Europol (la Polizia Europea) e suo approccio al problema della sicurezza nell'era della globalizzazione economica

Gen. B. (aus.) CC. Antonio Gagliardo

1. Premessa

Sicurezza, ambiente e fame nel mondo possono considerarsi le principali emergenze che affliggono l’uomo d’oggi e ne minacciano, nel suo complesso, gli spazi più vitali. Tre entità che interagiscono tra loro in un mondo che, nelle sue diversità e contraddizioni, diviene sempre più un villaggio globale, dove la popolazione si moltiplica a dismisura e con essa crescono vecchi e nuovi bisogni da soddisfare. Inoltre, la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico procedono sulla via di un processo evolutivo, che sembra essere senza fine, per soddisfare le crescenti e mutevoli esigenze di vita.

In tale divenire gli spazi di questo villaggio globale si avvicinano, i processi produttivi si velocizzano e l’ambiente nel suo insieme subisce una costante alterazione. Nonostante ciò, il divario tra società ricche e società povere rimane enormemente incolmabile e preoccupante (il 20% della popolazione mondiale detiene l’80% delle risorse e, conseguentemente, l’80% della rimanente popolazione detiene il 20% delle rimanenti risorse). Questa sperequazione crea, tra l’altro, stravolgenti fenomeni migratori con pressioni verso i confini dei paesi ad economia avanzata, squilibri ambientali, frizioni sociali e fenomeni criminogeni.

Tale stato di cose non è certamente causa diretta dello sviluppo, semmai effetto di uno sviluppo non armonico, non completo, che è sfruttato più per logiche edonistiche che per incontrare le istanze del mondo dei bisogni insoddisfatti dello stesso villaggio globale. Uno sviluppo che sembra utilizzato più per il raggiungimento di effetti immediati che di quelli di più ampie vedute, soprattutto con riferimento al degrado ambientale e allo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali; ma anche con riflessi negativi sulla giustizia sociale e sulla sicurezza in senso globale.

Con particolare riguardo a quest’ultimo aspetto, nell’era della globalizzazione economica anche i fenomeni connessi al crimine organizzato transnazionale assumono connotati di globalizzazione ed interagiscono, seppur per fini diversi, con le dinamiche socioeconomiche della vita legale. In tale ottica, non c’è dubbio che il confine tra lecito ed illecito, tra legale ed illegale è spesso labile ed indefinibile; comporta scelte politiche in un sistema giuridico, che assume sempre più sofisticate linee di garantismo delle libertà individuali ed è anch’esso frutto di maturazione e sviluppo del suo percorso storico. Ne consegue che la politica, regina di tutte le discipline sociali e degli indirizzi comportamentali, è spesso in balia delle altre dinamiche (scientifiche, tecnologiche, economiche e criminologiche, ecc.) e prigioniera del suo stesso divenire.

2. La criminalità organizzata transnazionale

L’attività delinquenziale, negli ultimi trent’anni, ha subito radicali e costanti mutamenti: da un carattere spontaneo degli impulsi delinquenziali, quasi una scelta imposta dall’evoluzione di nuove esigenze di vita in un’Italia che, sulla scia della ricostruzione postbellica, proiettava verso nuovi orizzonti i propri assetti politici, economici e sociali, ad un carattere sempre più diffuso e più professionale del delinquere.

E’ proprio in questo contesto storico che la criminalità organizzata sa cogliere le prime occasioni per adattare e conformare lucrose attività. Quest’aspetto è presente nei delitti contro il patrimonio, come contro ogni altro target delle diverse aree della vita sociale, civile e pubblica. Negli anni a seguire, un’escalation di queste dinamiche delinquenziali ha scosso profondamente l’opinione pubblica nazionale creando tensione ed allarme sociale, nonché squilibri nello sviluppo economico, specie nel Meridione d’Italia dove tale sviluppo era ed è, tuttora, maggiormente necessario. Sono questi gli aspetti e il carattere di una criminalità organizzata di prima generazione.

Il vincolo associativo internazionale e una crescente finalità di lucro delle attività illecite costituiscono un decisivo passo avanti verso una criminalità di seconda generazione, che, soprattutto, con l’avvento della droga rivela maggiore efferatezza e professionalità, chiamando in causa, spesso, i poteri dello Stato a reagire anche con legislazione e provvedimenti d’emergenza. Questa nuova criminalità organizzata, integrandosi nei sistemi di collegamenti celeri, di mezzi tecnici e procedure innovative, stabilisce, con crescente intensità di frequentazione e di interessi, sempre più forti legami con gruppi delinquenziali di diversa nazionalità.

