• >
  • Media & Comunicazione
    >
  • Rassegna dell'Arma
    >
  • La Rassegna
    >
  • Anno 2001
    >
  • N.2 - Aprile-Giugno
    >
  • Informazioni e Segnalazioni
    >

Questioni Militari

Magg.CC t.SG Alfonso Manzo

RIVISTA MILITARE

Giulio FRATICELLI
Un nuovo ruolo per le Nazioni Unite
N. 1, gennaio-febbraio 2001

L’Autore prende in esame le missioni condotte dall’Organizzazione delle Nazioni Unite durante l’ultimo decennio. Agli inizi degli anni ’90, infatti, la fine del bipolarismo e, con esso, del sistematico ricorso al sistema dei veti incrociati da parte dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, aveva contribuito a rilanciare significativamente il ruolo e l’azione delle Nazioni Unite che, alla fine del 1994, contavano circa 80.000 uomini impegnati in 17 PKOs, con un bilancio di 3,5 miliardi di dollari.

Negli anni seguenti, però, gli insuccessi in Somalia, Ruanda e Bosnia dimostrarono la ridotta capacità delle N.U. di affrontare, con continuità, situazioni ben più complesse della semplice interposizione tra fazioni richieste alle missioni svoltesi nei primi 40 anni di vita dell’organizzazione universale. Ciò portò ad un deciso ridimensionamento sia delle aspettative sorte intorno alla “rinascita” dell’ONU che delle missioni gestite da quest’ultima, ammontanti, alla fine del 1999, a 14 con sole 13.000 unità impegnate e 600 milioni di dollari di bilancio. Ad un disimpegno di tale portata delle N.U., corrispose l’affermazione sempre più marcata delle organizzazioni sovranazionali a carattere generale quali produttori di pace attraverso il ricorso alla forza.

La situazione odierna vede l’impegno ONU di nuovo in crescita, con circa 40.000 caschi blu dispiegati in 15 missioni per un impegno di spesa di oltre 2 miliardi di dollari, benché il contributo delle organizzazioni regionali continui a risultare corposo.

Per meglio guidare i lettori nell’individuazione della direzione verso cui potrebbe, in futuro, gravitare la distribuzione dei compiti in ambito internazionale, l’Autore individua alcuni validissimi criteri in base ai quali poter confrontare l’efficacia delle N.U. rispetto alle altre organizzazioni sovranazionali. Mentre sotto il profilo della legittimazione, della neutralità, della multidimensionalità e dei costi, l’ONU appare maggiormente affermata e competitiva, il suo vero tallone d’Achille è rappresentato dalla capacità, intesa come prontezza operativa ed affidabilità nel tempo, dello strumento di Peace Keeping.

Nonostante il ricorso allo Stand By Arrangements nel settore della prontezza e di quello Contingent Own Equipment, difatti le strutture militari e logistico-finanziarie, nonché lo stesso Dipartimento per le Operazioni di Pace del Segretariato di New York, appaiono ancora inadeguati. In proiezione, dunque, si potrebbe assistere a combinazioni diversificate di cooperazioni tra le varie organizzazioni internazionali.

In relazione alla credibilità, l’Autore sostiene che l’intervento, per essere credibile e spendibile, deve essere sostenuto da una certa e costante politica, un mandato significativo ed attuabile, risorse adeguate e pronte, regole di ingaggio commisurate al mandato.

Premesso che sulla volontà politica le mezze misure non sono ammesse, mentre in tema di mandato e regole d’ingaggio sono stati fatti notevoli passi avanti, il settore che versa in condizioni peggiori risulta proprio quello delle risorse ove, a fronte della teorica disponibilità di ben 150.000 militari e 2000 poliziotti civili, concessi da 88 nazioni coinvolte nel Stand By Arrangement System, i problemi connessi con il reale impiego di tali contingenti sono molteplici e di non facile risoluzione.

Sempre in tema di previsione dei futuri scenari di cooperazione tra le varie organizzazioni sovranazionali, è bene fare riferimento agli esisti conclusivi di un gruppo di lavoro indipendente di esperti (BRAHIMI Paul) che, oltre ad individuare le principali carenze sia nel Peace Keeping che nel Peace Building, ha indicato senza titubanze concrete raccomandazioni per rendere efficace la struttura di intervento dell’ONU.

Nell’ambito degli sforzi tesi ad accrescere l’efficacia di intervento delle N.U. e, nel contempo, a favorire quelle organizzazioni che si candidano quali Peace-Keepers, l’Italia, tra i primi cinque membri contributori di risorse umane e materiali dell’ONU, dovrebbe concorrere attraverso una più incisiva partecipazione diretta a missioni a comando ONU, con maggiore impegno nel settore addestrativo, con l’eventuale creazione di un ulteriore centro di formazione nel Peace-Keeping e, infine, con programmi di assistenza a quei Paesi che vorrebbero fare di più, ma non ne hanno le possibilità finanziarie e/o organizzative.

