invece necessario soffermarsi più a lungo data la particolarissima importanza dell’art. 51. Questo articolo è venuto in buon punto a precisare quale posizione assumono i componenti l’Arma rispetto agli speciali compiti ad essi attribuiti dalle leggi di P.S.

È noto che finora esisteva in materia una sola disposizione quanto mai incompleta e di dubbia interpretazione contemplata dall’art. 17 del testo unico delle leggi sugli ufficiali ed agenti di P.S. (R. decreto 31 agosto 1907, n. 690) così concepita: «sono agenti di P.S. i carabinieri reali».
Ora, la dizione letterale dei vari articoli della vigente legge di P.S. non avrebbe consentito agli ufficiali dell’Arma di assolvere, senza possibilità di incertezze, il loro mandato, perché ove è detto che talune attribuzioni sono di spettanza dell’autorità o degli ufficiali di P.S., si lasciava sussistere fondatissimo dubbio sull’obbligo ed anche sulla facoltà dell’intervento dei predetti ufficiali dei carabinieri reali, nel di cui confronto non appariva affatto chiara l’estensione dell’accennata qualifica espressa così genericamente. In alcuni di questi casi si sarebbe anzi verificata la stridente contraddizione di precludere agli ufficiali - per la loro incerta posizione - talune facoltà concesse, invece, ai semplici carabinieri, i quali, come sopra si è detto, sono agenti di P.S.

Che per ovviare a tale strana lacuna si dovessero - secondo una non convincente interpretazione - far rientrare nella formula generica dei «carabinieri reali» anche gli ufficiali dell’Arma per designare gli agenti di P.S., non appariva giustificato né logico. Ragioni di coerenza, oltre che di dignità, ripugnavano ad un simile adattamento, sia pure teorico, tanto più che secondo le leggi di P.S., ai semplici agenti spettano, di massima, funzioni d’ordine puramente esecutivo.
D’altra parte, l’accelerato ritmo della vita sociale, le attribuzioni ognora più vaste assegnate all’Arma dal Regime, il verificarsi di reati sempre più complessi ad opera di una delinquenza in progressivo perfezionamento, l’importanza assunta dalla polizia militare e politica nei riflessi della sicurezza dello Stato, richiedono che l’ufficiale dell’Arma, il quale spessissimo risiede in località ove non esistono uffici di P.S., abbia a propria disposizione tutti i mezzi e le facoltà previste dalle leggi vigenti che gli liberino il campo d’azione da ogni possibile impedimento affinché egli possa prendere parte veramente proficua alle necessarie operazioni di polizia, fra le quali citiamo a titolo di esempio:

a) il provvedere, a richiesta delle parti, alla bonaria composizione dei dissidi (art. 1 della legge di P.S.);
b) l’invito alle persone a presentarsi in caserma per motivi di P.S. (art. 15 della legge di P.S.);
c) l’accesso in qualunque ora nei locali destinati all’esercizio di attività soggette ad autorizzazioni di polizia (art. 16 della legge di P.S.);
d) l’esibizione dei registri da parte dei fabbricanti, commercianti, ecc. di armi e materie esplodenti (art. 35 e 45);
e) gli accertamenti, verifica od altro nei registri degli albergatori (artt. 128 e 129);
f) la richiesta di ausilio agli agenti degli istituti di vigilanza privata (art. 139);
ecc.

È noto, infatti, che la sola qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria non sarebbe sufficiente per poter esercitare, fra gli altri, anche i suddetti compiti previsti dalla legge di P.S., in quanto non tutte le attività contrarie alle leggi di polizia sono connesse a reati, nel quale campo soltanto l’ufficiale di polizia giudiziaria può intervenire.
Avrebbe potuto l’attribuzione della qualifica di ufficiale di P. S. agli ufficiali dei carabinieri reali - come da qualcuno era stato obbiettato - essere causa di perturbamenti o di sovrapposizione di competenze con i funzionari di P.S. o anche apportare una innovazione così profonda negli ordinamenti di polizia da dover essere senz’altro scartata?