Anche la “materia” trattata assume un carattere mutevole, in linea con le nuove esigenze di consumo dei mercati d’abuso e con il continuo divenire dei traffici illeciti, la maggior parte dei quali trae origine da diverse e lontane aree geografiche. E’ la delinquenza di tipo mafioso, nelle sue varie denominazioni regionali, che prima si scontra e poi si accorda con gruppi criminali di diversa estrazione territoriale: dalla mafia turca ai “cartelli” colombiani, dalla “triade” cinese alla criminalità organizzata russa, albanese, nigeriana e così via.

A fronte di questa situazione, l’azione di contrasto dei pubblici poteri degli Stati rivela molte difficoltà di contenimento. La normativa, anche quella d’emergenza, si mostra, spesso, inefficace o di modesta entità; anche un rafforzato interesse alla collaborazione internazionale è inadeguato a contenere il dilagare della criminalità internazionale, che assume sempre più rilevanza transnazionale.

L’evoluzione dei fenomeni criminali, soprattutto dopo l’abbattimento del muro di Berlino e lo sgretolamento dell’Unione Sovietica, con il fenomeno migratorio di immani masse di diverse etnie, che ne accompagna il susseguirsi degli eventi socio-politici, evidenzia un aspetto di inarrestabile pericolosità, che non può essere contrastato dal singolo Stato, neanche attraverso una collaborazione fondata su occasionali accordi bilaterali tra gli Stati interessati.

Occorre una più ampia e solida politica internazionale con il concorso di tutti gli Stati, accomunati da un unico intento strategico e medesimo desiderio di creare uno spazio giuridico e giudiziario capace di contenere il diffondersi senza limite del crimine organizzato transnazionale, in un quadro di sicurezza, di libertà e di disciplinato progresso. Al contrario, questa criminalità ultranazionale, che ha gettato le sue basi già nel volgere del millennio appena trascorso, si qualifica sempre più come una delle maggiori minacce che affliggono la società civile, non solo del mondo occidentale, ad economia avanzata, quanto quella del mondo povero, la società senza speranza.

Non c’è dubbio che la globalizzazione dei fenomeni economici, con i suoi meccanismi e sinergie di un sistema integrato produttivo e di mercato, offre le stesse possibilità di globalizzazione anche al crimine organizzato, che, oltretutto, riesce a cogliere meglio gli effetti del liberismo e del garantismo delle innovazioni legislative ed a percepire gli spazi vuoti lasciati dagli accordi (talvolta dal disaccordo) tra gli Stati, sfruttandone lo scoordinamento con lucrose attività.

La globalizzazione di per sé non è una diretta causa, ma è certamente un’occasione che è offerta alla criminalità organizzata, quella criminalità organizzata che ha come unico fine l’arricchimento illecito, che è sempre riconducibile a due fonti: quella delle attività illecite propriamente dette e quella delle attività lecite del riciclaggio dei proventi. Il denaro circola negli ambienti dei due settori, illecito e lecito, con benefici sia nelle attività criminali, quelle dei finanziamenti, sia in quelle dell’investimento, riducendo i rischi al minimo, in termini di protezione dall’individuazione e confisca dei proventi illegali, ed in termini di assicurazione dei profitti reali. Il massimo di queste realizzazioni si ha, ovviamente, attraverso gli investimenti nei “paradisi fiscali” (aree off-shore).

L’eliminazione del controllo doganale nell’Unione Europea con il Trattato di Schengen, di per sé utile agli scambi economici e alla circolazione di persone e beni, ha costituito anche un’opportunità per gli illeciti traffici; così come la situazione politica nell’area balcanica è sfruttata molto bene dal crimine organizzato.

