Nel primo centenario dei Reali Carabinieri

Tavola di Raffaele Paoletti. Il centenario della fondazione dell'Arma venne celebrato da tutta la stampa italiana con ampi servizi rievocativi.
Compiono domani, 13 luglio, i cento anni dalla istituzione del popolarissimo «benemerito» corpo dei Reali Carabinieri, che ha per sua missione principale e suprema la vigilanza perché siano mantenuti e rispettati l'ordine e la legge, limiti inevitabili di ogni libertà.

Se in realtà è molto affievolito nelle coscienze il rispetto per quel carabiniere morale che si chiama da secoli e secoli Iddio, è tanto più vero che occorre ogni giorno viemeglio la presenza di quell'altro Domeneddio di carne ed ossa che si chiama il «carabiniere».

Essi sono stati istituiti per «invigilare alla pubblica sicurezza, assicurare nello Stato e in campo presso le Regie Armate la conservazione dell'ordine e l'assicurazione delle Leggi. Una vigilanza attiva non interrotta e repressiva - dice l'antico regolamento - costituisce l'essenza del servizio» di questo corpo speciale.

Primissimo comandante dei Carabinieri Reali fu il barone e conte Giorgio Andrea Des Geneys di Matties e Pinasca, gran personaggio nel Regno Sardo; comandante per terra e per mare; ministro di Stato (morto poi nel 1832 di 81 anni). Però il suo comando sui Carabinieri Reali fu più nominale che effettivo, e durò pochissimo. Il 18 agosto 1814 assumeva il comando del nuovo corpo il colonnello Luigi Ignazio Provana conte di Bussolino (proveniente dalla brigata Aosta); poi fu tutta una sequela di comandanti supremi i cui nomi figurano bellamente nella storia dell'esercito sardo e nelle pagine gloriose del Risorgimento Italiano.

Per chi si diletti di queste ricerche, vi è già da venti anni, un numero speciale, dedicato da Quinto Cenni ai Carabinieri Reali, dove moltissime notizie storiche e biografiche sono raccolte.

La vita veramente organica del Corpo cominciò con l'assunzione al ministero sardo di guerra e marina del generale conte Filippo Asinari Di San Marzano: egli ne portò la forza da 800 a 1200 uomini - 400 a piedi e 610 a cavallo, con cento ufficiali.

Uno - da ricordarsi - dei veri plasmatori dello spirito d'arma, fu il luogotenente generale (già comandante la Divisione di Savoia) marchese Giovanni Battista d'Oncieu de la Batie, il quale provvide con grande abilità al rinvigorimento della disciplina, necessaria in un corpo i cui militi erano principalmente destinati ad operare isolatamente.

Il generale D'Oncieu va considerato come l'inventore di quel sistema, diremo così, «grafologico» che dà la più singolare delle impronte ai servizi dei reali Carabinieri. Infatti, il perfetto carabiniere è uomo che scrive, che sa scrivere, che deve sempre e ad ogni costo scrivere. A qualunque fatto il carabiniere si trovi presente, egli, appena rientrato in caserma, deve raccogliere le proprie idee e scrivere: il semplice milite scrive all'appuntato, l'appuntato al vice-brigadiere, il vice-brigadiere al brigadiere, questi al maresciallo, il maresciallo al luogotenente, il luogotenente al tenente, il tenente al capitano, il capitano al maggiore, il maggiore al colonnello, il colonnello (che comanda la legione) al generale comandante supremo del corpo; ma il primo assoluto, indeclinabile compito è scrivere.

Tutta questa grafomania regolamentare trae le sue origini dalla,, Circolare Periodica » - la prima che se ne conosce, manoscritta, porta la data del 27 maggio 1818 - ideata e messa in pratica dallo stesso generale D'Oncieu, ed avente lo scopo, non solo di far conoscere al corpo gli avvenimenti rimarchevoli in esso avvenuti, ma «eziando di servire di stimolo ed esempio ai bassi ufficiali e Carabinieri Reali onde evitarsi le punizioni, alle quali non sfuggono mai coloro che se ne rendono meritevoli». La circolare era mensile, e conteneva la particolareggiata narrazione dei fatti notevoli compiuti da individui appartenenti al corpo.