Evidentemente, no.
La distinzione infatti che la legge ed il regolamento di P.S. fanno tra le attribuzioni devolute all’autorità di P.S. ed agli ufficiali di P.S., già escludono che possa verificarsi tale ipotesi.
Infatti mentre le attribuzioni devolute all’autorità di P.S. sono ben definite e più ampie, perché comprendono anche tutte le funzioni della polizia amministrativa (concessione di licenze, passaporti, autorizzazioni, ecc.) quelle stabilite per gli ufficiali di P.S. sono contenute in limiti più modesti, talché può affermarsi che finora in pratica, pur senza una precisa norma di diritto che ne desse la facoltà, esse sono sempre state - proprio per le necessità sopraesposte - esercitate dagli ufficiali dei carabinieri reali.

È noto poi che in una sede di questura o di ufficio distaccato la qualifica di autorità di P.S. è devoluta soltanto al capo ufficio (art. 1 della legge: prefetto, questore o funzionario distaccato), mentre non sono «autorità di P.S.» i funzionari in sottordine, i quali rimangono ufficiali di P.S. Nulla si opponeva pertanto che tale qualifica fosse riconosciuta anche agli ufficiali dei carabinieri reali. Ad evitare tuttavia ogni possibilità di sovrapposizioni o conflitti di competenza, nel testo dell’art. 51 del regolamento, è stato stabilito - come del resto è previsto per i podestà, i quali rivestono la qualifica di ufficiale di P.S. e ne esercitano le funzioni solo nei comuni ove non esiste ufficio di P. S. - che quando nelle medesime operazioni di servizio concorrono ufficiali dei carabinieri reali e funzionari di P.S., la direzione del servizio stesso spetta a questi ultimi, come diretta emanazione dell’autorità provinciale di P.S.
Avverso tali considerazioni di merito venivano, però, dagli organi competenti, sollevate alcune eccezioni di natura formale.
Si obbiettava, cioè, che le norme contenute nell’articolo in esame, attribuendo agli ufficiali dei carabinieri reali una qualifica innovata rispetto al T.U. 31 agosto 1917 sopra ricordato, non potevano essere inserite in un regolamento.
Sotto questo aspetto - così si giudicava - la materia in questione, abbisognevole fra l’altro di opportuno coordinamento con la legge di P.S., avrebbe dovuto formare oggetto di una esplicita modificazione legislativa.

Ciò significava rinviare ancora «sine die» una soluzione di così vitale importanza ed arrestare proprio al termine di tante fatiche il regolamento ormai completato in ogni altra sua parte.
Ma l’eccezione - pur non priva di valore giuridico - non appariva insormontabile. Soccorreva nei suoi confronti l’importantissima legge fascista sulle facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche (legge 31 gennaio 1926, n. 100).
L’art. 1, infatti, della citata legge, stabilisce che «sono emanate con reale decreto, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri ed udito il parere del Consiglio di Stato, le norme giuridiche necessarie per disciplinare:
1) .............
2) .............
3) l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni dello Stato, l’ordinamento del personale ad essa addetto, l’ordinamento degli enti ed istituti pubblici... ecc.».
Sono i cosiddetti regolamenti di organizzazione fra i quali rientrava appunto quello organico dei carabinieri reali.

Le «norme» per l’applicazione della suddetta legge, diramate da S.E. il Capo del Governo statuivano inoltre al comma 7:
«In forza della nuova legge, spetta d’ora innanzi al potere esecutivo di stabilire l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni statali e l’ordinamento del personale relativo, nonché l’ordinamento in genere degli enti od istituti pubblici».
L’ipotesi pertanto della contraddizione giuridica fra il T.U. 690 e l’art. 51 in discussione, non sembrava rispondere né in fatto né in diritto alla reale consistenza delle cose. Non appagava in linea di fatto perché l’art. 51 proposto non diceva «gli ufficiali dei carabinieri reali sono ufficiali di P.S.». Solo con questa dicitura si sarebbe sancita infatti esplicitamente quella nuova qualifica che non si riteneva possibile riconoscere in un regolamento.

