La Giurisprudenza Penale Militare in tempo di pace

Lucio Molinari

L’idea Quando si affronta il tema della giurisdizione penale militare in tempo di pace, viene immediatamente in rilievo il contrasto tra i cultori della specialità, che sostengono la necessità della esistenza, anche in tempo di pace, di speciali organi di giustizia militare, i Tribunali militari, ed i seguaci della ordinarizzazione, o dell’unità della giurisdizione in senso stretto, per i quali non è indispensabile, in tempo di pace, che il diritto penale militare venga applicato da appositi organi di giustizia.

Se è facile, infatti, immaginare, sulla scorta in verità più della esperienza storica che della indefettibilità giuridica, la necessità in tempo di guerra(1) di una giustizia militare, intendendo per tale il complesso normativo, sostanziale e processuale, di natura penale militare, e gli organi che questo complesso normativo sono chiamati ad applicare, più difficile risulta rintracciare le motivazioni e le argomentazioni che giustifichino la stessa esistenza di norme ed organi particolari in tempo di pace.
Non può, invero, negarsi che lo stato di guerra, e la formulazione dell’articolo 103 della Costituzione ne costituisce specchio fedele, determina sul piano generale una più penetrante tutela dello stato - collettività rispetto a quella relativa ai diritti individuali, in un certo senso operando una sorta di compressione di questi ultimi a vantaggio della difesa dei diritti di carattere generale, ed anche della salvaguardia delle istituzioni statuali esistenti. Ciò risulta evidente dalla articolazione della prima parte del codice penale militare di guerra nella quale viene privilegiata una sorta di tutela anticipata dello Stato realizzata attraverso tutta una serie di reati di pericolo che, in quanto tali, puniscono in via preventiva non un fatto avvenuto, ma il semplice pericolo che quel fatto avvenga.

In guerra, dunque, può ravvisarsi la necessità, o quantomeno la cogente opportunità, della sussistenza di norme di diritto sostanziale differenti da quelle normalmente in vigore, nonché di organi di natura speciale e comunque diversi da quelli ordinari, soprattutto perché chiamati ad applicare quelle norme particolari o addirittura eccezionale(2) con codici di rito a loro volta tutt’affatto diversi, poiché la stessa esistenza dello Stato, la quale evidentemente costituisce un prius rispetto a tutto il restante ordinamento, viene posta in discussione. Analoga argomentazione invece, non può essere posta a fondamento della permanenza in attività di tali organi quando sia venuta meno quella situazione, appunto per il cessare del pericolo per la esistenza dello Stato costituito di per sé dalle condizioni belliche, tanto più che quella normativa, come abbiamo appena detto speciale o addirittura eccezionale, cessa di esplicare la sua efficacia con il venir meno dello stato di guerra.

Di questa contrapposizione, del resto, reca le tracce, come si è già notato, la formulazione dell’articolo 103 della Costituzione il quale in tema di giurisdizioni speciali, dopo aver previsto la competenza del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, all’ultimo comma recita che i “Tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate”.

Tale formulazione manifesta all’evidenza il compromesso raggiunto tra le due correnti di pensiero che si confrontarono nell’assemblea costituente, l’una diretta alla completa abolizione, in tempo di pace, dei Tribunali militari, l’altra tendente a conservare, anche al di fuori di operazioni belliche, una completa sottoposizione dei militari alla competenza degli organi giudiziari militari per qualunque tipo di reato.

Il compromesso normativo che - in virtù del modo e dell’epoca, immediatamente successiva alla conclusione di un terribile conflitto mondiale, in cui venne realizzato - potrebbe essere definito equilibrato e per certi versi addirittura moderno, non superava del tutto, in realtà, il vecchio concetto di “foro privilegiato” in virtù del quale i Tribunali militari sottraevano i loro imputati, per ogni tipo di reato, alla competenza degli organi di giustizia ordinaria, venendo così effettivamente a costituire un ingiustificato privilegio di una categoria di cittadini rispetto a tutte le altre, né quello di organo di giustizia prevalentemente, se non addirittura esclusivamente, disciplinare, gestito dai vertici delle istituzioni militari, per cui la giustizia militare era definita giustizia di capi.

