C’è un esercito che solca incessante la storia del mondo, una truppa bizzarra, in cui nessun milite indossa la stessa divisa. A volte marcia, bianca, inoffensiva e ridente in parata, a volte minacciosa, in grigio, costringe al riparo chi si trova nelle sue vicinanze. Le sterminate torme di idrometeore di condensazione, le nuvole, che da sempre hanno stuzzicato le domande degli osservatori e stimolato la fantasia di poeti e artisti. Quando lo sguardo sulla realtà possedeva una solida cornice metafisica le nuvole erano linea di confine tra la dimensione naturale, il visibile, l’aldiqua, e quella trascendente, l’invisibile, l’aldilà (e non per caso Dio nella Bibbia è spesso velato da una nube). Nel catino absidale della Basilica di Sant’Apollinare a Ravenna le bizantine, antirealistiche nuvole a forma di baguette del mosaico son lì a separare il mondo divino da quello umano. Passa qualche secolo e già l’antichità assume una diversa fisionomia, non più ieratica e sacrale, bensì vitalistica ed erotica. È l’incantevole, e disincantata, lettura che Antonio Allegri, il Correggio, dà del mito di Giove e Io – una delle innumerevoli scappatelle di Zeus – in cui la nube è travestimento/trasformazione della divinità e la bella Io in estasi addirittura abbraccia, con palese godimento, la nuvola-amante. Prima del Correggio però, sia Giotto sia Mantegna avevano giocato con le nubi, sfruttandone in chiave polisemica la natura proteiforme. Del toscano è stata decifrata nel 2011, a distanza di secoli, la sembianza d’un diavolo fatto di nuvola in una scena della vita di san Francesco nella Basilica superiore di Assisi. Calembour in figura? O documento della leggenda medievale che voleva i demoni appostati negli anfratti delle nubi per rubare al volo le anime che gli angeli portavano in Paradiso? La palla passa agli storici. Ma con questa scoperta, ad opera di Chiara Frugoni, il veneto Andrea Mantegna, che nel 1460 aveva nascosto nel suo San Sebastiano un cavaliere (dell’Apocalisse?) nella nuvola bianca in alto a sinistra, perde la primazia di pittore “travestinuvole” che gli storici dell’arte gli avevano assegnato.
“Le nuvole sono nebbie tirate in alto dal caldo del sole” aveva scritto Leonardo nel
capitolo “De’ nuvoli” del suo trattato De pictura; qualche secolo dopo, col meteorologo inglese Luke Howard, la nuvolaglia riceveva la terminologia scientifica tuttora in vigore: cirro, cumulo e strato con gli stadi intermedi cirrocumulo, cirrostrato, stratocumulo, cumulonembo e nembostrato, una nomenclatura di gran classe, non c’è che dire. E di successo, tanto che quel vorace ed eclettico letterato tedesco di nome Goethe, che ambiva a sapere e incasellare tutto, si affrettò a scrivere il saggio La forma delle nuvole in cui almanaccava, tra il poetico e il naturalistico, su queste bizzarre mongolfiere naturali che popolano il cielo. Goethe chiese anche al massimo pittore tedesco di allora, il nebbiomane Caspar David Friedrich, di realizzare per lui degli studi di nubi, ma tra l’artista neoclassico e il romantico non scoccò mai il feeling e Friedrich rifiutò. L’impeto classificatorio goethiano gli dava noia, per lui la nuvola era segno di libertà e mutevolezza da non sopraffare inscatolandolo, bensì in cui immergersi e da cui venire sopraffatti, come nel quadro Abend, 1824.
Ma in quelle prime decadi dell’Ottocento tutti i pittori stavano a testa in su: in Francia Camille Corot, forte anche dei suoi viaggi nella luce d’Italia, costellò i suoi cieli di nuvole, non parliamo degli inglesi John Constable e William Turner, autentici virtuosi cloudomani. La pratica pittorica dell’en plein air ricevette un forte impulso dall’interesse per le nuvole, perché fermare su cartone e poi su tela le loro forme cangianti, volatili, nebulose era gesto da compiere immediatamente, non in atelier. Inoltre, riflettiamo un attimo, non possiamo forse vedere nei naturalisti pittori di nubi i precursori dell’informale e dell’astratto novecenteschi? E le celebri, surreali nuvole del belga René Magritte non sono il migliore omaggio a questi umidi sbuffi di fantasia naturale sospesa e cangiante, in perenne gioco amoroso con la luce?