L’art. 51, inoltre, parla di attribuzioni e prerogative limitate ad una sola parte delle funzioni dell’ufficiale di P.S., dato che ne esclude esplicitamente le mansioni della polizia amministrativa. Non solo, ma l’articolo stesso stabilisce che in presenza del funzionario di P.S., l’ufficiale dei carabinieri reali riconosce sempre al primo la direzione di ogni servizio. (Si noti - per incidenza - la locuzione «in presenza del funzionario di P.S.» la quale esclude, per la direzione del servizio, la subordinazione degli ufficiali dei carabinieri reali a qualsiasi altro funzionario dello Stato che pur goda della qualifica di ufficiale di P.S.).
D’altra parte, come si poteva non sanzionare uno stato di cose in realtà già esistente e lasciar permanere un equivoco che era causa di continue perplessità negli ufficiali dei carabinieri reali ai quali era tolta ogni sicurezza nel loro operato in un campo così importante del servizio d’istituto?

L’obbiezione non appagava poi in linea di diritto perché la citata legge n. 100 del 31 gennaio 1916 riconosce, senza limitazioni, al potere esecutivo la facoltà di emanare, con decreto reale, regolamenti esecutivi ed integrativi delle leggi vigenti, derogando anche, se necessario, da esse per coordinarne meglio le finalità che si vogliono conseguire.
Nella specie, non si trattava poi di facoltà concesse dalla legge al potere esecutivo per disciplinare solamente l’organizzazione di una amministrazione dello Stato, ma anche di determinarne il suo funzionamento e ciò in piena armonia con l’art. 1, comma 3, della legge stessa.
Tuttavia, comunque si volesse riguardare la complessa questione, sia in senso limitativo sia in quello estensivo, sembrava che l’organo dello Stato chiamato a decidere sulla possibilità o meno di inserire il contenuto dell’art. 51 nel regolamento avrebbe dovuto essere il Consiglio di Stato, al quale doveva al caso essere lasciato ogni definitivo giudizio al riguardo.
E le decisioni del Consiglio di Stato furono favorevoli. La dibattuta causa era finalmente risolta.

È necessario ora raccomandare agli ufficiali dei carabinieri reali ogni ponderazione nell’esplicazione di così importante riconoscimento?
Non bisogna dimenticare, a questo riguardo, quanto siano sottili le distinzioni fra la polizia amministrativa e la polizia di sicurezza e come sia facile, quindi, sconfinare dall’uno all’altro campo.
È ben vero che l’art. 51, ciò prevedendo, è ricorso ad una locuzione che non presta troppo il fianco alle insidie di tali incertezze: si parla ivi infatti, di esclusione dalle «mansioni di polizia prettamente amministrativa», ma non deve qui sembrare superfluo fare appello al tradizionale senso di prudenza e di serenità cui deve ispirarsi il nostro operato ogni qualvolta si affacci l’alea di invadere il campo delle altrui attribuzioni. Occorrerà, soprattutto, guardarsi dagli eccessi di zelo!
Questa materia, oltremodo delicata, che si attua attraverso le dipendenze e le relazioni con le varie autorità civili e militari è ampiamente trattata nel dodicesimo ed ultimo capitolo del regolamento.

Anche qui sono state riunite e fuse armonicamente fra di loro, tutte le disposizioni disseminate fra il vecchio regolamento e gli innumerevoli decreti che dal 1911 in poi si sono susseguiti a meglio disciplinare ogni nostra attribuzione: lavoro di cernita, questo, che permetterà a noi ufficiali di avere sempre un sicuro orientamento nei quotidiani contatti e rapporti con tutte le altre autorità della giurisdizione.
Il regolamento riporta, infine, in appendice la tabella completa - che dovrà essere sempre accuratamente aggiornata - delle stesse autorità che possono chiedere informazioni all’arma dei carabinieri reali. Lunghissimo elenco, troppo lungo forse, ma che appunto per ciò dimostra ancora una volta la saldissima fiducia che tutti gli organi più importanti dello Stato e della Nazione ripongono sul nostro istituto.
A noi il dovere di mantenerci sempre più degni di questa fiducia.