Nelle considerazioni conclusive, l’Autore sottolinea che la necessità di rendere lo strumento di Peace-Keeping più incisivo appare assolutamente indifferibile, in previsione dell’ulteriore espansione delle esigenze che si presenteranno nel prossimo futuro.


RIVISTA MARITTIMA

Michele COSENTINO
Il confronto politico strategico fra Stati Uniti e Russia
Anno CXXXI, aprile 2001

Il recente cambio della guardia al vertice delle due Nazioni offre lo spunto all’Autore per verificare la possibilità che vi siano, nel prossimo futuro, significativi cambiamenti negli orientamenti politico-strategici dei due Paesi.

Il primo aspetto di rilievo nei futuri scenari internazionali è rappresentato dal fatto che non appare del tutto peregrina l’ipotesi che la Russia possa rientrare, nel medio-lungo termine, da protagonista sulla scena mondiale, configurando i rapporti con gli Stati Uniti in termini di confronto politico-strategico caratterizzato, stavolta, da una concreta contrapposizione di interessi economici e strategici, più che ideologici.

Utilizzando come primo parametro di confronto tra Mosca e Washington la forza militare e, conseguentemente, il potenziale strategico nucleare, emerge che, a fronte di una sostanziale equivalenza numerica di ordigni, corrisponde invece un rilevante divario qualitativo in termini di tecnologia, efficienza ed affidabilità da parte delle piattaforme e dei vettori statunitensi. In prospettiva, mentre il problema basilare del Presidente Russo sarà quello di vincere le resistenze interne che si oppongono alla indifferibile necessità di ridurre gli armamenti nucleari, ben al di sotto del limite fissato dal trattato START II, il Presidente Bush sembra seguire una strategia politica sostanzialmente svincolata dai vari trattati sul controllo delle testate.

In secondo luogo la dichiarata intenzione del Presidente Bush di accelerare lo sviluppo del sistema di difesa antimissili (NMD), composto da una rete di allarme satellitare e terrestre e da numerosi siti lanciamissili ubicati per lo più in Alaska e nel North Dakota ha suscitato numerose obiezioni da parte della Russia in quanto tale iniziativa violerebbe il trattato ABM (Anti-Ballistic-Missile).

Tale accordo, pur risalendo ad un periodo storico (1972) completamente diverso da quello attuale, limiterebbe tuttora il dispiegamento di sistemi antimissili ad ordigni posti unicamente a protezione di una capitale nazionale (opzione scelta da Mosca) o di un sito missilistico dotato di ordigni esplosivi. La posizione della Russia appare facilmente comprensibile, qualora si consideri che la realizzazione dello scudo antimissili comporterebbe il definitivo tracollo delle limitate capacità finanziare e tecnologiche russe, con conseguente limitazione dello spazio politico e strategico di Mosca.

L’attuazione, inoltre, della nuova dottrina russa, riflettente il tradizionale atteggiamento di sospetto verso gli USA e la NATO, sembrerebbe mutare l’approccio di Putin da un contesto di cooperazione ad uno di competizione, nell’ambito di uno scenario planetario multipolare, in cui la Russia potrebbe esercitare una efficace influenza, attraverso la creazione di alleanze regionali ostili agli USA, l’incoraggiamento di un panslavismo tendente ad aggregare le nazioni ex sovietiche, lo sfruttamento del sentimento nazionalista e l’incremento delle esportazioni militari verso Paesi dichiaratamente antioccidentali.

A tale impostazione strategica, Bush replicherebbe modificando l’atteggiamento degli USA verso Pechino e ridefinendo restrittivamente la consistenza della presenza militare statunitense nel teatro Asia-Pacifico. Ulteriori aree di confronto sono rappresentate dal Golfo Persico, dal Medio Oriente, dalla regione caucasica e dal teatro europeo.

Le conclusioni cui giunge l’Autore, circa la futura evoluzione del confronto USA-Russia, vedono Bush operare in condizioni di maggiori difficoltà rispetto a Putin in considerazione del fatto che egli si trova a fare i conti, da un lato, con il Congresso ed un’opinione pubblica e, dall’altro, un establishment militare per nulla entusiasta del continuo ridimensionamento del bilancio destinato alle Forze Armate.
La Russia potrebbe approfittare di tale momento di difficoltà degli Stati Uniti per cercare di acquisire il rango di Nazione che dispone, nonostante tutti, ancora di innumerevoli risorse.