Non c’è dubbio che il traffico della droga, che da un buon trentennio domina la scena della criminalità internazionale, è un fenomeno delinquenziale e di devianza sociale inarrestabile, l’asse portante di tutti gli altri, che, per suoi intrecci tra la componente economico-delinquenziale che fa capo al mondo dei traffici illeciti e quella socio-culturale che fa capo alla tossicomania, costituisce ancora, nel suo insieme, il più cospicuo male che minaccia la sicurezza della società civile. E, per le sue dinamiche, può essere definito una sorta di globalizzazione dell’economia illecita. Questo insanabile male sociale sta per essere raggiunto – per intensità d’attività ed efferatezza dei contenuti - dal traffico degli esseri umani con i correlati fenomeni criminali di sfruttamento della prostituzione, della pedopornofilia, mano d’opera minorile, traffico d’organi umani ed altre forme di disumano sfruttamento di immani masse di indifesi esseri umani sospinti in un inarrestabile cammino della speranza. Un giro d’affari illeciti d’enorme volume che, oltre ad inquinare al pari di quello della droga l’economia lecita, sconvolge il tessuto sociale sia del mondo dei paesi poveri, da cui il “materiale” umano è sradicato, sia di quello dei paesi ricchi, dove tale “merce” è deportata e sfruttata. Un’umiliante forma di riduzione a schiavitù che sembrava essere relegata ad un lontano passato storico. Questa criminalità organizzata transnazionale può definirsi, anche per le sue caratteristiche di campo e connessioni via internet, una criminalità di terza generazione.

Di fronte a questa spregiudicata, inarrestabile ed efferata criminalità, che non conosce limiti in termini di mezzi, di territorio e di fantasia operativa, quale azione di contrasto può essere messa in campo, se non quella che vede il coinvolgimento coordinato di un corale impegno di tutti gli Stati? Pertanto, è ineluttabile che le Nazioni Unite, l’Unione Europea e la comunità mondiale, nel suo insieme, si facciano carico di questa minaccia; perché, tra tutte le altre, come il degrado ambientale e la povertà nel mondo, quella della criminalità organizzata transnazionale è una minaccia immane che grava sull’umanità intera e ne viola i diritti più elementari.

3. L'azione di contrasto dell'Europol

È proprio dalla consapevolezza di una siffatta fenomenologia criminale che, con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, Terzo Pilastro, i Paesi dell’Unione Europea gettano le basi per istituire un ufficio europeo di polizia, “allo scopo di migliorare, nel quadro della cooperazione tra gli Stati membri, l’efficacia dei servizi competenti degli Stati stessi al fine di prevenire e combattere le gravi forme di criminalità organizzata internazionale”.

La Convenzione dell’Europol, della quale si fornisce un quadro d’insieme, è emanata il 26 luglio 1995 ed è entrata in piena attività il 1° luglio 1999. L’attuale sistema vuole essere la risposta dell’Unione Europea al crimine organizzato e, per quanto non possa qualificarsi come una polizia operativa del tipo di quella federale degli Stati Uniti d’America (FBI), è certamente la pietra miliare su cui si fondano convergenti sforzi per una cooperazione d’intelligence in un’Europa senza frontiere. Dunque, una polizia di scambio di informazioni, di analisi dei fenomeni criminali e di supporto tecnico-operativo alle polizie nazionali degli Stati membri, con possibilità di creare squadre operative congiunte per far fronte a particolari esigenze d’indagine.

Con l’istituzione dell’Europol si realizza un nuovo concetto di cooperazione che vuole superare quello degli accordi bilaterali ed occasionali tra le diverse forze di polizia e della stessa cooperazione in ambito Interpol, in ambito europeo.

L’area di competenza del mandato Europol, all’inizio limitata alla sola droga (EDU-Europol), comprende ora:

- il traffico illecito delle sostanze stupefacenti;
- il traffico delle materie nucleari e radioattive;
- l’immigrazione clandestina;
- la tratta degli esseri umani;
- il traffico delle autovetture rubate;
- il terrorismo internazionale;
- il riciclaggio di denaro;
- la contraffazione monetaria.

Questa competenza, che nel criterio di attivazione della collaborazione tra gli Stati membri prevede un concreto indizio di coinvolgimento della criminalità organizzata e l’interesse di due o più Stati membri a perseguirla, è suscettibile di ulteriore estensione ad altre tipologie delinquenziali. Infatti, dal 1° gennaio 2002, a seguito di Decisioni del Consiglio dell’Unione Europea del 6 dicembre 2001, il mandato Europol è stato estese a tutti i reati gravi commessi dalla criminalità organizzata transnazionale.

