L’ALLEVAMENTO DI BOVINI DA CARNE SECONDO LA LINEA VACCA VITELLO
SOSTANZE NUTRACEUTICHE ED ANTIOSSIDANTI PRESENTI NELLA CARNE
CENNI DI ALIMENTAZIONE DEI RUMINANTI
PROCESSI BIOCHIMICI DURANTE LA FROLLATURA ED EFFETTI SULLA QUALITÀ ORGANOLETTICA FINALE DELLA CARNE
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
L’ALLEVAMENTO DI BOVINI DA CARNE SECONDO LA LINEA VACCA VITELLO
Come funziona la principale tipologia di produzione di carne di qualità nelle aree montane e collinari
L’incentivo, negli anni passati, ad una agricoltura sempre più intensiva e con elevato utilizzo di input tecnologici ha portato alla scomparsa di molte aziende collinari e montane.
L’espletamento delle attività agricole nel territorio considerato porta i seguenti vantaggi
• formazione di un reddito;
• presenza dell’uomo, utile alla conservazione del suolo;
• realizzazione di produzioni di nicchia la cui domanda si presenta in crescente espansione.
La linea di produzione definita come vacca-vitello si è fortemente sviluppata nell’ultimo ventennio e rappresenta attualmente la principale tipologia di produzione di carne di qualità nelle aree montane e collinari.
L’allevamento secondo la linea vacca vitello è fortemente orientato verso una produzione salutistica e attualmente rappresenta il 10% della produzione. Da questo tipo di produzione derivano gli animali allevati in modo estensivo, con un basso impatto ambientale, limitato apporto energetico e proteico della razione e condizioni ottimali di benessere. Questi bovini presentano, però, una carne più dura, più scura e in particolare un grasso con una colorazione tendente al giallo, caratteristiche, queste, non gradite dal consumatore.
Il sistema tradizionale dell’allevamento linea vacca-vitello consiste in un periodo di pascolamento dei bovini nella stagione “primaverile-estiva” della durata di 150-210 giorni a seconda della latitudine, altimetria del monte e regime pluviometrico della zona a cui segue un periodo “invernale” durante il quale i soggetti vengono stabulati in strutture semplici ed economiche.
Gli scopi principali di questo allevamento sono:
• ottenere il maggior numero di vitelli svezzati per anno,
• produrre soggetti sani e ben conformati
• ridurre i costi di produzione, in particolare attraverso il contenimento delle spese dei ricoveri, della manodopera ecc.
La peculiarità della linea "vacca vitello" sta nel fatto che i vitelli rimangono con le loro mamme fino all'età di 6-7 mesi, nutrendosi prevalentemente di latte materno e di erbe del pascolo. Dopo lo svezzamento vengono ricoverati nelle stalle degli allevatori per essere ingrassati utilizzando in parte il pascolo.
Un aspetto di fondamentale importanza per le realtà presenti su territori marginali è rappresentato dalla scelta della razza o tipo genetico più adatto; di primaria importanza è la capacità di adattamento degli animali all’ambiente di allevamento. Gli animali devono presentare le seguenti caratteristiche:
• Capacità locomotoria – la struttura degli unghioni e la mole non molto elevata sono prerogative che permettono trasferimenti molto lunghi su percorsi accidentati e la possibilità di pascolare anche in zone particolarmente impervie;
• Adattamento a climi difficili – nelle zone più alte dei pascoli di montagna non è raro registrare forti escursioni termiche accompagnate da altrettanto ampie variazioni di umidità e a tutto questo bisogna aggiungere una prolungata esposizione all’irraggiamento solare;
• Elevata attitudine riproduttiva – poiché l’unica fonte di reddito dell’allevatore è rappresentata dai vitelli è necessario che siano ridotti al minimo gli interparti, in modo da consentire la nascita di un vitello l’anno;
• Longevità – aumentando la longevità delle vacche diminuisce la quota di riforma annua dell’allevamento, consentendo la vendita di un numero maggiore di animali da vita;
• Attitudine alla trasformazione di foraggi grossolani – questa caratteristica diventa fondamentale al rientro in stalla quando agli animali vengono somministrati foraggi prodotti per gran parte derivati da prati-pascolo polifiti naturali permanenti, con la presenza di essenze di scarso valore foraggiero (scarso livello di proteina grezza e alti livelli di fibra grezza).