Percorrendo, infatti, la scala che scende dalla fonte primaria, la Carta Costituzionale, a quella di grado immediatamente inferiore, la legge ordinaria, non può negarsi che permanessero, nella codificazione penale militare in vigore, risalente al 1941 e quindi anteriore alla stessa Costituzione, forti elementi di assoluta specialità rispetto al codice di procedura penale comune quali ad esempio la presidenza e la composizione degli stessi organi giudicanti(3), la possibilità della difesa d’ufficio da parte di ufficiali delle Forze Armate(4), l’impossibilità del giudizio contumaciale per i reati cosiddetti " di assenza dal servizio"(5) la facoltà di emettere provvedimenti restrittivi della libertà personale per qualunque tipo di reato(6), ed altre.

Nello stesso tempo, tuttavia, si deve riconoscere che il collegamento operato dal legislatore costituzionale tra giurisdizione dei Tribunali militari e reato militare, inteso quale limite della giurisdizione stessa, comunque riferito al concetto di disciplina e di servizio, poneva le premesse per il superamento dell’assoluta separatezza, e diversità sostanziale e di procedura, degli organi di giustizia militare da quelli ordinari, posto che sarebbe difficilmente comprensibile la sottoposizione di un soggetto, a seconda della natura, militare o comune, della stessa fattispecie criminosa, all’uno o all’altro tribunale ma con l’applicazione di regole procedurali diverse.

Ad ogni modo il sistema delineato dall’art. 103 della Costituzione, prescindendo da ogni valutazione politico-ideologica, aveva una sua razionalità sistemica, fondata sulla stessa complementarità della normativa penale militare rispetto a quella comune, comportando, in virtù degli allora vigenti articoli 21 e 264 del codice penale militare di pace, la sottoposizione dell’appartenente alle Forze Armate alla giurisdizione del Tribunale militare per ogni reato, anche se non compreso nello stesso codice penale militare, commesso in danno di altro militare, dell’amministrazione militare o del servizio in genere. Il principio di complementarità della codificazione penale militare rispetto a quella comune importava, infatti, che in esso venissero compresi solo le fattispecie criminose, o più in generale gli istituti giuridici, in qualche modo diversi da quelli analoghi del codice penale comune, operando, per tutto ciò che non presentasse autonomi connotati distintivi, un generale richiamo delle norme contenute nell’altro codice penale.

I Tribunali militari, di conseguenza, esercitavano la loro giurisdizione non solo in ordine alle norme incriminatrici contenute nella parte speciale del codice, ma per qualunque reato commesso, per motivi comunque collegati al servizio, da appartenenti alle Forze Armate. Ciò rendeva il sistema certamente discutibile, ma tuttavia completo e non privo di una sua logica interna, ponendosi verso i militari, pur in assenza di una analoga riserva costituzionale, quasi sullo stesso piano della giurisdizione esclusiva nei confronti dei minorenni.

Può, in definitiva, sostenersi che la formulazione recepita nella norma costituzionale, pur avendo, in tempo di pace, limitato la giurisdizione dei Tribunali militari ai soli reati militari, vale a dire ai reati collegabili a ragioni di servizio e non private, commessi dagli appartenenti alle Forze Armate, aveva comunque dato luogo ad un sistema completo e non disarmonico né illogico. Questa situazione si protrasse fino al 1956, più precisamente fino all’entrata in vigore della legge 21.03.1956, allorché il legislatore, in seguito ad una vicenda giudiziaria che aveva suscitato particolare clamore, il caso Renzi - Aristarco(7), ritenne di dovere abolire o riformulare i previgenti articoli 21 e 264 del codice penale militare di pace che attribuivano appunto ai Tribunali militari la cognizione di tutti i reati perseguibili d’ufficio, previsti dalla legge penale comune, commessi da militari nei confronti di altri militari, o dell’amministrazione militare, per ragioni comunque collegate al servizio. In proposito potrebbe forse notarsi che il risultato ottenuto con la citata legge sia andato al di là delle stesse intenzioni, se è vero che l’intervento aveva lo scopo di limitare la competenza degli organi giudiziari militari ai soli militari in senso stretto, escludendone gli appartenenti alle Forze Armate, vale a dire coloro che, pur essendo stati validamente arruolati e non essendo stati posti in congedo assoluto, non fossero in attualità di servizio, posizione nella quale si trovavano i protagonisti della vicenda che originò la novella del 1956.

