La comunicazione interna tra cambiamento culturale e innovazioni organizzative

Giuseppe Nucci (*)

1. Lo scenario

Recentemente ho assistito ad una conferenza in cui il relatore ha esordito con una precisazione, per me molto significativa.
Non si è trattato di una “rivelazione” ma di un qualche cosa che, come spesso accade per le cose importanti, appare piuttosto semplice, sfiorando addirittura l’ovvietà, ma… solo, appunto, dopo che qualcuno l’ha detto!
In sintesi il conferenziere ha ricondotto a tre i motivi per cui qualcuno decide di trattare un argomento. Il primo è quello di dar sfogo al desiderio di autoaffermazione e trova la sua più diffusa degenerazione in colui che si “parla addosso”, che in caso di intervento altrui riprende il discorso esattamente da dove l’aveva interrotto, senza tener conto di quanto ha detto l’interlocutore. Il secondo motivo è quello di riversare sugli altri una propria conoscenza per acculturarli: è proprio degli insegnanti e degli istruttori in genere. L’ultimo motivo è quello di porre all’attenzione un tema, a cui si annette una certa importanza, al fine di provocare una riflessione in chi “riceve il messaggio”.

Pur senza escludere un’inconscia pulsione riconducibile al primo motivo, è quest’ultima ragione che mi spinge, dopo circa quattro anni, a chiedere nuovamente ospitalità a questa rivista, per tornare a trattare il tema della comunicazione interna(1).
Considero questo argomento molto importante perché con la comunicazione interna si possono veicolare nuovi modelli organizzativi, paradigmi culturali innovativi ed altre elaborazioni necessarie per affrontare la complessità del mondo in cui viviamo.
E questo vale sia per le organizzazioni private - in cui la comunicazione interna è nata e dove ha ormai raggiunto un elevato grado di elaborazione - sia per quelle pubbliche, in cui si è da tempo avviato un ampio e stimolante dibattito, che le riflessioni che seguono intendono contribuire ad alimentare.
Questo lavoro si svilupperà in tre parti:

  • la prima è costituita da un inquadramento generale sulla comunicazione interna, e cioè sui dati normativi che la riguardano, sulle finalità e sulle principali difficoltà che occorre superare;
  • la seconda parte è quella centrale. In essa intendo sottolineare l’esigenza di un serio approccio metodologico e, allo scopo, proporrò un modello teorico;
  • l’ultima parte avrà come oggetto l’uso della comunicazione digitale, quale strumento innovativo per antonomasia della comunicazione.

Prima di iniziare, però, è doverosa una premessa.
La sfida più importante che la pubblica amministrazione sta affrontando, a mio avviso, riguarda una trasformazione che è al tempo stesso culturale e organizzativa. Mi riferisco al tentativo di superare l’approccio formalistico che privilegia il mero rispetto delle regole, non raramente fine a sé stesso, rispetto a un’attività amministrativa orientata alla produzione di utilità o, come si dice ora, di valore per il cittadino.

In realtà, questa impostazione dovrebbe essere tutt’altro che innovativa se riflettiamo sul fatto che l’attività pubblica, a prescindere dalla tipologia delle strutture con cui opera - enti pubblici o società di natura privatistica - ha da sempre avuto come principale concetto di riferimento il “servizio” e, cioè, la fornitura al cittadino, considerato uti singuli o in quanto appartenente alla collettività, di un prodotto materiale o, come più spesso accade, immateriale.
Perché allora questa “cultura del servizio”, al di là delle dichiarazioni di principio, non si è ancora realizzata e siamo qui ancora a parlare di concetti che

Le sfide

figura 1: le sfide

dovrebbero essere ormai acquisiti? Perché questioni, la cui risoluzione appare prodromica a un qualunque approccio organizzativo serio e razionale, continuano a rimanere irrisolte? Penso, ad esempio, al controllo di gestione sulle varie unità organizzative di una qualsiasi pubblica Amministrazione e, conseguentemente, alla valutazione dei dirigenti, e cioè di coloro che di quelle unità sono i responsabili(2).

A mio parere, riprendendo una delle tesi maggiormente consolidate, le ragioni di questa inadeguatezza dell’amministrazione pubblica hanno natura sia culturale che operativa. Ma non è certo questa la sede per avviare un’approfondita riflessione sull’argomento, che sarebbe senz’altro stimolante ma che ci porterebbe lontano da ciò che stiamo trattando. Quello che abbiamo detto serve piuttosto a delineare un contesto di riferimento complessivo da cui partire per individuare gli strumenti, le tecniche e gli approcci culturali che possano risultare utili per vincere la formidabile sfida a cui ho fatto riferimento all’inizio. Ebbene, la comunicazione interna rappresenta una delle leve più potenti che abbiamo a disposizione per questo compito.
Cerchiamo allora di vederla più da vicino.