FASI DI ALLEVAMENTO DEL VITELLO
L’allevamento del vitello viene diviso in diversi momenti fisiologici e occorre fornire cure e alimentazione adeguata.
Queste fasi, inoltre, vengono gestite in modo tale da rendere il sistema efficiente dal punto di vista economico e produttivo.
Allattamento e svezzamento- Il vitello allevato insieme alla madre assume latte via via in quantità crescenti in quanto aumenta progressivamente la quota di latte prodotto dalla madre fino al picco di lattazione, dopo diminuisce per numerosi fattori legati alla fisiologia stessa della lattazione, ma anche alla diminuzione del cotico erboso.
Con la diminuzione del latte prodotto dalla madre aumentano le esigenze di mantenimento e accrescimento del vitello che viene spronato a completare la dieta con l’erba del pascolo. All’aumentare dell’età il vitello assume quantità di latte piccolissime e quote di foraggio sempre più consistenti.
La dieta, composta per la maggior parte di pascolo polifita con un’alta percentuale di graminacee e quindi povera in proteine, risulta notevolmente sbilanciata contribuendo al non corretto utilizzo dei costituenti alimentari e quindi all’insorgenza di carenze.
Al rientro in stalla dopo l’estate il vitello viene svezzato. La crisi di svezzamento dipende dal repentino cambio dei foraggi, passando da erba fresca a fieno e concentrati, e dal distacco dalla madre con inizio della formazione di nuovi gruppi e gerarchie non sempre stabili.
Accrescimento - La fase di accrescimento è il periodo compreso tra lo svezzamento e l’inizio del finissaggio; la durata del suddetto periodo orientativamente va dai 7 ai 10 mesi.
La miscela foraggi-concentrati durante questo periodo dovrebbe avere un contenuto proteico del 13-14% con il 10% di fibra grezza.
Studiando la diversa velocità di crescita dei tessuti rispetto all’incremento ponderale del corpo degli animali, notiamo che il tessuto che cresce maggiormente è quello osseo, seguito da quello muscolare, pertanto la razione deve essere ricca in sali minerali, vitamine e proteine.
Una razione ricca in energia causerebbe precocemente un inopportuno accumulo di grasso, compromettendo la qualità. Un animale grasso, inoltre, ha un maggiore bisogno di energia di mantenimento a discapito della produzione e quindi un maggior dispendio energetico.
Finissaggio - L'ultima fase, la più importante, è il finissaggio da cui dipende principalmente la conformazione e l'adiposità dell'animale ed è caratterizzata da un’alimentazione spinta, con elevato apporto energetico e proteico. Questa è tra le fasi di produzione del vitello più delicate, in quanto attraverso un buon finissaggio si riesce ad ottenere carcasse e carne di qualità.
Durante questa fase l’alimentazione è maggiore e più concentrata. Il tenore proteico della razione si riduce dal 14 – 15% della fase di accrescimento all’11 – 13% nella fase di finissaggio.
La razione in questo periodo dovrebbe essere ricca di sali minerali e vitamine, deve presentare un notevole apporto di carboidrati e un minor apporto di proteine che, se eccessive, vengono utilizzate nel metabolismo energetico.
In genere durante questa fase dell'ingrasso si ha un arrotondamento delle masse muscolari e un accumulo adiposo, sia nella regione sottocutanea, sia con lievi infiltrazioni di grasso. Nella filiera produttiva segue la fase di macellazione, che è di importanza fondamentale in quanto può, se non condotta in modo corretto, danneggiare irreparabilmente il prodotto finale; ed è il primo momento di valutazione della qualità della “materia prima” prodotta (la carcassa).
Per la carne bovina, destinata alla vendita allo stato fresco, inizia la delicatissima e difficilmente controllabile fase della “frollatura” e della successiva conservazione e distribuzione.
Macellazione
Nell’ambito della "filiera carne" non dobbiamo trascurare il controllo dei fattori che incidono e possono modificare la sua qualità e che intervengono durante il periodo che precede o che segue la macellazione.
