ATTUALITA'
PENNE VERDI
24/04/2021
di Marco Fratoddi [Segretario Generale della Federazione Italiana Media Ambientali – FIMA]

È necessario formare una nuova generazione di operatori della comunicazione in grado di leggere quanto accade nel mondo in un’ottica innovativa, ma occorre soprattutto rivedere i criteri di notiziabilità

FOTO AProvate per credere, anche al cospetto di una platea ambientalista. Domandate quanti si ricordano di Katrina, l’uragano che piombò nell’estate del 2005 sulle coste della Louisiana. Vi risponderanno in molti, almeno fra gli over 35: le strade di New Orleans allagate, l’occhio della depressione che incombe sul Golfo del Messico, gli sfollati che si ritirano nell’entroterra con il poco che gli rimaneva fra le mani. Poi domandate chi si ricorda di Sidr, Mitch o Nargis. Vedrete che pochi annuiranno, anzi nessuno. Perché questi sono i nomi di eventi meteorologici estremi, uragani o tifoni, più rovinosi di Katrina – che pure di danni ne ha procurati, con 1.800 vittime e devastazioni per 108 miliardi di dollari – ma avvenuti, nello stesso giro di anni, in zone del Pianeta meno strategiche, diciamo così, sotto il profilo economico, politico, mediatico. Basti dire che il primo di questa lista, nel 2007, ha provocato più di tremila vittime in Bangladesh.

Come dire, la memoria è corta. Soprattutto è prospettica, analogamente alla percezione. E Google Trends, il servizio che monitora le ricerche degli utenti intorno a determinate frasi chiave, conferma: il grafico relativo a Katrina, oltre al picco iniziale, rimane attivo nel tempo e si rianima in particolare durante le ricorrenze, a proposito di Sidr, Mitch e Nargis invece è calma piatta, segno che i media hanno raccontato eventi tanto tragici con la mano sinistra, e nella consapevolezza collettiva praticamente non ne è rimasta traccia.

Come correggere questa contraddizione etica che riguarda ovviamente anche fenomeni non strettamente ambientali? Come superare questo approccio che esalta le disuguaglianze, visto che le conseguenze del riscaldamento globale ricadono soprattutto sulle comunità che producono meno emissioni, hanno minor “peso” nei negoziati per il clima e ancor meno potere di raccontare? È il compito principale del giornalismo ambientale: ristrutturare i criteri di notiziabilità, formare una nuova generazione di operatori della comunicazione in grado di leggere quanto accade secondo un’ottica innovativa, che garantisca una riconversione autentica verso modelli di convivenza a basse emissioni di carbonio.

FOTO BQUALITÀ E SOSTENIBILITÀ DELL’INFORMAZIONE

Il problema dell’informazione ambientale d’altro canto non risiede tanto – o soltanto – nella quantità, cresciuta grazie al progressivo accreditamento delle tematiche green nel di scorso pubblico, quantomeno durante l’ultimo quinquennio. Vale a dire da quel 2015 che ha visto, nell’ordine, la pubblicazione dell’enciclica “Laudato si’…” di papa Francesco (i cui valori sono stati ribaditi nell’ottobre scorso dalla bellissima “Fratelli tutti”), l’approvazione dell’Agenda 2030 promossa dall’Onu e la sottoscrizione dell’Accordo di Parigi sul clima. Il problema oggi riguarda piuttosto la qualità dell’informazione e la preparazione sul piano scientifico dei giornalisti al cospetto di tematiche sempre più gettonate e in continua evoluzione.

Oggi l’ambiente scala le posizioni, esce dagli inserti specializzati e conquista il primo piano secondo schemi già noti: nel segno dell’apocalisse, del conflitto legato magari a vertenze territoriali, dunque in un regime d’intermittenza. Oppure al traino di figure particolarmente significative, che catalizzano le istanze del movimento ecologista, come Leonardo Di Caprio, a suo tempo Al Gore e adesso Greta Thunberg che rimane di fatto l’unica testimone del messaggio ambientalista nell’epoca della pandemia. Quanto spazio è stato dedicato però durante gli ultimi mesi nei talk show d’informazione al “Green deal” europeo per spiegare che rappresenta il punto di svolta delle economie continentali nella fase post-Covid? E quanti sono consapevoli, in un Paese con molti complessi d’inferiorità, del fatto che l’Italia può spendere sul terreno del Recovery fund il primato europeo nell’economia circolare, con il 79% dei rifiuti che viene ricondotto a nuova vita, il doppio della media europea? C’è bisogno, insomma, di affiancare alle cronache una narrazione costruttiva che indichi, in forma non utopistica, le vie da seguire, che riveli le cause delle alterazioni di cui siamo ormai tutti consapevoli e certifichi la praticabilità su larga scala di molte soluzioni già messe in atto dalle persone che scelgono stili di vita virtuosi. Basti pensare all’escalation del biologico in Italia durante il lockdown, alle imprese che investono nell’efficienza come nuova leva di competitività, alle Pubbliche Amministrazioni, come molte ce ne sono, orientate verso obiettivi ambientali ambiziosi.

 

LA FEDERAZIONE ITALIANA

MEDIA AMBIENTALI

L’Associazione ha lo scopo di promuovere e migliorare la comunicazione ambientale, diffondere la cultura della sostenibilità, anche in collaborazione con analoghe organizzazioni di altri Paesi, concorrendo in questa maniera alla tutela e valorizzazione dell’ambiente. www.fimaonline.it