2. La comunicazione interna

Avendo deciso di utilizzare un punto di vista che si focalizzi maggiormente sul settore “pubblico”, partirei da un dato normativo, quello della legge n. 150 del 2000, la prima e finora unica legge sulla comunicazione pubblica(3), con tre specifici riferimenti.
Il primo è quello precisato nell’art. 1, comma 4, secondo il quale la comunicazione pubblica si tripartisce nell’informazione ai mezzi di comunicazione di massa, nella comunicazione esterna e, infine, appunto nella comunicazione interna(4). Il secondo riferimento è contenuto nel comma successivo che fissa le finalità della comunicazione pubblica nel suo complesso. Esse possono essere sintetizzate in tre tipologie:

  • la prima: agevolare determinate conoscenze che possono riguardare specifiche disposizioni normative al fine di facilitarne l’applicazione, le istituzioni e il loro funzionamento, i servizi pubblici per favorirne l’accesso, temi di rilevante interesse pubblico e sociale, l’avvio e il percorso dei procedimenti amministrativi, ecc.;
  • la seconda: favorire processi interni di semplificazione delle procedure e di modernizzazione degli apparati;
  • la terza: promuovere l’immagine delle amministrazioni - e dell’Italia - in Europa e nel mondo, conferendo conoscenza e visibilità ad eventi d’importanza locale, regionale, nazionale ed internazionale.

È chiaro che queste finalità, seppure individuate per la comunicazione pubblica in generale, costituiscono un’indicazione essenziale anche per la comunicazione interna che, come abbiamo visto, è una delle sue tre componenti.
Il terzo e ultimo riferimento normativo è quello dell’art. 8, comma 2, secondo il quale gli uffici relazioni con il pubblico, anche attraverso la comunicazione interna, devono attuare processi di verifica della qualità dei servizi e di gradimento degli stessi da parte degli utenti.

Si tratta di disposizioni importanti. Per la prima volta viene formalizzata la specificità della comunicazione interna e poi vengono indicate alcune delle sue principali funzioni e cioè la fornitura di conoscenza intesa come fornitura di un vero e proprio servizio e la costruzione e l’implementazione di processi organizzativi efficaci.
Ma oltre alle previsioni normative, ciò su cui intendo focalizzare l’attenzione è il ruolo che la comunicazione interna deve oggi rivestire nelle strutture pubbliche e quali sono gli strumenti che al momento appaiono maggiormente strategici.
Soffermandoci quindi sul ruolo della comunicazione interna: dobbiamo innanzitutto considerare che persone, modelli organizzativi e tecnologie sono le tre direttrici su cui occorre muoversi da protagonisti in qualsiasi contesto organizzato che, mai come oggi, è caratterizzato da una turbolenza che non consente quelle pause di assestamento che in passato seguivano ogni sostanziale innovazione.

Si tratta di un quadro nel quale l’intero contesto delle relazioni umane si trova ad essere trasformato e la comunicazione interna dovrà farsi carico in misura più consistente dell’esigenza di ricreare gli schemi concettuali e procedurali in maniera collettiva. In questa accezione la comunicazione interna deve essere considerata come un sistema di strumenti che, nella sua dimensione dinamica, costituisce un processo che attraversa l’intera organizzazione e che, a mio avviso, si deve proporre essenzialmente di concorrere a dare risposta a due ordini di problemi.
Il primo ha una natura prevalentemente “aziendalistica”. In particolare è rappresentato dalla ricerca, da un lato, di un’adeguata efficacia, efficienza ed economicità - e cioè di quei principi di buona amministrazione che a partire dalla legge n. 241/1990 vengono richiamati in ogni provvedimento normativo che riguarda la pubblica amministrazione - e, dall’altro lato, di un elevato grado di soddisfazione del cliente interno ed esterno. Il secondo problema è legato alla “risorsa umana”.

Essa, a parte le tanto enfatiche dichiarazioni di principio, in realtà, in genere non occupa il rilievo e l’attenzione che merita e solo oggi ogni organizzazione, sia pubblica che privata, ha compreso la necessità di profondere il massimo impegno per fidelizzare coloro che ne fanno parte. Questo problema è legato a quello del coinvolgimento attivo del personale, della sua motivazione, dell’empowerment e delle tecniche di apprendimento e di crescita. La sua risoluzione incide sul successo o sull’insuccesso dei cambiamenti organizzativi, risultando tanto più essenziale quanto più i mutamenti sono radicali(5).

La soluzione a questo duplice ordine di problemi incontra numerosi ostacoli. Io vorrei limitarmi a richiamarne solo uno, proprio delle pubbliche amministrazioni.
In sintesi ritengo che a fronte di un ricco ed intenso dibattito giuridico, non vi sia stato un corrispondente approfondimento operativo, come se quest’ultimo fosse un’attività “meno nobile” di quella dottrinale.
A questo proposito, in un mio precedente lavoro - chiedo scusa per l’autocitazione - ho parlato di “sindrome del giurista(6)”, intendendo per tale una visione legalistica della realtà, ancorata soprattutto al rispetto formale della norma, che mette in risalto essenzialmente la dicotomia liceità-illiceità rispetto ad altre distinzioni - quali efficienza/inefficienza, trasparenza/segretezza, partecipazione/ discriminazione, ecc. - che appaiono invece rivolte al concreto soddisfacimento di bisogni dei cittadini, intendendo ovviamente per tali anche coloro che operano all’interno della pubblica amministrazione. Oggi occorre una coerente modifica di mentalità, di procedure, di stili e di cultura organizzativa. La logica burocratica deve fare i conti con una riqualificazione manageriale, nuovi modelli organizzativi, notevoli capacità programmatorie, professionalità multidisciplinari, dimestichezza con il mondo del trattamento dell’informazione.