La conversione del muscolo in carne, dopo la macellazione, è un processo molto complesso e ogni intervento in questa fase ha una notevole influenza sulla qualità finale del prodotto.
L'insieme delle operazioni che precedono la macellazione può costituire una causa di stress per l'animale con ripercussioni negative sul processo di maturazione della carne.
I problemi del benessere in particolare durante il trasporto e la macellazione degli animali, non sono importanti solo per ragioni di tipo etico, ma anche in quanto causano perdite economiche dirette (mortalità) e indirette sulla qualità stessa della carne.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
PROCESSI BIOCHIMICI DURANTE LA FROLLATURA ED EFFETTI SULLA QUALITÀ ORGANOLETTICA FINALE DELLA CARNE
Il diverso metabolismo, le diverse dimensioni e capillarità delle fibre muscolari concorrono ad una elevata differenziazione qualitativa dell’alimento
Dopo la morte dell’animale si arresta la circolazione sanguigna e quindi l’apporto di ossigeno alle cellule, si innescano pertanto una serie di processi biochimici che portano alla trasformazione del muscolo in carne. Questo periodo di trasformazione viene chiamato frollatura ed è molto variabile in funzione dell’animale, dell’età, del suo stato nutrizionale e di tutti i fattori ante e post mortem che interagiscono con l’animale.
Schematicamente i processi biochimici che intervengono durante la frollatura si possono riassumere in 3 gruppi:
Processi dipendenti dall’attività glicolitica di tipo anaerobiotico che porta alla trasformazione del glicogeno in acido lattico e all’abbassamento del pH, questo processo continua fino a quando l’abbassamento del pH inattiva gli enzimi deputati. Cambiamenti fisico chimici, che intervengono durante la trasformazione del muscolo in carne, rendono labili le forze che immobilizzano l’acqua dovute alle proteine miofibrillari.
Processi dipendenti dall’attività proteolitica, in particolare la rottura e la degradazione dei legami che si formano tra le miofibrille e le proteine contrattili del muscolo ad opera di enzimi, permettendo così l’intenerimento della carne.
Processi di tipo ossidativo che concorrono sia alla formazione dell’odore e sapore della carne che alla degradazione lipidica proteica e della mioglobina, pigmento che conferisce il colore alla carne.
Ne consegue che il diverso metabolismo, le diverse dimensioni e capillarità delle fibre muscolari concorrono ad una elevata differenziazione qualitativa della carne, che si ripercuote in parte sull’intenerimento.
PROCESSI DIPENDENTI DALL’ATTIVITÀ GLICOLITICA
pH e temperatura
Il pH influenza molti parametri della qualità della carne, infatti agisce sul colore, sulla ritenzione idrica, sull’odore, sulla tenerezza e sulla shelf life.
Il valore di pH del muscolo dell’animale vivo è di circa 7-7,2 per poi assestarsi a 5,3-5,8 nel pH finale; la ragione di questa caduta è dovuta alla formazione di 0,1 mol l-1 di acido lattico dal glicogeno tramite glicolisi anaerobica (Honikel, 2004).
È definito pH finale quello che si modifica in modo sostanziale, infatti per carenza di glicogeno, consumato dagli enzimi glicolitici, non si forma più acido lattico.
Nella carne di bovino per raggiungere il pH finale di 5,5-5,6 servono circa 18-36 ore, questa ampia variabilità in termini di velocità di caduta del pH è dovuta a numerosi fattori intrinseci legati all’animale e alla specie a cui appartiene e a fattori di tipo ambientale. In particolare se l’animale prima della macellazione è sottoposto a fattori stressanti avvengono una serie di processi che agiscono sulla formazione di ormoni da parte delle ghiandole surrenali, tra cui adrenalina, portando all’esaurimento delle riserve di glicogeno.
Un evento stressorio, quindi, può essere causa di un pH finale alto (circa 6,0), e la carne si definisce DFD (dark, firm, dry) ossia carne scura, secca e appiccicosa.
La velocità del processo glicolitico, invece, aumenta all’aumentare della temperatura ambientale, ne consegue che nella carcassa i muscoli hanno una velocità diversa di diminuzione del pH a seconda della loro posizione e della lentezza di raffreddamento.
