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Giustizia Militare


Diserzione - Diserzione impropria - Mancato rientro del militare dalla libera uscita - Giusto motivo - Se essa si configuri come legittima assenza - Vigente normativa - Si qualifica in tal senso.

(C.p.m.p., art. 148 n. 2)

Corte di Cassazione, Sez. 1^ pen. (c.c.), 23 settembre 1999. Pres. Teresi, Rel. Silvestri, P.M. mil. Garino (conf.), in c. F.

Per il militare che si trova in libera uscita e non rientra tempestivamente, così realizzando il ritardo previsto è punito dalla legge penale, può configurarsi il reato di diserzione impropria, stante la sua posizione di soggetto in legittima assenza, tale dovendosi qualifica la libera uscita per la vigente normativa; e conseguentemente l’assenza non costituisce reato ove presenti la causale del giusto motivo impediente (1a).

Cfr. l'art. 30 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, che si riporta:
1. Allo scopo di assicurare un organico rapporto tra Forze armate e società civile, i comandi delle regioni militari, dei dipartimenti militari marittimi e delle regioni aeree, d'intesa con i Consigli intermedi della rappresentanza militare, su direttive del Ministro della Difesa, concordano con le regioni, le province ed i comuni, i programmi e le iniziative di cui all'ultimo comma dell'articolo 19 della legge 11 luglio 1978, n. 382, a favore dei militari in servizio.
2. L'Amministrazione militare concorda la programmazione e lo sviluppo delle iniziative di cui al comma 1 con gli organi della rappresentanza militare.
3. 1 suddetti programmi riguardano:
a) l'ammissione dei militari in servizio alla frequenza e alla utilizzazione delle strutture civili, culturali, sportive, ricreative, esistenti nel territorio comunale sede dei comandi, dei reparti e degli enti delle Forze armate;
b) l'uso agevolato di mezzi di trasporto - urbani ed extraurbani - e l'accesso dei militari in servizio ai musei, ai teatri, ai cinematografi e agli impianti sportivi;
c) l'organizzazione, in concorso con le Amministrazioni locali, di seminari, cicli di conferenze ed altre iniziative specifiche tese a prevenire e combattere il fenomeno delle tossicodipendenze;
d) ogni altra iniziativa atta ad agevolare l'integrazione dei militari nella società civile, attraverso dibattiti, incontri con realtà culturali ed associative. nonché la partecipazione a momenti significativi della vita sociale.
4. Le autorità militari, secondo quanto previsto dal comma 1 del presente articolo, concordano
con gli enti scolastici, i comuni e le organizzazioni sportive esistenti nell'ambito del territorio
5. Gli enti e le organizzazioni richiedenti provvedono alla stipula di apposite polizze per l'assicurazione contro i rischi e la responsabilità civile derivanti dall'uso delle predette infrastrutture".



Impugnazione da parte dell’imputato - Ricorso per cassazione - Precedente omissione di appello - Conferma in secondo grado della condanna su appello del P.M. - Ricorribilità a cura del condannato - Non é prevista, salvo caso di reformatio in peius.

(C.p.p., art. 606)

Corte di Cassazione, Sez. 1^ pen. (c.c.), 14 luglio 1999. Pres. La Gioia, Rel. Vancheri, P.M. mil. Garino (conf.), in c. N.

Unicamente se la sentenza di condanna di primo grado sia, a seguito di impugnazione del solo P.M., confermata in appello ma con reformatio in peius, è proponibile ricorso per cassazione dall’imputato non appellante (1b).

Si legge quanto appresso nel testo della sentenza:
« «Con sentenza del 4.12.1998 la Corte Militare di Appello - Sezione Distaccata di Napoli - confermava, a seguito di impugnazione proposta esclusivamente dal Procuratore Generale Militare, la condanna ad un mese ai reclusione militare, inflitta a N. con sentenza 16.7.1997 del Tribunale Militare di Bari, come aumento di pena rispetto a quella di mesi sei già inflitta al medesimo con sentenza 29.11.1994 dello stesso tribunale, per il reato di diserzione, legato dal vincolo della continuazione con l’analogo reato già giudicato con quest’ultima pronuncia.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il N. lamentando violazione di legge e carenza motivazionale in ordine alla prova della sua responsabilità.
Il Procuratore Generale Militare presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il gravame perché tardivo e perché l’imputato non aveva a suo tempo interposto appello.
Ciò posto, osserva la Corte che l’impugnazione è inammissibile.