La comunicazione

Figura 2: la comunicazione

In questo ambito la comunicazione interna rafforza la propria funzione di veicolo di innovazione, di coesione interna e di cultura organizzativa.
Di conseguenza occorre un sistema di comunicazione interna altamente sofisticato, in grado di fronteggiare adeguatamente la complessità.
E quindi proviamo ad entrare più nel dettaglio.

3. Un approccio metodologico

a. Genralità

Com’è noto, una qualsiasi organizzazione - e quindi ci riferiamo anche a quelle pubbliche - deve porsi degli obiettivi, e cioè stabilire dove vuole andare. Inoltre deve fissare delle strategie, e cioè stabilire come intende andarci.
Ebbene, per quanto attiene agli obiettivi, a mio avviso ve ne sono due comuni ad ogni tipo di organizzazione. Il primo è quello di soddisfare il cliente, sia interno che esterno, e cioè creare valore per lui. Si tratta in sostanza della finalità sottesa al concetto di customer satisfaction o, secondo altri studiosi, del paradigma dell’efficacia. Il secondo obiettivo è quello di conseguire lo scopo precedente in modo efficiente. E cioè il valore attribuito ai benefici ricevuti dai clienti deve superare il costo sostenuto per produrli.

Per conseguire questi obiettivi occorre ribaltare logiche diffuse e condivise. Infatti non sempre è sufficiente modificare l’esistente con miglioramenti incrementali. È spesso necessaria una discontinuità con quello che è stato fatto, e cioè innovare radicalmente. E questa innovazione deve essere perseguita con il coinvolgimento di tutte le risorse in quanto essa - riprendendo un’affermazione contenuta in un testo di management - “può sgorgare dalla mente di un’anima insoddisfatta, sognatrice, intelligente anziché da quella di un occhialuto esperto o di un grigio pianificatore”.
Insieme agli obiettivi, di cui ho appena parlato, ho prima fatto cenno alle strategie, e cioè “al come conseguirli”. Su di esse, però, invece di procedere con un’elencazione - che comunque risulterebbe incompleta e sommaria - ritengo più utile proporre un approccio metodologico da utilizzare per la loro elaborazione, che utilizzi paradigmi culturali ed organizzativi innovativi. Per far questo mi ispirerò, con molta libertà, al modello proposto da Gary Hamel nel suo recentissimo saggio Leading the rivolution(7).

In sintesi farò riferimento a un modello teorico, utilizzabile per analizzare qualsiasi attività organizzata destinata a produrre beni e servizi, che individua quattro componenti essenziali, a loro volta suddivisi in sottocomponenti.
E in questa analisi intendo evidenziare come un sistema di comunicazione interna costituisca un strumento indispensabile per tradurre ed implementare le diverse strategie che questo modello è in grado di suggerire (si veda la figura 3).

Figura 3: approccio metodologico


Le quattro componenti essenziali del modello sono: l’identità, le risorse strategiche, l’interfaccia con il cliente e la rete di valore.

b. L'indennità

La prima componente, l’identità, rappresenta cosa l’organizzazione intende essere e cosa intende fare e come intende farlo. Suoi elementi costitutivi sono la mission, lo scopo del prodotto e la differenziazione.
La mission è lo scopo dell’organizzazione, l’obiettivo e la strategia nel senso che prima abbiamo descritto, e cioè dove si vuole andare e come si intende arrivarci. Si tratta di un elemento che va continuamente verificato al fine di cogliere eventuali scostamenti. Ai nostri fini va sottolineato che la mission deve essere partecipata e condivisa all’interno dell’intera organizzazione. Risulta quindi evidente come la comunicazione interna, sia quella di coinvolgimento (ad esempio gli eventi e le convention) che quella che agisce a livello logico razionale (ad esempio gli house organ e le news letter), costituisca lo strumento indispensabile per poterlo fare. E questo appare ancora più necessario oggi in quanto nelle organizzazioni si tende a depotenziare le strutture di controllo che non aggiungono valore al servizio e a favorire una maggiore consapevolezza da parte dei dipendenti.

Ciò, tra l’altro, fa emergere anche l’esigenza di veicolare un solido sistema di valori perché sempre di più è necessario poter fare affidamento sullo ‘spirito di corpo’ delle persone.
Il secondo elemento, lo scopo del prodotto - intendendo con questo termine anche il servizio - si definisce dando risposta a una serie di domande: a chi mi sto rivolgendo, per fornire cosa, quale bacino di utenza intendo servire, quali sono i bisogni espressi che si intendono soddisfare, a quale tipo di segmentazione voglio procedere, ecc. Anche in questo caso, lo scopo del prodotto va costantemente verificato mediante un semplice interrogativo: possiamo individuare un prodotto/servizio in grado di fornire maggiore soddisfazione al cliente/utente?
Il terzo elemento, la differenziazione, consiste nel ricercare soluzioni che non siano un abbellimento o una versione semplicemente più efficiente di quanto già esiste. Facciamo un esempio: accesso alla documentazione amministrativa, in base alla legge n. 241/1990, al fine di verificare lo stato di una pratica che ci riguarda. È un problema di URP o di modalità di impianto, gestione e archiviazione delle pratiche? Il servizio URP può solo garantire maggior cortesia, razionalità ed imparzialità nel fornire notizie che in precedenza erano talvolta accessibili con rapidità solo mediante “particolari sollecitazioni”. Ma ciò, a mio avviso, è insufficiente. Il servizio dovrebbe avere un altro scopo: quello di farmi accedere in modalità friendly - magari anche da casa, in qualsiasi ora, con il PC - collegandomi a determinati data base. Tra una risposta cortese ma che mi soddisfa parzialmente e una risposta tecnologica che mi soddisfa pienamente, anche senza l’intervento di un gentile operatore, è preferibile quest’ultima.

