I periodici illustrati italiani e i Carabinieri

"Da dieci anni teneva sequestrata la figlia a Gela". Sembra la didascalia di una antica copertina a colori de "La Domenica del Corriere" e non è difficile immaginare la scena: due carabinieri fanno irruzione in uno squallido scantinato male illuminato e liberano una giovanetta tenuta legata con catene alla rete del suo letto.

La notizia, in verità, è apparsa agli inizi di quest'anno su di un diffuso quotidiano, senza rilievo, con poche righe di commento.

All'inizio del secolo Achille Beltrame ne avrebbe tratto ispirazione per una splendida tavola a colori destinata alla prima pagina di copertina della Domenica. Alcune sue illustrazioni, proprio sullo stesso tema, unitamente ad altre di Vittorio Pisani, appaiono riprodotte nelle pagine di questo volume e stanno a testimoniare la nascita, lo sviluppo e la trasformazione del giornalismo per immagini, quello stesso che oggi, in chiave televisiva, "brucia" le notizie togliendo ogni possibilità alla stampa illustrata di stargli al passo.

La Domenica del Corriere ha rinunciato alla impari lotta nell'autunno dello scorso anno. E' stata l'ultima testata a gettare la spugna, preceduta di alcuni decenni da "La Tribuna Illustrata", da "Il Mattino Illustrato", dall'"Illustrazione del Popolo", tanto per citare i settimanali più noti, a loro volta anticipati nella rinuncia da altri illustri periodici, non meno degni di figurare nella storia del nostro giornalismo.

Si tratta del "Corriere Illustrato della Domenica", vissuto con successo e con grande dignità editoriale a cavallo del XIX e XX secolo, de "L'Illustrazione Popolare", de "La Gazzetta Illustrata della Domenica", de "Il Secolo Illustrato", tutti a cadenza settimanale, per non parlare di pubblicazioni mensili come "La Lettura", "Il Secolo XX", "Varietas" ed altri, che ebbero il periodo di maggiore successo fra i primi anni del 900 e la vigilia del secondo conflitto mondiale.

Nel panorama dei periodici di origine ottocentesca un posto di rilievo occupa "L'Illustrazione Italiana" e merita anche un cenno particolare. Ma prima occorre fare un'escursione nel mondo della stampa illustrata italiana del periodo pre-risorgimentale, per individuare le testate pioniere del settore. Fra le iniziative di qualche rilievo vanno annoverati il "Cosmorama Pittorico", "Il Poliorama", "L'Album", "La Settimana Illustrata", "Il Museo di Famiglia", "L'Emporio Pittoresco".

Il Cosmorama, il più antico, vide la luce nel gennaio 1835 a Milano ed era composto di sole 8 pagine nel formato di cm. 20x28,5. Nel "Prospetto" di presentazione del periodico l'editore scrisse: "Tra le invenzioni del nostro secolo per diffondere le utili cognizioni, nessuna è più proficua di quella dei Giornali pittorici; in questi alla notizia di una cosa qualunque si associa la rappresentazione in disegno: queste raffigurazioni toccano vivamente l'intelletto, lo arricchiscono di immagini, agevolano la memoria, alimentano l'immaginazione".

E più oltre: "Lo stesso titolo di Cosmorama, indica che le notizie di questo giornale non avranno altro confine che i regni della natura, la terra e il cielo: quindi ora elevandosi fra le sfere, si daranno le notizie della meccanica celeste; ora scoprendo coi grandi viaggiatori le regioni più recondite, ora investigando co' filosofi i segreti della natura, si darà conto di tutti quei fenomeni che si succedono nelle nostre regioni...".

L'abbonamento o, più esattamente, l'associazione annua al Cosmorama Pittorico costava otto lire austriache. In ogni fascicolo l'editore garantiva almeno quattro illustrazioni, che erano tutte in "bianca", cioè stampate su di un unico verso della carta, sistema rimasto in uso per tutto il XIX secolo.

