LA FORESTA IMPERIALE DI VALLOMBROSA
IL BOSCO DEL CANSIGLIO DURANTE LA DOMINAZIONE NAPOLEONICA ____________________________________________________________________
LA FORESTA IMPERIALE DI VALLOMBROSA
di Giovanni Galipò e Duccio Baldassini

Louis Gauffier - Foresta e abbazia - 1797
Nel giugno 1808, durante il periodo dell’occupazione francese, la Toscana era divisa in tre Dipartimenti: quello dell’Arno con sede a Firenze, Ombrone con sede a Siena e Dipartimento del Mediterraneo a Livorno. Vallombrosa era una delle corporazioni religiose alle quali erano state confiscate, nel maggio dello stesso anno, la proprietà dei beni e delle fattorie, date successivamente in affitto, eccetto la “macchia” ovvero le abetine che furono dichiarate “foresta imperiale” e gestite direttamente dal governo francese tramite l’
“amministrazione delle
acque e foreste”. Per cercare di mantenere le loro proprietà, i monaci rivolsero istanza per avere in affitto le loro ex proprietà fondiarie. Uno dei motivi sostenuti dai monaci era la necessità di tenere unite le rendite di boschi e poderi per assicurarsi un sostentamento sufficiente, anche se in verità solo le entrate dei boschi ascendevano al 38% di tutte le entrate e dalla parte dominicale di boschi e abetine arrivavano fino all’82%. Di tale idea era pure il commissario incaricato dal governo francese che nella sua relazione al Prefetto dell’Arno ribadisce che migliore gestione non poteva essere se non quella dei monaci.
TUTELA E CONSERVAZIONE DELLE FORESTE
A tal proposito il commissario per ottenere una funzionale e produttiva amministrazione delle foreste passate alla gestione del Demanio francese risolse nominando “per coprire la carica di provvisorio amministratore generale dei beni posseduti da Santa Maria di Vallombrosa (…) che il padre Abate don Luigi Fornaini già Camerlingo di Vallombrosa” essendo “di integerrima qualità i di lui lumi nell’agraria e le pratiche cognizioni del luogo acquistate nel lasso di 15 anni tempo in cui ne ha avuta l’amministrazione”. Tale nomina è motivata anche dalla necessità di mantenere la produttività della foresta ai livelli necessari per l’approvvigionamento dei legnami.
Le principali forniture di legname che partivano da Vallombrosa erano per la Marina Imperiale francese, proporzionate in base alla disponibilità della foresta e alle richieste, con l’esecuzione di tagli annuali come in uso al tempo dei monaci. Nonostante certe tradizioni che tramandano un uso non regolamentato delle foreste da parte dei francesi, bisogna notare come più volte si riscontrano richiami, bandi e leggi che ne tutelano la conservazione (finalizzata ovviamente alla rendita). Il sistema dei tagli prevedeva che questi fossero effettuati nei mesi di maggio e giugno, delimitando innanzitutto l’area di abbattimento e misurandola. Successivamente si martellavano le piante di confine e quelle che dovevano restare in piedi dopo il taglio che veniva eseguito nell’autunno successivo. Per il ceduo e le faggete veniva indicato il numero degli allievi da rilasciare oltre le matricine dei turni precedenti. I tagli straordinari si eseguivano quasi annualmente su piante secche in piedi, schianti e rovesciamenti dovuti al vento e comprendevano un considerevole numero di abeti. La Marina imperiale francese aveva diritto di prelazione sul legname. Il rimanente finiva all’asta per mezzo di un quaderno d’oneri molto dettagliato che si componeva di 90 articoli. Da tutti questi dati si evince una rigida gestione dei beni forestali ottenuta tramite un bilanciamento tra risorse disponibili e fabbisogno del governo occupante.
