I personaggi della Camorra

I maggiori imputati del processo Cuocolo in una cartolina illustrata messa in commercio a Viterbo nella primavera del 1911.
Veramente, chiamarlo «processo della Camorra» o della «mala vita» è azzardoso e si corre il rischio di una smentita in coro da tutti i quarantadue imputati che stanno davanti ai giurati di Viterbo.

Quando il presidente delle Assise chiese a Giuseppe Salvi (Peppino o' curto) se era stato veramente egli ad uccidere la Maria Cutinelli, moglie di Cuocolo, Peppino rispose:
- lo non posso dire nulla!... Sono innocente!...
- Siete voi camorrista?. ..
- lo no: sono un povero infelice!...
- Eravate al banchetto dei Bagnoli?...
- Nossignore!... Quel giorno io ed un altro stavamo derubando la canzonettista Santini!...

Con questo alibi don Peppino spera di salvarsi dall'accusa di assassinio: si accusa, è vero di furto: ma meglio ladro, pensa egli, che assassino!...
E quando il presidente dice a don Peppino, od a qualsiasi altro degli imputati:

- Abbatemaggio vi accusa! gl'imputati rispondono, a solo, od in coro:
- Sono tutte calunnie!... Egli accusa per interesse, per denaro!... Perché Abbatemaggio è più miserabile di noi!...
A buon conto, Abbatemaggio, il camorrista accusatore dei compagni, è in una piccola gabbia a parte, fuori dal gabbione comune delle altre belve. Si fa così anche nei serragli di Hagenbeck.

Tutti poi sono eccellenti oratori, hanno le frasi sonore, sanno tentare la commozione degli affetti. Antonio Cerrato chiamato all'interrogatorio, ed invitato per ciò ad uscire dal gabbione, risponde con orgoglio:
- lo parlo bene, e posso rimanere qui...
Mariano Di Gennaro, facchino, soprannominato o' diciassette, imputato come uno dei tre uccisori materiali di Cuocolo, comincia il suo interrogatorio così:
- Signori giurati, voi non avete dinanzi un assassino, ma un assassinato!...
- Eppure Abbatemaggio vi accusa!...
- Quello là è un povero «guaglione» che ha venduto carne umana!...
- E tu - rimbecca pronto Abbatemaggio, - sei forse il principe Colonna?!...
Ferdinando Di Matteo, un vecchio di sessanta anni, colpito già da quattro o cinque condanne con circa dodici anni di carcere, si presenta così:
- lo sono un povero vecchio e sono innocente.

Hanno poi anche un vivo orgoglio personale. Sortini, che è il parrucchiere della compagnia, si sente chiamare - Barbiere - dal presidente, ed interrompe con prontezza:
- No, no; parrucchiere, e se vuole, posso fare anche qui dei lavori in capelli. E siccome siamo in Settimana Santa, Di Matteo chiude il proprio interrogatorio inginocchiandosi e gridando: Sono innocente Gesù Cristo!...

Il presidente gli obbietta:
- Ma voi avete degli amici condannati per truffa....
- Le truffe le fanno i meglio.... gli uomini migliori.

Una parlantina velocissima ha l'Anna Siniscalchi, imputata fra l'altro, di subordinazione di testi: essa si lamenta del come furono fatti i verbali dei suoi interrogatori davanti al giudice istruttore; e il presidente, fra l'ilarità della sala, la rimbecca: - «Se parlaste col giudice come avete parlato oggi, non ci sarebbe mancato altro che raccogliere tutto!...»
Luigi Arena, un ex-coatto, supposto istigatore del duplice assassinio dei Cuocolo, è dotato di nobile civismo; tutto questo scandalo, dove va di mezzo la fama di Napoli lo addolora:

- Mi dispiace che si debba parlare male del mio paese perché sono napoletano e mi duole assai che altrove se ne possa parlar male. E' vero però assai che a Napoli i pregiudicati sono molto immaginosi....
- Meno male!
Luigi Arena, del resto, è anch'egli un ladro come tutti gli altri, ma quando Abbatemaggio lo accusa del furto di un semplice orologio, egli grida indignato: «Mi credi capace di scomodarmi a rubare un oggetto che non vale più di quindici soldi?...»

