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Garante della Privacy

Forze armate - Quali informazioni nei “documenti caratteristici” del personale militare - Decisione del 24 aprile 2001.


Il garante per la protezione dei dati personali:

nella riunione odierna, in presenza del prof. Stefano Rodotà, presidente, del prof. Giuseppe Santaniello, vice-presidente, del prof. Gaetano Rasi e del dott. Mauro Paissan, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

vista la richiesta di parere del Ministero della difesa in ordine allo schema di d.P.R. relativo alla documentazione caratteristica del personale appartenente all’Esercito, alla Marina e all’Aeronautica;
viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000 adottato con deliberazione n. 15 del 28 giugno 2000 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 162 del 13 luglio 2000;
Relatore il prof. Giuseppe Santaniello;

OSSERVA:

1. Il Ministero della Difesa ha trasmesso per il parere uno schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il “Regolamento riguardante la redazione della documentazione caratteristica del personale appartenente all’Esercito, alla Marina e all’Aeronautica”.

Il regolamento sostituirà il d.P.R. 15 giugno 1965, n. 1431 per porre rimedio alle carenze e agli inconvenienti dell’attuale disciplina evidenziati nella relazione illustrativa allo schema.

Il presente parere è espresso per quanto di competenza del Garante ovvero per i profili attinenti al trattamento dei dati personali.
Pertinenza e non eccedenza dei dati.

I modelli dei “documenti caratteristici” annessi allo schema di regolamento prevedono la redazione di vari giudizi ed informazioni sui militari interessati, in termini più ampi rispetto a quelli relativi al personale civile della pubblica amministrazione.
Diversi giudizi riportati nei modelli sono tipizzati secondo una precisa casistica, e solo alcune informazioni sembrano poter assumere natura sensibile (in quanto ad esempio idonee a rivelare lo stato di salute delle persone).

Si delinea comunque una raccolta consistente di delicate informazioni sulla personalità degli interessati.

Il Garante ritiene quindi di segnalare al Ministero della difesa l’esigenza di valutare con particolare attenzione l’effettiva necessità di raccogliere tutte le informazioni e i giudizi attualmente previsti negli allegati, in rapporto alla finalità perseguite con la redazione dei documenti caratteristici.

La legge n. 675/1996 ha introdotto il principio della pertinenza e non eccedenza dei dati personali trattati, che comporta una scrupolosa verifica dell’adeguatezza dei dati agli scopi del trattamento (art. 9, comma 1, lett. d)), che nel caso di specie riguardano la valutazione delle attitudini professionali degli interessati.

Il medesimo principio presuppone poi verifiche più rigorose in caso di dati sensibili (art. 3 d.lg. n. 135/1999).
Il Ministero deve quindi inquadrare la problematica e il contenuto di modelli dei documenti caratteristici garantendo il rispetto del principio di proporzionalità in relazione alle peculiari figure professionali interessate.

Va inoltre segnalata l’esigenza di introdurre il principio poc’anzi richiamato nell’art. 4 dello schema o in altra disposizione di carattere generale, quale criterio-guida per redigere i giudizi più articolati previsti nei modelli che non si esauriscono nel contrassegnare l’una o l’altra casella.

Informativa agli interessati

L’introduzione dei nuovi documenti caratteristici rende necessario informare gli interessati delle finalità e delle modalità del trattamento dei dati, quantomeno nel momento in cui gli interessati conferiscono i dati e le informazioni utilizzati per i giudizi (art. 10, comma 1, legge n. 675/1996). Tale aspetto deve trovare anche espressa menzione nel regolamento.

Diritto di accesso ai dati personali

Oltre al diritto di accesso al “documento caratteristico” quale documento amministrativo, nei limiti previsti dalla legge n. 241/1990, l’interessato ha diritto di accedere ai dati personali che lo riguardano ai sensi dell’art. 13 della legge n. 675/1996, in quanto le informazioni e i giudizi contenuti nel documento hanno natura di dato personale sebbene siano composti da diverse valutazioni di ordine soggettivo.

Si ritiene quindi necessario precisare in tal senso l’art. 8, comma 1, dello schema in tema di accesso alla documentazione caratteristica.

Comunicazione a terzi dei documenti caratteristici

L’art. 8, comma 2, riguarda l’obbligo di fornire copia dei documenti caratteristici all’autorità giudiziaria, al Consiglio di stato o alla Corte dei conti. Il secondo periodo del comma, che prevede la facoltà di fornire l’originale del documento in casi particolari, va perfezionato per evitare che il Ministero debba procedere comunque ad una valutazione di merito e ad una motivazione specifica anche quando l’autorità giudiziaria abbia ordinato l’acquisizione dell’originale.