Trattandosi di stampa al torchio, inizialmente, e a macchina piana in seguito, il sistema di pubblicare le immagini su di un solo lato della carta impediva che due tavole contrapposte si danneggiassero a vicenda a causa della notevole pressione che le matrici - in legno o in rame o in acciaio - esercitavano sulla carta durante la tiratura.

La cadenza settimanale di quelle pubblicazioni aveva del miracoloso. Si consideri che gli articoli venivano composti con caratteri mobili, che le illustrazioni erano ricavate da incisioni eseguite a mano, che la lentezza della tiratura era tale da consentire poche migliaia di copie al giorno, e si capirà che l'impresa editoriale non era delle più incoraggianti.

Questo sul piano tecnico. Ma c'era a monte la scelta di una strategia che oggi definiremmo di mercato. A parte i traguardi culturali e politici - molto scarsi, per la verità - che potevano indurre un editore ad investire i suoi capitali in un'impresa giornalistica, esistevano anche delle finalità puramente mercantili, molto apprezzabili d'altronde, tenuto conto che nella prima metà dell'800 l'alfabetismo in Italia non andava mediamente oltre il 30 per cento della popolazione.

La formula inizialmente individuata e preferita fu quella dell'ebdomadario destinato a sostituire lo schema pur collaudato del lunario. Notizie, quindi, d'interesse agricolo, nozioni elementari di didattica, notizie dal resto del mondo sugli usi e costumi degli altri popoli e, punto di forza, le illustrazioni, che riguardavano quasi sempre città e località famose, ma che nessuno aveva mai visto in immagine, a cominciare dal Vesuvio e dal Colosseo.

In nuce, quindi, un giornalismo illustrato d'informazione.

In altri paesi, in Inghilterra e in Francia soprattutto, la situazione era avvantaggiata da esperienze collaudate già da qualche decennio. Sull'esempio dell'inglese "Illustrated London News", apparso il 14 maggio 1842, e del francese "L'Illustration", uscito l'anno successivo, il 2 gennaio 1847, fece la sua comparsa a Torino il primo numero de "Il Mondo Illustrato", con il sottotitolo "giornale universale".

Fu un vero avvenimento e fu anche l'atto di nascita, in Italia, del settimanale illustrato vero e proprio. Edita da Pomba, la rivista si componeva di 16 pagine nel formato di cm. 27x37,5. Era stampata con molta cura e con ricchezza di immagini e si avvaleva di una formula che abbracciava argomenti di vasto interesse, sia politici che militari, sia culturali che religiosi.

La cronaca vi teneva un posto di rilievo, tant'è che l'anno successivo le operazioni militari della Prima Guerra d'indipendenza venivano settimanalmente riferite e anche illustrate, come si può constatare a pagina 18 di questo volume, in cui è riprodotta una tavola che mostra l'arrivo a Torino di prigionieri austriaci scortati da un carabiniere a cavallo.

Il Mondo Illustrato ebbe vita breve, due anni soltanto. "Molti sono gli ostacoli che ne toccherà incontrare e superare, molte le difficoltà contro le quali dovremo combattere, ma siamo pronti e rassegnati a tutto", avevano scritto gli editori nella prefazione al primo numero.

Intuivano essi, certamente, la difficoltà di suscitare il favore di un numero di sottoscrittori d'abbonamento sufficiente a garantire una gestione economicamente tranquilla. L'ostacolo maggiore incontrato da Pomba per l'affermazione de Il Mondo Illustrato fu proprio la mancanza di abbonati. Denunciando agli inizi del 1849 le ragioni del fallimento dell'impresa, gli editori pubblicarono il bilancio della rivista: contro le 10.000 copie che speravano di vendere per ottenere un utile minimo indispensabile al successo, la tiratura non era riuscita a superare in due anni le 3.500 unità.

Intanto si erano affacciate altre testate sull'orizzonte della stampa settimanale: "L'Almanacco Nazionale" a Torino, "Il Nipote del Vesta Verde", e, "Il Fuggilozio" a Milano, "L'amico del Popolo" a Napoli, con lo stesso titolo analoga pubblicazione a Firenze, "Il Veridico a Roma", tanto per citarne alcune.

