ECONOMIA
COVID – 19, INQUINAMENTO E SFIDA DELLA RICONVERSIONE ENERGETICA – INDUSTRIALE
03/07/2020

di Pierpaolo Signorelli



FOTO APERTURA

L’origine del coronavirus è, con ogni probabilità, animale: da un pipistrello, forse con un altro animale intermedio, prima di arrivare all’uomo. Il salto di specie – spillover – non è un fatto nuovo, è già capitato nella storia dell’uomo, che ha dovuto convivere e co-evolvere con i virus ed altri agenti patogeni. La cosa invece nuova è la frequenza con cui questo fenomeno sta avvenendo: tre salti di specie in circa 20 anni è un indice preoccupante che va messo in relazione con il tasso di distruzione della biodiversità, di invasione di habitat naturali, di commercio e consumo di animali selvatici.

In diversi studi recenti, il SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale) ha evidenziato il collegamento tra particolato atmosferico PM10 e la presenza di RNA virale del SARS-CoV-2, confermando l’ipotesi che l’inquinamento atmosferico abbia grande rilevanza nell’elevata infettività del virus: le polveri sottili aiutano il virus a diffondersi ben oltre la distanza di sicurezza.

E non è una novità così inattesa, visto che già i virus della viaria, del morbillo e dell’ebola possono essere trasportati dal particolato a riconferma, se mai ce ne fosse bisogno, che le zone in cui l’esposizione decennale allo smog è più elevata sono quelle più penalizzate: non a caso la Lombardia tutta, ed in particolare Bergamo e Brescia, sono state le aree più colpite. Ma anche esulando dallo specifico nesso fra virus e inquinamento atmosferico, le esposizioni croniche ad elevate concentrazioni di particolato nell’aria, hanno di per sé conseguenze negative sulla salute umana, ben rilevate e quantificate dall’Agenzia Europea per l’Ambiente. Condizione che predispone i soggetti anziani e/o debilitati a una maggiore suscettibilità alle infezioni virali e alle complicanze cardio-polmonari. La stessa Agenzia nel suo ultimo rapporto certifica in ben 76.000 decessi prematuri il “dazio umano” di tale inquinamento, cui si aggiungono i costi sanitari e sociali, certamente molto elevati.

È arrivato il momento di affrontare il problema, senza ulteriori rinvii!

Ridurre l’inquinamento

L’obiettivo primario da raggiungere è dunque la drastica riduzione dei livelli di inquinamento dell'aria fino al loro completo abbattimento. Obiettivo che, evidentemente, può essere articolato solo a tappe e secondo un arco di tempo che abbraccia più lustri. È infatti richiesta una completa riconversione degli impieghi energetici stazionari (impianti termoelettrici e caldaie), come quelli dei trasporti con motori endotermici (terrestri, marittimi ed aerei) a favore di motori elettrici.  Ed una simile rivoluzione, sicuramente tecnologica, è anche politica e culturale, e non può essere certo attivata da un virus influenzale, per quanto diffuso esso possa essere nel mondo. Questo può rappresentare l’ulteriore spinta, forse quella decisiva che innesca l’irreversibile cambiamento, ma alla base deve esserci una condivisione diffusa dell’opinione pubblica, un sentimento affermato di voltare pagina.

Un simile contesto socio-politico è però attitudine per lo più dell’Europa, la quale in modo piuttosto solitario ha accolto e intrapreso quest’indirizzo riformista in favore dell’ambiente: si è disposto, in una visione politica pluri-generazionale, di convertire l’attuale economia inquinante e monodirezionale in una circolare e decarbonizzata.

Ma il resto del mondo è lontano, a volte moltissimo, rispetto a un simile panorama, sia per interessi contingenti come quelli dei Paesi petroliferi (OPEC–PLUS), ovvero per ragioni di crescita economica (BRIC) o, più tristemente, per motivi di estrema pervasività come la guerra o le carestie. Insomma, la questione ambientale, malgrado l’Accordo di Parigi del 2018, col suo drammatico avvertimento – o si diminuiscono le emissioni del 2% e si contiene il riscaldamento globale o si rischia la catastrofe – non risulta come prioritaria nell’agenda di quasi tutti i Paesi, specie di quelli più inquinanti. E l’avvento del Covid-19 potrebbe sospingere più in là la tempistica della risoluzione, attesa la gravità economica complessiva. Infatti, l’ostacolo centrale nel raggiungimento di un’economia a zero impatto ambientale sono gli elevatissimi costi di riconversione e la correlata messa a disposizione di fondi pluriennali che ogni Stato deve approntare. L’attuale pandemia ha invece imposto come prioritaria la questione sanitaria e ospedaliera, in un contesto di gravissima crisi economica e di impennata dei debiti pubblici nazionali.

La questione si articola allora su più fronti, perché il conseguimento di un’elevata disponibilità finanziaria ultradecennale richiede la definizione di un modello economico estremamente performante nelle principali criticità: gestione del debito pubblico attuale e pregresso; mantenimento di elevati livelli occupazionali; crescita del PIL con le nuove tecnologie non impattanti.  Detto altrimenti, occorre un modello che sia autoportante, in grado di fornire lavoro alla presente e alle future generazioni, non in precarietà ma con contrattualistica di lungo periodo. Su tale condizione è possibile stimare una correlata capacità di spesa della Domanda e quindi un conseguenziale livello di nuovi investimenti.  Nel suo insieme il modello esprime una ricchezza sufficiente per ripianare il debito pubblico presente e passato, debito che zavorra come un macigno le energie di un qualunque Paese. 