È agevole constatare che anche con riferimento al secondo e terzo elemento, e cioè per la costruzione di prodotti che abbiano scopi congrui e siano intelligentemente differenziati, non si può prescindere da un efficace flusso di comunicazione interna che colleghi il back office con il front office, i tecnici con i giuristi, gli informatici con gli esperti del contenzioso.

c. Le risorse strategiche

La seconda componente del modello, le risorse strategiche, sono costituite dalle competenze essenziali, dagli asset strategici e dai processi fondamentali presenti nell’organizzazione. Le competenze essenziali rappresentano ciò che l’organizzazione sa. La conoscenza è un elemento strategico che un’organizzazione accumula, anche perché gli consente di imparare più rapidamente. È chiaro che deve essere veicolata al suo interno e che deve coniugarsi con l’esperienza in virtù del principio secondo il quale “l’applicazione di conoscenza genera nuova conoscenza”. Questa affermazione è tanto più vera quanto più si tratta di conoscenza “complessa”, e cioè di conoscenza che rappresenta la fusione di diversi tipi di conoscenza, e “tacita”, ossia non codificata. Con riferimento a questi concetti si sono sviluppate tecniche e metodi - mi riferisco, ad esempio, alla learning organization, all’empowerment, al coaching - che hanno in comune la scelta di far assumere rilevanza strategica alla conoscenza e alla competenza nonché di favorire la loro condivisione quale fattore di sviluppo individuale e organizzativo. L’organizzazione sa in quanto i suoi componenti sanno. Un’organizzazione funziona bene quando tutti i suoi elementi si sostengono reciprocamente e ciò accade quando tutte le parti collaborano in vista di uno stesso scopo che, quindi, deve esser loro partecipato.
Gli asset sono invece ciò che l’organizzazione ha. A differenza dell’elemento precedente, si tratta di cose e non di conoscenze: marchi, brevetti, standard, infrastrutture, ecc.

I processi fondamentali, infine, sono ciò che l’organizzazione fa. Sono costituiti da metodologie, tecniche, algoritmi. Sono la scatola nera che trasforma gli input in output, producendo valore per il cliente. Soprattutto in ambito pubblico i processi (leggasi procedure), purtroppo, sono spesso caratterizzati da due elementi negativi: il loro rispetto acritico - e cioè indipendente dalla loro idoneità a risolvere le esigenze concrete per le quali sono state poste in essere - e la scarsa propensione alla loro modifica. In realtà i processi sono l’elemento software, da cui dipende maggiormente l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione organizzativa, nel senso che la loro reingegnerizzazione (leggasi riformulazione) consente di conseguire quegli obiettivi che sembravano irraggiungibili. Certamente rappresentano la soluzione alternativa a quella effimera di chiedere più personale!
Vorrei anche evidenziare come intorno ai processi vengano costruiti i vari modelli organizzativi che oggi - mi riferisco, ad esempio, all’organizzazione piatta, a rete, ecc. - sempre più spesso costituiscono una sorta di risposta alla mancanza di comunicazione interna che caratterizza l’organizzazione funzionale, in cui ogni soggetto interagisce con la propria line, con scambi insufficienti, o addirittura assenti, con le altre funzioni interessate. Anche per questa seconda componente, le risorse strategiche, è appena il caso di sottolineare come la comunicazione interna sia essenziale, rientrando tra i suoi ‘compiti’ istituzionali la condivisione di conoscenza, di competenze, di procedure, di organigrammi e di know how in genere.


d. L'interfaccia con il cliente

La terza componente del modello è l’interfaccia con il cliente. Qui la comunicazione, sia interna che esterna, in generale, riveste maggiormente un ruolo da protagonista e addirittura quasi coincide con la componente stessa. Gli elementi che assumono rilievo sono tre: l’assistenza e la soddisfazione del cliente, l’informazione e i suggerimenti e, infine, le dinamiche relazionali.
L’assistenza e la soddisfazione del cliente è l’elemento che riguarda il modo con cui l’organizzazione raggiunge l’utenza, quali canali usa e quale tipo di assistenza offre. Si tratta di rispondere alle seguenti domande: in che misura è stata agevolata la fruizione del servizio? sono stati eliminati tutti gli oneri inutili che gravano sull’utente?