Si assomigliavano tutte sul piano tecnico, tranne che su quello ideologico, in cui opinioni e tendenze non esitavano a portarsi allo scoperto.

Un notevole miglioramento registravano intanto le illustrazioni, sempre di formato più grande, sempre più nitide e di buona mano, finché si giunse fra il 1860 e il 1870 all'idea innovatrice: la prima di copertina interamente occupata da una tavola dedicata ad un fatto di cronaca. L'avvenimento del giorno o il personaggio venuto alla ribalta vi avevano diritto di priorità.

Nel frattempo in Italia era accaduto qualcosa di nuovo: con l'unità nazionale, seppure geograficamente ancora incompleta, s'era creato lo spazio e anche la necessità di pubblicazioni dal respiro più ampio. La caduta delle frontiere interstatali contribuì a favorire la diffusione della stampa, eliminando soprattutto barriere censorie, cosicché, mentre da un lato - nel settore dei quotidiani programmi ideologici e appetiti mercantili trovarono facili canali d'intesa, maturò agli inizi degli anni 70 quell'iniziativa che dava finalmente all'Italia una parità con il resto dell'Europa nel settore della stampa illustrata settimanale.

Il 14 dicembre 1873 uscì a Torino il primo numero della "Nuova Illustrazione Universale", edita dai Fratelli Treves e diretta da Eugenio Codara. Nuova in quanto la stessa testata aveva avuto un precedente esordio nel 1865, con vita brevissima.

Contemporaneamente apparve a Roma, il 1° gennaio 1874 "L'Illustrazione", col sottotitolo "Rivista Italiana", diretta da Alessandro Foli. Le due pubblicazioni erano praticamente identiche, nel formato (cm. 27x37) e nell'impostazione, per cui sembrò naturale che le due iniziative confluissero il lo novembre del 1875 ne "L'Illustrazione Italiana", testata che due anni più tardi accomunerà anche nella direzione i nomi di Treves e Foli, iniziando una stagione felicissima che la vedrà per oltre 70 anni protagonista autorevole del settore.

Sulle sue pagine, accanto a firme fra le più prestigiose della letteratura e del giornalismo, apparirà per la prima volta, negli anni 90, quella di Achille Beltrame, l'elegante disegnatore milanese, che passerà poi a La Domenica del Corriere quando questa vedrà la luce nel 1899. L'Illustrazione Italiana, fedele ad uno stile che non volle mai tradire, uscì sempre e soltanto in bianco-nero, ad eccezione dei numeri speciali, che a titolo di strenna inviava periodicamente ai numerosi abbonati.

Soltanto nel 1890 apparve - certamente in concorrenza con L'Illustrazione - La Tribuna Illustrata, seguita da Il Secolo Illustrato, dalla Gazzetta Illustrata della Domenica, dal Corriere Illustrato della Domenica, infine da La Domenica del Corriere, quasi tutti in funzione di supplemento settimanale dei più affermati quotidiani del momento, con la formula comune della prima e dell'ultima pagina stampata a colori.

La concorrenza, così multiforme e massiccia, non scalfì minimamente il successo che L'Illustrazione Italiana si era ormai guadagnato sul piano nazionale, successo che arrise egualmente alle altre iniziative.

Era la conferma che nel settore della stampa illustrata c'era posto per tutti, a condizione che il prodotto soddisfacesse l'esigenza d'informazione sviluppatasi ormai anche in Italia parallelamente alla crescita dell'alfabetismo e dei progressi sociali compiuti.

L'argomento dell'alfabetismo induce a riportare il discorso agli anni in cui vide la luce L'Illustrazione Italiana, per ricordare che nello stesso anno un editore privato, Carlo Marchisio, aveva tenuto a battesimo la testata "Il Carabiniere", ancora oggi più che mai vegeta e in forte sviluppo.

Perché mai un privato?

Forse non è azzardato affermare che non fu l'amore per l'Arma a indurlo a quella impresa: Marchisio fu semplicemente un industriale o imprenditore, come si preferisce, che fiutò nel momento giusto un affare di notevoli dimensioni. Nessun ceto, nessuna organizzazione - ad esclusione del clero e dei Carabinieri - nel 1872 era formata da elementi che sapessero tutti leggere e scrivere.