In fatto, Luigi Arena ha ragione, Gennaro Abbatemaggio, il camorrista pentito, fattosi accusatore in questa causa intricatissima, lo crede capace dì ben altro. Ecco, testuale, la definizione data da Abbatemaggio:
«Camorra, per chi non sa, è una carriera con tutti i diritti e i doveri inerenti. Un altro imputato pochi giorni fa disse che la camorra non esiste e che basta vedere un monello che dia uno scappellotto ad un altro per definirlo camorrista. Quello è un modo di dire; ma la camorra non consiste davvero nello scambio degli scappellotti fra ragazzi che si azzuffano. E' invece una setta fangosa che ha i suoi gradi, la sua gerarchia e la sua disciplina e che svolge la sua attività fra tutti i reati del codice penale. Si comincia, come cominciai io, dal primo grado che è quello di pícciuotto, per essere elevato poi a camorrista. Allora ogni cattiva azione, qualsiasi prepotenza è lecita ed io che fui pure travolto nel fango della malavita per parecchi anni so bene che in quel tempo feci il ladro, feci il basista di furti e so che ognuno che ne fa parte è un essere abbietto che fa vergogna e schifo, compreso me stesso che vi appartenni per tanto tempo. Né si deve credere che non occorra ingegno al camorrista, che è sempre un individuo scaltro, che studia ingegnosamente i suoi piani prima di metterli in opera; ingegnosissimi e specialmente sono i basisti dei furti; anzi dirò che in questo processo vi sono fra gli accusati due basisti celebri: Luigi Arena e Ferdinando di Matteo».

Abbatemaggio fu lungamente loro socio, e di tutti tre, come ricettatore, compartecipe negli utili, Giovanni Rapi o' professore, maestro eletto, pei suoi meriti, fra 400 concorrenti al diploma, e lodato - dice lui - da tutti i suoi direttori didattici. La figura del professore è delle più curiose. Ha viaggiato all'estero, ha giocato dappertutto: ritornato a Napoli fondò il Circolo del Mezzogiorno. Lo frequentavano, a sentir lui, principi, marchesi, tutti «alto locati». Fu al famoso banchetto di Mimì a'mare, e vi andò pubblicamente, non essendovi nessun male sotto, salendo in carrozza nel centro della città, dove è conosciuto come il sette di denari.

Che in conseguenza di quel banchetto non fu ammazzato nessuno lo ha proclamato alto e forte anche Erricone, Enrico Alfano, esclamando:
- Veramente, in quel giorno, come disse Abbatemaggio, ammazzammo qualcuno: il capitone! - la grossa anguilla mangiata nell'osteria di Mimì!...

E don Ciro Vitozzi è anch'egli persuaso dell'innocenza propria e di quella degli altri. Anch'egli è stato accusato da Abbatemaggio. Ma che importa?...

«Io spero - grida don Ciro, in un impeto di carità cristiana - che l'anima benedetta di suo padre lo spingerà a dire la verità, e io allora lo abbraccerò, come, del resto, lo abbraccio anche ora. E poi, costui è napoletano, e porta il nome benedetto di San Gennaro e deve finire per dire la verità... e se non la dicesse, allora lo maledirò fino alla settima generazione in nome della Santissima Trinità!...».

Don Vitozzi ha anche dello spirito. Il presidente gli chiede conto di una signora che gli scriveva molto liberamente e gli prestava largamente danari.
- Come mai?...
- E' una mia parente.
- E in che modo?...
- Doveva tenere a cresima la figlia di mia sorella: parentela spirituale!...
Fermiamoci qui con questi spunti del processo meraviglioso. E' un'esposizione ultra-verista del che cosa siano i bassi-fondi di Napoli, ancora cinquant'anni dopo il riscatto. Vi assistono, oltre a quelli d'Italia, i rappresentanti di tutta la stampa mondiale; e vi è anche un alto magistrato nord-americano, mandato a studiare la Camorra, visto e considerato che negli Stati Uniti essa si chiama, a quanto pare, la Mano Nera!...

(Da "L'Illustrazione Italiana" del 16 aprile 1911)