é poi necessario, attraverso una più precisa definizione, delimitare l’art. 8, comma 3, che riconosce al Ministero ampia discrezionalità nel rilasciare copia dei documenti caratteristici per “motivi di interesse pubblico”, fuori dei casi di accesso ai documenti amministrativi e di acquisizione da parte degli organi poc’anzi citati. Tale situazione giuridica configura infatti una deroga al segreto d’ufficio che va peraltro collegata espressamente alla disciplina introdotta dall’art. 27, comma 2, della legge n. 675/1996, in materia di comunicazione di dati personali tra soggetti pubblici.

Analoga modifica appare necessaria per l’art. 8, comma 4, che deve menzionare, almeno per grandi linee, le finalità che giustificano la visione dei documenti caratteristici da parte delle autorità centrali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, nonché dei superiori dell’interessato nella stessa linea ordinativa.

Modalità di conservazione dei documenti

L’espressione secondo cui i documenti sono custoditi “con cura e riservatezza” (art. 12, comma 4), presente anche nel vigente regolamento, va integrata con un riferimento alle vigenti disposizioni in materia di sicurezza dei dati e di utilizzazione dei dati sensibili (artt. 15 legge n. 675/1996; d.P.R. n. 318/1999; artt. 3 e 4 d.lg. n. 135/1999).

Tutto ciò premesso il garante:
- esprime il parere richiesto nei termini di cui in motivazione.


Procedimento relativo ai ricorsi - Chiarimenti forniti in un procedimento disciplinare e mancato esercizio dei diritti dell’interessato - Decisione del 4 giugno 2001.

Il garante per la protezione dei dati personali:

nella riunione odierna, con la partecipazione del prof. Stefano Rodotà, presidente, del prof. Giuseppe Santaniello, vice presidente, del prof. Gaetano Rasi e del dott. Mauro Paissan, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

Esaminato il ricorso presentato dal sig. XY;
vista la documentazione in atti;
visti gli articoli 13 e 29 della legge 31 dicembre 1996, n. 675 e gli articoli 18, 19 e 20 del d.P.R. 31 marzo 1998, n. 501;
viste le osservazioni dell’Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000 adottato con deliberazione n. 15 del 28 giugno 2000;
Relatore il Dr. Mauro Paissan;
Premesso:

L’interessato, maresciallo ordinario della Guardia di Finanza in servizio presso il Comando Compagnia di XZ, lamenta un trattamento illegittimo dei propri dati personali da parte del Comandante del reparto di appartenenza.

Il ricorrente precisa di aver presentato al predetto Comando, a seguito dell’assenza per malattia per alcuni giorni, due certificati medici, rilasciati dal medico curante senza l’indicazione della diagnosi. L’interessato è stato poi destinatario di una sanzione disciplinare non avendo ottemperato alle varie richieste con le quali gli era stato chiesto di dichiarare o documentare la diagnosi. Il ricorrente ha quindi chiesto al Garante ai sensi dell’art. 29 della legge n. 675 del 31 dicembre 1996 di intervenire ai fini dell’annullamento della sanzione disciplinare accertando anche eventuali responsabilità di carattere penale.

All’atto, poi, della regolarizzazione del ricorso il ricorrente ha evidenziato di volersi altresì opporre al modo in cui i suoi dati sensibili sono stati trattati, con particolare riferimento alla richiesta di comunicare la diagnosi per telefono ad appartenenti al Corpo non designati quali incaricati del trattamento. Ha inoltre ribadito la propria opposizione al provvedimento disciplinare e, in relazione alla richiesta dell’Ufficio, ha indicato nell’allegato n. 6 al ricorso il documento che ritiene utile quale istanza di cui all’art. 13 della legge n. 675/1996.

A seguito dell’invito a fornire un riscontro formulato dall’Ufficio, il Comando Compagnia di XZ ha rilevato che il documento considerato dal ricorrente come richiesta ai sensi dell’art. 13 rappresenta, in realtà, la risposta fornita dall’interessato alle contestazioni rivolte nel procedimento disciplinare. Il ricorso sarebbe quindi inammissibile in quanto tale atto non potrebbe essere considerato “quale specifica richiesta ai sensi dell’art. 13 della legge n. 675/1996". Inoltre, la richiesta del ricorrente volta ad ottenere l’annullamento della sanzione disciplinare non rientra nelle fattispecie di cui agli articoli 13 e 29 della citata legge. Il Comando ha specificato infine che l’indicazione della diagnosi nel certificato medico risulterebbe indispensabile per valutare lo stato di salute dell’interessato in rapporto alla detenzione dell’arma di ordinanza. Tale orientamento sarebbe confermato da specifiche normative (l n. 599/94) e da circolari il cui rispetto rappresenterebbe “per un militare un ordine la cui inosservanza produce serie conseguenze”, e risulterebbe conforme anche ai principi espressi nel decreto legislativo n. 135/1999.

