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  • N.3 - Luglio-Settembre
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Giustizia Amministrativa

a cura di Fulvio Salvatori

Militare e militarizzato - Obiezione di coscienza - Servizio civile - Dispensa per minore idoneità fisica - Condizione.

Consiglio di Stato - Sez. I^ - 15 novembre 2000 - Pres. Salvatore, Est. Marra - Presidenza Consiglio dei ministri - (Ricorso straordinario).

Ai sensi dell’art. 2 comma 1 lett. c) D.L. 16 settembre 1999 n. 324, convertito dalla L. 12 novembre 1999 n. 424, l’obiettore di coscienza può essere dispensato dal prestare servizio civile a causa del minore indice di idoneità fisica riscontrato alla visita di leva solo ove sussista una eccedenza di obiettori da avviare al servizio civile rispetto alle disponibilità del relativo Fondo nazionale.


Polizia di Stato - Ispettore - Utilizzo in funzioni diverse da quelle di polizia giudiziaria - Legittimità.
Polizia di Stato - Ispettore - Utilizzo in mansioni di carattere amministrativo -Legittimità.

Consiglio di Stato - Sez. I^ - 8 novembre 2000 - Pres. Giacchetti, Est. Faberi - Ministero interno - (Ricorso straordinario).

Ai sensi dell’art. 26 D.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, come sostituito dall’art. 3 D.L.vo 12 maggio 1995 n. 197, l’ispettore della Polizia di Stato può essere legittimamente utilizzato per lo svolgimento di funzioni diverse da quelle di polizia giudiziaria od investigativa.
Ai sensi dell’art. 26 D.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, come sostituito dall’art. 3 D.L.vo 12 maggio 1995 n. 197, l’ispettore della Polizia di Stato legittimamente può essere utilizzato per lo svolgimento di mansioni di carattere prevalentemente amministrativo, atteso che all’ispettore spetta di sostituire il funzionario responsabile della direzione di uffici o reparti in caso di assenza o impedimento.


Polizia di Stato - Lavoratrice madre - Tutela - Art. 25 comma 1 L. n. 121 del 1981 - Portata.
Polizia di Stato - Lavoratrice madre - Rapporto informativo - Giudizio complessivo - Riferimento ad assenze per maternità - Illegittimità - Fattispecie.

Consiglio di Stato - Sez. I^ - 6 dicembre 2000 - Pres. Giacchetti, Est. Anastasi - Ministero interno - (Ricorso straordinario).

L’art. 25 comma 1 L. 1 aprile 1981 n. 121, ai sensi del quale la Polizia di Stato espleta i sevizi di istituto con personale maschile e femminile con parità di attribuzioni, di funzioni, di trattamento economico e di progressione di carriera, interpretato alla luce del principio costituzionale di tutela della maternità, vieta nel modo più assoluto all’Amministrazione di adottare comportamenti discriminatori nei confronti della lavoratrice madre.
In sede di compilazione del rapporto informativo nei confronti di una appartenente alla Polizia di Stato, il riferimento deteriore, nel contesto del giudizio complessivo, alle assenze della dipendente a causa di maternità vizia l’intero rapporto informativo evidentemente compilato sull’illegittimo presupposto che alla dipendente in maternità possa essere attribuito - per il solo fatto di trovarsi in tale condizione - un giudizio inferiore a quello altrimtenti spettante. (Nella specie, nel giudizio complessivo si affermava che la dipendente avrebbe potuto fare di più se non fosse stata assente per la maternità).

La Il parere così motiva:

L’eccezione di improcedibilità del ricorso all’esame per sopravvenuto difetto di interesse, dedotta dalla riferente Amministrazione, va disattesa.
I tratti salienti della vicenda all’esame possono così sintetizzarsi.
L’isp. P. nel rapporto informativo relativo al 1996, compilato dai superiori gerarchici, riportò punti 40 con giudizio di «buono».

È pacifico che il giudizio complessivo si concludeva con la seguente frase: «Avrebbe potuto fare di più se non fosse stata assente per la maternità».
Per il 1997, essendo stata l’interessata appunto assente dal servizio per maternità, il rapporto informativo fu compilato dalla Commissione per il personale la quale, con l’atto qui impugnato, ha riprodotto il giudizio dell’anno precedente.