Sta di fatto, però, che la modifica legislativa, probabilmente per non prestare il fianco a rilievi di costituzionalità, non tenendo in alcun conto la complementarità cui era ispirata la formulazione del codice penale militare, escluse per tutti, appartenenti alle Forze Armate e militari in servizio, la generale sottoposizione, alle condizioni indicate nel previgente articolo 264, alla giurisdizione dei Tribunali militari, limitandola alle sole fattispecie criminose che, per essere in qualche modo diverse da quelle comuni, erano state previste dalla legislazione penale militare.

Ciò da un lato non modificò in alcun modo l’aspetto più discutibile del sistema giudiziario militare, vale a dire la particolare composizione degli organi giudicanti, di merito e di legittimità, nonché l’applicazione di regole processuali, alcune delle quali sono state in precedenza ricordate, singolarmente diverse da quelle ordinarie e che per la loro diversità rendevano gli uffici giudiziari militari davvero speciali, dall’altro lo rese assolutamente disarmonico ed irrazionale, comportando la sottoposizione del militare alla giurisdizione ordinaria od a quella militare senza nessun criterio oggettivo, non la particolare gravità del reato, come è per la Corte d’Assise rispetto al giudice monocratico ed a quello collegiale, non la speciale salvaguardia della personalità del reo, come è per il Tribunale per i minori rispetto al Tribunale ordinario, ma semplicemente in virtù della circostanza che il legislatore del 1941, il quale però come abbiamo visto si muoveva nella ben diversa ottica della complementarità, avesse o meno inserito quella fattispecie criminosa nel codice penale militare.

A ben riflettere si potrebbe anzi affermare che, in assenza di modifiche ordinamentali e procedurali, la legge del 1956, determinando una competenza ancora più ristretta dei Tribunali militari in quanto limitata ad ipotesi criminose sempre diverse da quelle comuni, avesse addirittura accresciuto la specialità di questi organi giudiziari i quali, dal 1956 al 1981(8), si sono trovati ad applicare norme sostanziali e processuali diverse da quelle ordinarie.

In questa situazione appariva inevitabile subire il disinteresse del legislatore il quale si innestava su una diffusa, e generalmente condivisa, diffidenza verso le giurisdizioni speciali che, del resto, venivano via via abolite(9). Solo nel 1981, con la citata legge 7 maggio n.180 e con quella successiva del 30 Dicembre 1988 n.561 istitutiva dell’organo di autogoverno si realizzava, almeno sul piano ordinamentale, ed in parte su quello processuale, una radicale revisione degli organi di giustizia militare i quali, pur continuando ad essere amministrativamente incardinati nel Ministero della Difesa(10), venivano in sostanza delineati come Tribunali dello Stato e modellati sulla scorta degli analoghi uffici ordinari, perdendo così definitivamente quelle caratteristiche di organi interni e di giurisdizione domestica da cui erano stati fino ad allora indubbiamente connotati. Il processo di omogeneizzazione veniva poi completato con l’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1989(11), che era integralmente recepito dall’ordinamento giudiziario militare così determinando non solo il venir meno di ogni residua differenza di ordine procedurale, fatta salva la composizione degli organi giudicanti così come delineati dalla legge di riforma che pure aveva istituito la presidenza tecnica e la composizione a maggioranza togata, ma anche il ribaltamento della situazione prevista dal legislatore costituente il quale aveva delineato una cornice istituzionale in cui organi assolutamente “speciali” erano chiamati ad applicare, con un codice di rito altrettanto “speciale”, prevalentemente norme di diritto penale sostanziale comune, posto che il risultato della accennata evoluzione legislativa vedeva organi praticamente “ordinari” far ricorso al codice di procedura “ordinario”, per applicare solo poche norme di diritto penale sostanziale “speciale”.