In questo settore molto è stato fatto in questi ultimi anni ma si tratta di una competizione in cui la posta in gioco è troppo importante per potersi riposare sugli allori. Facciamo un esempio. Molte amministrazioni ritengono di fornire servizi avanzati perché recapitano la gran parte dei certificati a domicilio. Ma hanno mai pensato ad entrare nelle logiche di tutti quei servizi commerciali che si realizzano semplicemente tramite SMS? Oppure pensiamo ai siti di molti enti pubblici. In genere sono belli e fantasiosi ma quanta navigazione è necessaria per trovare ciò che ci serve! Non sarebbe utile una sorta di menabò standardizzato? E a parte le informazioni, quanti servizi e transazioni questi siti sono in grado di fornire effettivamente? A volte sembra che per l’amministrazione pubblica il cittadino sia ciò che per la maggior parte delle banche è un cliente: una persona con varie identità a seconda che lo si consideri titolare rispettivamente di un conto corrente o di una carta di credito oppure di un mutuo. Si pensi infatti alla quantità di distinte e di estratti conto inviati al medesimo soggetto ma, inesorabilmente, ognuna con CAP e numero civico diverso. Come responsabile viene indicato il famoso disallineamento dei data base che, comunque, non fa distinzioni tra pubblico e privato. E infatti non è raro il caso in cui un Comune insista nel voler comunicare - “in esito alla pratica prodotta dalla SV in data X” - con soggetti che agli atti del suo stesso ufficio di stato civile risultano defunti da tempo.

Anche nella customer satisfaction molto si sta facendo ma bisogna sempre chiedersi se è sufficiente. Facciamo l’esempio delle code. Il problema oggi viene sostanzialmente risolto con la distribuzione del c.d. “numerino”, sale d’attesa con divani confortevoli e televisione, display che indicano il numero dell’utente che in quel momento sta fruendo del servizio e, spesso, la stima del tempo che manca al proprio turno. È un sistema efficace? A me sembra che si limiti a rendere il più confortevole possibile le file ma non a ridurle. Non mi pare che si sia ancora individuata una logica come quella che ha ispirato la soluzione fornita dagli ipermercati che, indipendentemente dall’ordine di arrivo, prevedono una corsia dedicata a coloro che hanno acquistato meno di un certo numero di articoli. In sostanza si è ribaltato un criterio “sacro”, quello cronologico, a favore di un altro più congruo: quello del tempo necessario a soddisfare una certa prestazione.

Altro esempio. Penso ai totem tecnologici in grado di fornire informazioni, certificati, biglietti ferroviari, piani di studio universitari, ecc.. È proprio necessario che quelli preposti a servizi ferroviari siano collocati solo presso le stazioni, quelli preposti ai servizi universitari solo presso le università, ecc. È vero che esistono gli sportelli polifunzionali ma mi riferisco a qualcosa di diverso. Se presso le librerie Feltrinelli o Rizzoli o da Benetton o nella catena IKEA - nomi citati solo per esemplificare - trovo comodi divanetti, musica, bar, telefoni pubblici, ecc., perché non devo poter trovare anche questi totem? Per esempio, pensando all’attività di reclutamento nell’Arma dei Carabinieri, non sarebbe utile collocare strumenti multimediali informativi per l’arruolamento presso gli istituti di istruzione e le università, integrati con le altre informazioni utili per gli studenti?

Veniamo al secondo elemento, l’informazione e i suggerimenti. Intendo riferirmi a un processo composto da tre fasi: la raccolta di tutte quelle informazioni che l’interfaccia con il cliente consente di acquisire, l’utilizzazione di tali informazioni con riferimento alla soddisfazione dei suoi bisogni, l’erogazione al cliente di contenuti informativi in grado di agevolare una fruizione più consapevole e corretta del servizio ed anche di agire sulla qualità attesa e percepita del servizio stesso. Anche in questo caso un esempio può illustrare meglio questo processo. Pensiamo al trasferimento di residenza in un altro comune. In certi momenti si traduce in una babele di numeri verdi, voci preregistrate con sottofondi musicali che invitano per tempi non sempre brevi ad attendere, carte dei servizi, ecc. Non sarebbe utile un unico servizio che si occupasse dei certificati amministrativi, del contratto di fornitura dell’elettricità e del riscaldamento, dell’abbonamento radiotelevisivo e, magari, dell’iscrizione alle scuole materne o elementari? Qualcosa di simile, comunque, si è già iniziato a fare (per esperienza diretta, nel comune di Roma, a seguito della variazione anagrafica vengono inviate a domicilio le variazioni della patente di guida e dei documenti di circolazione dei veicoli).

Il terzo elemento, la dinamica relazionale, riguarda le caratteristiche del rapporto che intercorre tra l’organizzazione e il cliente. Si tratta di modalità: frequenza dei contatti, tasso di formalità, livello di interazione, segmentazione, personalizzazione del rapporto, politica dei prezzi (c’è differenza tra il costo di un servizio ed il valore che quel servizio riveste per il cliente).
Da quanto abbiamo detto sul terzo componente, l’interfaccia con il cliente, non c’è dubbio che un presupposto necessario sia costituito dalla costante attivazione di una serie di sensori interni interconnessi, mediante appositi strumenti di comunicazione interna, in forma strutturata e non.

e. La rete di valore

Vediamo ora la quarta ed ultima componente: la rete di valore. Essa rappresenta un insieme eterogeneo di elementi che valorizzano le risorse esistenti. Tra essi ricordiamo i fornitori, i partner, le associazioni tra enti pubblici. Un primo riferimento dovrebbe farsi al ricorso all’outsourcing da vedere sempre meno come una concessione amministrativa e più come un’opportunità di de-verticalizzazione, in base alla considerazione che una funzione verticalmente integrata non potrebbe reggere il passo con le innovazioni di quel dato settore. Un altro riferimento potrebbe essere quello delle sinergie. Ad esempio, precedentemente ho parlato dell’utilità di tendere a uno standard per i siti web di enti pubblici: l’ANCI potrebbe assumere l’iniziativa di sviluppare questo progetto almeno per i Comuni .