Nel prosieguo (quando era già stato proposto dalla sig.ra P. il ricorso straordinario oggi all’esame) l’Amministrazione interveniva in autotutela e sostituiva i rapporti per il 1996 e 1997, formulando un nuovo giudizio complessivo.
In particolare, con provvedimento del Questore di Roma 22 dicembre 1999, veniva attribuito all’interessata per il 1996 lo stesso precedente punteggio e giudizio, con motivazione invece diversa; con provvedimento sostanzialmente riproduttivo della Commissione analogamente si disponeva per il 1997.

In tale situazione il secondo rapporto informativo relativo al 1997 è solo formalmente distinto dal primo; in realtà è un mero atto di modifica del precedente, di cui costituisce una sostanziale reiterazione emendata dal riferimento allo stato di maternità. Di conseguenza poiché l’interesse della ricorrente atteneva all’eliminazione non di tale riferimento ma al giudizio complessivo di buono con punti 40, e questo giudizio è rimasto immutato, e poiché pertanto l’Amministrazione non ha riformato l’atto in modo conforme all’istanza della ricorrente, il gravame deve intendersi proposto avverso il primo rapporto informativo così come formalmente modificato dal secondo, i quali vanno quindi entrambi esaminati in questa sede in quanto facenti parte di un contesto decisionale unitario.

Il ricorso è dunque procedibile, ed è nel merito fondato.
In premessa, è appena il caso di ricordare che l’ordinamento vigente è costantemente ispirato al principio della tutela della lavoratrice madre, espressamente predicato dall’art. 37 Cost. ed attuato a livello primario, per quanto riguarda appunto l’incidenza della maternità sul rapporto di lavoro, innanzitutto dalla L. 30 dicembre 1971 n. 1204, i cui istituti protettivi sono stati da ultimo significativamente potenziati dalla L. 8 marzo 2000 n. 53.

Tanto pregnante è il rilievo del principio che la violazione, da parte del datore di lavoro, delle norme protettive di cui alla legge n. 1204 è ivi penalmente sanzionata, mentre l’ari. 1 legge n. 903 del 1977 espressamente sancisce la regola, suscettibile di applicazione estensiva, secondo la quale il riferimento da parte del datore di lavoro allo stato di gravidanza della lavoratrice è vietato come discriminatorio.

Ne segue, in estrema sintesi, che la normativa a tutela della maternità impone al datore di lavoro - sia esso privato o pubblico - puntuali comandi in due diverse direzioni: in senso positivo, obbligo di consentire la fruizione dei benefici legali; in senso negativo, divieto assoluto di pratiche discriminatorie nei confronti della lavoratrice madre.

D’altra parte, come chiarito dal giudice delle leggi con sentenza 8 febbraio 1991 n. 61, l’esigenza di protezione cui fa riferimento l’art. 37 Cost. non si limita alla salute fisica della donna e del bambino, ma investe tutto il complesso rapporto che, nel detto periodo, si svolge tra madre e figlio; il quale rapporto deve essere protetto non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino.

«Nel contempo, il principio posto dall’art. 37 - collegato al principio di eguaglianza - impone alla legge di impedire che possano, dalla maternità e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie» per l’effetto di comportamenti datoriali «che possano turbare ingiustificatamente la condizione della donna ed alterare il suo equilibrio psicofisico, con serie ripercussioni sulla gestazione o, successivamente, sullo sviluppo del bambino» (Corte Cost. sentenza cit.).

In conclusione, precisa ancora la Corte, occorre evitare «che la maternità si traduca in concreto in un impedimento alla realizzazione dell’effettiva parità di diritti della donna lavoratrice. Ciò è in piena sintonia con lo stesso art. 37 Cost., che, letto in connessione con l’art. 3 comma 2, impone di accordare alla donna le misure speciali e più energiche di protezione necessarie a rimuovere le gravi discriminazioni che in fatto la colpiscono in relazione ai compiti connessi con la maternità e la cura dei figli e della famiglia, dal cui assolvimento peraltro trae vantaggio l’intera comunità» (Corte Cost. ivi).