Nell’audizione 23 maggio u.s., l’interessato ha formulato riserve in ordine alle modalità di applicazione della citata normativa, la quale non autorizzerebbe il Comando Compagnia di XZ a conoscere le diagnosi contenute nei certificati medici, bensì, semmai, il solo Comando regionale. L’interessato ha evidenziato inoltre che i militari che hanno richiesto la comunicazione della diagnosi per telefono, non risultavano all’epoca incaricati del trattamento, ed ha presentato a tal fine copia della delibera d’incarico del 17 maggio u.s.

Ciò premesso, Il Garante osserva:

Il ricorso è inammissibile per mancanza di una richiesta di esercizio dei diritti di cui all’art. 13 della legge n. 675. Come ribadito dal Garante in diverse decisioni (v. ad es. il provvedimento dell’8 maggio 2001 pubblicato nel sito del Garante www.garanteprivacy.it), in sede di ricorso ai sensi dell’art. 29 possono essere fatte valere solo le posizioni giuridiche espressamente previste dall’art. 13 della medesima legge e rispetto alle quali sia stata già avanzata ritualmente una previa istanza al titolare o al responsabile del trattamento.

Nel caso di specie, a seguito della richiesta di regolarizzazione, il ricorrente ha indicato come istanza ai sensi dell’art. 13 solo un documento inserito negli allegati al ricorso (all. n. 6). Tale nota, come rappresentato dal titolare del trattamento e confermato dallo stesso ricorrente, contiene però solo una risposta del militare ad una richiesta di chiarimenti nell’ambito del procedimento disciplinare che non può essere considerata alla stregua di un atto di esercizio di taluna delle posizioni giuridiche tutelate dall’art. 13 della legge n. 675/1996.

La presenza di questa causa di inammissibilità rende superfluo esaminare altri motivi di inammissibilità del ricorso, quale quello relativo alla sostanziale richiesta di annullare la sanzione disciplinare, annullamento che non rientra tra le competenze del Garante.

Il Garante ritiene però necessario verificare d’ufficio nell’ambito di un distinto procedimento, per il quale verrà nuovamente interessato anche il Comando generale della Guardia di Finanza, la liceità e la correttezza della richiesta di documentare la diagnosi anche per brevi assenze o indisponibilità non rilevanti ai fini della valutazione della dipendenza di una infermità da causa di servizio o del ritiro di un’arma in dotazione.

Dalla documentazione acquisita nel corso del procedimento non sono emersi infine indizi di reità che impongono una denuncia di reato da parte di questa Autorità.

Per questi motivi il garante:

- dichiara inammissibile il ricorso nei termini di cui in motivazione.


Procedimento penale - Utilizzabilità di intercettazioni telefoniche a fini disciplinari - Decisione del 27 giugno 2001.

Il garante per la protezione dei dati personali:

in data odierna, in presenza del prof. Stefano Rodotà, presidente, del prof. Giuseppe Santaniello, vice presidente, del prof. Gaetano Rasi e del dottor Mauro Paissan, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

esaminato il ricorso presentato dal Sig. XY;
nei confronti del Ministero dell’Interno, Dipartimento della pubblica sicurezza;
vista la documentazione in atti;
viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000 adottato con deliberazione n. 15 del 28 giugno 2000 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 162 del 13 luglio 2000;
Relatore il dottor Mauro Paissan;

PREMESSO:

Il ricorrente, attualmente vice questore aggiunto della Polizia di Stato, lamenta che il Dipartimento di pubblica sicurezza avrebbe acquisito e trattato dati personali in violazione delle disposizioni della legge n. 675. In particolare il Dipartimento avrebbe acquisito e utilizzerebbe, nell’ambito di un procedimento disciplinare in corso, copia dei verbali di riascolto e le trascrizioni delle conversazioni telefoniche effettuate sulle utenze telefoniche del ricorrente nel corso di un procedimento penale a carico di questi, conclusosi con un decreto di archiviazione da parte del competente giudice per le indagini preliminari.

