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Scegliere cosa mettere in tavola è un atto profondamente identitario, rimanda a chi siamo e da dove veniamo, ma anche a quali viaggi e quali persone abbiamo incontrato nella nostra vita. Se vogliamo dare una mano all’ambiente non c’è cosa migliore che riscoprire le radici dei nostri costumi alimentari che vedono una forte presenza di cereali, verdure e legumi e un apporto di proteine animali limitato ad alcuni giorni della settimana. Ripartiamo dalla dieta mediterranea che è stata riconosciuta dall'UNESCO come bene protetto e inserita nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell'Umanità nel 2010.
Non possiamo ignorare, infatti, che il sistema alimentare è responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra, e in cima alle classifiche degli impatti ambientali dei singoli alimenti in Italia troviamo la carne, sia per emissioni di CO2 sia per consumo di acqua.
“Il modello di allevamento industriale globale, non solo quello praticato nel nostro Paese, ci costringe a fare i conti con costi ambientali e sociali insostenibili. Dobbiamo ripensare i nostri consumi per immaginare un futuro migliore e le scelte dei consumatori sono determinanti per indirizzare la produzione e condizionare il mercato. Tuttavia la soluzione non è cancellare la carne dalla nostra dieta, perché un buon allevamento – buono per l’ambiente e buono con gli animali – è indispensabile per un’agricoltura sostenibile e per una carne di qualità. Per questo occorre sostenere chi pratica un allevamento sostenibile, spesso prendendosi cura anche di territori marginali e salvando biodiversità, come i numerosi allevatori che custodiscono razze locali” spiega Raffaella Ponzio di Slow Food.
L’associazione ha lanciato una campagna con il contributo del Ministero dell’Ambiente che invita a un’alimentazione più consapevole. Non tutti sanno, ad esempio, che gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di formazione di polveri sottili in Italia, più del trasporto leggero e dell’industria, e che il comparto zootecnico contribuisce alla produzione di gas climalteranti quanto l’intero settore dei trasporti. Le scelte alimentari che compiamo ogni giorno hanno quindi un impatto, di cui è bene prendere coscienza.
COSA FARE?
Leggere le etichette, fare più domande al negoziante e al cuoco quando siamo al ristorante, organizzare qualche gita in fattoria, aderire a gruppi di acquisto che si riforniscono da produttori affidabili. Informarsi molto e non dimenticare mai che bisogna diffidare dei prezzi troppo bassi, che in realtà nascondono altissimi costi ambientali e sociali. Produrre qualità invece costa, ed è un lavoro che deve essere remunerato equamente. La fettina di carne comprata al supermercato sotto casa, ad esempio, ha spesso una storia lunghissima da “raccontare”: è molto probabile che il mangime usato nell’allevamento intensivo da cui proviene contenga soia coltivata su un terreno deforestato dall’altra parte del mondo.
Greenpeace, con il suo Eco Menù, offre dieci consigli semplici e concreti per una spesa amica del clima e del Pianeta.
Aumentare verdure e proteine vegetali certo, ma anche contenere al minimo gli imballaggi e la “strada” percorsa dal nostro cibo scegliendo sempre stagionale e locale, e preferendo il biologico.
PESCE E PROTEINE VEGETALI
Anche il pesce ha una sua stagionalità ed è possibile, leggendo l’etichetta che ora è obbligatoria, capire se stiamo acquistando pesce italiano o proveniente dall’altro capo della Terra. Ci sono poi specie sovrasfruttate da evitare, come il tonno o il pesce spada, mentre sono da preferire quelle le cui popolazioni vivono in abbondanza nei mari italiani e del mondo. Solo per dare alcuni nomi aguglia, sgombro, sugarello, palamita, zerro, pagello, lampuga, pesce pilota, pesce serra, tonno alletterato. Che sia locale e di stagione non basta, il pesce da privilegiare è quello pescato artigianalmente, senza metodi distruttivi di pesca. L’etichetta consente anche di scoprire come è stato pescato.
Si potrebbe tornare alla sana abitudine di consumare pesce il venerdì e carne la domenica sulla tavola delle feste. Con questa semplice mossa la nostra dieta diventerebbe molto sostenibile, sana ed economica. Certo, il tempo di preparazione dei cibi aumenta, ma forse è un sacrificio che vale la pena fare. Cucinare insieme in famiglia o con gli amici aiuta anche a recuperare la convivialità che nella nostra vita frenetica viene spesso troppo contingentata.
Dal punto di vista nutrizionale, le proteine vegetali, abbinate correttamente tra loro, non hanno niente da invidiare alle proteine animali. Alcuni esempi di ottimi abbinamenti sono pasta e fagioli (o ceci), insalata e noci oppure mais e fagioli. La scarsa conoscenza dei legumi porta spesso a considerarli dei “contorni” dimenticando che si tratta di proteine. E non sono ortaggi, anche se tendiamo ad assimilarle ad essi, patate e patatine fritte. Andrebbero limitate, così come andrebbe seriamente ridotto – secondo gli esperti di nutrizione della Harvard T.H. Chan School of Public Health - il consumo di cereali raffinati come riso bianco e pane bianco. Per fortuna gli scaffali dei supermercati sono sempre più ricchi di pasta e pane integrali, addirittura un noto marchio commercializza ora pasta prodotta con farine di legumi. E il latte e i suoi derivati? Anche quel consumo andrebbe ridotto se vogliamo aiutare l’ambiente, privilegiando i prodotti da allevamenti ecologici. La differenza la spiega Federica Ferrario, di Greenpeace: “L’alimentazione animale in questi allevamenti è principalmente basata sul pascolo e sui residui agricoli; i mangimi sono prodotti localmente senza uso di pesticidi. Il terreno utilizzato per l’alimentazione animale non è stato sottratto alla produzione alimentare, come avviene invece con le monocolture di soia o mais”.
VEGANESIMO? UNA RELIGIONE
Un tribunale del lavoro inglese ha emesso a gennaio scorso una storica sentenza sul ricorso di un vegano che si è sentito discriminato dalla propria azienda e infine licenziato a causa delle sue convinzioni. Il giudice Robin Postle ha stabilito che il “veganesimo etico” ha diritto di avere una protezione legale simile a quella di “un credo filosofico o una religione”, rientrando dunque nell’ambito dei diritti garantiti dall’Equality Act, una legge sull’eguaglianza di trattamento.