È chiaro che parlando di rete di valore - come per tutte le reti - pensiamo a un flusso comunicativo di natura operativa, culturale, emotiva. Ma questo flusso è indirizzato solo all’interno delle organizzazioni, e quindi si tratta di comunicazione interna, o anche all’esterno? Per me questo è un falso problema. L’evoluzione del concetto di comunicazione interna ha portato a ritenerne destinatari non solo i dipendenti ma anche tutti quegli stakeholders che pur non stando dentro un’organizzazione non ne stanno neanche fuori: mi riferisco, ad esempio, agli autoconcessionari rispetto alle aziende automobilistiche o al caso del personale che mantiene uno speciale rapporto con la propria organizzazione anche quando va in quiescenza.

4. Gli strumenti: la tecnologia informatica

A questo punto, dopo la parte dedicata all’approccio metodologico - e al modello teorico appena esaminato - passerei ad affrontare la comunicazione interna sotto un punto di vista più tecnico, entrando nell’ambito delle tematiche che riguardano gli strumenti che essa utilizza. Si tratta di un argomento talvolta trascurato in base al preconcetto secondo il quale ciò che è “pratico” ha minor dignità scientifica di ciò che è più “cerebrale”. Ciò invece non è vero.
Se pensiamo, infatti, ai bisogni dell’uomo possiamo considerare che da lungo tempo ben poco è cambiato. Ciò che invece è cambiato è il modo di soddisfarli e l’innovazione ci offre strumenti sempre migliori.
Pensiamo al bisogno di comunicare e agli strumenti che servono a soddisfarlo. Chi avrebbe potuto immaginare che oggi, secondo una recente ricerca, un dirigente intermedio avrebbe ricevuto circa 190 messaggi al giorno: 52 telefonate, 30 e-mail, 22 comunicazioni a voce, 18 lettere, 15 fax, ecc.. Non credo che la soluzione di questo problema non rivesta un’importanza analoga a quella di molte questioni sui massimi sistemi…

In questa sede non mi pare opportuno fare una carrellata sugli strumenti utilizzabili nella comunicazione interna, già descritti in modo particolareggiato in numerosi manuali. Mi vorrei invece soffermare sulla comunicazione digitale, per il rilievo che ha assunto rispetto agli strumenti tradizionali, non per questo comunque da sottovalutare.
La comunicazione digitale - e in particolare Internet ed Intranet - costituisce la massima sintesi degli strumenti informatici i quali hanno letteralmente rivoluzionato alcuni parametri su cui, da sempre, si era basata la comunicazione tout court, e quindi anche quella interna.
Penso soprattutto a tre parametri: il costo, lo spazio, la quantità.
Per quanto riguarda il costo, vorrei sottolineare come la trasmissione dell’informazione digitalizzata abbia sensibilmente abbattuto i costi. Si sono aperte interessanti possibilità per creare nuovi prodotti e servizi a bassissimo costo.
Il secondo parametro, lo spazio, riguarda la distanza tra i vari soggetti. Questa dimensione viene a perdere quell’importanza che l’ha finora connotata come uno dei maggiori vincoli a qualsiasi attività comunicazionale. Ora essere fisicamente vicini o lontani è quasi indifferente. Si trasmettono non solo le informazioni tradizionali ma anche grafici, immagini, suoni, ecc. per cui, ad esempio, tra le riunioni tradizionali e quelle virtuali la differenza è sempre minore.

Il terzo parametro attiene alla quantità di informazioni: essa non costituisce più un vincolo in quanto sono stati creati supporti di pochi centimetri quadrati in grado di contenere dati equivalenti a quelli di mastodontiche biblioteche.
Di ciò non credo che ci sia ancora piena consapevolezza.
Ad esempio, quando si parla di Internet le affermazioni più frequenti che si sentono sono frasi del tipo: “Noi siamo a posto: abbiamo il sito web e stiamo perfezionando l’intranet per la comunicazione interna”.
Ciò, beninteso, va verso la direzione giusta a patto che vi sia a monte un approccio serio. Alcuni indizi di questa serietà possono identificarsi dal pieno recepimento di determinati principi, quali, ad esempio:

il sistema digitale è talmente diverso da tutti gli altri strumenti tradizionali che il ricorso all’outsourcing deve essere la norma e non l’eccezione (si pensi a tutti quei sistemi ‘fai da te’ in cui alla meritoria buona volontà non corrisponde un’altrettanto elevata funzionalità);

  • l’on-line è la regola, non un gadget, e deve trasformarsi da prodotto in vero e proprio servizio;
  • ogni cliente, sia interno che esterno, è un segmento;
  • i link della conoscenza sono tendenzialmente illimitati;
  • i dirigenti - che sono finora stati analisti delle decisioni e si sono quindi impegnati a migliorare i sistemi esistenti - devono trasformarsi ora in sperimentatori permanenti.