È, dunque, in questa situazione, di cui appariva necessario chiarire l’evoluzione storico-giuridica, che deve essere oggi inserito l’interrogativo relativo alla permanenza, in tempo di pace, nell’ordinamento giuridico italiano dei Tribunali militari.
Si deve in proposito notare che alcuni paesi sono assolutamente privi di una giurisdizione penale militare(12), altri hanno un ordinamento di tipo misto, vale a dire in parte civile ed in parte militare(13), altri ancora ricorrono in maniera prevalente al criterio di un giudice specializzato nell’ambito della giurisdizionale ordinaria(14), mentre un ultimo gruppo di nazioni prevede, sia pure con le caratteristiche proprie di ciascun ordinamento, una vera e propria giurisdizione militare(15).

Risulta, quindi, evidente, anche per la varietà delle soluzioni adottate nei diversi paesi, oltre che per un argomento per così dire ontologico, che la risposta al quesito sull’esistenza, in tempo di pace, dei Tribunali Militari, è di natura, competenza e responsabilità squisitamente politica, e può atteggiarsi secondo diverse ed articolate modalità realizzative con un ampio ventaglio di possibilità, fino a giungere alla completa negazione della loro esistenza.

Altrettanto evidente è che, proprio per la natura politica di tale decisione, la mera constatazione dell’esistenza di una risposta non necessitata, in un senso o nell’altro, non esaurisce la questione, essendo inevitabile valutare, anche sul piano dell’opportunità o della convenienza, la permanenza del nostro ordinamento giuridico di organi giudiziari non ordinari.

Ed è a questo punto che nasce, come si è in precedenza detto, il contrasto tra i cultori della specialità e quelli della ordinarizzazione, contrasto che, per l’esistenza di valide ragioni, storiche e giuridiche, a sostegno dell’uno e dell’altra tesi, appare difficilmente dirimibile.

Ci sembra, però, di poter sommessamente osservare che, in questi termini, la questione appare in realtà mal posta e non suscettibile di una risoluzione esaustiva, neppure sul solo piano dell’opportunità, poiché partire dall’organo chiamato a gestire la normativa in materia penale militare la quale tante volte, per effetto ad esempio dell’istituto della connessione, viene applicata, anche nei confronti dei militari, dal giudice ordinario, porta a confondere l’effetto con la causa del problema.

Non può, infatti, dubitarsi che intanto si pone la questione relativa alla sussistenza, in tempo di pace, dei Tribunali militari, in quanto siano vigenti nel nostro ordinamento, appunto in tempo di pace, norme penali sostanziali le quali, essendo rivolte quasi esclusivamente ai soli militari e non alla generalità dei cittadini, vengono definite diritto penale militare.

Non si comprenderebbe in nessun modo, invero, la ragionevolezza di una tale scelta, che assumerebbe allora davvero le caratteristiche di un privilegio castale, in assenza di una normativa speciale da applicare.

Orbene, se questa riflessione ha un fondamento di verità, se ne ricava, inevitabilmente, che la discussione sulla opportunità di organi giudiziari speciali, o forse nell’ottica sopra richiamata sarebbe meglio parlare di organi giudiziari specializzati, chiarendo ancora una volta che ci si muove sul piano della pura e semplice convenienza e non su quello della indefettibilità giuridica, deve partire dal diritto sostanziale, vale a dire da una valutazione relativa alla opportunità della sussistenza nell’ambito del nostro complesso normativo di regole penali “speciali”, diverse cioè da quelle comuni, indirizzata a quella particolare categoria di cittadini che sono i militari.