La diversa velocità è legata anche al tipo di fibre di cui è composto prevalentemente il muscolo, un contenuto elevato di fibre glicolitiche provoca un più rapido abbassamento del pH.
La velocità di diminuzione del pH nel periodo post mortem influenza molto l’intenerimento della carne durante la frollatura. In genere si afferma che un declino lento del pH nelle prime 24 ore dalla macellazione causa un indurimento della carne.
Con il consumo del glicogeno il muscolo non ha più a disposizione energia, pertanto la contrazione delle miofibrille non può evolvere e si forma un complesso di proteine legate intimamente. Il muscolo diventa inestensibile e duro, fenomeno indicato come rigor mortis (Marsh, 1964), ciò determina la diminuzione della lunghezza del sarcomero, che può ridurre anche del 50 % la sua dimensione iniziale.
Perdita di liquidi
L’acqua è il maggior componente dei tessuti muscolari striati, rappresentandone circa il 75%. Di questa, solo una piccolissima frazione (circa il 5%) è l’acqua intimamente legata alle strutture micellari delle proteine, quindi non è acqua libera e non risente dei cambiamenti che avvengono a carico delle proteine muscolari. La restante acqua viene considerata libera e si può muovere nello spazio extracellulare, anche se frazioni di essa occupano posizioni ben precise, che difficilmente possono essere perdute se non intervengono forze esterne. L’abilità della carne di trattenere i liquidi, anche quando è sottoposta a forze come calore o pressione, viene indicata come capacità di ritenzione idrica.
La maggior parte dell’acqua libera è localizzata nella zona intermolecolare tra le proteine strutturali dei muscoli che con la loro forza ionica la trattengono. I processi biochimici post mortem concorrono alla denaturazione delle proteine e all’abbassamento del pH, questi due fattori agiscono negativamente sulla capacità di ritenzione idrica.
La perdita di liquidi continua quindi anche durante la frollatura a causa della denaturazione proteica. Il liquido che non viene riassorbito passa nella zona extracellulare e viene perso per evaporazione o gocciolamento.
I liquidi possono essere persi dalla carcassa in tre modi differenti: il primo è dovuto all’evaporazione, che riveste un ruolo fondamentale ai fini economici, rappresentando il così detto “calo frigo”. Questa perdita si ha perché la pressione del vapore acqueo sulla superficie calda della carcassa è maggiore dell’aria circostante e continua finché il sistema non arriva all’equilibrio; la perdita è stata stimata intorno al 2%.
La seconda perdita è dovuta al gocciolamento, il liquido si presenta di colore rossastro e questo fuoriesce quando vengo tagliate le fibre, in quanto si aprono dei varchi negli spazi tra una fibra e l’altra, che sono i siti in cui si trovano i liquidi extracellulari.
L’ultima perdita è dovuta alla cottura, le alte temperature infatti causano un’ulteriore contrazione delle fibre dovuta alla precipitazione delle proteine sarcoplasmatiche su quelle miofibrillari, difatti temperature sopra i 25°C alterano il punto isoelettrico delle proteine fibrillari, che diventano incapaci a trattenere liquidi, collassando. Questa perdita rappresenta circa il 40% dell’acqua totale. L’eccesiva perdita di liquidi rende la carne poco succosa e di difficile masticazione.
PROCESSI DIPENDENTI DALL’ATTIVITÀ PROTEOLITICA
La degradazione proteica
L’attività proteolitica che si innesca con la morte dell’animale ha come principale conseguenza l’intenerimento della carne.
La tenerezza della carne dipende dalle alterazioni, che si verificano durante e dopo il rigor mortis, dei componenti strutturali del muscolo e delle proteine associate. In genere si afferma che la maggior parte della tenerezza è dovuta alla degradazione delle miofibrille, mentre pare che il collagene rimanga stabile più a lungo, anche se recentemente alcuni lavori evidenziano una degradazione del collagene intramuscolare a circa 10 giorni dalla frollatura.