La capacità d’intelligence di Europol, la rende duttile soprattutto nel condurre studi sui fenomeni criminali in Europa. Essa è alimentata dagli elementi informativi attinti dal bagaglio di conoscenza dei servizi nazionali, oltre a proprie attività di ricerca. Occorre, tuttavia, far crescere la coscienza di un’Europa più unita, vincendo incrostazioni culturali, psicologiche e normative (spesso assai diverse) che si frappongono nelle procedure, per una matura, completa ed efficace attività d’intelligence. Il superamento di tale carenza è necessario e potrà avvenire attraverso una più diffusa conoscenza delle potenzialità di Europol e dei sistemi di attivazione. Una soluzione efficace, che troverebbe conforto nella più ampia funzione di un coordinamento investigativo, potrà essere raggiunta quando sarà concretizzato il pendant giudiziario (Eurojust) attraverso un’armonizzazione degli ordinamenti giuridici ed un allargamento al campo più strettamente operativo, come prefigurato dal Trattato di Amsterdam del 1997 e ribadito dalle conclusioni del Consiglio straordinario di Tampere del 1999.

Uno spazio di arricchimento funzionale di grande importanza è costituito dalla centralizzazione dei dati costituenti il sistema informatico per l’elaborazione delle informazioni (TECS), che avrebbe dovuto essere perfezionato per la raccolta di tutti i dati d’archivio, specie sul monitoraggio dell’Euro, entro dicembre 2001, ma, per motivi tecnici ed organizzativi, entrerà in funzione entro l’anno in corso.

L’Europol, inoltre, si rende capace di interagire nel settore della ricerca scientifica e giuridica: laboratori d’analisi chimico-fisiche e biologiche; pareri legali, tecnici, scientifici applicati alle indagini di polizia giudiziaria; studi ed analisi dei fenomeni criminogeni e dei gruppi criminali.

La sede dell’Europol è a L’Aia ed il suo attuale organico è di circa 300 elementi, articolato su cinque dipartimenti e vari uffici subordinati.

L’articolazione - per così dire - periferica è costituita dall’Unità Nazionale Europol, dislocata in ciascuno degli Stati membri, come prevede la Convenzione stessa.

Quella italiana è strutturata sulla base della compartecipazione interforze, Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza. Il suo organico, tuttora in fase di ripianamento, comprende una segreteria, un’unità informatica e tre Sezioni operative (ciascuna diretta da un funzionario/ufficiale appartenente alle tre componenti istituzionali), per la trattazione delle materie di competenza del mandato Europol con gli organi di polizia sul territorio, i così detti “referenti”, che svolgono le indagini.

L’Unità Nazionale Europol italiana è stata istituita con Decreto Interministeriale del 21 febbraio 1996. Sul piano ordinativo è inserita nella Direzione Centrale della Polizia Criminale. E’ diretta, con il principio della rotazione ed alternanza triennale, da un Primo dirigente della Polizia di Stato, un Colonnello dei Carabinieri o della Guardia di Finanza.

Essa è l’unico organo competente ad assicurare il collegamento tra Europol ed i servizi italiani di polizia per la gestione dei flussi informativi. E’ responsabile della validazione dei dati forniti e, come tale, è assoggettata a vari controlli: dal Garante per la tutela dei dati personali all’Autorità per la tutela del segreto di Stato, al Comitato parlamentare di controllo Schengen-Europol, oltre che a quelli gerarchici e funzionali.

Dall’Unità Nazionale Europol dipendono gli ufficiali di collegamento distaccati presso la direzione di Europol a L’Aia, che costituiscono il desk italiano e dialogano con i desk degli altri Stati membri, e con la direzione stessa di Europol. Anch’essi sono a composizione interforze.

Il decreto interministeriale (20 ottobre 2000) di riordino della Direzione Centrale della Polizia Criminale ha istituito nell’ambito di tale direzione un Servizio di Coordinamento Internazionale che comprenderà Interpol, Europol e Si.Re.Ne, ferme restanti le proprie autonomie funzionali.

Il modello organizzativo (Intelligence Model) dell’Europol, vero e proprio centro motore di tutte le attività del suo mandato, è la base su cui è strutturata l’intera organizzazione di Europol, per il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla Convenzione e nello spirito della politica europeistica per la creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia. Esso si basa sulla struttura del “Sistema informatizzato” (Computer System), per la cui architettura un apposito gruppo di lavoro (Project Board), costituito da rappresentanti di tutti i Paesi dell’Unione Europea, è al lavoro da diverso tempo. La rete è stata progettata su più sottosistemi, tra loro in qualche misura interconnessi:

- Sistema di Collegamento Informatico (Info-Exchange System), che è utilizzato per i collegamenti tra le Unità Nazionali Europol e la direzione dell’Europol, tramite i suoi ufficiali di collegamento all’Aia, per lo sviluppo dello scambio informativo. È un intranet già in funzione;

- Sistema di Informazione (Information System), che andrà a costituire una sorta di CED europeo, ma separato da quello nazionale (è interconnesso con quest’ultimo dall’Unità Nazionale Europol);

- Archivio operativo ai fini di analisi (AWF), che è utilizzato per l’attività di scambio info-operativo, di supporto e coordinamento tra le varie aree del crimine organizzato;

- Sistema Indice (Index System), una sorta di schedario di limitata utilizzazione.