Frazionati, fino dalla loro origine, in piccole località, quali potevano essere, cento anni sono, i Capi-luogo di provincia (ora capi-luogo di circondario); suddivisi in divisioni, compagnie, luogotenenze, stazioni, era ben naturale che un legame periodico fra loro venisse stabilito, a formare quell'uniformità di sentimento, quell'unità morale che è il fondamento essenziale di questo corpo. A ciò valse la « circolare periodica » del generale D'Oncieu, la vera progenitrice di tutto quell'inconcepibile e curiosissimo epistolario, che costa ai carabinieri tanto inchiostro e tanta carta, che (sia detto fra parentesi, ed è la verità) pagano del loro.

Scrivere, informare, fare il rapporto è talmente per essi una necessità naturale, irresistibile, che ufficiali mutati di sede, continuano a ricevere dalle luogotenenze dove precedentemente comandarono, lunghi rapporti dei già loro subordinati. Quei bravi ragazzi mandano, questo s'intende, i loro rapporti ai loro superiori immediati e diretti, poi pare loro di non potere fare a meno di tenere informati, in altre località, ufficiali che si sono cattivata la loro fiducia ma dai quali più non dipendono!...

Chi vada cercando - come ho fatto io - nelle vecchie annate dell'allora ufficiale Gazzetta Piemontese di Torino, trova frequentemente nelle ingiallite pagine - di tempi nei quali i giornali non solo non avevano, ma evitavano tutte le sproloquianti gonfiature di cui oggi sono ingombri - frequenti notizie curiose sui Carabinieri Reali (di settanta, ottanta, anni fa) tolte, senza dubbio, dalla famosa «circolare periodica».

In perlustrazione sull'alta montagna sono arrivati in tempo a salvare dall'incendio un cascinale. Nell'imperversare di un nubifragio violento, hanno salvato da annegamento una contadinella con due mucche. Accorsi dove una valanga ha sepolti dei casolari, hanno sottratto a morte certa un'intera famiglia. Accorrendo a grida giunte loro da lontano nella notte, riescono a salvare un sacerdote precipitato in un burrone col chierico, diretti a portare il viatico ad un infermo, e trattili di là li accompagnano alla casupola del moribondo. Avvisati in tempo stanno tutta una notte in agguato, e sorprendono tre malfattori che, nascosti in un fienile, accingevansi a scassinare una porta ed invadere una casa momentaneamente deserta.

Interminabile, e, fors'anche monotona, la sequela dei fatti compiuti da questi bravi soldati, diventati oramai gli amici, i custodi desiderati delle popolazioni. Attraverso quasi sette lustri di assidue, pazienti , diuturne fatiche, i Carabinieri passano dalle caratteristiche manifestazioni del servizio quotidiano, alle vicende storiche della guerra, mantenendo alto il prestigio del Corpo anche sui campi della gloria militare in Lombardia.
Ancora prima, per il succedersi degli avvenimenti politici, dovettero fronteggiare le dimostrazioni e le insurrezioni, dovettero reprimere i tentativi rivoluzionari corrispondenti alle date del 1821, del 1833, del 1834. Essi diedero in tali nuove emergenze prova di abnegazione, di moderazione, di coraggio e di spirito di sacrificio. Si trattava di difendere l'ordine e la legge, e compirono il difficile dovere. Si trattò poi di difendere l'indipendenza nazionale e l'onore militare - e si coprirono di gloria.

