La fine del brigantaggio maremmano

Un anno fa io scriveva che, colla morte di D. Tiburzi, il brigantaggio non era finito, ma che ne incominciava la leggenda... L'uccisione avvenuta testé dei tre superstiti banditi Settimio Albertini e Settimio Menichetti da Santa Fiora, e Antonio Ranucci da Grotte di Castro - ci dice che, sì, la leggenda incominciata perdura, ma che per fortuna il brigantaggio che perdurava è finito.

Ma quante varie vicende in un anno, laggiù nella triste e conturbata maremma! La politica colle sue folli impazienze, colle sue calcolate lentezze, cogli infondati sospetti, colle facili accondiscendenze, avrebbe preteso che subito dopo il Tiburzi si fossero arrestati od uccisi i suoi compagni superstiti; e perchè ciò non avveniva, si era persino pensato di traslocare a Sondrio il bravo capitano Michele Giacheri che aveva diretto con tanta abilità e abnegazione la fortunata campagna... Ci volle la protesta unanime e la calorosa dimostrazione di affetto del popolo maremmano in favor suo, affiché il decreto di trasloco fosse revocato... e fosse lasciato a Grosseto colui che si era proposto di liberare quelle terre dalla mala pianta del brigantaggio.

E così fu che in conseguenza di un servizio abilmente preparato da molto tempo, il 30 ottobre scorso, dopo una fiera resistenza a fucilate, fra le macchie dette le Troscie di Montorgiali, cadevano fulminati dal piombo della brigata di Scansano i tre nominati banditi.

Ma quante fatiche, quanti sacrifici ignorati, quante vigilie, quante sottili astuzie prima di arrivare a contatto di questi re della macchia!... Fu una lotta tremenda di artifizii e soprattutto di disagi incredibili... Il capitano Giacheri aveva ricevuto una serie di lettere con minacce tremende e pareva che ogni giorno gli si facesse grazia della vita. Ma egli, più indomito che mai, coadiuvato da valorosi, si era proposto di inseguirli sempre... e li inseguì, li traccheggiò ovunque, li batté spesso, sempre li disperse e li fugò. Ma non cadevano nelle sue mani. Nelle selve di Santa Fiora, nelle interminabili macchie di Saturnia, sui poggi boscosi di Montorsaio e Stertignano, nelle folte foreste di Pereta di Pomonte, di Querciagobba, i nostri carabinieri hanno attesi qui banditi pazientemente, in calde giornate di agosto, nelle umide notti settembrine, spesso coi brividi della febbre malarica, nascosti in tane da cignali, fra spaccature di roccie, in casolari sudici, sotto le rame in un bosco sterminato, aspettando, aspettando. Finalmente, verso il 20 ottobre, una mattina videro i banditi che venivano dal confine romano: lì raggiunsero coll'occhio, lì inseguirono sperando in un conflitto... ma coloro non resistettero e dileguaronsi.

Tuttavia l'inseguimento paziente, diligente, abile continuò, e dopo dieci giorni la vittoria arrise a quei bravi soldati. Cosi, nel giro di pochi mesi, si è conseguito quello che da altri non si era fatto nel volgere di molti anni. Onde ben a ragione la Deputazione Provinciale di Grosseto, scrivendo una nobile lettera di elogio al capitano Giacheri e ai suoi dipendenti, ha potuto dire " che si è ridonata solo oggi tutta la sicurezza e tranquillità alla Provincia, estirpando dalle sue radici la dolorosa pianta del malandrinaggio... ".

I due briganti Albertini e Menichetti erano sempre stati insieme dal giorno in cui si incontrarono, senza conoscersi, nelle macchie maremmane. La loro latitanza comincia dal 1894 dopo un rapina con omicidio in persona del cassiere delle miniere del Siele, signor Boni Luigi. Commisero poi, quasi giornalmente, estorsioni, ladrerie d'ogni specie, ricatti, stupri, violenze brutali, incendi, e un altro omicidio nel 1895 in persona di due poveri operai romagnoli, creduti carabinieri travestiti. Essi avevano in corso sessantatré processi penali... e badate che non tutti i maremmani che furono vittime delle loro furfanterie le denunziarono all'autorità.

Il Ranucci solo da una ventina di giorni aveva abbandonato nel Viterbese il famoso Luciano Fioravanti, il fido compagno del Tiburzi, e l'aveva lasciato perché voleva essere il capo della piccola banda e fare per sé parte dei leone... A suo carico esistono novanta processi pendenti avanti i tribunali di Civitavecchia, Viterbo, Grosseto e Siena!
Tutti e tre erano forti, robusti, scaltrissimi. In maremma si parlava spesso e volentieri della caccia senza posa che i carabinieri facevano loro, e si soleva dire che " la lotta impegnata dal capitano Giacheri non poteva finire che con la morte o dell'uno o degli altri... ".

Oggi sopravvivono, ma non nella maremma, il Fioravanti che batte il Viterbese, e Fortunato Ansuini, da Norcia, che sta nell'agro romano, ed anzi alcuni affermano che è proprio dentro Roma.

L'autorità giudiziaria non credette stavolta di far procedere all'autopsia dei tre malandrini, cosa che la scienza avrebbe desiderata. La cronaca giudiziaria si è limitata a narrare che essi erano armati di ottimi fucili, di rivoltelle, di pugnali e di coltelli enormi, che erano carichi di munizioni d'ogni specie, e che nel conflitto si spararono circa 150 cartucce dalle due parti... Così la scienza fu lasciata alla porta... e dell'antropologia nessuno s'è ricordato, come di cosa che non ne valesse la pena...

AUGUSTO SETTI
(Da "L'Illustrazione Italiana" del 14 novembre 1897)