Gli eventi sismici del 2016 e 2017 in Italia centrale hanno devastato intere cittadine e borghi storici, con vittime, gravi danni alle abitazioni, alle infrastrutture con frane sismo-indotte (frane cosismiche), all'agricoltura, alla filiera agroalimentare, al turismo, alle risorse idriche, ai beni culturali.
Nelle aree danneggiate sulla dorsale appenninica sono emersi, in maniera ancor più evidente con il terremoto, i fattori di criticità fisica legati a oggettive condizioni socio-economiche svantaggiose di queste comunità, che incidono ulteriormente sullo spopolamento e abbandono dei luoghi.
POSSIBILI STRATEGIE PER LA RICOSTRUZIONE
Uno dei primi problemi da affrontare nella prevenzione del rischio sismico e anche nella ricostruzione, è quello del cosiddetto effetto di sito, ossia come conoscere a priori le vulnerabilità del territorio al fine di evitare di costruire/ricostruire nelle aree più fragili. È questo un aspetto tecnicoscientifico che va valutato preventivamente rispetto alla situazione socio-economica. Strettamente collegata a quanto sopra è la necessità di microzonazione sismica del territorio. Partendo dalle ricerche sulle aree sismogenetiche (ossia generatrici di terremoto) e sulla risposta dinamica dei terreni alle sollecitazioni sismiche, si possono effettuare la macro e la microzonazione simica, che differiscono soprattutto per la scala delle aree di esame. La macrozonazione sismica consiste nel suddividere la regione interessata in zone con strutture sismogenetiche compatibili e caratteri geotecnici sostanzialmente omogenei. Viene eseguita per ampie regioni e in Italia è stata utile per elaborare e proporre la riclassificazione sismica del territorio nazionale. Invece con la microzonazione sismica si interviene su scala locale, quindi su aree limitate. È l’operazione di maggiore dettaglio che permette, per esempio a livello di territorio comunale, di pianificare lo sviluppo edilizio secondo la risposta sismica dei terreni, che è influenzata dalle caratteristiche geotecniche, idrogeologiche, di giacitura, geomorfologiche, ecc.. In sostanza, la microzonazione ha l’obiettivo di prevedere l’entità delle scosse che un determinato terremoto potrebbe provocare, quindi la normativa da applicare per ogni 38 attività edilizia. Ebbene, gli addetti ai lavori sanno che non tutti i comuni italiani sono dotati di studi, di elaborati di microzonazione sismica, compresi quelli dell’Italia centrale appenninica.
MIGLIORAMENTO E RILANCIO DEL TERRITORIO
Un altro concetto che viene spesso enunciato nei discorsi di vari personaggi politici ed amministratori pubblici, è quello di ricostruire “dov’era e com’era”: l’applicazione di questo criterio contribuirà a mantenere vivo il senso di appartenenza e di identità delle popolazioni. Il criterio va sicuramente privilegiato, ma solo dove è possibile, perché le situazioni sono molto differenziate anche sotto l’aspetto del rischio sismico. Come si è detto a proposito della microzonazione, prima di ricostruire occorre verificare la vulnerabilità sismica del sito, poiché anche facendo affidamento sulle più moderne tecniche antisismiche non sempre abbiamo la sicurezza della assoluta resistenza delle strutture alle scosse. Pertanto bisogna fare una scelta in seguito a serie considerazioni relative alla valutazione del rischio sismico oltre che socio-economiche, dopo aver consultato le popolazioni locali. Per salvare tutto si rischia di fare un pessimo lavoro, per ritrovarsi al successivo terremoto nelle stesse condizioni di prima.
La ricostruzione può rivestire un significato rispetto alle politiche di sviluppo dei territori colpiti, a condizione che si superi l’ottica dell’intervento per necessità e ci si ponga invece in una prospettiva strategica e di miglioramento/rilancio.
Collegata a questo concetto è la constatazione, derivata da altre esperienze di terremoti, che non è sempre vero che la ricostruzione “più veloce è, meglio è”: si deve ricostruire velocemente tutto ciò che è possibile, ripristinando e riavviando rapidamente le attività, perché la gente non perda il legame con i luoghi, ma poi c’è il tempo della programmazione, che non può essere veloce, pena l’inefficacia dei provvedimenti. Trasformare il rischio in una opportunità: è possibile “utilizzare” l’evento sismico come opportunità per la messa in sicurezza, lo sviluppo della resilienza ed il rilancio dei territori, la valorizzazione delle aree interne, non solo e tanto per la loro bellezza paesaggistica, ma per le loro grandi risorse economiche: cultura, agricoltura e turismo. Questo atteggiamento delle popolazioni locali è emerso in occasione del terremoto del Friuli del 1976, con il caso emblematico di Venzone.
In conclusione, come è emerso dal Convegno organizzato dalla Società Italiana di Geologia Ambientale - SIGEA il 7 aprile scorso a Camerino (MC) “Esposizione del patrimonio culturale italiano ai rischi ambientali”, si auspica la “conservazione attiva” dei siti e del patrimonio culturale, da realizzare attraverso piani, progetti, programmi integrati. Questi dovrebbero riguardare la conservazione dei valori duraturi come potenziali di sviluppo, puntare all’equilibrio delle funzioni residenziali e produttive, alle forme e alla funzionalità degli spazi pubblici, alla permanenza delle funzioni civili e culturali, segnare il superamento dello sguardo edilizio, stabilire un legame vitale con il contesto e riconoscere un ambito di interesse complesso (territoriale, ambientale), concorrere a identificare una strategia territoriale dell’intera dorsale appenninica in grado di consolidare economie fragili ma persistenti e prefigurare nuove direzioni di sviluppo. Tali strategie sono turismo culturale e ambientale, turismo sostenibile, nuove forme di economia della cultura (consolidamento delle vocazioni agro-forestali ed eno-gastronomiche) in continuità e coerenza con la Strategia nazionale per le Aree Interne.