Se questo è il quadro d’insieme di Europol, le sue potenzialità e le sue prospettive di sviluppo, molto ancora bisogna fare per contrastare con efficacia la recrudescenza delinquenziale del crimine organizzato transnazionale.

4. Conclusioni

Come osservato innanzi, gli aspetti che caratterizzano il problema della sicurezza sono molteplici ed interconnessi con le dinamiche di buona parte degli altri fenomeni della vita sociale, politica ed economica e, nel suo complesso, correlate allo sviluppo nei paesi del mondo occidentale. Quanto più avanzato diviene lo sviluppo tanto più i fenomeni criminogeni si adattano ad esso e, quindi, si evolvono. Essi hanno implicazioni che si annidano nelle ansie, nei desideri e nelle debolezze della natura umana, per cui le soluzioni più produttive vanno trovate nel sociale, attraverso un rinnovamento culturale e scelte appropriate nei vari settori di sviluppo che tengano conto non solo degli aspetti materiali e di parte, ma di quelli che si sostanzino di contenuto etico, fondati su una sana giustizia sociale e radicata cultura della solidarietà. Questo tentativo è, in verità, nell’idea di costruzione dello spazio di sicurezza, di libertà e di giustizia che caratterizza il terzo pilastro del trattato dell’Unione Europea.

Ma la parte più importante - si ritiene- la deve recitare la società civile, nel suo complesso, che, in questo processo di cause-effetti, è indubbiamente l’artefice e, al tempo stesso, la vittima delle delinquenza organizzata. Occorre comprendere che non c’è nessuna formula magica che riesca a sradicare la mala pianta della criminalità organizzata e dare sicurezza ad una società che vive, sulla scia della globalizzazione e dello sviluppo, le contraddizioni del suo tempo; occorre, pertanto, senza frenare lo sviluppo affievolire la pigrizia che ostacola la cultura della legalità e della solidarietà, cedendo parte degli interessi egoistici per incontrare gli altrui bisogni che appartengono allo stesso villaggio globale, cui si è fatto cenno in premessa.

Per questo è buona idea quella di affrontare questi problemi (della sicurezza, dell’ambiente e della fame nel mondo), soprattutto, con i giovani che si affacciano alla vita e saranno gli eredi di questo progresso; ma non si discuta solo in termini di critica disfattista o di mera condanna degli eventi, come se cadessero dal cielo, ma in termini costruttivi, se necessario autocritici, analizzando, per prima, le proprie coscienze, le proprie responsabilità e le proprie aspettative.

Tuttavia, non basta la mera conoscenza delle cose, occorre passare ad analizzare le cause per rimuoverle ed agire per prevenire gli effetti. Occorre creare la consapevolezza per passare all’azione attraverso un salto di qualità in termini di responsabilità e di impegno nella famiglia, nella scuola, nei comportamenti dei singoli, oltre che nella politica, per costruire una società più sicura, più giusta, realmente libera e capace di progredire sulla via del progresso sociale, economico e civile, in un mondo sempre più pluralistico, multietnico e di pari dignità.

L’uomo d’oggi si chiede sovente il perché delle atrocità di una sì descritta criminalità e di tanta confusione di valori e non sa darsi una risposta, come non sa andare oltre il suo dubbio di quale eredità sarà lasciata alle future generazioni.

Un saggio detto di pastori nomadi kenyoti recita: “La terra non ci è stata regalata dai nostri padri, ci è stata prestata dai nostri figli”. Pertanto, se riuscissimo a tradurre in pratica questa verità e a comportarci di conseguenza nel rispetto degli altri e dell’ambiente che ci ospita, potremmo dare un senso diverso non solo al concetto di sicurezza globale e alla nostra stessa vita, ma soprattutto restituire ai nostri figli la terra che ci è stata data in prestito.