L'Arma si componeva a quel tempo di 20.000 uomini, di cui 4.500 - un quinto dell'intera forza - raccolsero la proposta dell'editore di sottoscrivere un abbonamento annuo, che costava otto lire, da versarsi in quattro rate trimestrali anticipate. Un grande affare, dunque, ma anche un grande merito dei Carabinieri, che consentirono la riuscita di una iniziativa culturale, oltre che giornalistica, nel senso che l'ultracentenario periodico - certamente il più longevo fra i confratelli italiani - poté svolgere con le sue otto pagine una vera azione di approfondimento didattico e professionale fra i militari dell'Arma.

La sua prima di copertina, nel registrare puntualmente azioni meritorie dei Carabinieri, a distanza di tanti anni costituisce uno specchio dai riflessi nitidi e precisi del mondo sociale italiano dell'epoca. A realizzare quelle tavole fu anche uno dei più grandi disegnatori di cose militari di tutti i tempi, quel Quinto Cenni uniformologo, giornalista, editore e, soprattutto, illustratore, pilastro essenziale per ogni documentazione seria e attendibile sul mondo militare, dall'epoca napoleonica ai primi decenni del nostro secolo.

Quanto è stato detto finora serve di premessa per capire la funzione della stampa illustrata nel processo di trasformazione della nostra società e il significato delle scelte che portavano settimanalmente in copertina l'argomento del giorno.

Le scelte erano quasi sempre determinate dalla straordinarietà di un fatto di cronaca e dall'emozione che la sua eco avrebbe potuto suscitare nell'opinione pubblica. E quali potevano essere i fatti degni di tanto privilegio?

Proviamo a scorrere contemporaneamente le prime e le ultime pagine di tutti i settimanali illustrati italiani del periodo che va dal 1892 al 1902, il decennio che consideriamo fondamentale per l'affermazione di un particolare genere di giornalismo. Vi appaiono scene della vita privata e pubblica dei sovrani europei, ma anche immagini di numerosi attentati e regicidi (re e imperatori erano gli argomenti prediletti e lo resteranno fino ai giorni nostri, anche se per motivi diversi da quelli di cento anni fa). Seguono per numero le cronache dell'avventura coloniale italiana in Africa Orientale, poi le inaugurazioni di esposizioni universali e nazionali, temi che occupano non oltre il 40 per cento delle tavole a colori.

Il resto è appannaggio della cronaca nera, di quella giudiziaria, di disordini popolari, di disastri naturali e di disgrazie umane.

In questo 60 per cento di immagini colpisce qualcosa di ricorrente, una presenza costante, quella dei Carabinieri.

Si tratti della cattura di un pericoloso latitante o dell'eliminazione di una banda di malfattori, della presenza in un clamoroso dibattito giudiziario o dell'intervento per sedare una rissa, del salvataggio in alta montagna di viandanti assiderati o del deragliamento di un treno, i Carabinieri appaiono sempre come i protagonisti - più spesso assoluti che secondari - delle copertine dei settimanali illustrati.

I disegnatori, oltretutto, avvertivano la necessità di inserire la figura del Carabiniere anche nei casi in cui essa non era indispensabile, come l'inaugurazione di un ponte o una cerimonia religiosa, quasi per suggellare l'autenticità del fatto e la credibilità della cronaca.

C'erano i Carabinieri, dunque era vero; un rafforzativo non soltanto di colore, un ergo dell'attendibilità stessa del periodico.

Gli illustratori intuirono presto che il Carabiniere in prima pagina faceva sempre notizia e capirono anche che proprio i Carabinieri erano fonte di informazioni spesso sensazionali. Chi altri avrebbe potuto fornire la narrazione dettagliata di operazioni compiute in zone impervie e comunque senza possibilità di testimonianza alcuna? Le testimonianze arrivavano dopo qualche giorno, quando i banditi eliminati venivano ripresi da fotografi specializzati, con le spalle quasi sempre accostate ad un albero, col fucile a píed-arm e con gli occhi tenuti aperti da stuzzicadenti, cancellati poi sulla lastra.