FOTO BIl signoraggio

Come conciliare dunque le due emergenze, quella più immediata della diffusione della pandemia con la salvaguardia dell’ambiente in un’economia mondiale mezza ferma? Una possibile via di conciliazione e di sintesi potrebbe essere l’espansione monetaria non attraverso il debito, ma attraverso il signoraggio. Già in occasione della crisi dei mutui Subprime del 2008 si fece ricorso ad un intervento pubblico del Ministero del tesoro americano per 700 miliardi di dollari, al fine di salvare le banche maggiormente compromesse. Impostazione analoga potrebbe adottarsi sia in Europa sia nelle altre grandi regioni del Pianeta, come gli Stati Uniti, dove già adesso il denaro è a costo pressoché nullo e perciò non ha senso prestarlo, ma è invece molto più utile indirizzarlo là dove serve secondo un piano pubblico di rilancio delle attività, così come si fece all’epoca della Grande Depressione del 1929 con il New Deal di Roosevelt. Infatti, il prestito, per quanto diluito nel tempo, per quanto leggero negli interessi, costituisce sempre un peso per chi lo deve restituire e un rischio per chi lo deve incassare. Al contrario la via del signoraggio, ossia il potere di battere moneta per regolarne l’offerta complessiva, non presenta simili rischi, e la si può dosare al fine di metterla al servizio dei piani nazionali industriali per realizzare la transizione energetico-ambientale.

Il rischio sistemico che il ricorso alla creazione di nuova moneta comporta è quello dell’inflazione, specie se con tali immissioni si alimentano aiuti a pioggia presso la Domanda che fronteggia la spesa corrente. Se però le immissioni di nuova moneta sono calibrate e mirate alla riconversione energetico-industriale su un arco di tempo lungo, l’aumento inflazionistico risulterebbe non solo molto contenuto, ma anzi funzionale alla stessa ripresa economica. Ciò che conta è la quantità annuale di emissioni che si vuole creare e gli specifici indirizzi di spesa; si potrebbe pensare ad esempio all’installazione di nuove fabbriche di vettori elettrici, ovvero ottimizzazioni energetiche degli edifici e del rinnovo degli impianti di riscaldamento.

 FOTO CUn nuovo passo

Il punto è che l’immissione di nuova moneta si scarichi sulla creazione di nuovo prodotto e non sui prezzi, cioè vada ad alimentare la fabbricazione, inizialmente integrativa e poi sostitutiva, di manufatti e apparecchiature nuove, per le quali si assume ulteriore manodopera con contratti di lungo periodo. Quest’ultima condizione non è secondaria ai fini del processo di transizione energetica e del ripristino dell’ambiente. Il percorso è lungo e richiede investimenti di altrettanto lungo periodo che possono trovare una giustificazione economica solo in una domanda strutturata su un arco di tempo ampio, capace di comprare i prodotti con le nuove tecnologie. È un po’ l’handicap delle auto elettriche, almeno fino all’estate 2020, che avevano un costo eccessivo rispetto alla capacità di spesa media della domanda, spesso precarizzata e quindi incapace di spalmare la spesa su più anni.

Fenomeno analogo lo si è visto nel mercato immobiliare dove il comparto delle compra-vendite è stato superato da quello degli affitti. Ma il fenomeno è generalizzato e ha dato vita in questi ultimi anni alla “share economy” con straordinario successo nel settore dei trasporti. È una diversa forma di utilizzo della proprietà, in condivisione selezionata, che certamente contribuirà alla lotta all’inquinamento. Tuttavia, per realizzare la trasformazione richiesta, quella che abbatterà nei prossimi decenni l’inquinamento e gli elementi patogeni come i virus, occorrono strumenti potenti quali appunto il signoraggio. Non solo, ma sono anche la via più veloce per introdurre le nuove tecnologie e abbattere i costi di produzione e commercializzazione dei nuovi prodotti.

Quest’ultima è la sfida più importante, perché riguarda i Paesi in via di sviluppo e/o quelli maggiormente emettitori; entrambi sono, comprensibilmente, i più recalcitranti al cambiamento, ma sono anche i maggiori responsabili dell’inquinamento: si pensi che le emissioni di CO2 dell’intera Europa ammontano a solo il 10% circa. Tutto il resto dipende da altri. Perciò è a loro che deve essere fornita il prima possibile e al minor costo possibile la tecnologia non impattante.

L’effetto combinato della diffusione e della persistenza del Covid-19 attraverso il particolato con l’opportunità di acquisire le nuove tecnologie più performanti e convenienti rispetto alle vecchie, risulterà essere la spinta aggiuntiva e necessaria per vincere le resistenze mondiali al cambiamento ed innescare anche nel più remoto dei villaggi l’opportunità salvifica della conversione energetico-industriale.