In quest’ottica, tra l’altro, è possibile ottenere riscontri fattuali sia di natura strettamente politica, sia più propriamente tecnico - giuridici.
Tutte le volte, infatti, in cui il legislatore dei giorni nostri si è occupato ex professo dell’argomento, ad esempio in occasione della smilitarizzazione della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria, ha sempre introdotto alcune norme penali (vedi gli articoli 72, 73, 74, 75, 76, 77 e 78, della legge 1° Aprile 1981 n. 101), dirette a punire, con la più grave delle sanzioni previste dall’ordinamento - quella penale - comportamenti non previsti dalla legge come reato se posti in essere da semplici cittadini. Ciò vuol dire che verso gli appartenenti a corpi militarmente ordinati, ed a maggior ragione, si potrebbe sostenere, nei confronti degli appartenenti alle Forze Armate, il legislatore contemporaneo ha ritenuto di dover assumere delle cautele, e di dover imporre conseguentemente dei limiti, addirittura di natura penale, sconosciuti ai normali cittadini, probabilmente a bilanciamento dei particolari poteri conferiti a tali soggetti, così confermando l’opportunità della esistenza di norme particolari e diverse che realizzino un controllo sociale più penetrante e vigile.

Alla stessa conclusione si perviene, del resto, se si pone attenzione alle numerose decisioni, in tema di diritto penale militare, della Corte Costituzionale la quale, più volte sollecitata ad intervenire dagli organi giudiziari militari, ha cancellato alcune norme in contrasto con i principi costituzionali, confermando però la validità di altre, così che, anche sul piano della ragionevolezza giuridica e della conformità alla legge primaria, non può escludersi il diritto di cittadinanza nell’ordinamento giuridico statuale di una legge penale militare con caratteristiche di specialità rispetto a quella comune.

Si viene così a rovesciare, almeno sul piano del diritto sostanziale, il concetto di foro privilegiato di cui abbiamo sopra detto, nel senso che l’appartenenza a particolari organizzazioni, con le facoltà che ne derivano (basti pensare alla possibilità di uso delle armi), giustifica la sottoposizione ad un regime di sanzioni penali più severo di quello previsto per i cittadini comuni.

Se, dunque, alla luce di queste considerazioni, si può concludere che risulta confermata l’esigenza di un diritto sostanziale speciale, non appare irrazionale nè illogica, e quindi potrebbe essere ritenuta opportuna, l’applicazione di tale normativa da parte di un giudice speciale o specializzato, se non altro per ovvie ragioni di celerità del giudizio nei confronti di soggetti quasi sempre legati all’amministrazione pubblica da un rapporto di impiego, e, a causa del loro status particolare, già “penalizzati” rispetto agli altri membri della comunità.

Questa soluzione da un lato si inserirebbe nel solco di una esigenza di competenza specifica, o di specializzazione, sempre più avvertita anche nel nostro ordinamento, oltre che concretamente applicata, in tema di giudici militari, dalla Francia, vale a dire dalla nazione a noi più vicina per cultura e tradizione giuridica; dall’altro non contrasterebbe con il condividibile principio di unità della giurisdizione il quale non sottintende l’unicità del giudice quanto piuttosto l’uniformità delle regole, nel nostro caso l’applicazione dello stesso codice di rito, la sottoposizione di tutti i giudizi dì merito alla funzione nomofilattica di un unico giudice di legittimità, la possibilità di sottoporre qualsiasi norma, procedurale o sostanziale, al vaglio del giudice delle leggi, la posizione, sul piano ordinamentale, di indipendenza e di terzietà del giudice.
Ed è appena il caso di notare come l’attività legislativa di questi ultimi anni ha fatto si che gli attuali Tribunali militari rispondano già ai principi funzionali appena indicati, tanto che si è parlato di una loro costituzionalizzazione e di una specialità evolutasi in specializzazione.

