Siamo vivi perchè lui volle morire per noi

L'eroico gesto di Salvo D'Acquisto, nell'interpretazione di Walter Molino.
Il solco della fossa comune non si riconosce più. Il tempo l'ha cancellato.

Il grano, ora verdissimo, lo ricopre e arriva sino ai piedi della torre di Palidoro, quadrata e massiccia. Il mare è a un centinaio di metri. Una piccola stele ricorda quello che qui accadde vent'anni fa.

E' qui che il vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D'Acquisto si offrì per salvare la vita di ventidue ostaggi presi dai tedeschi nella zona affidata alla sua giurisdizione territoriale, Torre in Pietra. E qui fu fucilato.

Era il settembre del 1943.
La fossa comune la scavarono tutti: un lungo solco. E lavorarono per sei ore sotto il sole, con l'incubo del mitra alle loro spalle.

Poi ventidue furono lasciati liberi: rimase il vicebrigadiere Salvo D'Acquisto, e pagò per tutti. Per salvare loro si era accusato di un attentato che non aveva commesso. Vent'anni sono passati: dove sono i ventidue uomini che il vicebrigadiere - medaglia d'oro - salvò? Vent'anni sono lunghi: alcuni di loro sono morti, altri hanno lasciato la zona, ma molti sono ancora lì.

Siamo andati a ricercare uno ad uno quei " ventidue ", quelli che ancora possono raccontare. Quella mattina, la mattina del 23 settembre 1943, erano intenti a lavori diversi. Il più vecchio aveva 52 anni, il più giovane 18 anni.

Ventidue gli ostaggi; più lui, Salvo D'acquisto, il vicebrigadiere dei carabinieri. Lui Salvo D'Acquisto, l'avevano mandato lì perché si riposasse e si riprendesse dopo una brutta avventura. Tornava dall'Africa ed era uno degli scampati all'affondamento del " Conte Rosso ". Aveva 24 anni, era napoletano, aveva una sola uniforme, quella color caki, coloniale, la stessa appunto che aveva portato in Africa. Ma il servizio era il suo universo. Era il solo carabiniere della zona.

Tredici dei ventidue ostaggi, pochi giorni dopo il sacrificio di Salvo D'Acquisto: sono dinanzi al Castello di Torre in Pietra. Da sinistra: Benvenuto Gaiatto, Vincenzo Meta, Nando Attili, Ernesto Zuccon, Umberto Trevisiol, Gedeone Rossin, Angelo Amadio, Giuseppe Feltre, Michele Vuerich, Rinaldo De Marchi, Fortunato Rossin, Vittorio Bernardi, Antonio Gianacco.

Poi c'erano gli altri. Il cameriere del conte Carandini, Enrico Brioschi, 36 anni, piemontese, era rimasto a custodia del castello di Torre in Pietra e stava conversando con il capomastro Michele Vuerich, detto mastro Michele, di 39 anni. Videro due tedeschi spingere a pugni e calci il vicebrigadiere D'Acquisto. Un attimo dopo anche loro furono presi. Il fornaio Ernesto Zuccon aveva il pane in forno. Fu portato via con il camiciotto bianco infarinato. Il vecchio spazzino Giovanni Carinci tentò di fuggire e fu inchiodato lì da una raffica di mitra. Due venditori ambulanti di frutta dovettero unirsi al gruppo degli ostaggi sul camion. Altri tedeschi portarono i diciotto muratori di mastro Michele che avevano sorpreso su un tetto che erano intenti a riparare. C'era Vincenzo Meta, 27 anni, padre di due bambini, già sfuggito ai tedeschi a Bologna pochi giorni prima e arrivato a Torre in Pietra da poche ore. Lavorava con la divisa da soldato perché non aveva altro. Armando e Attilio Attili, padre e figlio, erano tornati a lavorare insieme come prima della guerra, Umberto Trevisiol, magro, trentacinquenne, capelli già bianchi, due figli; i fratelli Gedeone e Fortunato Rossin, uno scapolo, l'altro padre di due bambini. C'era Attilio Pitton, padre di un ragazzo; c'era Angelo Amadio, diciottenne; c'era Rinaldo De Marchi, 30 anni; c'erano Vittorio Bernardi soprannominato " Carnera, Giuseppe Feltre, Antonio Gianacco e il più vecchio di tutti Benvenuto Gaiatto, friulano, cinquantaduenne, padre di quattro figli.

Furono portati via mentre le donne piangevano. Qualcuno, urlando, inseguì il camion oltre la curva, ma non riuscì ad andare più avanti. Il camion scese verso l'Aurelia, l'attraversò, raggiunse la Torre di Palidoro. Qui gli ostaggi furono fatti scendere. " Guardate qui cosa avete fatto! " gridò loro un ufficiale indicando la Torre. Non si vedeva nulla. La Torre era intatta. Fu lo stesso tedesco a dir loro che quella notte una bomba esplosa nell'interno del rudere nella casermetta della finanza, che i tedeschi avevano occupato, aveva ferito due militari. Da qui la rappresaglia. Nessuno degli ostaggi sapeva nulla di quell'attentato. E nemmeno Salvo D'Acquisto ne sapeva nulla.