I responsabili della degradazione proteica post mortem sono un vasto complesso di enzimi proteolitici. Tra questi le catepsine, enzimi lisosomiali che agiscono a pH acido con minore influenza sull’intenerimento della carne e le calpaine, un importante complesso di enzimi proteolitici calcio dipendenti che vengono invece considerate largamente responsabili della degradazione miofibrillare e intervengono subito dopo la morte dell’animale raggiungendo un picco massimo di attività durante il rigor mortis.
I fattori che entrano in gioco nel massimizzare l’azione degli enzimi proteolitici sono quindi il pH, la temperatura e la concentrazione di calcio.
Durante la frollatura tutti e tre questi fattori non sembrano mantenersi a lungo in condizioni ideali per espletare il massimo dell’attività enzimatica, che già a 48 ore dalla macellazione si riduce notevolmente.
PROCESSI DI TIPO OSSIDATIVO
Con la caduta del pH si formano una serie di composti atti a sviluppare positivamente l’aroma della carne attraverso vari e complessi processi biochimici. È bene sottolineare che lo stesso acido lattico, proveniente dalla riduzione del glicogeno, conferisce un piacevole aroma alla carne.
La degradazione delle proteine e dei grassi durante la frollatura contribuisce favorevolmente al sapore, producendo idrogeno solforato, ammoniaca, acetaldeide, acetone, diacetile e vari amminoacidi.
Durate la trasformazione del muscolo in carne intervengono anche processi ossidativi, in particolare ricordiamo la trasformazione della mioglobina in ossimioglobina, pigmento responsabile del colore della carne, migliorando l’aspetto fisico del prodotto.
Colore
Il colore della carne dipende principalmente da tre fattori: struttura fisica, concentrazione dei pigmenti e loro stato chimico.
Il pigmento responsabile del colore è la mioglobina, che è una proteina globulare costituita da un complesso di proteine detto “globina” e da un gruppo prostetico detto “eme”.
Il gruppo eme al suo interno ha una parte idrofobica costituita da istidina e al suo centro c’è il ferro. L’abilità della mioglobina di assorbire luce nel visibile è dovuta al gruppo eme. A seconda del grado di riduzione del ferro e dell’elemento che si lega nel sesto sito, si avranno colorazioni diverse delle carne.
Il ferro del gruppo eme può esistere in entrambe le sue forme, sia ridotto (Fe++) ferro ferroso, che ossidato (Fe+++) ferro ferrico. In base allo stato di ossidazione del ferro e della molecola che lega, la mioglobina si distingue in: deossimioglobina, dal colore rosso scuro, ossimioglobina con colore rosso brillante e metamioglobina, dal colore marrone.
Dopo la morte dell’animale l’attività enzimatica, che determina il passaggio da uno stato all’altro della mioglobina, si mantiene attiva per un notevole periodo diffondendo l’O2 in profondità.
Mentre l’ossimioglobina e la deossimioglobina sono composti reversibili, la MetMb una volta formata si trova in uno stato irreversibile; questa forma, come già detto, dona un colore marrone sgradito al consumatore e diventa inaccettabile quando la concentrazione supera il 50 %.
Altre anomalie cromatiche della carne, sempre in uno stato irreversibile, sono dovute alla formazione di pigmenti in cui la mioglobina lega altri composti di derivazione microbica, come l’H2S (acido solforico) che origina la sulfomioglobina, caratterizzata da un colore verde.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
CENNI DI ALIMENTAZIONE DEI RUMINANTI
Nel rumine si è sviluppato un sistema simbiotico con una flora batterica con capacità cellulosolitiche, che vive numerosissima nei prestomaci assieme ad una fauna protozoaria e fungina
Tutte le funzioni biologiche connesse alla vita sono possibili solo se gli animali dispongono di sufficienti quantità di energia e di materiale per estrinsecarle.
Per una alimentazione corretta è necessario conoscere:
quali sono le sostanze necessarie agli animali (lipidi, glucidi, proteine, minerali e vitamine); quali alimenti le contengono e in quale percentuale;
in quale misura ciascuna sostanza deve essere fornita all’animale (livello produttivo, età, stato sanitario, stato fisiologico ecc.).
Gli alimenti sono composti principalmente da:
Acqua
Contenuta negli alimenti in quantità variabile, rende possibile le reazioni biochimiche della digestione, allontana le sostanze di rifiuto (urine, sudore, feci) ed esercita un’importante funzione di termoregolazione.