Sia consentito, infine, un fugacissimo accenno, incidentale ma rilevante per la valutazione di opportunità circa il mantenimento in tempo di pace, di organi giudiziari militari, alla situazione internazionale, ed in particolare ai conflitti locali tra Stati o all’interno di singole entità statuali, con le conseguenti assunzioni di responsabilità da parte del nostro paese che sempre più spesso si concretizzano nell’invio di militari italiani all’interno di cooperazioni decise dagli organismi internazionali di rappresentanza.

Orbene, in questi casi, che negli ultimi tempi sono divenuti piuttosto numerosi, sembrerebbe opportuno un intervento legislativo volto sia ad eliminare le difficoltà derivanti dalla mancata applicazione dell’articolo 9 del codice penale militare di guerra(16), secondo il quale ai corpi di spedizione all’estero per operazioni militari sarebbe appunto applicabile il codice penale militare di guerra, e la conseguente inapplicabilità delle norme relative al cosiddetto diritto umanitario contenuto nel libro III°, titolo IV° dello stesso codice, sia a prevedere, unitamente alle altre nazioni cui appartengono i militari impiegati, organi giudiziari per la risoluzione delle questioni di natura penale che a qualsiasi titolo dovessero interessare tanto i contingenti di diversa nazionalità, quanto la stessa attività in terra straniera, anche nei confronti delle popolazioni locali, delle nostre truppe che, come dimostrano le dolorose vicende di questi giorni, possono talvolta dare luogo ad eventi difficilmente sussumibili nelle fattispecie criminose previste dal codice penale comune.


(*) - Presidente del Tribunale Militare di Napoli.
(1) - Tempo di guerra è il dato di fatto che identifica il periodo tra l’inizio e la fine della ostilità; stato di guerra è la situazione giuridica che deriva dalla dichiarazione di guerra, deliberata dalle Camere e decretata dal Presidente della Repubblica (art .87 Cost.).
(2) - Tra le fonti del diritto penale militare vi sono i bandi previsti dall’art. 17 del codice penale militare di guerra. “Il Comandante supremo ha il potere di emanare bandi in materia attinente alla legge e alla procedura penale militare di guerra ...”.
(3) - Artt. 8 e ss. R.D. 9 Settembre 1941 n.1022.
(4) - Artt. 53 e ss. R.D. 9 Settembre 1941 n.1022.
(5) - Artt. 375 e 377 codice penale militare di pace.
(6) - Artt. 313 e 314 codice penale militare di pace.
(7) - Nel 1956 il Procuratore militare della Repubblica di Milano emise ordine di cattura, per il reato di vilipendio delle Forze armate (art. 87 c.p.m.p.), nei confronti dei giornalisti Renzi ed Aristarco autori di un’opera, “L’armata s’agapò”, nella quale si criticava il comportamento del corpo di spedizione italiano in Grecia durante la seconda guerra mondiale.
(8) - Con la legge 7.5.1981 n.180 venivano profondamente riformati i Tribunali Militari, attraverso l’istituzione della presidenza tecnica, la creazione della Corte Militare d’Appello, l’abolizione del Tribunale Supremo Militare.
(9) - Ad esempio la giurisdizione del Ministero della Marina Mercantile in materia di indennità di requisizioni delle navi, quelle delle Giunte Provinciali amministrative e delle Capitanerie di Porto.
(10) - La conseguente macchinosità di rapporti, sia consentito incidentalmente notare, sarebbe in verità facilmente superabile con l’istituzione di un ufficio per la giustizia militare e con il conferimento al Consiglio della magistratura militare, come avviene per gli altri organi di autogoverno, della indispensabile autonomia finanziaria.
(11) - D.P.R. 22 Settembre 1988 n. 447.
(12) - Germania, Austria, Giappone, Repubblica Ceca.
(13) - Ungheria, Bulgaria, Olanda, Norvegia e Lettonia.
(14) - Francia.
(15) - USA, Canada, Inghilterra, Russia, Danimarca, Polonia, Portogallo, Spagna, Romania, Svizzera.
(16) - Art. 9 c.m.p.g. “sono soggetti alla legge penale militare di guerra, ancorché in tempo di pace, i corpi di spedizione all’estero per operazioni militari ...”.