Per natura sua il Corpo dei Reali Carabinieri, conserva in guerra il servizio di polizia, di sorveglianza, di scorta per il Re. Non è corpo da mettere in linea; ma se occorre che si schieri, sa combattere. Sotto questo aspetto i Carabinieri hanno nella storia militare italiana una pagina, che ogni altro corpo può ben loro invidiare - la carica di Pastrengo.

Nel pomeriggio memorabile dei 30 aprile 1848 la resistenza audace della sinistra degli austriaci fu lì lì per far cadere in una imboscata Carlo Alberto stesso avanzatosi in esplorazione, se i tre squadroni di Carabinieri, che precedevanlo e scortavanlo, al comando del maggiore conte Alessandro Negri di San-Front (260 cavalieri) non avessero compiuta l'impetuosa, magnifica carica, che fece ripiegare le preponderanti forze austriache, sotto gli occhi del Re stesso, dando la forza irresistibile dell'esempio al centro e alla destra delle altre truppe combattenti e decidendo, con la brigata Piemonte, della vittoria della giornata.

Parlano di questa carica decisiva i rapporti degli altri varii corpi che combatterono il 30 aprile 1848. E' curioso, viceversa, leggere le brevi parole che ad essa dedica, nel suo rapporto (9 sett. '48) il comandante superiore dei Reali Carabinieri, colonnello conte Paolo Avogardo di Vigliana:

«Li carabinieri che parteciparono della campagna, non ebbero occasione di distinguersi; li tre mentovati squadroni però assistettero, in scorta del Sovrano, a molte fazioni campali, ed in quella ultima sostennero con gloria ed intrepidezza la ritirata tra Valeggio e Villafranca».

La carica di Pastrengo è passata sotto silenzio!... Non erano tempi in cui i generali, colonnelli, ufficiali in genere ricorressero alle gonfiature, ai soffietti dei corrispondenti di guerra, o degli storici improvvisati. Venne però la critica storica ponderata e documentata a mettere in luce la splendida azione, che, trenta anni dopo, Sebastiano de Albertis, visitati i luoghi col poi generale Morelli di Popolo, riassunse, con lievi errori nei particolari, ma con grande espressione di verità e patriottico fervore artistico, nel gran quadro, che orna uno dei grandi saloni nel palazzo del Quirinale.

Non vi fu nessuna profusione di decorazioni per quei valorosi: venne però, nel settembre '48, un reale decreto che permetteva loro l'uso dei baffi!... Rinnovarono quei bravi soldati - nei limiti dell'impiego della loro arma - le prove di abnegazione e di valore nella breve infelice campagna del 1849, nella spedizione di Crimea; nella campagna del 1859, in quella del 1860, nella quale epoca in tutte le provincie italiane, levatesi a formare un unico Regno, le gendarmerie dei varii stati trasformaronsi, modellandosi sull'arma dei Reali Carabinieri, dei quali furono costituite allora le Legioni.

Data dal 1860 e durò per tre o quattro anni quella terribile campagna contro il brigantaggio nelle provincie meridionali, nella quale i carabinieri tenacemente lottarono, con grandi sagrifici, per l'unità morale della patria. Susseguirono, nel settembre del 1866, le crudeli giornate di Palermo - mentre nella guerra di quell'anno, riepilogatasi a Custoza, i Carabinieri eransi distinti brillantemente a Monzambano, a Monte Croce, a Custoza, a Villafranca, a Condino, a Primolano, a Borgo Levico.

E chi saprà dare la narrazione dei fatti particolari e delle singole gesta nelle quali, in cento anni, i Carabinieri Reali si sono segnalati - in occasione di inondazioni (come nel Veneto nel 1882), di terremoti (come a Casamicciola, a Reggio, a Messina), di eruzioni vulcaniche, di epidemie coleriche (a Napoli, a Busca, a Palermo), in lotte ostinate contro il malandrinaggio, nei tempi andati in Piemonte; poi in Sicilia, in Sardegna sempre (anche due settimane addietro)? E chi saprà dare l'elenco dei cento e cento caduti per il dovere, quasi oscuramente, senza le illusioni della gloria?