Proteine
Le proteine formate da aminoacidi sono i costituenti principali dei tessuti muscolare, connettivo, corneo e di enzimi, DNA, cromoproteine (citocromi emoglobina, mioglobina) e altri componenti minori.
Carboidrati
Si distinguono in monosaccaridi, disaccaridi, trisaccaridi, polisaccaridi, amido, cellulose ed emicellulose (di origine vegetale). Rappresentano la fonte di energia immediatamente disponibile.
Lipidi
Svolgono azione di riserva energetica, sono anche i costituenti delle pareti cellulari, degli ormoni steroidei ecc..
Minerali
Partecipano a numerose funzioni fisiologiche e strutturali come: costituzione dei tessuti - regolazione del pH del plasma e della pressione osmotica, propagazione degli impulsi nervosi, costituzione di alcuni coenzimi.
Carenze o eccessi dipendono da: stati patologici gravi, biodisponibilità nell’alimento, efficacia dei processi digestivi, capacità ionizzante dei succhi gastrici, presenza e disponibilità dei carriers metabolici ecc..
Vitamine
Hanno la funzione di catalizzare i normali processi metabolici (bioregolatori). Esse si dividono in liposolubili (A, D, E, K) e idrosolubili (gruppo B, acido folico, acido pantotenico, PP, H, C)
Il ruminante grazie ai microrganismi del rumine riesce a produrre da solo la quota di vitamine del gruppo B, PP, K, H necessaria.
I processi di assorbimento dei costituenti chimici degli alimenti negli animali passano attraverso la digestione che è la degradazione di molecole molto grandi in molecole più piccole e schematicamente si può dividere in 4 fasi:
1-insalivazione e masticazione nell’apparato buccale
2-deglutizione nel retrobocca ed esofago
3- degradazione microbica nel rumine e/o cieco
4-digestione enzimatica nel tratto gastro-enterico
Nei ruminanti è un processo complicato dovuto alla presenza dei prestomaci che vengono rappresentati nell’immagine sottostante.
Grazie alla degradazione dell’alimento nel rumine ad opera dei microrganismi ruminali si producono grandi quantità di acidi grassi volatili come acido acetico, propionico, butirrico e lattico, indispensabili per il metabolismo energetico dell’animale.
La prevalenza di un acido grasso volatile rispetto all’altro è dipendente dalla razione e dalla quantità di fibra in essa contenuta.
L’acido acetico è importantissimo per la sintesi grasso nel latte, l’acido propionico rappresenta per il ruminante la fonte più importante di energia; favorisce la formazione di tessuto adiposo e previene l’acetonemia poiché smaltisce i corpi chetonici.
L’acido butirrico per essere utilizzato dall’organismo deve essere prima convertito in glucosio. È utilizzato per la sintesi dei lipidi e, se in esubero, accelera la formazione dei corpi chetonici. L’acido lattico normalmente è presente in minime quantità ed ha le stesse funzioni del propionico.
Gli acidi grassi volatili per semplice diffusione, in base al gradiente di concentrazione superano l’epitelio di rivestimento delle papille della mucosa del rumine e poi vengono trasportati col circolo venoso portale al fegato. Questi costituiscono la fonte principale di energia per i ruminanti in quanto danno circa il 60-70 % dell’energia digeribile assunta con gli alimenti.
I ruminanti, al pari dei monogastrici, non hanno ghiandole capaci di produrre enzimi in grado di intaccare la cellulosa. Quindi per l’insufficiente corredo enzimatico non potrebbero utilizzare completamente l’alimento, in considerazione che questo è costituito prevalentemente o esclusivamente da vegetali le cui cellule sono rivestite da una capsula di cellulosa. La masticazione, che durante il processo di ruminazione è particolarmente accurata, sminuzza e tritura l’alimento liberando i succhi dall’interno delle cellule, non è sufficiente a consentirne una utilizzazione totale. Nel ruminante si è sviluppato un sistema simbiotico con una flora batterica con capacità cellulosolitiche, che vive numerosissima nei prestomaci assieme ad una fauna protozoaria e fungina.
