SALUTE
ACCUMULATORI SERIALI
09/02/2021
di Ermanno Giudici

Un fenomeno problematico e spesso sommerso originato da una particolare psicopatologia che induce a raccogliere compulsivamente oggetti o animali fino a venirne sopraffatti

FOTO APer comprendere le motivazioni che portano alcune persone ad “accumulare”, nel senso letterale del termine, cose e animali bisogna fare i conti con una realtà scientificamente accertata: l’accumulo compulsivo è una malattia e come tale va considerato e trattato. Ci sono persone che accumulano giornali o qualsiasi altro oggetto (persino rifiuti) che ritengono possa avere una futura utilità oppure essere un pezzo indispensabile in una collezione sterminata. Nelle loro case spesso vengono occupati tutti gli spazi liberi, da terra al soffitto, compresi bagno e cucina, con evidenti rischi di natura igienica, nonché di sicurezza sotto il profilo della prevenzione incendi e del carico statico subìto dai pavimenti.

NON SOLO COSE, ANCHE ANIMALI

Gli hoarder (come definiti dalla letteratura scientifica anglosassone) possono accumulare oltre a cose inanimate anche animali, di qualsiasi specie e senza un preciso criterio. La motivazione iniziale è sempre quella di sopperire a un proprio bisogno intimo di vivere con questi animali, mentre la seconda ma non meno importante è quella di raccoglierli per curarli, con l’idea di essere gli unici in grado di soccorrerli. Un’intenzione lodevole che però resta tale, facendo sprofondare quelli che dovrebbero essere i destinatari di una tutela in una spirale di privazioni e maltrattamenti, che può andare dalla mancanza di cibo e cure alla restrizione in spazi angusti, dalla vita in condizioni igieniche deprecabili alla morte che può sopraggiungere per inedia o assenza di adeguata assistenza.

Queste situazioni, oltre a creare conflitti con il vicinato per evidenti motivi, quando riguardano animali concretizzano anche il reato di maltrattamento, sia nella sua connotazione delittuosa sia in quella contravvenzionale. Un reato che le Forze di Polizia hanno il dovere di interrompere, impedendo così che possa essere portato a ulteriori conseguenze. E devono farlo anche sapendo che la persona responsabile sotto il profilo medico è affetta da un vizio mentale che la renderà quasi sicuramente non imputabile ai sensi della normativa penale vigente.

Sotto il profilo operativo, per poter intervenire in modo efficace, occorre conoscere le caratteristiche della patologia, i comportamenti dei soggetti che sono, seppur variabili, simili nel modus operandi. L’intervento, al di là delle attività di iniziale accertamento e verifica della situazione, deve portare alla quantificazione della gravità del problema, che può andare dall’accumulo di un numero esiguo di animali, comunque non curati e in condizioni di vita miserevoli, per arrivare alla presenza di un grande numero di animali, anche appartenenti a specie diverse.

FOTO CLa diversificazione della tipologia degli animali è spesso condizionata dal luogo in cui l’accumulatore opera, che può non essere l’abitazione, anche se spesso le due realtà coincidono per la difficoltà della persona di separarsi da cose e animali. Veniamo ora al profilo dell’accumulatore di animali, premesso che si tratta di un comportamento “trasversale”, che cioè prescinde dalle condizioni socio-economiche. Patronek e collaboratori (2006) hanno proposto tre categorie di base. La prima è quella del “caregiver sopraffatto”. Si tratta di una persona generalmente sola, con forte attaccamento nei confronti degli animali, che a causa di difficoltà improvvise (malattie, problemi economici, lutti) non è più in grado di prendersene cura e non riesce a uscire dalla situazione. Acquisisce gli animali in modo passivo (le persone glieli affidano, perché sanno che li ama, oppure non li sterilizza e lascia che si riproducano in maniera incontrollata) e la sua autostima è legata al ruolo di “dispensatore di cure e attenzioni”. La seconda macrocategoria è quella del “salvatore”, che sente di avere la missione di salvare gli animali: ha una compulsione ad acquisirne in maniera attiva adottandoli anche nei rifugi, attraverso volantini o la Rete ed è convinto di essere il solo in grado di prendersene cura. Dopo averli salvati non ne permette l’adozione, ne teme la morte e si oppone all’eutanasia anche quando li vede sofferenti. Infine, la terza categoria proposta è lo sfruttatore. Queste persone accumulano animali per un fine prettamente economico, non mostrano empatia né verso gli animali né verso le persone, sono sovente manipolatori e pianificano strategie per evadere i controlli. Spesso hanno caratteristiche sociopatiche o disturbi di personalità di tipo narcisistico o antisociale.

FOTO DCOME INTERVENIRE

La patologia da accumulo (disposofobia) non è risolvibile in toto e gli interventi, per questa ragione, si rivelano particolarmente complessi. Questo probabilmente è il principale motivo per il quale, nonostante i reclami da parte di persone vicine agli accumulatori, molto spesso vi siano lentezze operative nell’affrontare e cercare di risolvere il problema da parte delle Amministrazioni che si devono occupare di situazioni spesso identificate con banali inconvenienti igienici. L’intervento si limita così a tentativi di accesso nelle abitazioni, quasi sempre mancati a causa del rifiuto dell’hoarder di far accedere gli organi di controllo. In presenza di reiterate opposizioni, si coinvolge l’Autorità Giudiziaria per ottenere un ordine di ingresso, fatti salvi tutti quei casi in cui la flagranza del reato sia palese e si possa procedere a un ingresso forzoso nell’abitazione. L’accumulatore è solitamente una persona sola, la cui rete sociale di supporto nel tempo si è quasi sempre sfaldata con l’aggravamento della patologia, e si tratta in prevalenza di donne secondo le poche statistiche disponibili in Italia sul fenomeno. Per questa ragione, una volta qualificata la situazione, occorre predisporre una serie di attività per la messa in sicurezza di animali e persone. Tali attività devono coinvolgere, oltre agli operatori di Polizia Giudiziaria, gli assistenti sociali dei Comuni, il servizio veterinario pubblico, le associazioni di assistenza alla persona e di protezione degli animali.

Gli interventi da porre in atto, compreso un eventuale trattamento sanitario obbligatorio disposto dal sindaco, devono prevedere:

  • •verifica dello stato di salute degli animali, loro identificazione e collocazione in luoghi diversi, individuandone alcuni che per tipologia e carattere possano essere lasciati, sotto stretto controllo, alla persona perché se ne occupi e non cerchi di procurarsene altri;
  • collocazione degli animali presso strutture idonee, con espressa previsione di adozione presso terzi, grazie a una cessione volontaria, ove possibile, o a provvedimenti giudiziari ad hoc.
  • sanificazione e bonifica degli ambienti;
  • ricerca di parenti e/o conoscenti che possano contribuire a ricreare un minimo di rete solidale, valutando in sinergia con il magistrato l’opportunità di nominare un amministratore di sostegno;
  • attivazione di un piano di monitoraggio costante che possa evitare un ritorno allo stato iniziale e/o il reperimento di nuovi animali.

Naturalmente in una situazione di questo tipo, se il soggetto presenta problematiche del comportamento, sarà anche necessario accertare il suo stato di salute e quello degli eventuali famigliari conviventi che, se minori o anziani, sono costretti a vivere in condizioni disagevoli.

CANI, FALCHI, TIGRI E TRAFFICANTI
Storie di crimini contro gli animali
e di persone che li combattono
Ermanno Giudici
con Paola D’Amico
Sperling & Kupfer
352 pp., 17,90 euro