A Vallombrosa i tagli furono quindi regolari con estensioni annuali di circa un ettaro e mezzo per le abetine, di 15-20 ettari per la faggeta e 13-15 per il ceduo di castagno e misto. A conferma di quanto detto sopra, si rileva, ad esempio, una raccomandazione per una fornitura di 150 abeti per il Maire Pucci di Firenze e che “siano levati senza recarvi danno”. Con il decreto napoleonico del 13 Settembre 1810 viene ingiunto ai religiosi dei monasteri soppressi di lasciare gli edifici prendendo l’abito secolare. Vengono redatti lunghi elenchi dei beni incamerati dal governo per la loro alienazione. Viene però mantenuta salva la foresta e i boschi, i quali non sarà possibile alterare senza l’autorizzazione dei funzionari forestali e del Direttore del Demanio. In un rapporto di consistenza patrimoniale la foresta di Vallombrosa, comprensiva dei boschi delle fattorie dipendenti, ascende ad una estensione di 2.500 ettari per un valore di prodotti pari a 40mila franchi. Per fare un raffronto, i 2.000 ettari di Camaldoli ascendono a 25mila franchi di prodotti. Nel Gennaio 1811 viene introdotta la martellatura delle piante, sia di abete che di faggio, di cui sono incaricati i capi guardia. Nel 1812 si tenta di introdurre una nuova metodologia di rimboschimento, ovvero quella della produzione di piantine tramite i vivai, mentre a Vallombrosa era da sempre praticato l’utilizzo del selvaggione.
Thomas Smith (1780-1822) - Il monastero benedettino-
LA SORTE DELL'ABBAZIA
A ulteriore dimostrazione della cura riservata alla foresta, sempre in chiave economica come del resto facevano i monaci, sono le raccomandazioni dell’Ispettore forestale del dipartimento dell’Arno al Brigadiere imperiale Giuseppe Rossi a Vallombrosa, con le quali si chiedeva la revisione di tutte le piantagioni fatte in foresta dal 1809 al 1813 per redigere un verbale e aggiungervi le nuove da farsi nell’anno in corso per 9.500 abeti in varie zone della foresta. L’Abate Fornaini continuò anche durante la restaurazione Lorenese l’amministrazione della Foresta di Vallombrosa, finché essa non fu restituita ai monaci. Ad una gestione oculata e redditizia della foresta si contrappose il trattamento riservato dal governo occupante francese ai monaci. Dopo la loro espulsione, l’edificio venne spogliato di qualsiasi oggetto che potesse avere un valore commerciale, dai preziosi e di pregio ai reliquiari, ai dipinti, ai libri per arrivare sino alle maniglie delle porte e ai rubinetti. L’abbazia venne usata come ricovero di bestiame e osteria, gli appartamenti dell’abate e del camarlingo utilizzati come alloggi dei boscaioli e del pizzicagnolo che aveva aperto una bottega nella cucina monumentale dei monaci. Questo è il motivo, non di minor peso, che spesso identifica il periodo dell’invasione francese come uno dei momenti peggiori della storia vallombrosana assieme alla soppressione degli ordini religiosi da parte del governo italiano nel 1866.
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IL BOSCO DEL CANSIGLIO DURANTE LA DOMINAZIONE NAPOLEONICA
di Guido Spada
Foto tratte dal volume di Fulvio Roiter, Il Cansiglio. Il Bosco dei Dogi, Vianello libri, Ponzano (TV) 1989.
PRIMO PERIODO DI DOMINAZIONE FRANCESE
Il bosco del Cansiglio, oggi situato a cavallo tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, fu incamerato dalla Serenissima Repubblica di San Marco nell’anno 1548 e quindi “bandito”, ovvero riservato, ad uso esclusivo dell’Arsenale di Venezia.
Con la caduta della Repubblica nel 1797, termina anche il dominio veneziano sul bosco del Cansiglio; Giuseppe Valeggio fu l’ultimo Capitano del Bosco di nomina veneziana. Si aprì così una brevissima occupazione napoleonica.
Il legname che era rimasto ammassato in varie zone del Cansiglio e sulle rive del lago di Santa Croce (BL) fu depredato e disperso. Sia i privati che le municipalità dei Comuni limitrofi, in questo intervallo denominato “democratico”, non si fermarono al solo asporto del legname già allestito ma, non riconoscendo più nessuna autorità sovrana, arrecarono innumerevoli danni al bosco. Come infatti scrisse Valeggio: «non riconosciuta più nessuna sovrana autorità ed introdotti degli arbìtri innumerevoli, mentre ogni uno credea d’esser libero padrone, ne rimane ancora le sementi del male». A tal proposito così si espresse più tardi (1859-63) lo storico Adolfo de Bérenger: «Andarono così miseramente a perire tutte quelle leggi, […] prima ancora che ne fossero giunti a maturità i frutti preziosi. […] Le stesse leggi, bandite poco prima a redenzione delle foreste, diedero adito alla sempre insaniente democrazia, di menare furiosamente la scure contro di esse; ond’avvenne, che colla rapidità del baleno al grido dei sempre mal intesi nomi di libertà, di patria, e di popolo, ognuno si tenne padrone e libero di provvedere al proprio interesse […]».