- La flora batterica è costituita in prevalenza da cocchi e bacilli anaerobi dotati di svariate proprietà enzimatiche,
- la fauna protozoaria è rappresentata da Isotrichia prostoma – Dasytrichia ruminantium – e dal genere Entodinium e Diplodinium
- i funghi appartengono alle specie di funghi anaerobi Neocallimastix – Piromonas – Sphaeromonas.
Il numero e la specie dei microrganismi endoruminali varia a seconda della dieta in quanto i diversi principi alimentari influenzano positivamente o meno i vari tipi di microrganismi che sono in competizione tra di loro.
Nel rumine la cellulosa, grazie all’azione dei microrganismi, subisce la scissione del legame b-glucosidico dando origine a cellulodestrine. In seguito si forma cellobioso e in ultimo con un enzima cellobiasi si hanno due molecole di glucosio. I microrganismi poi assumono il glucosio, lo elaborano in fruttosio 1,6-difosfato.
I protozoi del rumine invece con la loro azione meccanica, essendo sprovvisti di enzimi cellulosolitici, attaccano le fibre, in simbiosi con i batteri e coadiuvano con il loro movimento il rimescolamento del contenuto del rumine. Questi poi possono utilizzare prodotti intermedi della scissione della cellulosa, hanno altresì la capacità di fagocitare batteri insieme a frammenti di cellulosa agendo da veri e propri piccoli ruminanti. Batteri e protozoi nell’abomaso poi vengono digeriti e danno una certa quantità di glucidi assorbiti nell’intestino.
I ruminanti con la dieta costituita da foraggi introducono proteine dei tessuti vegetali e una buona quantità di sostanze azotate non proteiche (NPN Non Proteic Nitrogen) costituite da aminoacidi liberi, acidi nucleici, basi puriniche e pirimidiniche, ammoniaca, sali di ammonio, urea, nitrati, nitriti che possono costituire nel loro insieme il 15-20% dell’azoto della razione. Le proteine vengono scisse dai microrganismi ruminali in peptidi e aminoacidi, questi ultimi possono essere utilizzati per la sintesi delle proteine microbiche e protozoarie che hanno un alto valore biologico in quanto in esse sono presenti tutti gli aminoacidi essenziali. I batteri e protozoi digeriti dagli animali sono pertanto fonte di aminoacidi essenziali, ma anche di vitamine del gruppo B, in particolare della B12 non prodotta nei tessuti animali, ma assorbita dai microrganismi.
Per questa azione importante di trasferimento dal rumine e di concentrazione nei tessuti animali di molecole indispensabili alla vita, i ruminanti costituiscono un anello importante nella catena alimentare perché in grado di connettere le potenzialità nutrizionali dei microrganismi ad animali occupanti posizioni più elevate della catena alimentare quali carnivori e uomo.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
SOSTANZE NUTRACEUTICHE ED ANTIOSSIDANTI PRESENTI NELLA CARNE
Tra gli altri, L-acetil carnicina, zinco, creatinina, acido lipoico e glutatione, acidi grassi coniugati (acidi linoleici coniugati, CLA) e acidi grassi omega-3
La valorizzazione qualitativa della carne oltre a migliorare le caratteristiche organolettiche passa attraverso l’ottenimento di un prodotto di elevate proprietà nutrizionali.
Recentemente, risulta aumentata la domanda di cibi dotati di particolari "virtù salutistiche", derivanti da un’agricoltura sostenibile di tipo estensivo e contenenti principi nutritivi di tipo funzionale (functional food) o, come viene detto con un neologismo “nutraceutici”, termine americano che fonde due parole: “Nutrition” e “Pharmaceutical” ossia di alimenti in primo luogo sicuri ma capaci anche di svolgere specifiche e favorevoli funzioni fisiologiche.
Nonostante i concreti avanzamenti delle tecnologie di produzione per ottenere una carne di qualità, meno ricca di grassi, permane comunque una elevata disinformazione, sostenuta da pregiudizi e da alcuni messaggi dei mass media non propriamente corretti.