Un altro tedesco con un ramo fece un segno per terra, una lunga striscia di un dodici metri circa: " Scavate qui, sarà la vostra fossa ". Cominciarono a lavorare come automi. A cento metri c'era il mare, dinanzi a loro i tedeschi del plotone d'esecuzione, pronti. Fu allora che Salvo D'Acquisto alzò un braccio, chiese di parlare con l'ufficiale che comandava. Si allontanò dai compagni, parlottò per pochi attimi, tornò a lavorare al loro fianco. Nessuno udì quello che disse all'ufficiale. Riprese a scavare: " Niente da temere per voi " disse a chi gli stava al fianco. Un altro ricorda di averlo sentito mormorare fra sé: " Una volta si nasce e una si muore ". In quel momento il patto era già concluso. " lo solo sono colpevole " aveva detto ai tedeschi" salvate le loro vite, prendete in cambio la mia ".

Continuarono a scavare, poi improvvisamente un tedesco si avvicinò alla fossa. "Dice il signor maggiore che oggi non è nervoso, siete liberi. Ora farà l'appello". Chiamati uno ad uno uscirono dalla fossa che avevano scavato scrollandosi di dosso il terriccio, aiutandosi, il penultimo fu Ernesto Zuccon, il fornaio. Si voltò a tendere la mano al vicebrigadiere. Ma nessuno chiamò Salvo D'Acquisto, che rimase lì. Gli altri furono mandati via. Erano a cento metri quando udirono la raffica. Per sei ore Salvo D'Acquisto aveva lavorato con loro, al loro fianco. Aveva taciuto per sei ore, ben sapendo di essere il solo a morire.

Guardiamoli oggi quei ventidue. Il ricordo di Salvo D'Acquisto li accomuna. In ogni famiglia c'è la sua foto. Quella che pubblichiamo è tratta dall'album del più vecchio dei gruppo, Benvenuto Gaiatto. Si sentono dei "sopravvissuti". L'altra foto li mostra tutti insieme ed è di qualche anno fa: c'è ancora Ernesto Zuccon, il fornaio che aprì un bar al "Centro Aurelia" e oggi è morto. Manca Enrico Brioschi, il cameriere di casa Carandini che andò in Piemonte e dopo la sua "resurrezione" ha avuto due gemelli; mancano i due venditori ambulanti di frutta che chissà dove sono finiti. Manca Attilio Pitton, morto anche lui. Ogni tanto si riuniscono, i "sopravvissuti", e vanno tutti insieme a deporre un fiore ai piedi della Torre, lì dove mori il "povero carabiniere".

Ci sono i figli con loro. Quelli che in paese chiamano "i figli di Salvo D'Acquisto", quelli che non sarebbero nati se lui non fosse morto. Sono tutti figli della sua eroica bugia. Chiedono, vogliono sapere. "Che disse prima di morire?". " Nulla " rispondono i padri. " Nulla; solo... una volta si nasce e una si muore" ". Mastro Michele fa ancora il capomastro; Umberto Trevisiol, capelli ora tutti bianchi, fa il muratore come allora. Gedeone Rossin ha un'officina da meccanico al ventiduesimo chilometro dell'Aurelia, al bivio per Fregene, Rinaldo De Marchi fa il trattorista al Casale Bruciato, al trentacinquesimo chilometro, Angelo Amadio è elettricista a Santa Severa, Benvenuto Gaiatto è vecchio e passa le sue giornate nel giardinetto dinanzi alla sua casa a giocare con i nipotini. Vincenzo Meta è guardiacaccia a Maccarese, Vittorio Bernardi lavora da fabbro in una vaccheria della bonifica, e lo chiamano sempre " Carnera ". Gente comune " prima ", gente comune adesso, vent'anni dopo. Ed erano solo uomini che chiedevano di continuare a vivere.

Anche Salvo D'Acquisto aveva dei sogni. Ora è sepolto a Napoli, dai suoi. Sul suo monumento a Palidoro sovente viene a deporre un fiore una donna, Wanda Bonfigli, oggi impiegata al ministero della Difesa. E' la donna che diciannove giorni dopo la fucilazione ebbe il coraggio di avvicinarsi a quella fossa e recuperare il corpo del vicebrigadiere crivellato di colpi. "L'avevo conosciuto, ci parlavamo" dice; come se questo spiegasse tutto.

Qui, a Palidoro, a Maccarese, a Torre in Pietra è come se la stazione dei carabinieri fosse ancora affidata a Salvo D'Acquisto. Il ricordo affratella i "sopravvissuti". Solo il tempo e il vento del mare hanno cancellato la lunga fossa comune che sino all'anno scorso si riconosceva ancora.

V.L.
(Da "La Domenica del Corriere" del 5 aprile 1964)