I particolari, potevano fornirli i Carabinieri soltanto. Ed ecco che in ogni comando di Divisione (l'attuale Gruppo) nasce, ante litteram, la figura dell'ufficiale addetto alle pubbliche relazioni, con l'incarico specifico di tenere i contatti con la stampa, ma più precisamente per consentire che i fatti venissero presentati al pubblico con esattezza e senza quella enfasi che l'Arma ha sempre accuratamente evitato.

Achille Beltrame, il più interessato a documentarsi sugli episodi di cui i Carabinieri si rendevano protagonisti, capì quanto fosse indispensabile per lui conoscere perfettamente le divise dell'Arma, e così cominciò a frequentare la caserma della Compagnia esterna di Milano, retta agli inizi del secolo dal capitano Romeo Stoppani.

L'incontro fra il pittore e l'ufficiale creò le basi di una collaborazione che divenne nel tempo amicizia. Beltrame non esitava a sottoporre preventivamente qualche sua tavola al capitano Stoppani e costui ricambiava la fiducia con osservazioni sulla presenza dei Carabinieri.

Dall'inizio del nostro secolo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale abbiamo rilevato la più alta frequenza di copertine dedicate ai Carabinieri. Ed abbiamo anche rilevato come i fatti salienti dello sviluppo sociale dello Stato italiano trovino in quelle copertine una documentazione inconfutabile.

I Carabinieri, proprio con le loro divise, scandiscono il tempo e ne sottolineano gli eventi. Quando le circostanze storiche erano ispirate all'ottimismo e le prospettive sociali erano improntate alla fiducia, i Carabinieri venivano rappresentati sempre con la grande uniforme: inaugurazioni ufficiali, cerimonie, ricorrenze nazionali, esigevano la divisa con lucerna e pennacchio; gli scontri a fuoco con malfattori richiedevano la divisa ordinaria, anche se a volte nelle impervie località della Sardegna o della Sicilia non era infrequente che i Carabinieri venissero raffigurati con la marsina a code nell'atto di immobilizzare un ricercato.

L'uniforme diventa più particolarmente indicativa allorché in Europa cominciano a spirare i venti della guerra imminente. Con lo scoppio del primo conflitto mondiale i Carabinieri indossano la severa divisa di guerra: panno grigio-verde, bandoliera di cuoio scuro e la lucerna coperta da una fodera anch'essa grigio-verde.

Le copertine di quel periodo ci mostrano i militari dell'Arma in prima linea, sulle falde del Podgora o mentre scortano i prigionieri austriaci avviati ai campi di raccolta, di sentinella agli avamposti o mentre compiono il loro quotidiano atto di eroismo. Quando il conflitto termina, essi tornano allo splendore della loro divisa tradizionale e quasi sembra che gli illustratori provino piacere a sottolineare, attraverso l'uniforme dei Carabinieri, che ormai è tempo di pace. Una pace molto difficile per l'Italia, con un prorompente rigurgito della malavita, divenuta molto più pericolosa, e con istanze sociali nuove e dalle manifestazioni inquietanti, alle quali i Carabinieri devono far fronte con la loro proverbiale capacità di interporre moderazione ed equidistanza.

Così come era accaduto nell'ultima decade del secolo scorso in occasione dei moti siciliani, in quelli della Lunigiana e in altri episodi successivi (pagg. da 58 a 61, 121, 138, 139, 143, 148, 217), durante i quali i Carabinieri vennero a trovarsi nella drammatica situazione di dover contenere i disordini subendone spesso la violenza, alla vigilia degli anni venti i militari dell'Arma devono nuovamente attingere a quel serbatoio inesauribile costituito dal loro autocontrollo per consentire al Paese di riprendersi dalla sconvolgente esperienza della Prima Guerra Mondiale.

Fra il 1920 e il 1935, anno di ritorno al clima di guerra, assistiamo ad episodi caratterizzati soprattutto dalla generosità: salvataggi in alta montagna, una suora salvata mentre sta per essere travolta da un treno ed interventi nelle situazioni più disparate, ad eccezione che in fatti che denunciassero fermenti popolari.