Che il sistema normativo nel suo complesso e lo stesso ordinamento del settore Pubblica sicurezza (cfr. art. 25 legge n. 121 del 1981) siano definitivamente orientati in tali sensi, è sfuggito al compilatore del rapporto del 1996 e alla Commissione del personale all’atto della redazione del giudizio 1997, ma è apparso subito evidente all’Amministrazione, la quale in effetti ha commendevolmente provveduto ad eliminare l’inciso sopra trascritto, facendo così giustizia di un rilievo inopportuno e illegittimo.

Dato atto di ciò, va però osservato che la attività spiegata in lodevole autotutela non è sufficiente ad eliminare l’intrinseca illegittimità del rapporto informativo impugnato.
È infatti evidente che l’affermazione riduttiva formulata a conclusione del giudizio complessivo («Avrebbe potuto fare di più se non fosse stata assente per la maternità») non è stata - in realtà - la risultante dei punteggi parziali che la precedevano, ma la premessa logica in base alla quale detti punteggi sono stati in concreto determinati; premessa fondata sulla convinzione che alla dipendente in maternità potesse essere legittimamente attribuito - per il solo fatto del trovarsi in tale situazione - un punteggio inferiore a quello altrimenti spettante.

Di conseguenza è manifestamente viziato da eccesso di potere - sotto i profili dell’illogicità e della contraddittorietà - l’operato dell’Amministrazione che, una volta rimossa la premessa che condizionava in senso riduttivo i punteggi parziali ha malgrado ciò mantenuto fermi i punteggi stessi e - di conseguenza - il giudizio conclusivo.
Il ricorso va pertanto integralmente accolto, con conseguente annullamento del rapporto informativo del 1997 notificato il 6 novembre 1998, così come modificato dal successivo rapporto notificato l’8 febbraio 2000, i quali vanno quindi entrambi annullati.

L’Amministrazione dovrà quindi provvedere ad effettuare una nuova valutazione della ricorrente; ed in quella sede, attesa la rilevanza dei principi enunciati dalla Corte costituzionale, potrà responsabilmente esaminare l’opportunità di riformare in autotutela anche i punteggi attribuiti nel 1996, che, pur non avendo formato oggetto di impugnazione, risultano anch’essi fondati sull’erroneo presupposto che le assenze dal servizio dipendenti dallo stato di maternità potessero giustificare un punteggio ridotto.

Non sussistono invece i presupposti per la sospensione dei provvedimenti impugnati, in quanto la ricorrente non ha precisato quale danno grave e irreparabile deriverebbe dalla loro esecuzione.


Pubblico impiego - Riammissione in servizio - Discrezionalità - Diritto del dipendente - Esclusione.
Pubblico impiego - Riammissione in servizio - Diniego - Motivazione - Sanzioni disciplinari pregresse - Legittimità - Fattispecie.

Consiglio di Stato - Sez. I^ - 15 novembre 2000 - Pres. Salvatore, Est. Barbero Corsetti - Ministero interno - (Ricorso straordinario).

Nel decidere sull’istanza di riammissione in servizio proposta da un ex dipendente l’Amministrazione deve valutare l’opportunità del reinserimento dello stesso nella propria struttura organizzativa in relazione ad una serie di elementi (età, salute, qualità del servizio prestato, ragioni della sua risoluzione), dai quali possa desumersi la rispondenza all’interesse pubblico della riassunzione; pertanto, l’interessato non ha alcun diritto soggettivo ad ottenere la riammissione, pur se nell’organico sia disponibile il relativo posto.
È sufficientemente motivato il provvedimento che nega la riammissione in servizio di un agente della Polizia di Stato richiamando i non favorevoli precedenti di servizio dell’interessato e le numerose sanzioni disciplinari inflittegli.


Requisizione - Presupposti - Grave necessità pubblica - Necessità - Difficoltà a reperire immobili in locazione - Esclusione.

Consiglio di Stato - Sez. I^ - 18 ottobre 2000 - Pres. Salvatore, Est. Cirillo - Ministero interno - (Ricorso straordinario).

La norma di cui all’art. 7 L. 20 marzo 1865 n. 2248, che permette all’Amministrazione di disporre, senza indugio, della proprietà privata, è applicabile, nel rispetto della garanzia costituzionale, solo in presenza di una grave necessità pubblica che imponga di agire senza indugio e non già per far fronte alla mera difficoltà di reperire immobili in locazione. (Nella specie, l’immobile requisito era destinato a sede di uffici della Guardia di finanza).