Ed invero, a prescindere dalla tardività della impugnazione, non avendo il N. a suo tempo proposto alcun gravame avverso la sentenza di primo grado, ed essendo stata la stessa confermata in appello, all’imputato non può essere riconosciuta la facoltà di proporre ricorso per cassazione.
Ciò, in applicazione della norma di cui al terzo comma dell’art. 606 c.p.p., che stabilisce l’inammissibilità del ricorso per cassazione per violazioni non dedotte con i motivi di appello, disposizione a maggior ragione applicabile quando, come nel caso in esame, non sia stato neanche proposto appello avverso la sentenza di primo grado.

Né la facoltà di proporre ricorso rivive dopo che, a seguito di appello del P.M., la sentenza di prime cure sia stata confermata in secondo grado, potendo la suddetta facoltà esercitarsi solo nel caso in cui la prima pronuncia sia stata riformata in peius.
Conseguentemente, ai sensi del comma 3 dell’art. 606 c.p.p., il ricorso va dichiarato inammissibile, con relativa condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di lire 1.000.000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di lire 1.000.000 in favore della Cassa delle ammende»».



Violenza contro inferiore - Nozione penale militare della violenza - Comprende i maltrattamenti - Nozione di questi per la specialità della norma.
Disobbedienza - Mancata percezione subiettiva del comando quale ordine - Clima di cameratismo in caserma - Non ne esclude la natura vincolante.
Impugnazione - Sentenza contumaciale - Difensore - Necessità di specifico mandato a ricorrere - Espressioni di “conferma del ricorso” e “per autentica” - Sono sufficienti.

(C.p.m.p., artt. 43, 195, 173, 222; C.p.p., art. 530)

Corte di Cassazione, Sez. 1^ pen., 27 ottobre 1999. Pres. Teresi, Rel. Gironi, P.M. mil. Garino (parz. conf.), in c. M. e C.

A concretare l’elemento della violenza in diritto penale militare valgono anche i fatti di maltrattamento, quali spinte e manomissioni, diversi dal concetto che è l’art. 572 C.p.
La soggettiva omessa comprensione della richiesta come ordine, stante l’inesatta ricezione per l’influenza del cameratismo vigente in caserma, non esclude la posizione d’un vincolo alla libera volontà del destinatario dell’ordine, suscettiva di sanzione per l’inottemperanza.
È ammissibile il ricorso del difensore, privo di specifico mandato, avverso sentenza contumaciale, se l’atto d’impugnazione è sottoscritto e accompagnato da espressione di “conferma” e “anche per autentica” da parte del condannato (1c).

Si legge quanto appresso nel testo della sentenza:
« «La sentenza in epigrafe ha, per quel che in questa sede rileva, confermato quella di primo grado quanto all’affermazione di colpevolezza del maresciallo dei carabinieri C. per i reati di violenza contro un inferiore in danno del carabiniere M. e di diffamazione aggravata in danno del carabiniere F., nonché del carabiniere M. per il reato di disobbedienza aggravata consistita nell’aver omesso di obbedire all’ordine di consegnare le chiavi di un automezzo militare impartitogli dal superiore maresciallo C.

La corte militare di appello riteneva, in particolare, provata la responsabilità del C. per la diffamazione sulla base delle concordi deposizioni del vice brigadiere R. e del carabiniere S. ai quali l’imputato aveva indicato il F. come ladro per essersi appropriato indebitamente di biglietti per la Fiera di Cagliari al medesimo consegnati (addebito poi dimostratosi infondato per ammissione dello stesso C.), mentre per le residue imputazioni, originate da un unico episodio con reciprocità di offese verificatosi presso la stazione dei CC di D., la prova delle rispettive responsabilità veniva individuata nelle deposizioni dei testi M., T. e P. e nelle dichiarazioni degli stessi imputati, il cui contesto consentiva di ricostruire il fatto nel senso che, avendo il M. inottemperato all’ordine di consegna delle chiavi inequivocabilmente e legittimamente impartitogli dal C. per motivi inerenti al servizio ed alla disciplina, il superiore reagì a tale contegno, strattonando e spingendo il subordinato contro un muro nel tentativo di recuperare con la forza le chiavi contese, sino a provocargli strappi alla giacca.