Tutto doveva apparire roseo, queste erano le istruzioni che il regime impartiva anche ai settimanali illustrati, anche se i Carabinieri continuavano regolarmente la loro dura e taciturna opera in difesa delle istituzioni e dell'ordinato vivere sociale. Essi erano però visti sempre con qualche diffidenza. E' risaputo che la loro disponibilità verso il regime non è stata mai dichiarata né ostentata e ciò si avverte anche nelle tavole a colori dei settimanali illustrati: la loro presenza nelle manifestazioni ufficiali diventa sempre meno rilevante e Beltrame - in ciò seguito da Pisani - si limita a registrare l'audace intervento per eliminare una tigre fuggita da uno zoo o il toro inferocito in fuga fra la gente atterrita di un paese di provincia.

Ma quando in terra d'Africa le imprese dei Carabinieri si imporrano all'attenzione e all'ammirazione incondizionata di tutti, anche del nemico, che ne farà menzione in un bollettino di guerra e che li definirà in altra occasione "tremendi", allora le tavole di Beltrame, di Pisani e di Matania si ispireranno ad una serie di episodi culminati con la battaglia di Culqualber e che arricchiranno il Medagliere dell'Arma di tante nuove Medaglie d'Oro al valore.

Il secondo conflitto mondiale ci ripropone i Carabinieri nella divisa di guerra: li vediamo su La Domenica del Corriere e sull'Illustrazione del Popolo in terra d'Africa e sul fronte balcanico, su La Tribuna Illustrata nelle gelide steppe russe, poi per qualche anno non li vediamo più in copertina. I settimanali illustrati, fra il 1943 e il 1945, o non escono più o - ed è il caso della Domenica - l'occupazione tedesca ne condiziona l'indirizzo e la politica.

Nessun settimanale poté quindi fare eco alle gesta di Salvo D'Acquisto, dei tre Carabinieri martiri di Fiesole, che si immolarono anch'essi per salvare degli ostaggi innocenti, di tante migliaia di Carabinieri partigiani, del tenente Giarnieri, del carabiniere Tassi, del generale Caruso, del brigadiere Araldi, del colonnello Marcello, tanto per citare pochi nomi.

Fu nell'immediato dopoguerra che la stampa illustrata poté rendere onore con lunghi articoli e con tavole rievocative ai principali protagonisti della Resistenza che avevano tenuto alto il nome dell'Arma durante l'occupazione nazista. Vennero alla luce episodi ignorati dai più, la massiccia presenza di Carabinieri fra le vittime delle Fosse Ardeatine, la partecipazione alla battaglia di Porta San Paolo e della Magliana a Roma, l'eccidio di Teverola presso Napoli, le imprese delle numerose formazioni partigiane costituite esclusivamente da Carabinieri, cosicché la Domenica e la Tribuna poterono ricominciare a presentare in prima pagina l'azione meritoria dell'Arma, con l'apporto di un astro emergente come l'illustratore Walter Molino.

Infine sopraggiunse la crisi per i supplementi della domenica, iniziata negli anni 60 a causa della trasformazione avvenuta nella tecnica delle immagini giornalistiche. L'avvento della fotografia a colori, la rapidità dei processi ad essa collegati per la riproduzione litografica, la necessità per i giornali illustrati di stare al passo con la dilagante televisione, che "bruciava" inesorabilmente le notizie, indussero gli editori ad adottare nuove tecniche e nuovi schemi, senza per questo tralasciare di dedicare ai Carabinieri la giusta attenzione.

Ne fanno testimonianza i numerosi inserti che proprio ai giorni nostri sono stati dedicati ai Carabinieri dalla stampa quotidiana e i supplementi - a volte voluminosi - che i settimanali hanno realizzato su di loro. Essi certamente non hanno il sapore romantico delle tavole di Beltrame e di Pisani, ma sono comunque la conferma di una leggenda che si rinnova e si perpetua.

Paolo Di Paolo