AMBIENTE
IL CONTO SALATO DEL CLIMA
18/07/2019
di Pierpaolo Signorelli

Il riscaldamento globale si ripercuote sull’economia di tutti i Paesi. Inquinare è economicamente svantaggioso

FOTO  APERTURA - DIDA LUNGA

La salute del Pianeta peggiora ogni anno di più. Secondo lo studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) l’Antartide si sta sciogliendo più velocemente del previsto, con conseguenze gravissime per la Terra. Va, infatti, tenuto presente che quasi il 70% dell’acqua dolce del Pianeta si trova proprio al Polo Sud. La sua coltre di ghiaccio formatasi in milioni di anni, se si sciogliesse, accrescerebbe il livello medio dei mari di quasi 60 metri!

Questo scenario apocalittico ha una sua fondatezza nella rilevazione del fatto, riportato appunto nello studio, che il normale processo di ripristino della calotta ad opera delle nevicate risulta essere in drammatico calo. Normalmente, l’accumulo di neve nel continente antartico dovrebbe bilanciare le perdite di ghiaccio dovute ad erosione, fusione e distacco di iceberg, ma la calotta antartica non è più in uno stato di equilibrio e le perdite di ghiaccio sono superiori alla formazione di quello nuovo.

Queste valutazioni sono confermate dal rapporto redatto da un team di ricerca internazionale e pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Research, che mostra come il 2018 sia stato l’anno più caldo mai registrato per gli oceani, con un incremento di calore rispetto al 2017 superiore di 100 milioni di volte alla bomba di Hiroshima. Una simile degenerazione della salute ambientale del Pianeta, sia per ampiezza degli elementi coinvolti, sia per intensità del processo, non poteva poi non avere conseguenze concrete sulle attività umane, in primis quelle economiche.

FOTO BLE MINACCE AMBIENTALI

Sono sempre più numerose le calamità naturali che stanno pregiudicando la sicurezza alimentare, la qualità della vita e la prosperità economica dei popoli, come ad esempio siccità, alluvioni, inquinamento dell’aria urbana, distruzioni di moli d’attracco e perdita di carichi navali per affondamento. Se n’è discusso nella 14a edizione del The Global Risks Report 2019, organizzata dal World Economic Forum (WEF). Il tema centrale è stato Are we sleepwalking into a new global crisis?. Il primo spunto di riflessione si concentra sulla percezione e sulla consapevolezza di quanto sta accadendo: sembrerebbe, secondo le politiche statali, che stiamo camminando sul ciglio del burrone, senza riuscire a promuovere una comune politica mondiale capace di far superare gli interessi nazionali e anteporre targets strategici di riequilibrio ambientale. La Conferenza di Parigi del dicembre 2015 è stata senz’altro un risultato eccellente, peraltro ratificato dall’Unione Europea, ma se poi non viene messa in pratica da tutti gli Stati, in primis dai maggiori emettitori (Stati Uniti, Cina, Russia, India), l’obiettivo della salvezza e della rinascita ambientale del Pianeta sarà irrimediabilmente perso.

FOTO CIL COSTO ECONOMICO DEL DANNO AMBIENTALE

Il secondo spunto di riflessione concerne i costi sempre più elevati e sempre meno gestibili per le economie di tutti i Paesi (specie quelli emergenti, spesso i più flagellati), nonché per le compagnie di assicurazione coinvolte nel ripianamento dei danni subiti. Eppure dallo studio presentato al WEF emergono novità importanti che sono motivo di una rinnovata, quanto cauta, speranza di un capovolgimento nell’approccio alla problematica. Nel lavoro sono illustrati i risultati dell’indagine conoscitiva, effettuata lo scorso autunno presso oltre mille stakeholders pubblici e privati, aziende e organizzazioni no-profit, università e centri di ricerca, sulla percezione del rischio in economia, ambiente, geopolitica, società, tecnologia. Ebbene, la maggiore probabilità (likelihood) che un certo evento si verifichi nei prossimi anni con impatti negativi (impact) è proprio quella ambientale secondo gli intervistati, che le hanno assegnato il massimo punteggio (5), su una scala da 1-5 di gravità. Sono proprio le minacce ambientali a essere valutate come le più pericolose per il futuro del nostro Pianeta.

Una simile sensibilità del mondo economico testimonia un’inversione di tendenza in atto assai profonda, che dà conto di un’inquietudine generalizzata. Anche perché nell’economia globalizzata di oggi, così fortemente interconnessa, un rallentamento dell’economia in Giappone – magari come è stato per il disastro nucleare di Fukushima – si ripercuote negativamente non solo nei partner diretti, come la Cina, ma in tutto il mondo, con innalzamenti nei prezzi delle commodities energetiche dirette (gas e petrolio) e in quelle indirette (fotovoltaico ed eolico).

FOTO DDel resto il WEF ha dato proprio l’allarme disperato che l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo dell’ONU deputato allo studio e alle politiche ambientali, aveva lanciato in modo irrevocabile lo scorso ottobre: mancano 12 anni affinché l’aumento delle temperature medie terrestri si contenga entro la soglia fissata dagli accordi di Parigi (1,5 – 2° rispetto all’epoca preindustriale). Oltre non sarà più possibile contenere il disastro.

È ormai chiaro che così non si può proseguire oltre. Siamo arrivati al punto che non solo gli ecosistemi del Pianeta, ma le stesse organizzazioni economiche e sociali dei vari Paesi ne vanno risentendo sempre più, con una proiezione in crescita.

L’acquisizione di una simile criticità ha però promosso una consapevolezza e una sensibilità nuova del mondo economico, quali prima si ravvisavano solo nelle aziende o nelle organizzazioni più attente. Potremmo essere davanti ad una rivoluzione culturale ed economica: se il danno ambientale e la contaminazione sono permanenti o comunque ricorrenti diventano un costo del processo produttivo e quindi rientrano nel computo complessivo del valore delle merci. Perciò inquinare, oltre che sbagliato e immorale, è economicamente sconveniente e penalizzante.

Quindi, se il mercato s’incarica di contabilizzare il costo d’inquinamento per ogni azienda che produce, perché le esternalità negative di processo sono divenute economicamente e socialmente insostenibili, allora sarà il sistema economico mondiale a ripristinare gli equilibri, non solo economici, ma anche un poco alla volta quelli ambientali. Per via della sua unicità e non ricambiabilità, l’ecosistema ambientale acquista valore, come ogni risorsa scarsa e utile.

FOTO EE siccome è ormai da decenni che il mercato, cioè l’economia, influenza la politica, sarà la prima a dettare la rotta e il ritmo alla seconda promuovendo verosimilmente un circolo virtuoso, dove cioè la politica internazionale e locale sarà di ausilio e farà da facilitatore per il raggiungimento di accordi volti a centrare analoghi livelli tariffari per il medesimo danno ambientale, ovunque sia perpetuato. Forse, non è ancora detto, la rotta per il nostro futuro potrebbe cambiare.