Hanno proposto ricorso entrambi gli imputati, il C. con atto sottoscritto tanto dall’interessato che dal difensore, dovendo le sottoscrizioni accompagnate, rispettivamente, dalle espressioni “confermando il presente ricorso nomino mio difensore” e “anche per autentica” essere interpretate come pertinenti anche al testo dell’impugnazione: infondata é, dunque, la richiesta del P.G. requirente di dichiarare il ricorso inammissibile perché proposto avverso sentenza contumaciale da difensore privo di specifico mandato e senza sottoscrizione dell’atto di impugnazione.
Il C. deduce:

  • mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’attendibilità della persona offesa e dei testi e violazione della legge penale quanto al reato di cui all’art. 195 c.p.m.p., per difetto dell’elemento della violenza e per omesso esame della richiesta di derubricazione dell’imputazione in quella di percosse, da dichiarare improcedibile per difetto della richiesta del comandante di del corpo;

  • analoghi vizi quanto all’imputazione di diffamazione, con particolare riguardo alla ritenuta attendibilità del F. ed al difetto del requisito dei “motivi inerenti al servizio”, anche in relazione all’avvenuta assoluzione del C. dal reato di ingiuria in danno del F., asseritamente avente “il medesimo contenuto della diffamazione”, ed al fatto che il teste S. avrebbe riferito “percezioni” e non fatti.

Il M. denuncia, invece, violazione degli artt. 173 c.p.m.p., 43 c.p. e 530 c.p.p. sull’assunto di una carenza od insufficienza delle prove di colpevolezza, con particolare riguardo alla consapevolezza e volontà di disobbedire ad un ordine, non avendo egli percepito come tale la richiesta del C. in ragione del clima di cameratismo vigente nella stazione e per difetto dei necessari requisiti di “perentorietà, chiarezza, inquivocità e vincolanza”.
Il ricorrente lamenta, altresì, la mancata applicazione della continuazione rispetto ad un non meglio identificato procedimento n. 1257/95.

Entrambi i ricorsi, sostanzialmente ripetitivi di censure formulate con l’appello e già motivatamente disattese dai secondi giudici, vanno dichiarati inammissibili per manifesta infondatezza.
Quanto alla posizione C. si osserva:

  • la Corte militare ha congruamente confutato tutte le obiezioni difensive circa l’attendibilità dei testi pervenendo ad un giudizio di affidabilità che compete al giudice del merito e non può essere sindacato in sede di legittimità sulla scorta di prospettazioni alternative o semplici congetture difensive;

  • a concretare l’elemento della violenza valgono, secondo l’art. 43 c.p.m.p., anche i maltrattamenti ed a tale concetto - da non assumersi come circoscritto alle condotte rilavanti ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 572 c.p. o come postulante il requisito dell’abitualità - vanno ricondotti anche gli strattoni, le manomissioni e le spinte che, secondo la ricostruzione del giudice di merito, connotarono la condotta del C. verso l’inferiore;

  • il secondo comma dell’art. 222 c.p.m.p. esclude espressamente l’applicabilità della previsione relativa al reato di percosse di cui, al primo comma dello stesso articolo ogni volta in cui la violenza costituisca, come inequivocabilmente nel caso dell’art. 195 c.p.m.p., elemento costitutivo di altro reato;

  • il reato di diffamazione di cui all’art. 227 c.p.m.p. non contempla tra i suoi elementi costitutivi il collegamento tra l’offesa e “motivi inerenti al servizio”;

  • nessuna contraddizione è, infine, ravvisabile tra l’assoluzione del C. dall’accusa di ingiuria, motivata con la mancata prova della presenza del E. all’atto della pronunzia delle espressioni incriminate e, comunque, con la legittimità di una iniziale contestazione al subordinato dell’appropriazione dei biglietti in fase di prime indagini sulla base degli elementi disponibili, e la contestuale conferma della dichiarazione di colpevolezza per diffamazione, stante la diversità strutturale delle due ipotesi criminose e la ritenuta illegittimità di una divulgazione a terzi di apprezzamenti lesivi dell’altrui reputazione in presenza di meri e non convalidati sospetti, a nulla ovviamente rilevando che entrambe le imputazioni riguardassero le medesime manifestazioni verbali.

Quanto, poi, al M. il suo ricorso si limita a formulare soggettive valutazioni circa 12 percepibilità come ordine della richiesta del superiore e circa la propria consapevolezza e volontà di non ottemperarvi che hanno già trovato puntuale ed incensurabile risposta nella sentenza impugnata, cui non resta, pertanto, che fare rinvio.
Incomprensibile e, per quanto risulta, proposta solo in questa sede é da ultimo, la richiesta, peraltro generica ed immotivata, di applicazione della disciplina della continuazione tra il reato in esame ed altro reato non meglio individuato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento nonché della somma di £. 1.000.000 ciascuno alla cassa delle ammende".