I tempi nuovi hanno portato ai Carabinieri, non miglioramenti adeguati, né di rimunerazione, né di carriera, ma più duri compiti, maggiori responsabilità, minori soddisfazioni.

Di qui le maggiori difficoltà per un corpo come quello dei Carabinieri, pagati quanto o poco più di uno qualsiasi degl'illustri scopatori di strada, evoluti, organizzati e sindacalizzati.... che lasciano sporche le vie della città. Scarsi di numero.

in ragione delle crescenti masse alle quali solamente con l'imponenza del numero si può incutere rispetto, per la libertà di tutti gli altri cittadini spesso trovansi ridotti a tali strette, che l'alternativa è una sola, o lasciarsi sopraffare, o reagire.

L'elevato concetto di amore militare e di nobile orgoglio i carabinieri italiani lo hanno riaffermato in questo ultimo trentennio anche in Africa, nella colonia Eritrea, poi in Libia, in Cina, a Creta, in Macedonia, presi dovunque a modello; lo riaffermano ogni giorno in patria, dove mostrano di quali meravigliose qualità è suscettibile il popolo italiano, quando sia educato ad una seria scuola di disciplina, di abnegazione, di dovere.

Malgrado gli eccitamenti pervertitori di ogni giorno, il popolo italiano serba sinceramente rispetto a gratitudine per questi caratteristici soldati, che nei piccoli paesucoli lontani sono gli unici rappresentanti dell'ordine, della legge, gli unici garanti della libertà e del diritto, i soli argini al prorompere dei malanni ed ai tentativi colposi.

Celebriamo dunque il centenario dei Carabinieri Reali, le cui benemerenze superano, oggimai, il secolo.

Essi vanno celebrati, giustamente, dalla storia, dalla poesia, all'arte: sono uno dei profili, quanto mai caratteristico, della fisionomia militare e politica italiana; sono la macchia inevitabile dei quadri popolari, festosi e tristi, idillici e drammatici, della nostra vita quotidiana.

Girano, a due a due, serii, calmi, cadenzati. Perché a due a due sempre?... Il regolamento vuole così: l'uno controlla l'altro: l'uno sorregge l'altro. Il carabiniere per andarsene solo, deve sempre avere in tasca un ordine speciale. Carabiniere solo - dicono le ragazze del popolo novità!... Due: fortuna, marito. E quando i due buoni neri ragazzi si avanzano sul peso dei loro passi misurati un poco dondolanti e qualche fanciulla del popolo cammina loro incontro, essi, quasi inconsciamente, le aprono il passo, e la fanciulla, le fanciulle passano in mezzo, sorridenti e contente, a questo augurio di fortuna!...

Vi è in questo simpatico pregiudizio come la sintesi psicologica della simpatia, che accompagna da cento anni i Reali Carabinieri, in mezzo ai quali, passano ogni giorno, fidenti, le simboliche figure dell'ordine, della legge, della libertà - figure sopravviventi in ogni luogo, per variare di tempi e di politiche forme.

ALFREDO COMANDINI
(Da "L'Illustrazione Italiana" del 12 luglio 1914)



Quirinale: Una litografia popolare, storicamente più fedele in alcuni particolari, fu pubblicata a Torino, nel 1850, dal Doyen, ideata da T. Belley, disegnata da A. Daniele. Il quadro del De Albertis attualmente è di proprietà del museo Storico dell Arma dei Carabinieri, ove è possibile ammirarlo - n.d.a.

Legioni: L'ordinamento è dei 24 gennaio 1861 (ministro Fanti): 18461 uomini, compresi 5o3 ufficiali, 14 legioni, tredici territoriali ed una di allievi.

Numero:Attualmente si possono calcolare un 30000 uomini, con circa 670 ufficiali; divisi in 12 legioni ( territoriali ed 1 in Libia) una legione allievi a Roma e due depositi.