AMBIENTE
PASCOLI D’ORO
21/04/2020
di Toni Mira

Uno scenario criminale solo apparentemente legato alle origini di “Cosa Nostra”, ma che nascondeva sofisticati sistemi e competenze per intascare milioni di euro di denaro pubblico. Pratica illecita già nota e adottata in diverse regioni

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“Una mafia dei pascoli moderna, con controllo del territorio capillare, una mafia che punta sempre più alla terra, ma non come ritorno alle origini bensì al futuro, perché, in base alla quantità di possesso, arrivano finanziamenti. Un meccanismo che in Sicilia ha inquinato l’intero sistema di assegnazione e compravendita dei terreni". Lo scrive il GIP di Messina, Salvatore Mastroeni nell'ordinanza dell' "operazione Nebrodi" dello scorso 15 gennaio: 94 le misure cautelari (48 in carcere e 46 agli arresti domiciliari), 151 aziende sequestrate, 194 in totale gli indagati.

FOTO B - di Michele MartinisiL'inchiesta della Dda di Messina, affidata alla Guardia di Finanza, ai Carabinieri del Ros e del Comando tutela agroalimentare, ha colpito le due storiche cosche della mafia di Tortorici, il cuore del Parco dei Nebrodi, i “Bontempo Scavo” e i “Batanesi”. In particolare, i ricchissimi affari grazie alle illecite percezioni di ingenti contributi comunitari concessi dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) per l'utilizzo dei pascoli. Dal 2013 al 2019 oltre dieci milioni di euro. E questo, scrive la Dda di Messina, "grazie all'apporto compiacente di colletti bianchi identificati dalle indagini: ex collaboratori dell'Agea, un notaio, numerosi responsabili dei Centri di assistenza agricola". Alcuni dei quali legati a grandi organizzazioni nazionali. Una facilità e un'impunità che fanno scrivere al GIP parole molto dure. "Fa ovviamente impressione che Agea, Comunità Europea, organi di controllo si «bevano» (termine adeguato per i truffati) istanze con fascicoli solo virtuali, con terreni collocati in zone distanti ed improbabili rispetto alla residenza dell’istante, con evidenti falsi e giri disinvolti di titoli, con conti bancari all’estero. Oltre alle determinanti e gravi complicità interne, quel che dimostra l’indagine è che l’intero meccanismo dei contributi dovrebbe essere rivisitato, con semplici ed elementari controlli reali e senza cieca accettazione di imprese fantasma". E infatti scorrendo le 2.174 pagine dell'ordinanza, emergono casi veramente incredibili. Le imprese mafiose avevano denunciato, per ottenere i contributi, la disponibilità di terreni presi in affitto da persone risultate poi, grazie all'indagine, inesistenti o decedute. Terreni in tutte le province siciliane, compresi alcuni dell'Università di Messina, delle Raffinerie di Gela, dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Catania. Gli investigatori hanno poi trovato terreni in Abruzzo (8 comuni tra i quali L'Aquila), in Emilia Romagna (anche Marzabotto), Calabria, Puglia (uno a Brindisi in realtà è uno stagno). E addirittura "pascoli" all'interno dell'aeroporto militare palermitano di Boccadifalco e nella base di Niscemi del Mous, la maxi antenna di comunicazione satellitare Usa.

FOTO CI MANCATI CONTROLLI

Tutto ovviamente falso, terreni mai presi in affitto, per alcuni di essi oltretutto impossibile, ma grazie ai quali gli imprenditori prestanome delle cosche erano riusciti a incassare contributi milionari. "Sono stati chiesti fondi dovunque potessero chiedere - denuncia il Procuratore di Messina, Maurizio de Lucia - sul presupposto che non c'era nessun controllo effettivo sui territori. Si guardano le carte ma non si va a vedere cosa effettivamente viene licenziato". "Chi doveva controllare non controllava -rincara la dose il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho-. Chi doveva sostenere la formazione del fascicolo aziendale per ottenere i finanziamenti era complice dei clan che si arricchivano". Per questo, è importante il "Protocollo Antoci", dal nome dell’allora Presidente del Parco regionale dei Nebrodi che nel 2016 subì un attentato mafioso, ma che per primo permise di scoprire questo tipo di attività. In particolare il Protocollo, diventato poi strumento regionale, fu inserito nel 2017 in una norma nazionale. Proprio grazie ad esso, erano state revocate assegnazioni di terreni pubblici per 4.200 ettari, che avrebbero garantito 2,5 milioni di fondi Agea e Ue. Inoltre ben 23 aziende su 25 si erano viste rifiutare la certificazione antimafia.

FOTO DNON SOLO IN SICILIA

Un grosso affare, che non riguarda soltanto la Sicilia e i clan mafiosi. Solo negli ultimi anni ricordiamo nell'estate 2017 l'inchiesta del Gruppo carabinieri forestali di Brescia, su pseudo-alpeggi in Valcamonica che avevano permesso di incassare 500mila euro in due anni, ma dove non si erano mai visti animali al pascolo, anche perché situati a quote superiori a 2.800 metri e con pendenze oltre il 50%. Nel 2018, ancora i carabinieri forestali, scoprono, anche grazie ai droni, una truffa analoga in Val Trompia, con alpeggi e "mucche fantasma". Nel maggio 2019, sempre in Valcamonica, i carabinieri forestali scoprono due imprenditori agricoli cremonesi che avevano ottenuto alpeggi dove però non avevano mai pascolato le mucche, trattandosi in realtà di boscaglie inaccessibili. Ad agosto 2019 scatta l'operazione "Montagne d'oro" che ha coinvolto 91 imprenditori agricoli delle province di Sondrio, Como e Cremona, che avevano preso in affitto terreni comunali dell'alto lago di Como e della Bassa Valtellina, ma non vi avevano mai portato animali, incassando ugualmente i contributi comunitari. Storie recenti e storie vecchie. Nel lontano 2006 gli uomini del Corpo forestale dello Stato scoprono una vera e propria associazione a delinquere che operava in sette regioni: Veneto, Lombardia, Trentino, Emilia Romagna, Abruzzo, Lazio e Campania. Una truffa da 4,5 milioni di euro in due anni. "Pascoli milionari", il nome dell'operazione. In realtà zone rocciose delle montagne abruzzesi e perfino una miniera abbandonata di bauxite. Casi molto simili a quelli scoperti ora in Sicilia.

FOTO EE torniamo alle parole del GIP. Perché, oltre alle truffe, c'è un grave danno all'economia vera e pulita. "Il dato è devastante, non solo per i guadagni milionari della mafia, ma anche perché la vera agricoltura e pastorizia dei Nebrodi è di converso e necessariamente costretta a condursi sul duro lavoro degli onesti e destinata inevitabilmente a morte economica".