Ma prima di concludere queste considerazioni sulla comunicazione digitale vorrei sottolineare la necessità di avere di Internet la visione più corretta possibile. Esso, a mio avviso, più che come una sofisticata tecnologia va visto come un ambiente fatto di persone che comunicano, che chiedono e forniscono informazioni. Per certi aspetti Internet non può essere considerato un mero strumento della comunicazione: esso “è la comunicazione” e mai come in questo ambito la demarcazione tra interno ed esterno è estremamente labile. Le sue caratteristiche più rivoluzionarie sono l’interattività - e cioè la possibilità di dialogare - e la flessibilità, e cioè la possibilità di adattarsi alle esigenze di ogni singolo utente. Essa ha superato la logica del broadcasting generalista e si propone, da un lato, segmentata in centinaia di offerte, come una serie di scaffali con su esposte riviste di ogni tipo e, dall’altro, permeabile ad ogni tipo di input esterno.

Può essere interessante confrontare le caratteristiche di Internet con quelle degli altri due strumenti più diffusi (si veda la figura 4) da cui possiamo osservare, ad esempio, che la struttura del messaggio in rete è più simile a quello della stampa e non a quello della televisione, come saremmo portati istintivamente a pensare.

Caratteristiche dei messaggi in rete, su stampa e in televisione

Figura 4: Caratteristiche dei messaggi in rete, su stampa e in televisione

Internet è certamente uno strumento che va governato ma, ai fini di una comunicazione efficace, si basa sulla solita regoletta semplice semplice: mettersi nei panni dell’altro. Se ci parliamo addosso, se parliamo per maiuscole o se pensiamo che l’interlocutore sia la massa, qualsiasi tecnologia non ci servirà a niente. Dopo queste considerazioni, vorrei provare ad enumerare alcune delle attività che maggiormente si possono giovare di Internet, chiaramente senza alcuna pretesa di esaustività:

  • dare informazioni. Si tratta di un’attività comunicativa che ha svariati scopi. Possiamo ricordare quello della comunicazione istituzionale - che, ribadiamo, è indirizzata non solo al cliente esterno ma anche a quello interno - tesa a promuovere la propria identità sempre più spesso attraverso la conoscenza. Tra gli altri scopi possiamo anche rammentare quello dell’orientamento sui servizi offerti e su come fruirli oppure quello dell’accoglimento dei neo assunti. Come modalità mi hanno molto colpito le FAQs (frequently asked questions) - che com’è noto sono una lista di domande con relative risposte sulle questioni e sugli aspetti di maggiore interesse per gli utenti - in quanto coniugano semplicità e utilità;
  • raccogliere informazioni. È una sorta di funzione di “ricerca & sviluppo”. Essa consente, ad esempio, la creazione di canali dedicati per suggerimenti e feedback da parte degli utenti oppure il costante rilevamento delle modalità con cui analoghe organizzazioni si presentano sulla rete - in sostanza si tratterebbe di un vero e proprio benchmarking - ovvero la nascita di specifici gruppi di discussione;
  • assistenza personalizzata all’utente. Penso a una specie di help desk - che vedo come la trasposizione informatica di alcune fondamentali funzioni dell’URP - orientato alla customer satisfaction;
  • formazione. In questa attività le “tecnologie Internet” possono fornire modalità innovative per attuare quel concetto di formazione permanente che è divenuto sempre più strategico. E l’alfabetizzazione? I rimedi sono molti. Ad esempio, sono sempre più numerose le organizzazioni che hanno deciso di fornire di computer portatili i propri dipendenti o di favorire, con un contributo, il loro acquisto;
  • gestione di servizi centralizzati. Mi riferisco a servizi che possono essere consorziati e fruiti da più enti (recensioni stampa tematiche o territoriali, uffici legali, consulenze per l’acquisizione di contributi nazionali e comunitari, ecc.), ovvero a progetti o altre attività che coinvolgano attori eterogenei ubicati potenzialmente anche sull’altra faccia del pianeta (università, enti locali e territoriali, comunità). È il paradigma dell’integrazione(8).

È chiaro che vi sono numerosi altri campi che possono essere radicalmente migliorati da Internet. Spesso è la fantasia che si rileva come il miglior motore innovativo. Se dovessi fare una battuta - in realtà battuta fino a un certo punto - richiamerei alla mente quei piccoli paesi, piuttosto isolati, con all’ingresso il pretenzioso cartello con la dicitura “Comune d’Europa” per essersi gemellati con comuni stranieri, spesso sconosciuti, dai nomi impronunciabili. Ora, grazie a Internet, questo gemellaggio ha la possibilità di tradursi in qualcosa di diverso da un cortese scambio di periodici educati auguri…
Per chiudere questo argomento vorrei sottolineare come la maggior parte delle ragioni che impediscono un uso ottimale di Internet sono riconducibili al

La comunicazione digitale

Figura 5: la comunicazione digitale

fatto che mentre la tecnologia si sviluppa rapidamente il cambiamento culturale non ha la stessa andatura. È questo il vero problema! La tecnologia agevola, favorisce e arricchisce il rapporto umano: non lo sostituisce.