A giudizio dell’interessato, i verbali contenenti i risultati delle citate intercettazioni telefoniche, ai sensi dell’art. 270, comma 1, del c.p.p., non potrebbero essere utilizzati nel procedimento disciplinare ancora in corso. Inoltre, l’utilizzo dei dati personali predetti sarebbe stato autorizzato dal Procuratore della Repubblica di Trapani “in apparente violazione dell’art. 27, comma 2, della legge n. 675".

Il ricorrente ha infine segnalato che le modalità della notifica della “contestazione degli addebiti” non sarebbero state rispettose del proprio diritto alla riservatezza in quanto il funzionario istruttore non avrebbe provveduto direttamente all’incombenza ed avrebbe delegato altra persona.

Con il ricorso si chiede che il Garante disponga dapprima il blocco dei dati “in atto trattati nel procedimento disciplinare” ed ordini successivamente la loro distruzione.
All’invito ad aderire spontaneamente a tali richieste, formulato il 4 giugno 2001 ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 501/1998, il Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, ha risposto dapprima con nota in data 5 giugno e, poi, con una memoria consegnata il 16 giugno successivo, precisando che:

  • non esisterebbe alcuna preclusione normativa all’utilizzo delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche nell’ambito di un procedimento disciplinare;

  • la comunicazione degli addebiti al ricorrente, affidata ad un collega dello stesso, sarebbe stata comunque effettuata nel rispetto del principio di buona amministrazione ed economicità degli atti amministrativi.

Le posizioni del ricorrente sono state ribadite nelle due successive note di replica datate 12 e 15 giugno 2001 con le quali lo stesso ha ribadito le richieste rivolte al Garante nell’atto introduttivo.

Ciò premesso il garante osserva:

Il ricorso non è fondato.
Il trattamento di dati personali del ricorrente effettuato nel caso di specie dal Dipartimento della pubblica sicurezza nell’ambito di un procedimento disciplinare non risulta svolgersi in violazione di legge e pertanto non trova giustificazione la richiesta dell’interessato di procedere al blocco ed alla successiva distruzione dei dati.

L’invocata disposizione di cui all’art. 270, comma 1, del c.p.p., concernente l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche in determinati procedimenti penali, prevede una limitazione all’uso di tali elementi di prova solo in altri procedimenti penali disciplinati dal codice di rito. La stessa disposizione, invece, non preclude in linea generale l’utilizzazione dei medesimi risultati - se lecitamente acquisiti - in procedimenti diversi da quello penale come quello di tipo disciplinare, nel quale i dati desunti dalle intercettazioni medesime possono valere quale indice di comportamenti valutabili sul piano, appunto, disciplinare, anche se, in ipotesi, i medesimi fatti non abbiano portato al riconoscimento di una responsabilità penale. Ciò con particolare riguardo ad ipotesi, come quella in questione, nella quale il procedimento disciplinare mira a definire la compatibilità, con i compiti, le responsabilità ed il prestigio di un funzionario della Polizia di Stato, delle frequentazioni dallo stesso a vario titolo intrattenute, in particolare con persone pregiudicate, nel medesimo ambito territoriale nel quale il funzionario stesso presta servizio.

Nel caso di specie, dalla documentazione in atti, risulta poi un’espressa richiesta del questore di Trapani volta ad ottenere, per i citati fini di tipo disciplinare, la documentazione in questione. A tale richiesta ha fatto seguito, in data 20 aprile 2000, la relativa autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica di Trapani.
Non hanno fondamento, quindi, le censure del ricorrente riferite, appunto, a tale comunicazione di dati personali da parte dell’autorità giudiziaria, ritenuta essere in asserita violazione dell’art. 27, comma 2, della legge, considerato anche il fatto che ai trattamenti svolti da parte degli uffici giudiziari si applicano solo alcune disposizioni in materia di protezione dei dati personali, specificamente enumerate nell’art. 4, comma 2, della legge n. 675/1996, tra cui non figura l’invocato art. 27.

Va infine osservato che, dalla documentazione in atti, non sono emersi, per quanto concerne le modalità di trattamento dei dati personali dell’interessato nel corso del procedimento disciplinare, altri significativi profili di violazione della normativa in materia di protezione dei dati o della disciplina di riferimento di cui al d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, concernente le sanzioni disciplinari relative al personale della Polizia di Stato.

Il Garante rileva tuttavia la necessità di approfondire, di propria iniziativa e nell’ambito di un autonomo procedimento, alcuni aspetti relativi alle modalità, osservate in termini più generali, per la preposizione degli incaricati del trattamento.

Per questi motivi il garante:

- dichiara infondato il ricorso.