“Negli anni ho imparato che bisogna avere pazienza, persistenza, impegno. Quando piantiamo gli alberi, a volte ci dicono – Questo non voglio piantarlo, perché impiega troppo tempo a crescere – Allora devo ricordare loro che gli alberi che stanno tagliando oggi non sono stati messi lì da loro, ma dai loro antenati. Perciò devono piantare alberi che saranno di beneficio per le comunità del futuro. Li porto a pensare che come un arboscello, con il sole, un buon suolo e pioggia abbondante, le radici del nostro futuro sprofonderanno nella terra e un manto di speranza raggiungerà il cielo”.
Con queste parole il Premio Nobel keniota Wangari Maatha sintetizzava il proprio impegno per la causa dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace. Per suo tramite sono stati piantati oltre 40 milioni di alberi per combattere la deforestazione e l’erosione.
Pensieri molto simili hanno animato altri uomini, in altre epoche, in luoghi tanto diversi e lontani. Certo mai avrebbero pensato quei lungimiranti forestali che le loro intuizioni, in un’epoca in cui il bosco era visto solo come un’entità economica da cui trarre profitto, sarebbero state premiate dalla comunità internazionale inserendo alcune faggete vetuste, scrigni verdi di biodiversità, tra i patrimoni dell’Umanità protetti dall’UNESCO. Un riconoscimento eccezionale che ci inorgoglisce e che al contempo ci riempie di responsabilità sia come italiani che come Carabinieri, perché due dei boschi antichi riconosciuti dall’organizzazione delle Nazioni Unite sono la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino e la Riserva Naturale Biogenetica di Foresta Umbra e Falascone che rientrano tra le 130 aree naturali gestite dall’Arma. Un risultato che ha però radici profonde. Sasso Fratino, prima Riserva Integrale in Italia, istituita nel 1959, rappresenta una pietra miliare della politica ambientale nazionale. Allo stesso modo, la Riserva Biogenetica di Foresta Umbra e Falascone è rimasta intatta grazie all’assenza, negli ultimi 50 anni, di significativi interventi selvicolturali.
Il ruolo multifunzionale del bosco dunque si arricchisce: dalla semplice produzione di legno e di pregiati sottoprodotti, a regolatore dell’anidride carbonica e serbatoio di ossigeno, ad elemento del paesaggio, a luogo turistico e ricreativo, a “santuario” di biodiversità, fino ad essere riconosciuto ormai come rimedio preventivo e curativo per tante patologie umane.
Ma i tempi del bosco non sono i tempi degli uomini. Per questo servono uomini e istituzioni in grado di pianificare la gestione del territorio e guardare oltre la durata della nostra esile vita. Uomini competenti che sappiano entrare in comunicazione con la foresta, ispirati dai valori della cura e della custodia più che da quelli di un’asettica gestione e le cui scelte, una volta condivise, non siano messe in discussione ad ogni sussulto di vento. In Olanda per esempio nessuno pensa di modificare le scelte dei
watermeester, i “maestri delle acque” che, nell’intento di preservare i Paesi Bassi dal costante pericolo della furia del mare, di alluvioni e smottamenti, adottano provvedimenti di gestione territoriale con piani operativi e finanziari che possono arrivare fino a 400 anni. I curatori delle acque olandesi seguono meccanismi decisionali e operativi indipendenti da qualunque meccanica politica.