5. Conclusioni

Vorrei concludere queste notazioni citando una proposizione a mio parere molto significativa: “Chi si focalizza su come fare meglio di ieri è destinato a perdere rispetto a chi si focalizza su cosa fare di diverso […]. La chiave di tutto è puntare su persone e organizzazioni più capaci di altre di fare a meno dei vincoli del passato e di anticipare o adattarsi alle opportunità del futuro”.
Potremmo considerare questa frase una sorta di slogan che credo riassuma quanto abbiamo fin qui sostenuto. Si afferma, infatti, come sia indispensabile riuscire a creare una salutare “discontinuità” con il passato.
Non si tratta di attribuire scarsa considerazione a quanto è stato fatto né di sottostimare i meritori sforzi compiuti da chi ci ha preceduto. Tutt’altro: il passato deve costituire la sintesi, fino ad un dato momento, delle metodiche, delle tecniche, delle visioni culturali che hanno caratterizzato un certo problema organizzativo. Tanto più il passato sarà vissuto consapevolmente, tanto più solido sarà il punto di partenza.

Tuttavia esso deve essere appunto un punto di partenza.
Il futuro deve invece individuare nuovi percorsi, nuovi strumenti, nuove abilità, che spesso non devono proporsi semplicemente di migliorare in maniera incrementale ciò che esiste. Il futuro deve invece porsi una diversa prospettiva e cioè stimolare l’immaginazione e la creatività, inventare nuove logiche, nuove visioni, nuovi modelli organizzativi.
Il futuro deve portare - sintetizzando in un solo termine, forse già troppo abusato ma comunque appropriato - “innovazione”, innovazione culturale ed insieme tecnologica, in una dinamica virtuosa in cui non si distingua quale delle due sia la causa e quale l’effetto.
Mi rendo conto che si tratta di una competizione a tutto campo, resa ancora più impegnativa dal fatto che l’area compresa tra il passato e il futuro - e cioè il presente - sia sempre più evanescente, e che quindi la zona franca su cui potevamo per un certo tempo riposare vivendo anche di rendita, si stia erodendo rapidamente. Non è più il tempo per fare le cose a metà. Usando un detto non molto high tech ma che sicuramente rende l’idea: “due ubriachi a braccetto non camminano come una persona che non ha bevuto”.

Ciò non deve costituire motivo di ansietà. Al contrario, occorre una piena consapevolezza dello scenario in cui operiamo per poter agire efficacemente in quanto, come ci ricorda Paul Valery, «il futuro, purtroppo, non è più quello che era una volta».


(*) - Tenente Colonnello dei Carabinieri, Comandante Provinciale di Chieti (e-mail: provchcte@carabinieri.it).
(1) - Si tratta di un personale percorso di approfondimento che ho iniziato con il lavoro “Comunicazione interna e modelli organizzativi”, pubblicato su questa rivista (n. 3/1998) e che ha trovato la sua ultima riflessione nel saggio “La comunicazione interna nella pubblica amministrazione”, pubblicato nel volume di S. Rolando (a cura di), Teorie e tecniche della comunicazione pubblica, Etas, 2001.
(2) - Cfr. il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59” (G.U. n. 193 del 18 agosto 1999). Per eventuali maggiori approfondimenti si rinvia a G. Nucci, “Il sistema dei controlli interni nella pubblica amministrazione”, su Rivista di polizia (fascicolo X), 2000.
(3) - Cfr. la legge 7 giugno 2000, n. 150, “Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni” (G.U. n. 136 del 13 giugno 2000). Per eventuali maggiori approfondimenti si rinvia a G. Nucci, “Elementi portanti, aree di intervento e finalità della legge sull’informazione e la comunicazione pubblica”, su Rivista italiana di comunicazione pubblica, ed. Franco Angeli (n. 5), 2000.
(4) - la direttiva 7 febbraio 2002, del Ministro della funzione pubblica, Franco Frattini, avente ad oggetto l'attività di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, definisce la comunicazione interna come momento della stessa funzione di formazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni.
(5) - La direttiva Frattini individua in una buona comunicazione interna e nel pieno coinvolgimento del personale nei progetti di cambiamento organizzativo i fattori principali che possono consentire di costruire al meglio l’identità di un’amministrazione, favorire la crescita di un senso di appartenenza positiva alla dimensione del lavoro pubblico e contribuire a porre su nuove basi l'immagine della sfera pubblica.
(6) - G. Nucci, “Lobbying”, su Rivista italiana di comunicazione pubblica, ed. Franco Angeli (n. 7), 2001.
(7) - Per la traduzione in italiano vedasi: Gary Hamel, Leader della rivoluzione, Il Sole 24 ore, 2001.
(8) - La direttiva Frattini insiste molto sulla necessità di integrare le attività di comunicazione e informazione e, tra le funzioni degli organi a ciò preposti nelle pubbliche amministrazioni, sottolinea efficacemente la possibilità da parte degli URP di ricorrere a procedure di comunicazione interna codificate per realizzare efficaci terminali di destinazione di atti e documenti che consentano sollecite ed esaurienti risposte ai cittadini.