Il 26 maggio 1797 un cittadino di Belluno, alla testa di cinque dragoni francesi, intimò al già Capitano del Bosco Valeggio di custodirlo a nome della Municipalità di Belluno, ordinando di allestire per la stessa ben tremila taglie di abete e duecentocinquanta “passi di borre” di faggio, col pretesto di approvvigionare le truppe francesi. Tale ordine andava contro gli interessi della Municipalità d’Alpago che si vantava di essere la proprietaria di parte del bosco e della Municipalità di Serravalle che si riteneva a sua volta proprietaria di una parte dello stesso.
Il 17 agosto 1797 giunsero nel bosco del Cansiglio quattro Capitani di Marina francese per richiedere il taglio di ventimila larici. Non essendoci in Cansiglio nessun larice, questi ripiegarono sulla richiesta di cinquecentoquattordici abeti di grossa mole. La richiesta era motivata dalla volontà della Francia di utilizzare il legname per l’allestimento di una nave di primo “rango” e una di terzo “rango”.
SECONDO PERIODO DI DOMINAZIONE FRANCESE
Come scrisse l’Ispettore Roberto Soravia nel suo trattato Il Cansiglio Foresta demaniale inalienabile del Veneto edito in Firenze nell’anno 1880: «il Cansiglio ritorna con l’antico dominio veneto nelle mani dei francesi, facente parte del cosiddetto “Dipartimento della Piave”».
Dopo una parentesi di dominazione austriaca infatti, col trattato di Presburgo del 26 dicembre 1805, il Cansiglio ritornò nelle mani dei francesi.
Il Vicerè del Regno d’Italia, Eugenio di Beauharnais, con proprio Decreto dell’aprile 1807 richiamò in vigore la legge forestale veneta dell’anno 1792. L’amministrazione dei boschi del Regno fu affidata, tramite il decreto del 18 maggio 1808, alla “Direzione generale del Demanio, Boschi e Diritti Uniti”. La Direzione, posta sotto le dipendenze del Ministero delle Finanze, vide istituito un Dipartimento apposito per l’amministrazione dei boschi.
Col medesimo decreto il Cansiglio venne a dipendere dal Conservatore ai Boschi di Belluno. Per il Cansiglio fu istituita un’apposita “Ispezione” con residenza speciale in Puos d’Alpago e nel Palazzo di San Marco nel bosco stesso, alternativamente.
Nonostante le norme chiare e ben articolate promulgate dal governo del Regno d’Italia, però ad amministrare la foresta furono purtroppo inviate spesso persone prive di professionalità specifica, mancanti delle più elementari norme tecniche.
Nel 1808 l’Ispettore al Regio Bosco Giuseppe Valeggio e nel 1810 e 1813 l’Ispettore Giovanni Zandonella riconfinarono il bosco. L’Ispettore Giovanni Morelli nel 1813 si occupò quindi dei pascoli limitrofi al bosco ossia dei “mezzi migli” che si trovavano nei comuni di Fregona, di Farra d’Alpago e di Polcenigo.
L’esistenza di una servitù di pascolo su terreni di sicura proprietà del demanio forestale, sotto la particolare denominazione di “mezzo miglio”, risultò essere una sorpresa per gli amministratori dell’epoca. Il Direttore Generale del Demanio, Boschi e Diritti Uniti, incaricò con proprio Decreto datato 14 giugno 1809 i Conservatori dei boschi affinché si procurassero tutti i ragguagli possibili intorno alle concessioni di tali ipotetici diritti, raccogliendo documentazione utile ai fini delle indagini. La documentazione risultò essere inesistente.
Con decreto del Regno d’Italia del 27 maggio 1811, per ovviare alla diffusa confusione che impediva una corretta gestione boschiva, fu introdotta anche in questi territori la legge forestale napoleonica. Al Generale regolamento pell’amm.ne de’Boschi dello Stato fu demandato il compito di “soprastare ed autorizzare ogni e qualsiasi attività relativa al bosco”.
La presenza francese venne a cessare nel 1814 con la costituzione, sotto amministrazione austriaca, del Regno Lombardo-Veneto.