Nella carne, ed in particolare in quella di animali che utilizzano il pascolo per parte della loro vita, elementi che svolgono la funzione suindicata sono: L-acetil carnicina, lo zinco, la creatinina, l’acido lipoico e la glutatione, acidi grassi coniugati (acidi linoleici coniugati, CLA) e gli acidi grassi omega-3.
Gli Isomeri Coniugati dell'acido Linoleico (CLA) sono una categoria di sostanze molto importante, numerosi studi "in vitro" e su animali di laboratorio, hanno evidenziato che i CLA sono efficaci nell’inibire la carcinogenesi, l’aterosclerosi ed agiscono positivamente sulla risposta immunitaria.
Il CLA è un acido grasso naturalmente presente in diversi alimenti ed in modo particolare nelle carni; è infatti stato isolato verso la metà degli anni 80 nella carne di bovino. La principale fonte alimentare di CLA è rappresentata dagli alimenti provenienti dai ruminanti mentre i monogastrici ed i pesci “forniscono” dei prodotti molto meno ricchi in CLA, questo si deve al fatto che la biosintesi dei CLA avviene in parte a livello ruminale (Bauman et al., 1999).
L’ossidazione dei lipidi negli alimenti è il maggior fattore di natura non microbiologica che può incidere negativamente sulla loro qualità. Nella carne, durante le normali condizioni di frollatura, confezionamento, conservazione e cottura, si assiste ad un aumento dell’ossidazione dei lipidi. Le componenti bioattive della carne che possono limitare gli effetti ossidativi e la formazione di radicali liberi sono l’acido lipoico, conosciuto già dagli anni cinquanta anche con il nome acido tiotico e classificato fra le vitamine liposolubili. Questo elemento funzionale è presente nei mitocondri delle cellule animali come cofattore degli enzimi della decarbossilazione ossidativi; si trova soprattutto nei muscoli rossi e, particolarmente, negli animali che praticano intensa attività fisica. L’acido lipoico è una molecola solubile sia in acqua sia nei lipidi, è relativamente piccola, formata da una catena di otto atomi di carbonio e due di zolfo collocati nella parte terminale. L’acido lipoico è considerato l’antiossidante universale per eccellenza, in quanto ha il potere di neutralizzare i radicali liberi nelle zone grasse ed in quelle acquose delle cellule. È in grado anche di incrementare l'efficienza dell'insulina, migliorando anche il trasporto del glucosio all'interno delle cellule.
Tra le molecole di origine aminoacidica facilmente biodisponibile ricordiamo la carnosina, un dipeptite (alanina e istidina), presente in larga quantità nei muscoli scheletrici; è assorbita tal quale nel plasma e la sua azione antiossidante è collegata alla capacità di chelare i metalli ed alla possibilità di eliminare i radicali liberi; agisce prevalentemente sui prodotti secondari di ossidazione dei lipidi. Gli studi che hanno avuto come oggetto la carnosina, hanno infatti individuato una sorprendente molteplicità di proprietà che, spaziando dall’azione antiossidante, antinvecchiamento, ed antiglicosilazione la rendono un nutriente particolarmente interessante. La L-carnosina inibisce la formazione delle sostanze indicate con il nome di AGEs, advanced glycosylation end products (prodotti finali di avanzata glicosilazione).
La L-carnosina, oltre alle attività antiossidanti e contrastanti la formazione di radicali liberi, reagisce anche con aldeidi nocive, esercitando una funzione protettiva sulle macromolecole suscettibili.
È noto inoltre come il potere antiossidante associato alla carnosina possa contribuire alla prevenzione della perossidazione lipidica, fenomeno che gioca un ruolo rilevante nell’insorgenza della patologia dell’arteriosclerosi.
Il glutatione, un tripeptide (glicina, cisteina e glutammina), che svolge, assieme al selenio, un importante ruolo nella detossificazione dai radicali liberi nell'ambito delle cellule dei mammiferi, è presente soprattutto nella carne bovina e suina e, in misura minore, in quella avicola, mentre latticini, cereali, frutta e verdura contengono solo piccole quantità di questa sostanza.
Gli alimenti ricchi di composti antiossidanti riescono a rallentare la formazione dei radicali liberi e contribuiscono a proteggere l'organismo, riducendo e riparando i danni provocati a cellule e tessuti.